Prima di affrontare l’argomento è necessario un raffronto tra due situazioni simili avvenute in Europa negli ultimi venticinque anni: mi riferisco al raffronto tra quanto accaduto nella ex Jugoslavia e quanto sta accadendo in Ucraina. Questo raffronto ci sarà molto utile per comprendere l’ipocrisia occidentale. Iniziamo con la ex Jugoslavia, dove il governo attuò quella che definì un’operazione militare anti-terrorismo contro dei “separatisti” in una parte del Paese. I solerti media occidentali mostrarono immagini di abitazioni che venivano bombardate e moltissime di persone in fuga. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea condannarono ferocemente le azioni del governo Jugoslavo e lo accusarono di perpetrare “genocidio” e “pulizia etnica” ed affermarono che era in corso una urgente “crisi umanitaria”. Politici e giornalisti occidentali sostennero che occorreva intervenire. E così la NATO attuò un intervento militare per fermare il governo della Jugoslavia, la quale venne bombardata per 78 giorni e notti. Il leader della Jugoslavia fu etichettato come “il nuovo Hitler” ed accusato di crimini di guerra, tanto da venir poi processato dal Tribunale a L’Aia. In seguito alla condanna inflittagli morì nella sua cella carceraria.
Passiamo all’Ucraina, dove il governo golpista attua quella che definisce una operazione militare “anti-terrorismo” contro “separatisti” in una parte del Paese. I media occidentali non mostrano immagini, o almeno non molte, di abitazioni che vengono bombardate e di persone in fuga, anche se altre emittenti televisive lo fanno. Ma in questo caso gli Stati Uniti e l’Unione Europea non condannano il governo Ucraino, o lo accusano di star perpetrando “genocidio” o “pulizia etnica”. Politici e giornalisti occidentali non sostengono che occorre intervenire per impedire che il governo Ucraino massacri la propria gente. Al contrario, gli stessi poteri che hanno sostenuto l’azione militare contro la ex Jugoslavia, supportano ora l’offensiva militare del governo Ucraino. Il leader dell’Ucraina non è accusato di crimini di guerra, né è etichettato come “il nuovo Hitler”, nonostante il sostegno che il suo governo fornisce a gruppi neonazisti, anzi in realtà, riceve generose quantità di aiuti, economici, finanziari e militari.
La realtà quindi è che in Ucraina dell’Est stanno morendo centinaia di civili, donne e bambini in una guerra di cui pochi parlano per i troppi interessi economici e geopolitici. La situazione è drammatica, i numeri sono impressionanti e la parola da usare è una sola: genocidio. Oltre un milione e mezzo di donne, bambini ed anziani nel Donbass, regione situata in Ucraina orientale ed abitata da popolazione di etnia russa, sono stati costretti a lasciare le loro case per via dei sistematici bombardamenti dell’artiglieria dell’esercito ucraino. A Donetsk vi sono stati addirittura molti morti di inedia, per la mancanza di denaro. Ma i media occidentali, impareggiabili difensori dei diritti umani a seconda dei casi e dei popoli, pare se ne siano dimenticati.
“Perché noi avremo lavoro e loro no. Noi avremo la pensione e loro no. Noi ci preoccuperemo della nostra gente e loro no. I nostri bambini andranno a scuola e i loro si dovranno rintanare nei seminterrati. Perché non sono in grado di fare niente. Ed è esattamente così che vinceremo la guerra“.1 Nel 2014, queste parole criminali non le ha pronunciate un taglia gole dell’ISIS o di al-Qaeda in uno dei tanti loro proclami on-line, ma un essere comunque indegno, di nome Petro Poroshenko, il presidente del regime golpista dell’Ucraina; l’uomo (“si fa per dire”) scelto e voluto da Obama per trasformare quel Paese in una moderna nazione democratica. Un fantoccio a cui l’UE ha regalato in tre anni quasi 3 miliardi di euro (l’ultima tranche nel marzo 2017), per tenere in piedi un’economia fallita e un sistema corrotto, sempre dietro l’ipocrisia di un umanitarismo falso e ridicolo ma che tanto piace alla buona coscienza di quelli che si ritengono i buoni.
I “nostri bambini” di cui parla il vergognoso Poroshenko sono ovviamente i bambini ucraini. Gli altri, quelli che “si dovranno rintanare nei seminterrati“, sono i bambini russi del Donbass; per loro, le bombe da mortaio dell’artiglieria di Kiev, colpiranno scuole, asili, ospedali.

