Il 25 dicembre 1979, su richiesta del governo afgano ed in conformità con il Trattato di Amicizia, Buon Vicinato e Cooperazione firmato il 5 dicembre 1978, l’Unione Sovietica introdusse un contingente militare limitato in Afghanistan con lo scopo di porre fine alla guerra civile.
L’operazione a contingente limitato durò dieci anni (il ritiro avvenne a febbraio del 1989) ed ebbe un ruolo preponderante nel determinare il crollo dell’Unione Sovietica. Eppure, questo episodio cardine della storia mondiale recente è ancora assai poco conosciuto e analizzato. Grazie all’apertura di un buon numero di documenti finora secretati, è oggi possibile ristabilire con attendibilità quali furono le reali responsabilità delle forze in gioco. Quella proposta in questo articolo è una lettura sostanzialmente diversa dalla solita musichetta occidentale che invece in modo del tutto ipocrita sostiene vi sia stata un’invasione sovietica dell’Afghanistan.
Cominciamo con il contestualizzare gli eventi storici. Nel 1933 il re Mohammad Zahir Shah salì al trono in Afghanistan, governandolo in maniera feudale finché fu deposto dal cugino Mohammad Daud nel 1973. Una manciata di famiglie, tra cui i Karzai e i Kalilzidad (Zalmay Kalilzidad è ambasciatore degli Stati Uniti in Afghanistan) possedevano il 75% dei terreni seminati, mentre la maggior parte degli afghani languiva tra la peggiore povertà del pianeta.1 Negli anni sessanta le forze oppositrici di quel regime feudale formarono il Partito Democratico Popolare Afgano (PDPA) che guidò la resistenza e forzò la caduta della monarchia nel 1973, che venne sostituita da un governo inefficiente, corrotto, autocratico e poco popolare. Il PDPA aveva avuto le forze necessarie per esigere la destituzione del Re però non aveva avuto forze sufficienti per cambiare il regime. L’insoddisfazione contro il regime arrivò a livelli tanto alti che nell’anno 1978 ci furono grandi mobilitazioni popolari che forzarono le dimissioni del governo. Parte dell’esercito non oppose resistenza a tali mobilitazioni. Anzi al contrario, le appoggiarono. Nell’aprile 1978 nel corso degli eventi rivoluzionari, il re Mohammad Daud fu ucciso e si istituì così il primo governo popolare diretto dal PDPA e guidato da un poeta e romanziere nazionale, Nur Mohammad Taraki, il quale divenne presidente dell’Afghanistan.2
Taraki intraprese un gran numero di riforme: duecentomila famiglie contadine ricevettero le terre ridistribuite con la riforma agraria, fu abolito l’ushur (la tassa dovuta dai braccianti ai latifondisti), i prezzi dei beni primari furono calmierati, riforme nell’area sanitaria e della salute pubblica facilitarono l’accesso della popolazione a tali servizi, fu istituito un salario minimo, una fiscalità progressiva, fu intrapresa una campagna di alfabetizzazione, i sindacati furono legalizzati. Nelle aree rurali si facilitò la creazione di cooperative agricole. Una riforma che ebbe un enorme impatto, fu quella di favorire la liberazione della donna, aprendo l’educazione pubblica anche alle bambine e agevolando l’integrazione della donna nel mercato del lavoro e nell’università. Come scrisse il giornale San Francisco Chronicle (17 novembre 2001) con il governo del PDPA le donne studiavano agricoltura, ingegneria e commercio nelle università. Alcune donne ebbero posti nel governo e sette di loro furono elette in Parlamento. Le donne conducevano automobili, viaggiavano liberamente e formavano il 57% degli studenti universitari. Il professore John Ryan dell’Università di Winnipeg (Canada), esperto in economia agricola e conoscitore dell’Afghanistan, ha segnalato che la riforma agraria iniziata dal governo ebbe un enorme impatto sul benessere della popolazione rurale. Il governo eliminò anche le coltivazioni di oppio.2
Ora occorre considerare che quelle riforme generarono un enorme resistenza da parte di quei gruppi i cui interessi stavano venendo colpiti negativamente. Tre gruppi si opposero fortemente alle politiche del governo afgano. Il primo fu quello dei proprietari terrieri che sfruttavano l’agricoltura; un altro fu quello dei leader religiosi che si opposero con tutte le forze al fatto che la donna si emancipasse; un terzo fu il gruppo dei trafficanti di oppio. In aiuto di tali gruppi accorsero l’Arabia Saudita, che apportò aiuti ai fondamentalisti islamici; l’Esercito del Pakistan preoccupato che le riforme afgane contagiassero le classi popolari del proprio Paese e, ovviamente, il governo degli Stati Uniti.2
