La figura di Andrej Januar’evič Višinskij è ovviamente odiosa. Ma chi era? Lo analizzeremo in questo articolo.
Alla prima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la delegazione sovietica era guidata da un uomo il quale divenne il simbolo della repressione stalinista. E fu alle presenza di Višinskij che il maresciallo Žukov firmò l’atto della resa tedesca.
Si chiamava Andrej Januar’evič Višinskij. Dal 1931 al 1939 diresse l’ufficio del primo procuratore della Repubblica Socialista Sovietica Russa e poi quello di tutta l’Unione Sovietica. I suoi discorsi accusatori furono ascoltati in tutti i processi politici più importanti degli anni ’30.
Nacque il 28 novembre 1883 ad Odessa, nella famiglia di un farmacista e di una insegnante di musica. Presto i genitori si trasferirono a Baku dove il padre aprì la sua farmacia. Nel 1901 entrò nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Kiev, pochi mesi dopo fu espulso per aver partecipato a disordini. Nel 1905 creò una squadra di combattenti comunisti e fu persino ferito in una battaglia.1 Nel 1908 fu recluso in prigione per un anno in quanto condannato per aver effettuato un comizio durante il quale, con le sue abilità oratorie aveva sostenuto la necessità di un rovesciamento del sistema politico esistente.2
In prigione conobbe un rivoluzionario di nome Koba, meglio noto come Iosif Stalin.2
Si laureò solo nel 1913. Nel 1915 si trasferì a Mosca e lavorò per due anni come assistente del famoso avvocato Pavel Maljantovič. Il suo secondo assistente fu Aleksandr Kerenskij.1
Dopo la rivoluzione di febbraio, divenuto un commissario di polizia, Višinskij seguì con zelo le istruzioni del governo provvisorio.1 Fu in questo ruolo che mostrò mostruosa miopia. Infatti sulla base della decisione del governo provvisorio, emanò un ordine per cercare ed arrestare “l’agente tedesco Lenin“. Lenin non si trovava a Mosca, ma le strade della capitale furono tappezzate con i volantini firmati da Višinskij nei quali si decretava la ricerca di Lenin.2
La Rivoluzione d’Ottobre trovò Višinskij come presidente del Consiglio Distrettuale di Jakimansk.1 L’arrivo al potere di Lenin fu per lui motivo di grande terrore. Non sapeva come Lenin avesse reagito alla sua insistente attività di richiesta d’arresto. Višinskij decise quindi di mantenere un basso profilo e di evitare qualsiasi dichiarazione in pubblico.2 Non appoggiò immediatamente i bolscevichi e si unì al Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) solo nel 1920.1
Višinskij fu ammesso nei bolscevichi grazie all’intervento di una vecchia conoscenza, Iosif Stalin, il quale stava guadagnando forza e per formare la sua squadra aveva necessità di un eccellente esperto in legge.2
A differenza di molti bolscevichi, Višinskij era ben istruito, conosceva il russo, il polacco, l’inglese, il francese, il tedesco e persino insegnava il latino.1
Il pubblico ministero fu uno dei primi a cogliere la tesi di Stalin secondo cui a determinate condizioni “le leggi dovranno essere messe da parte“. Tra le molte opere scientifiche di Višinskij, la monografia “La teoria dell’evidenza giudiziale nella legge sovietica” fu particolarmente apprezzata allora. Fu in essa che fu citato uno dei principali antichi postulati, in seguito attivamente sfruttato dalla macchina repressiva: “Il riconoscimento dello status di imputato è la regina delle prove“. La nozione di presunzione di innocenza fu abrogata. Il destino di ciascun accusato doveva essere determinato “dalla coscienza rivoluzionaria del Pubblico Ministero”. Inoltre Višinskij fornì direttive speciali all’NKVD al fine di ottenere confessioni con l’aiuto di “metodi speciali di indagine“, cioè con l’ausilio della tortura.1 3
In un’altra opera di Višinskij, dal titolo “Dalle prigioni alle istituzioni educative”, l’autore scrisse: “Non distinguiamo le intenzioni dal crimine stesso. Questa è la superiorità della legislazione sovietica rispetto alla borghesia!“3