Ecco secondo Poroshenko come dovrebbero vivere i bambini del Donbass

Petro Poroshenko (presidente Ucraina)
A rafforzare le parole di questo pazzo, vi sono quelle pronunciate da un giornalista ucraino, nella realtà un mero coglione (e sono stato assai clemente nel definirlo), di nome Bogdan Butkevych. Queste le parole di un essere che meriterebbe una triste sorte: “Il fatto è che il Donbass non è semplicemente una regione depressiva. Il problema principale è che hanno un numero enorme di persone inutili all’interno della popolazione. A Donetsk e nella sua regione vivono 4 milioni di persone e 1 milione e mezzo di queste sono «inutili» e devono essere uccise. Non abbiamo bisogno di comprendere quelle persone. Tutto quello che dobbiamo capire è l’interesse nazionale ucraino. Il Donbass deve essere usato come una risorsa. La cosa principale che dobbiamo fare, anche se può sembrare crudele, è capire che questa intera categoria di persone inutili, devono essere uccise“.1

Bogdan Butkevych (giornalista ucraino)
Chi avrebbe mai pensato che nel ventunesimo secolo, in un paese “civile”, la popolazione disarmata sarebbe stata sterminata per via della propria opinione, del proprio pensiero, del proprio sentimento. Perché nel Donbass, la stragrande maggioranza della popolazione è russa ed anche se nata in Ucraina si sente russa, perché è attaccata alle proprie radici ed alle proprie tradizioni. Perché vuole parlare la propria lingua: il russo. Perché vuole continuare a celebrare le proprie festività. Perché continua a considerare il 9 Maggio, il Giorno della Vittoria sul nazismo e non un giorno di lutto come invece ha decretato il nuovo e golpista governo ucraino. Perché vogliono continuare ad onorare i propri Eroi con le Marce degli Immortali ed a chinare il capo di fronte ai veterani ed alla memoria dei 26 milioni e 400 mila caduti dell’Unione Sovietica nella Grande Guerra Patriottica e non chinarla invece di fronte ai complici dei nazisti come il criminale ucraino Stepan Bandera.
Nel Donbass il governo ucraino ha chiuso tutte le banche, sospeso l’erogazione degli stipendi e delle pensioni con l’intento di fare pressione sulla popolazione costringendola sul lastrico ed alla fame.2 E questo è stato solo l’inizio dell’attività criminale contro il popolo operata da parte del governo golpista di Kiev che ha voluto prendere il potere essendo disposto a pagare qualsiasi prezzo. Poi ci sono le immagini scioccanti del rogo di Odessa, avvenuto nell’assoluta indifferenza della polizia e dei pompieri ed addirittura di fronte all’euforia di parte della popolazione ucraina. Ma i fatti di Odessa furono solo una parte di una serie sanguinosa di eventi. Per descrivere tutte le atrocità commesse sui civili del Donbass dal regima golpista di Kiev, occorrerebbe scrivere un libro. Quindi essendo questo testo un articolo, prenderemo sinteticamente in esame alcuni casi simbolici, giusto al fine di rappresentare l’argomento che stiamo trattando.
Domenica 20 aprile 2014, il Giorno di Pasqua, la festività religiosa più importante nella religione ortodossa, a Slavjansk, membri del movimento neonazista Settore Destro uccisero dei civili che stavano pregando. Il 9 maggio 2014 a Mariupol nel Donbass, mentre i cittadini festeggiavano il Giorno della Vittoria, verso le 10.30 del mattino, 60 soldati dell’esercito ucraino in equipaggiamento completo, con la copertura dei cecchini, hanno assaltato la locale stazione di polizia con mitragliatrici pesanti e lanciagranate, causando la morte di più di venti poliziotti. L’edificio venne bruciato completamente. Per protesta la popolazione civile e disarmata di Mariupol si è riversata in strada. I militari ucraini reagirono aprendo il fuoco sulla popolazione civile uccidendo 15 persone e ferendone 17 gravemente.