Quando i seguaci del re cominciarono a bruciare le università e le scuole per le ragazze, molti afghani vi videro la mano della CIA. Nell’aprile 1979, ben sette mesi prima della missione sovietica a contingente limitato in Afghanistan, funzionari degli Stati Uniti incontrarono i fondamentalisti islamici con il fine di rovesciare Taraki. Con l’intensificarsi dei sabotaggi, il governo di Kabul invitò il leader sovietico Leonìd Il’ìč Brèžnev ad inviare truppe per cacciare i terroristi. Brèžnev si rifiutò e la situazione peggiorò. Gli uomini di Taraki, convinti del complotto della CIA per destabilizzare il governo afgano, assassinarono a Kabul il funzionario della CIA Spike Dubbs. Il 3 luglio 1979, il presidente Jimmy Carter firmò la prima direttiva della Sicurezza Nazionale che autorizzava gli aiuti segreti ai fondamentalisti islamici afgani. Il Consigliere della Sicurezza Nazionale, il polacco anticomunista Zbigniew Brzezinski disse più tardi che convinse Carter che a suo parere questi aiuti avrebbero provocato l’intervento militare sovietico.1
Taraki, assediato, nominò Afiizullah Amin ministro della riforma agraria. Amin lanciò una brutale campagna terroristica contro gli oppositori politici, mettendo l’opinione pubblica mondiale contro il governo di Taraki. L’ex-direttore del KGB Jurij Andropov credeva che Amin fosse un agente provocatore della CIA infiltrato nel governo di Kabul con l’intento di sabotare il governo. Taraki comprese la stessa cosa e si recò a Mosca per consultarsi con Brèžnev sulla strategia per sbarazzarsi di Amin. Purtroppo però, quando tornò a Kabul, Taraki fu assassinato. Poche settimane dopo bande armate criminali guidate da Amin, appoggiate dalla CIA, massacrarono decine di funzionari del governo afgano nella città occidentale di Herat. Questa combinazione di eventi e la pressante richiesta di esponenti del governo afgano costrinse Brèžnev ad intervenire inviando una missione a contingente limitato per tutelare gli esponenti del governo afgano. Nel dicembre 1979 i carri armati sovietici attraversarono la valle del Panshir, mentre agenti del KGB uccisero Amin all’interno del palazzo reale di Kabul. Intanto esponenti del governo afgano nominarono Babrak Karmal nuovo leader dell’Afghanistan. Brzezinski ebbe la giustificazione che cercava per armare apertamente i guerriglieri in Afghanistan. Brzezinski si vantò: “La direttiva segreta di Carter fu un’ottima idea. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afgana“.1
Gli agenti della CIA arrivarono a Peshawar, città del Pakistan situata a ridosso della frontiera con l’Afghanistan. Decine di migliaia di fondamentalisti islamici si riversarono come profughi a Peshawar per sfuggire ai controlli del governo. Con l’aiuto dell’Inter-Service Intelligence (ISI) del Pakistan, la CIA rastrellò i campi profughi in cerca di moderni assassini fondamentalisti islamici, preparandoli ad intensificare la guerriglia contro il governo socialista di Kabul e per respingere l’aiuto fornito dal contingente sovietico intervenuto su richiesta del governo stesso. La CIA trovò ciò di cui aveva bisogno nell’Hizb-i Islami, una forza di combattenti islamici feudali assemblati e addestrati dai militari pakistani sotto la supervisione stessa della CIA. Il loro capo era Gulbuddin Hekmatyar, un folle criminale che nei primi anni ’70 aveva ordinato ai suoi seguaci di gettare acido in faccia alle donne afghane che si rifiutavano di indossare il burqa. I documenti di WikiLeaks diffusi pochi anni fa, rivelano come Hekmatyar ora aiuti i talebani ad attaccare i soldati statunitensi. Nel 1972, l’Hizbi-i Islami assassinò centinaia di studenti socialisti in Afghanistan per poi fuggire a Peshawar, mettendosi sotto la protezione del governo militare del Pakistan, alleato degli Stati Uniti.1
Gli Stati Uniti senza alcuno scrupolo armarono questi terroristi. Il dittatore militare del Pakistan Zia ul-Haq permise alla CIA di aprire una succursale dell’agenzia di intelligence vicino l’Unione Sovietica e le consentì di utilizzare le basi militari pakistane per i voli da ricognizione sull’Afghanistan. Le stesse basi furono usate per addestrare alla guerriglia le truppe di Hekmatyar, che il dipartimento di Stato di Reagan presto definì affettuosamente “mujaheddin” cioè “combattenti per la libertà”. Il Pakistan del dittatore Zia ul-Haq divenne il terzo maggior beneficiario degli aiuti militari statunitensi nel mondo, dopo solo Israele ed Egitto.1