Nei mesi successivi, la popolazione civile di Slavjansk e Kramatorsk, fu oggetto di bombardamenti ripetuti effettuati con l’artiglieria pesante dall’esercito ucraino. Per distruggere la popolazione civile di Slavjansk, che nel frattempo era diventata il simbolo della resistenza contro il governo golpista di Kiev e contro le truppe dei battaglioni nazisti che il governo stesso aveva inviato con scopi punitivi, vennero utilizzate bombe a grappolo e al fosforo. Colpivano le abitazioni, gli ospedali, le scuole, gli asili nido, massacrando civili innocenti. In un video del canale telematico Fort Rus, pubblicato su You Tube, dal titolo “Sangue e lacrime dell’Ucraina”, due anziane signore, abitanti di Slavjansk, mentre piangono disperate commentavano con queste parole ciò che stava accadendo in quei giorni: “Voglio rivolgermi all’ONU, all’OSCE! Per quanto tempo ancora intendete chiudere gli occhi su ciò che sta succedendo qui? Questo è un genocidio contro il popolo. Cosa state facendo? Ci sparano addosso, siamo semplici civili! Guardate bombardano interi quartieri dove viviamo noi con i nostri bambini. Colpiscono scuole, asili nido. Contro chi stanno combattendo? Con chi? Cosa vogliono? Quanto potere vogliono ancora? L’hanno già conquistato con le armi! Per quanto vogliono continuare? Lasciateci stare! Non abbiamo più niente a che fare con voi! Voi siete fascisti! Voi siete nazisti! State uccidendo il vostro stesso popolo. Per quanto tempo ancora? Andate via! Siete disumani! Non avete niente di umano se vi permettete di bombardare scuole e civili. Muoiono persone innocenti solo perchè non vogliono vivere secondo le vostre regole! Non vi vogliamo più vedere! Non vi vogliamo più sentire! Andatevene dalla nostra terra! Siete dei nemici! Andatevene fascisti! Che siate maledetti!“.3 Nel frattempo, da contraltare a queste disperate affermazioni della popolazione, alla televisione ucraina, il presidente ucraino Poroshenko follemente dichiarava: “L’interruzione del cessate il fuoco è la nostra risposta ai terroristi, militanti e saccheggiatori“. Una dichiarazione folle, meschina, vile, perchè il presidente ucraino insediato dopo il golpe di Kiev, considera terrorista o militante oppure saccheggiatore il piccolo Arsenij, un bambino di 5 anni di Slavjansk, morto sul tavolo della camera operatoria per via delle numerose ferite causate alla testa dalle schegge delle granate. La mamma di Arsenij, altra nota terrorista, militante o saccheggiatrice, è morta nel tentativo di proteggere con il corpo il suo bambino durante il bombardamento dell’artiglieria pesante ucraina effettuato sulle abitazioni civili di Slavjansk.
Il 2 giugno 2014 le forze aeree ucraine effettuarono un bombardamento sulla città di Lugansk. Bombardarono il municipio accanto al quale era presente un parco giochi frequentato da mamme con i loro bambini. L’attacco aereo non uccise o ferì alcun militare poiché non erano presenti in quella zona, ma uccise solo civili, donne e bambini. Sempre il video “Sangue e lacrime dell’Ucraina”, mostra i corpi di queste donne devastati dal bombardamento e mentre la telecamera riprende le immagini, giunge un uomo il quale piangendo e rivolgendosi a chi aveva effettuato il bombardamento urla disperato: “Schifosi! Schifosi! Ci vendicheremo ragazze! Ci vendicheremo! Ci vendicheremo! Ci vendicheremo di questi fascisti!“.3
Le autorità di Kiev hanno continuato con le operazioni punitive contro i civili nel sud-est dell’Ucraina. L’esercito ucraino ha bombardato per mesi senza sosta la città di Lugansk. Come mostra un reportage effettuato proprio in questa città dai giornalisti italiani Lorenzo Galeazzi e Vauro Senesi, pubblicato in rete dal giornale “Il Fatto Quotidiano”, il 3 agosto 2014, la scuola N. 7 della città di Lugansk è stata bombardata dall’artiglieria pesante dell’esercito ucraino. Ivan, il custode della scuola fra le macerie dell’edificio scolastico racconta: “Per tutta la seconda guerra mondiale questa scuola non è stata mai bombardata. Ma adesso l’esercito ucraino l’ha bombardata per quattro volte. Nei suoi sotterranei erano rifugiati circa 100 civili. Tre di loro sono morti“. Nello stesso reportage, Igor Titov, Ministro dell’Interno della Repubblica di Lugansk, dichiara: “Anche oggi a Novosvetlovka (sobborgo di Lugansk) non c’è la luce. La Guardia Nazionale Ucraina ha fatto saltare tutti i tralicci. Hanno usato tutti i tipi di armi immaginabili per tagliare Lugansk dalla frontiera con la Russia“. Vladimir Nikolaj Svarievskij, vice primario dell’ospedale di Novosvetlovka, mostra come l’esercito ucraino, giunto sul luogo, con i carri armati ha completamente distrutto un ospedale. L’ospedale pur ridotto ad un cumulo di macerie, ha continuato per quanto possibile a funzionare, ed il vice primario emozionato racconta: “Una donna che lavorava al policlinico un giorno è rimasta ferita dalle schegge di una granata. Quando suo figlio è venuto a trovarla ha perso entrambe le gambe per via di una bomba ed una scheggia lo ha ferito gravemente al collo. Alla fine è morto fra le braccia della sua mamma“. Ai giornalisti italiani, Roman, un miliziano dell’Armata dei Cosacchi del Don, dichiara: “Combatteremo ad oltranza con la forza di volontà. Perderanno come i fascisti battuti dai nostri nonni! Vorrei chiedere agli europei, come fanno ad ignorare la simbologia fascista degli ucraini. Come il Battaglione Azov che sulla spalla ha la svastica come simbolo. Come fate a far finta di niente?“.4
L’8 luglio 2014 le autorità di Kiev cominciano una serie di bombardamenti aerei sulla popolazione civile nella città di Donetsk, una città che conta un milione di abitanti. Il 1 ottobre 2014, la scuola N. 57 di Donetsk venne bombardata 20 minuti dopo l’inizio delle lezioni. Muoiono tre persone, una insegnante, un addetto alla sicurezza ed un alunno. Gli altri fortunatamente, purché feriti riescono a rifugiarsi in tempo nei sotterranei della scuola. Sempre nel video “Sangue e lacrime dell’Ucraina”, in questa circostanza, una donna mentre piange commenta l’appellativo con il quale vengono definiti gli abitanti del Donbass, cioè filorussi: “Ho dei parenti in Russia. Come potrei odiarli?” E poi riferendosi ai governanti di Kiev li accusa dicendo: “Di quale Ucraina unita stanno parlando se sono venuti da noi con le armi per ucciderci? Quale unità? Non può più esistere un paese unito dopo quello che hanno fatto! Perchè tutto il mondo tace? Perchè? Dovrebbero aiutarci a distruggerli! Cacciarli! Cancellarli dalla faccia della terra! Questa feccia che è venuta qui ad ucciderci“. Lo stesso giorno a Donetsk un missile colpì un autobus alla fermata uccidendo nove civili e ferendone trenta. Nel pomeriggio l’artiglieria bombardò il mercato della stazione di Donetsk causando la morte di altre otto persone. Nel video, una donna si avvicina a dei funzionari dell’OSCE e spontaneamente quanto ingenuamente urla ad un funzionario che non ha nemmeno il coraggio di guardarla in faccia :”Raccontate la verità al mondo su cosa sta facendo questo governo ucraino! Per quale motivo muoiono i bambini? Per quale motivo soffrono gli anziani? Aiutateci! Aiutateci! Puniteli! Può esistere una Repubblica Ucraina così? Diteci perchè uccidono?“.3
Il 27 luglio 2014, l’artiglieria ucraina colpì il centro abitato di Gorlovka causando 12 vittime. Nella via Rudakova un missile Grad uccise in strada una famiglia tre persone: padre, madre (Kristina) e la loro figlioletta Kira, di 1 anno d’età.
Il 26 maggio 2015, sempre a Gorlovka, in un’altra strada venne colpita l’abitazione di una intera famiglia, la famiglia di Anna Tuv. Anna Tuv è diventata un’icona vivente della guerra del Donbass. La sua è una vita distrutta, una vita per sempre segnata nel corpo e nell’animo; una delle tante, una goccia nell’oceano di sofferenza di una guerra dimenticata. Sulla sua vita, sul suo corpo, porta le stigmate indelebili della violenza del governo golpista di Kiev che ormai da quattro anni insanguina il Donbass. La famiglia di Anna Tuv che dopo più di un anno, invitata ad una trasmissione televisiva russa insieme alla sua piccola bambina racconta: “E’ successo in pieno giorno, ci siamo nascosti in corridoio, in quell’istante una granata ci ha colpito. Mi sono ripresa poco dopo l’esplosione ed ho visto di non avere più un braccio. Ho sentito mio figlio Zachar piangere sotto le macerie e sono riuscita a tirarlo fuori. Poi ho visto il corpo di mia figlia Katja, era troncato in due. Aveva compiuto 11 anni il 21 maggio 2014. Il corpo di Jurka, mio marito giaceva morto poco più in la. La nostra zona è continuamente colpita dai soldati ucraini. Siamo sopravvissuti io, mio figlio Zachar e mia figlia Milana. (Milana il giorno del bombardamento aveva due mesi ed ha perso entrambe le mani). Noi non siamo stati occupati da nessun terrorista. Non vogliamo semplicemente stare più con voi“.5 Il video è stato pubblicato in rete dal canale telematico Fort Rus.