Negli anni ’80 il Pakistan divenne il manifesto mondiale della corruzione politica. Il costante supporto del Pakistan ai guerriglieri fondamentalisti di Reagan era alla radice della corruzione. Un alto funzionario degli Stati Uniti dichiarò che, “i comandanti di Hekmatyar, vicino ai servizi segreti del Pakistan, controllano i laboratori di eroina nel Pakistan meridionale e l’Inter-Service Intelligence (ISI) collabora al narcotraffico“. Nel settembre 1985 il quotidiano “Pakistan Herald” riferì che i camion dell’esercito del Pakistan trasportavano armi dal porto di Karachi a Peshawar per conto della CIA, e che gli stessi camion tornavano a Karachi sigillati dall’esercito pakistano e carichi d’eroina. La pratica, secondo il Pakistan Herald avveniva dal 1981, proprio quando le forze di Hekmatyar cominciarono a piantare papaveri. L’eroina afgana prese il 60% del mercato statunitense e mattoni di hashish apparvero nelle città degli Stati Uniti timbrati con il logo dei 2 fucili d’assalto AK-47 incrociati e circondati dalle parole “affumica i sovietici“.1
In definitiva, per contrastare il legittimo intervento del contingente limitato sovietico, la CIA diede vita ad una delle più costose operazioni di guerra mai condotte. Missili antiaerei Stinger e coreani. Vecchi fucili cinesi residuati della guerra di Corea e opuscoli di propaganda su falsi eroi del nazionalismo uzbeko e anti russo. Dollari statunitensi, sauditi e giapponesi, foto satellitari per aiutare la guerriglia afgana: dal sacco senza fondo della CIA sono piovute anche 65 mila tonnellate di aiuti all’anno, per complessivi più di due miliardi di dollari. I capi mujaheddin furono gratificati con ogni sorta di regali. afgani nella più grande e più costosa operazione di guerra mai condotta dalla Central Intelligence Agency contro l’Unione Sovietica. La verità sulla “guerra segreta” della CIA in Afghanistan e addirittura in territorio sovietico per far sprofondare l’orso russo nella palude asiatica è nel corso degli anni successivi emersa nei dettagli.3
Quello che molti sospettavano e pochi sapevano nei particolari è divenuto pubblico con il libro rivelazione del generale pachistano che funzionava da collegamento fra la CIA e i mujaheddin, Mohammed Yousuf.3
La definizione di “guerra segreta” è quanto mai più appropriata proprio perché fu una guerra combattuta dagli Stati Uniti senza dibattiti al Congresso o proteste nelle strade.
Nel 1984, il direttore della CIA William Casey, sbarcò segretamente in Pakistan, retroterra della resistenza, incontrò i capi delle fazioni afgane, visitò tre campi di addestramento per i guerriglieri e lanciò la nuova strategia d’attacco. “E’ arrivato il momento di portare la guerra in casa dei sovietici” disse Casey al generale Yousuf, che comandava i servizi segreti pachistani. Pochi mesi più tardi, dopo essere stato rieletto presidente, Reagan firmò la “Direttiva Segreta numero 166” del 15 marzo 1985. Gli ordini erano chiari. Le autorità americane avrebbero dovuto aumentare al massimo lo sforzo di addestramento, di supporto logistico e di rifornimento ai ribelli afghani. I guerriglieri sarebbero dovuti passare da un tattica puramente difensiva a una molto più aggressiva, attaccando e colpendo particolarmente gli ufficiali sovietici. Squadre di mujaheddin avrebbero dovuto penetrare nel territorio dell’ Uzbekistan, la repubblica sovietica che confina con l’ Afghanistan, per compiere atti di sabotaggio nelle retrovie e di guerra psicologica. Squadre speciali dei mujaheddin, spesso guidate da esperti pachistani, penetrarono in territorio sovietico per diffondere materiale di propaganda religiosa e nazionalistica fra i fratelli musulmani uzbechi e per compiere attentati contro impianti civili e militari. L’Afghanistan doveva essere quello che il generale pachistano Yousuf scrive nel titolo del suo libro: “The Bear Trap“. La trappola per catturare l’orso.3
Infatti di trappola si trattò e ciò trova conferma in un’intervista rilasciata da Zbignew Brzezinski, già consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Carter, rilasciata nel 1998 a proposito dell’intervento sovietico in Afghanistan. Semplicemente chiarificatore! Brzezinski ha affermato: “L’intervento fu fortemente indotto, quasi voluto dagli Stati Uniti, per trascinare i russi in una guerra logorante e asfissiante, perché anche loro avessero il loro Vietnam. E gli afgani sono stati considerati solo alla stregua di pedine da sacrificare in nome della lotta all’Impero del Male“.4