A luglio del 2017, Anna Tuv (soprannominata anche “donna di ferro”) è stata ricevuta dal consigliere comunale della Lega Nord, Vito Comencini, coordinatore del movimento “Giovani Padani del Veneto” il quale ha organizzato una conferenza stampa che ha permesso ad Anna Tuv di raccontare in Italia quanto accaduto quel triste giorno. Anna Tuv durante la conferenza stampa ha ricordato: “Sopra di noi, un’ora prima di colpirci, abbiamo visto volare un drone ucraino, ci ha sorvolato, hanno visto i bambini che correvano nel cortile. Poi ci hanno colpito, uccidendo mio marito e la mia figlia Katja di soli undici anni“. Come abbiamo già appreso in precedenza, sotto le bombe ucraine Anna, non solo ha perso il marito, e la figlioletta, ma l’esplosione le ha anche dilaniato in maniera irrecuperabile il braccio sinistro. Subito dopo la sciagura, in suo aiuto, si è mobilitata una straordinaria catena di solidarietà da Donetsk, alla Russia, fino all’Italia. Dall’Italia Ennio Bordato, presidente dell’Associazione “Aiutateci a Salvare i Bambini” si è subito attivato per garantirle supporto e una protesi adeguata al braccio sinistro. Grazie ai suoi ripetuti appelli e alla sua determinazione in breve è riuscito a raccogliere l’ingente somma di 25.000 euro, pari al costo dell’impianto di una modernissima protesi bioelettrica. Questa sfida si è concretizzata nel febbraio del 2017 quando, dopo aver risolto tutti i problemi burocratici relativamente all’ottenimento del visto, Anna, finalmente, ha potuto raggiungere la tanto agognata Italia per l’impianto della nuova protesi presso uno dei migliori centri europei, il centro protesi INAIL di Budrio. Anna così oggi è in grado di abbracciare ancora “a due mani” i suoi due figlioletti scampati all’infame gesto dell’esercito ucraino. Il problema più grande si rivelato essere l’ottenimento dei documenti idonei per raggiungere l’Italia. L’ostacolo è stato superato solo grazie all’intervento della Federazione Russa che le ha riconosciuto lo status di rifugiato politico, e le ha concesso un passaporto e la cittadinanza russa. Infatti, attualmente Anna Tuv vive a Mosca, il Governo russo le ha donato un’abitazione, un reddito per vivere e si prende cura dell’istruzione dei suoi figli. Dal suo racconto si viene a sapere che da parte dell’Ucraina, ovviamente, non ha mai ricevuto alcun aiuto, nemmeno una parola di cordoglio o di solidarietà, ma solo ingiurie, insulti sia verso di lei sia verso la sua figlioletta uccisa alla quale sono stati indirizzati appellativi talmente ripugnanti che l’umana decenza e il rispetto verso i morti impedisce di riportare per iscritto. Alla fine della conferenza stampa Anna Tuv ha lanciato un appello, esortando tutti i presenti a diffondere il più possibile la verità di questa guerra dimenticata. Raccontare a tutti, cosa sta realmente succedendo nel Donbass.6 La storia di Anna Tuv di Gorlovka e della sua famiglia è un esempio emblematico dei crimini perpetrati dall’esercito ucraino, finanziato e sostenuto dai Paesi occidentali.

Anna Tuv

Anna Tuv alla marcia del Reggimento degli Immortali con le foto di suo marito e di sua figlia
In un articolo presente sul sito “gli occhi della guerra”, pubblicato il 21 luglio 2016 e redatto dai giornalisti Alessandra Bignetti e Roberto Di Matteo, dal titolo “Civili torturati nelle celle di Kiev”, emergono storie raccapriccianti che inchiodano ancora una volta il governo golpista di Kiev alle sue responsabilità. Tra queste storie di sofferenza vi è quella di Sergej, cinquant’anni, originario di Mariupol, detenuto illegalmente dai servizi segreti ucraini (SBU), perchè considerato simpatizzante dei combattenti per la libertà. Racconta Sergej: “Sono scesi dalla macchina in tre, con i passamontagna, mi hanno puntato il fucile, poi mi hanno messo con la faccia a terra, e mi hanno ordinato di non muovermi“. In pratica Sergej fu rapito da membri del Battaglione Azov, portato in una ex scuola e torturato, tenendolo per tre giorni legato ad un palo, con le mani dietro la schiena. Continua Sergej: “Mi hanno infilato una maschera antigas e accendevano le sigarette tappando i filtri“, mostrando i polsi, con su ancora i segni delle torture. Torture che andarono avanti per una settimana, con scosse elettriche, percosse e stracci bagnati in faccia. Poi Sergej venne passato nelle mani dei servizi segreti ucraini, che lo medicarono e lo costrinsero a firmare una confessione per poterlo arrestare formalmente. Il 12 marzo del 2015, a Sergej, detenuto nel carcere di Mariupol, arrivò un’istanza di scarcerazione. Ma anziché essere rimesso in libertà, l’uomo viene trasferito in cella d’isolamento e da lì, dopo alcuni giorni, venne portato nella sede dei servizi segreti ucraini a Char’kov. Venne rinchiuso in stanza di 40 mq insieme ad altre 12 persone. Detenuto illegalmente, senza alcun contatto con il mondo esterno, fino al 20 febbraio del 2016, data in cui il governo ucraino organizzò uno scambio di prigionieri tra sei civili, tra cui Sergej, e tre militari di Kiev, prigionieri dei miliziani del Donbass.7
Altra testimonianza raccolta dai giornalisti Alessandra Bignetti e Roberto Di Matteo riguarda una donna soprannominata “Sasha”. Sasha ora vive in uno degli alloggi collettivi di Donetsk. Casermoni messi a disposizione Repubblica Popolare di Donetsk per chi, in seguito ai bombardamenti ha perso la casa o per chi non può tornare nella propria città d’origine perché rischia di essere arrestato dalle autorità ucraine. Un rischio che nel Donbass viene corso da tutti quelli che, come Sasha, si sono adoperati per organizzare il referendum che, nella primavera del 2014, avrebbe dovuto sancire l’annessione delle regioni del Donbass alla Russia. La notte del 27 gennaio 2015, racconta la donna, alcuni uomini di Pravij Sektor (Settore Destro) hanno sfondato la porta di casa sua ed hanno fatto irruzione per arrestarla. “Mi accusavano di essere una spia“, ha raccontato. Dopo essere stata condotta nel quartier generale dell’organizzazione, anche per lei iniziarono le torture. Per undici giorni rimase con le mani immobilizzate dalle manette. “Mi picchiavano forte, sulla testa, con un martello di gomma, di quello utilizzato per fissare le piastrelle, in testa ho ancora le cicatrici”. Sasha mostra i segni sul volto e poi continua, raccontando che le hanno strappato tutte le unghie. Tutti i segni delle torture subite, sono stati refertati.7
Altra testimonianza delle atrocità commesse dagli uomini agli ordini del governo golpista di Kiev, proviene da Anatolij, il quale racconta: “L’arresto è stato violento, a me e mia moglie ci misero dei sacchi in testa, ci sbatterono con la faccia a terra, immobilizzati, legati, caricati su una macchina e portati in una caserma a Volnovakha“. Anatolj racconta di essere stato picchiato e torturato ripetutamente, per un giorno e mezzo, ad intervalli di dieci minuti, con qualsiasi cosa: bastoni, elettrochoc, con il calcio della pistola e dice: “Poi mi hanno fatto firmare l’ordine di arresto e mi hanno trasferito all’SBU di Mariupol“. Qui restò in carcere per 60 giorni, con l’accusa di terrorismo. Dopo di che gli fu recapitato un ordine di scarcerazione. Ma invece di essere liberato vienne condotto in uno scantinato fino al mattino seguente, quando venne caricato su un autobus e, assieme ad altre 12 persone, trasferito in una base del battaglione Dnipro 1, a Dnipropetrovsk. Qui i prigionieri erano costretti ad un periodo di lavori forzati. Poi Anatolj e gli altri vennero consegnati agli uomini dei servizi segreti ucraini, che li condussero al palazzo dell’SBU di Char’kov.7
Un altro uomo, Vladimir, racconta come ex poliziotti ucraini gli spaccarono i denti a forza di calci in bocca, ricordando: “Mi dicevano che avevano così tanto potere che, anche se mi avessero sparato, avrebbero potuto nascondere il loro crimine.” Suo figlio, di nove anni d’età, racconta con un filo di voce rotta dall’emozione, di quando gli uomini dell’SBU e dei battaglioni Alfa e Aidar, fecero irruzione a casa loro. “Erano cinquanta, è stato terribile, non sapevo cosa pensare.” La sua mamma implorò i militari di non sparare, perché c’erano bambini piccoli in casa. Ma anche il figlio della donna viene fatto sdraiare con la faccia a terra ed il fucile puntato alla schiena per ore, mentre i militari perquisirono l’abitazione prima di portare via suo marito, accusato di aver partecipato all’organizzazione del referendum dell’11 maggio 2014. Dopo essere stato detenuto in un carcere a Starobesheve, Vladimir firmò la sua scarcerazione. Ma anche lui, invece di essere liberato, venne caricato su uno scuolabus, ed insieme ad altre nove persone, venne chiuso in una cella al secondo piano dell’SBU di Char’kov. Qui fu detenuto illegalmente per mesi, prima di essere scambiato, il 10 luglio del 2015, con i soldati ucraini, detenuti dagli eroici miliziani del Donbass.7
Vladimir Markin del Comitato Investigativo Russo ha dichiarato: “Il Comitato Investigativo Russo, in base all’articolo 357 del Codice Penale della Federazione Russa, ha aperto un procedimento penale per il genocidio della popolazione russofona che vive nelle Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk!“.3