Nelle sue memorie, intitolate “From the Shadows“, Robert Gates, ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George W. Bush, nonché Segretario alla Difesa sia sotto Bush junior che sotto Obama, confermò direttamente che quella operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita. “Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli Stati Uniti e di combattenti addestrati dagli statunitensi. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden, una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire“.5
Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori: “Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?“. L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté: “Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno“. Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!, cioè che la considerazione del giornalista non aveva senso. Di fatto, il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base“, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro i soldati dell’Unione Sovietica. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.5
Per concludere questo articolo, quantifichiamo ora il costo in termini di vite umane e risorse economiche che comportò questa tragica esperienza afgana. A partire dal 1 gennaio 1999, le perdite sovietiche durante la missione a contingente limitato in Afghanistan (uccise, morte per ferite, malattie e incidenti, dispersi) sono state stimate come segue: 14.427 persone appartenenti all’Esercito Sovietico, 576 persone appartenenti al KGB, 28 persone appartenenti al Ministero degli Affari Interni dell’Unione Sovietica, per un totale di 15.031 perdite di vite umane.6 A costoro vanno comunque aggiunti 53.753 feriti di cui 10.751 sono rimasti invalidi, 115.308 persone infette da epatite, 31.080 persone infette da febbre tifoide.7
Secondo le statistiche ufficiali, durante i combattimenti sul territorio dell’Afghanistan, furono catturati 417 militari sovietici, 130 dei quali furono rilasciati durante il periodo precedente al ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan. Negli accordi di Ginevra del 1988, le condizioni per il rilascio dei prigionieri sovietici non furono regolate cosicché il destino dei prigionieri sovietici fu realmente tragico.8 Ampia risonanza ebbe in Unione Sovietica e continua ad averne ancora oggi in Russia, un episodio sconosciuto in Occidente. Mi riferisco all’eroica rivolta avvenuta nel campo di Babder, vicino Peshawar in Pakistan, dove il 26 aprile 1985 un gruppo di soldati sovietici fatti prigionieri, cercò di liberarsi con la forza, ma morì in una battaglia impari.
Per quanto riguarda le perdite relative agli armamenti sovietici, i dati ufficiali indicano 147 carri armati, 1314 veicoli blindati, 118 aerei e 333 elicotteri.9
Inoltre l’Unione Sovietica ha speso annualmente circa 800 milioni di dollari per sostenere il governo di Kabul. Mentre il costo della missione a contingente limitato è variato annualmente nel corso degli anni da un minimo di 3 milioni ad un massimo di 8,2 milioni di dollari.10
Per quanto riguarda la cosiddetta “Operazione Cyclone”, l’ammontare totale del finanziamento degli Stati Uniti ai guerriglieri afgani raggiunse i 2,1 miliardi di dollari. La stessa imponente cifra è stata corrisposta dall’Arabia Saudita al fine di sostenere i guerriglieri afgani. Allo stesso tempo, notevoli risorse finanziarie provennero da fondi privati dei paesi arabi del Golfo Persico, per un ammontare di circa 400 milioni di dollari all’anno.
Anche il Giappone ha avuto indirettamente un ruolo molto significativo nella lotta contro i soldati sovietici. I soldati giapponesi non parteciparono alle battaglie, ma gli aiuti giapponesi permisero al Pakistan di diventare una roccaforte per addestrare i mujaheddin contro le truppe sovietiche. Le dimensioni di questo supporto erano enormi. Nel solo periodo compreso tra il dicembre 1979 e l’agosto del 1983, il Giappone ha fornito assistenza al Pakistan per un valore di oltre 41 miliardi di dollari.11
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) narcotraffico
(2) origini
(3) trappola
(4) Giulietto Chiesa, Vauro Senesi, Afghanistan anno zero, Guerini e Associati, Milano 2001.
(5) terrorismo
(6) Россия и СССР в войнах XX века. — М.: ОЛМА-ПРЕСС, 2001. — С. 537
(7) Общие людские потери и потери техники в Афганистане
(8) М. Елисеева. Разыскиваются… // «Красная звезда», № 26 (26486) от 14-20 января 2014. стр.11
(9) ОФИЦИАЛЬНЫЕ ДАННЫЕ О СОВЕТСКИХ ПОТЕРЯХ В АФГАНИСТАНЕ
(10) Spencer C. Tucker. The Encyclopedia of Middle East Wars. ABC-CLIO, 2010, pag. 26.
(11) Conrad Schetter. Ethnizität und ethnische Konflikte in Afghanistan. — P. 430.
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