L’iniziativa di Vladimir Markin è stata adottata in seguito ad un caso che ha sconvolto l’intera opinione pubblica russa. Mi riferisco alla storia del piccolo Vanja Voronov. Nel 2015 Vanja aveva, 8 anni ed il suo corpo è stato gravemente dilaniato da un ordigno sparato dall’artiglieria ucraina su una casa del villaggio di Shakhtersk, nella regione di Donetsk. In poco tempo Vanja è divenuto il simbolo di tutti i bambini sofferenti nella martoriata regione ucraina del Donbass. Vanja era un bambino come tanti: scuola, amici, una famiglia affettuosa e premurosa, ma la sua vita è stata stravolta per sempre da una bomba ucraina caduta nel cortile di casa, dove giocava felice. Il fratellino di cinque anni, Artëm, è morto sul colpo, mentre Vanja ha perso entrambe le gambe e la mano destra riportando anche gravi danni alla vista, perdendo un occhio e la funzionalità dell’altro. Nonostante ciò Vanja non si è perso d’animo e con grande coraggio e determinazione ha affrontato le dolorose terapie a cui giornalmente è sottoposto: è lui che incoraggia l’oculista a fare del suo meglio perché “desidera tornare a vedere”, è lui che sostiene la mamma a non piangere e ad essere ottimista, è lui che decide se prendere gli antidolorifici o meno.8

Vanja ed il fratellino ucciso Artëm

Vanja Voronov e il suo papà

Vanja Voronov
L’efferatezza di quest’ennesimo crimine terroristico di Stato, perpetrato con i finanziamenti che i Paesi occidentali forniscono al governo golpista ucraino, non ha smosso d’un pelo la solidarietà degli Stati dell’Unione Europea, troppo concentrati sulle loro masturbazioni celebrali consequenziali alla loro russofobia. Ma una troupe del primo canale russo, mentre stava realizzando un servizio in un ospedale del Donbass ove il bambino era ricoverato, venne a conoscenza della storia del piccolo Vanja e decise di renderla pubblica sollevando un’ondata di commozione e solidarietà che in poco tempo ha raggiunto ogni parte della Russia arrivando fino al Cremlino. Il presidente Vladimir Putin, emozionato dalla storia di Vanja, al fine di garantire al bambino cure più appropriate, attraverso il Ministro della Salute ha predisposto il trasferimento di Vanja a Mosca dove si trova ancora oggi. Il presidente Putin si reca spesso in ospedale a visitare il piccolo Vanja, monitorando personalmente di continuo le cure adottate e i delicati interventi chirurgici intrapresi al fine di consentire a Vanja un futuro. Grazie all’impegno dei medici russi, le sue condizioni sono in leggero miglioramento.8 Grazie di cuore signor Presidente! Forza piccolo Vanja!
Come accennavo prima, in relazione a quanto accaduto a Vanja, il rappresentante ufficiale del Comitato investigativo della Russia, Vladimir Markin, ha affermato che sull’episodio in questione è stato aperto un procedimento penale. Lo stesso sito del Comitato lo dice a chiare lettere: “Il principale dipartimento del Comitato investigativo della Russia ha aperto un procedimento penale ai sensi degli artt. 356, 105, 30 e 105 del Codice Penale della Federazione Russa (utilizzo di mezzi vietati e metodi di guerra, omicidio e tentato omicidio) per il bombardamento da parte dei militari ucraini di abitazioni civili alla periferia di Shakhtersk, a causa del quale il bambino Vanja Voronov ha riportato gravi mutilazioni ed il fratello di cinque anni, Artëm è deceduto“. Il testo rimarca “che il Comitato investigativo farà tutto il possibile e l’impossibile affinché tali militari ucraini vengano trovati: sia quelli che hanno dato l’ordine di bombardare pacifici quartieri civili, come quelli che hanno accettato di eseguire deliberatamente tali ordini criminali“. Vladimir Markin ha duramente ammonito: «Posso «rallegrare» i nuovi «eroi» dell’Ucraina: siamo già a conoscenza dei loro nomi. E, prima o poi, dovranno rispondere non solo per tutto il dolore e le sofferenze di Vanja Voronov, per l’assassinio del fratellino, ma anche per tutti gli altri bambini del Donbass, vittime che hanno ricevuto lesioni!”. Ed ha ammonito: “E se nei loro terribili sonni non sogneranno i bambini del Donbass morti o mutilati, saranno perseguitati ogni giorno ed ogni minuto dalla paura di una imminente rappresaglia. E tutti i nomi dei bambini uccisi noi sicuramente li nomineremo!“.9
E’ molto utile poi ascoltare le considerazioni di Viktoria Shilova, deputata ucraina e leader del movimento AntiVojna, associazione indipendente che si batte contro la guerra fratricida e per una soluzione giusta e di pace. “A mio parere non vi è nessuna operazione anti-terroristica in atto nelle regioni del sud-est ucraino. Piuttosto abbiamo a che fare con una banale intimidazione militare verso tutti coloro che non condividono il punto di vista del regime. Otto milioni di persone non possono essere considerate terroriste e separatiste quando la loro età varia da uno a cento anni. Ciò che accade oggi nel Donbass è senza alcun dubbio una vera guerra. Una guerra civile alimentata dai media, completamente controllati dagli oligarchi del paese. Siamo prigionieri di una spaventosa censura che non ha precedenti. Perfino io che sono un deputato non ho la possibilità di esprimermi da nessuna parte, né in TV né in radio. Esiste un vero e proprio divieto nei miei confronti. Vengo anche sistematicamente bloccata o espulsa dai social network come Facebook. Il nostro movimento lavora costantemente sotto pressione: un mese fa hanno aperto un procedimento penale contro di me. Le mie attività sono sotto controllo. Vengono intercettate le mie telefonate. Vengono controllati anche i miei amici. A quanto pare, oggi esprimersi contro la guerra in Ucraina è reato! Uccidere dei civili nella regione del Donbass non è considerato un reato. Un nostro grande amico, Ruslan, che ha sostenuto la nostra causa, con posizioni contrarie alla mobilitazione generale, oggi purtroppo si trova in carcere. Amnesty International che ha riportato numerose volte testimonianze che riguardano reati di guerra, presentando prove anche all’ONU, sui battaglioni di nome Aidar, Azov ed altri, pochi giorni fa ha riconosciuto a Ruslan Cazaba in quanto giornalista lo status di obiettore di coscienza e di prigioniero politico. La Convenzione Internazionale dei Diritti Civili, in Ucraina non viene rispettata. Non viene rispettata neppure la Convenzione Internazionale sui Diritti dei Prigionieri di Guerra. I pensionati del Donbass non ricevono le loro pensioni. Io non so cosa vi dicano i vostri media sulla nostra situazione, ma un qualunque giornalista, con la coscienza pulita, che sia venuto nel Donbass dice: «I media asserviti al Governo non dicono la verità.» Qui non ci sono né terroristi, né separatisti: qui ci sono civili che si difendono perchè sono bombardati. I governanti che hanno firmato la mobilitazione generale, io li chiamo criminali di guerra. E quando arriverà il momento, porteremo le nostre testimonianze al processo. Esiste già un “Libro bianco” con le testimonianze raccontate dai nostri attivisti del Donbass. Lugansk, Donetsk, Makeevka, Gorlovka, Uglegorsk, hanno subito enormi atrocità che non sono altro che crimini di guerra e crimini contro l’umanità quindi rientrano nelle competenze della corte marziale. La città di Debaltsevo è stata addirittura rasa al suolo. Purtroppo Luzenko, un collaboratore di Poroshenko, ha dichiarato che l’Ucraina non aderirà allo Statuto Penale della Corte Internazionale, lo Statuto di Roma. Lo statuto prevede una normativa legale che viene applicata ai criminali di guerra. Un paese che aderisca allo Statuto di Roma si prende la responsabilità, non solo di non commettere reati di guerra, ma anche combattere chi li compie. Luzenko ha rifiutato di firmare l’adesione a tale statuto. Perchè? Per quale motivo? Se dicono che è il Donbass ad essere responsabile della guerra, dei crimini di guerra, e non loro stessi, perchè allora si rifiutano di firmare un documento internazionale? Tutta l’Europa ha aderito allo Statuto di Roma. Per non parlare delle dichiarazioni espresse dal Presidente Ucraino, oppure dal Ministro degli Esteri, nelle quali hanno dichiarato che l’esercito finalmente è riuscito ad uscire dall’accerchiamento di Debaltsevo. “Uscire”… forse la parola giusta da usare è scappare. Scappare lasciandosi alle spalle più di 3.000 morti tra i soldati dell’esercito ucraino. Cadaveri abbandonati in mezzo alla strada. Non sono tornati a recuperare i corpi. Sono i ribelli del sud-est che poi prendono in mano la pala e li seppelliscono. Questo conflitto ha provocato già più di 50.000 morti tra i civili, tra i quali 800 bambini, ma nessuno mi dava credito quando lo dicevo, finché questa cifra non è stata dichiarata dalla stampa tedesca. Tutte queste informazioni vengono tenute sotto controllo e tutti i dati vengono occultati. Chi risponderà di questi crimini? Mentre il paese versa in una grave crisi economica sono stati firmati trenta contratti per acquisto di armi dall’Arabia Saudita“.10

Viktoria Shilova (in primo piano)
Nonostante l’Ucraina si sia rifiutata di firmare lo Statuto di Roma, nell’agosto del 2017, la Commissione Pubblica della Repubblica Popolare di Donetsk, ha inviato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 1513 denunce ognuna corredata con la relativa documentazione che attestano i crimini di guerra commessi nel Donbass dal regime golpista di Kiev.11
Luca D’Agostini
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Fonti
(3) Sangue e lacrime dell’Ucraina
(7) Civili torturati
(9) Donbass
(10) Viktoria Shilova
(11) Crimini di guerra
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