Fu Višinskij a convincere Stalin dell’inadeguatezza di un atteggiamento umano nei confronti dei “nemici del popolo”. Višinskij disse: “Così le tombe degli odiati traditori saranno ricoperte di erbacce e cardi, coperte dall’eterno disprezzo dell’onesto popolo sovietico, dell’intero popolo sovietico“. Tale pathos copriva in realtà la palese goffaggine e l’assurdità delle accuse. Bucharin, per esempio, fu accusato di aver iniziato la sua attività di spionaggio contro il sistema sovietico nel 1912, ben prima che il potere sovietico esistesse.1
I processi politici degli anni ’30 si svolsero come spettacoli teatrali e di massa, durante i quali Višinskij elaborava i suoi atti d’accusa con orazioni filosofiche. In alto, nell’aula del tribunale c’era una piccola finestra, coperta da un drappo nero e si narra che da lì Stalin assistesse alle udienze.3
Nel maggio del 1924 a Leningrado, si svolse una sessione fuori sede della Corte Suprema relativamente ad un caso di corruzione di poliziotti e giudici. In totale gli imputati erano 42 persone, accusate di aver percepito tangenti variabili da 650 rubli a 39 mila rubli. Durante l’udienza, Višinskij con grande pathos disse: “Una bustarella in sé è uno strumento atroce dissolutezza, ma diventa mostruosa quando viene data a un poliziotto oppure ad operatore di giustizia. Dopotutto, difficilmente si può immaginare qualcosa di peggio di giudici, pubblici ministeri o funzionari di polizia che vendono giustizia. Chiedo una punizione spietata, che scoppierebbe qui con un temporale e una tempesta, che distruggerebbe questa banda di criminali che hanno invaso l’onore del grado giudiziario. Lasciate che la pesante sentenza sia lanciata sulle teste dei criminali come un tuono purificatore. Chiedo la condanna a morte di tutti i colpevoli“4
Nel 1938, durante il processo dell’ex capo della NKVD, Genrič Grigor’evič Jagoda, Višinskij gli rivolse la parola: “Dimmi, traditore e traditore Jagoda, non hai mai sperimentato il minimo rimpianto o il minimo rimorso in tutte le tue vili e insidiose attività? E ora, quando infine, rispondi alla corte proletaria per tutti i tuoi vili crimini, non provi il minimo rimpianto per quello che hai fatto?” Jagoda rispose: “Si mi rammarico!“. Allora Višinskij prese nuovo slancio e con tono enfatico disse: “Attenzione, compagni giudici! Il traditore Jagoda si rammarica. Di cosa vi pentite, spia e criminale Jagoda?” La risposta di Jagoda infuriò Višinskij: “Mi dispiace molto che quando avrei potuto farlo, non vi ho sparato a tutti!“3 E’ inutile sottolineare quale triste fine abbia fatto Jagoda.
Allo stesso tempo però Višinskij era un eccellente padre di famiglia, il quale amò solo una donna per tutta la vita: sua moglie Kapitolina Isidorovna.1
Il procuratore Višinskij svolse con zelo i suoi doveri e così nel 1940 divenne vice commissario per gli affari esteri.
La fine vittoriosa della guerra sancita il 9 maggio 1945 dalla firma dell’atto di resa incondizionata da parte della Germania, trovò ancora Višinskij protagonista. Fu lui a portare il testo dell’atto di resa a Berlino affinché i tedeschi lo firmassero.1
Il suo talento legale si mostrò necessario durante i processi a Norimberga, dove Višinskij fu il leader de facto della delegazione sovietica.2
Quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione dei Diritti Umani nel 1948, fu Andrej Januar’evič Višinskij ad annunciare la posizione dell’Unione Sovietica. Per tutta la vita aveva chiesto la condanna a morte per qualsiasi manifestazione di dissenso, durante il discorso alle Nazioni Unite si lamentò del fatto che la Dichiarazione non enunciava il diritto a manifestare in strada.1
Lo stile di discorso di Višinskij era estremamente aspro: flagellò gli occidentali con la stessa veemenza con la quale aveva combattuto i “nemici del popolo” alla fine degli anni ’30. I diplomatici stranieri furono stupiti dalla personalità di Višinskij: un uomo calmo e sensibile, brillantemente istruito, il quale conosceva diverse lingue, educato e quasi amichevole conversando faccia a faccia con i colleghi stranieri, ma che si trasformava quando saliva sul podio delle Nazioni Unite divenendo un furioso oratore, un vulcano di aggressività.2
Quindi Višinskij ricoprì per quattro anni la carica di Ministro degli Affari Esteri dell’Unione Sovietica e dopo la morte di Stalin fu nominato di nuovo rappresentate permanente dell’Unione Sovietica presso le Nazioni Unite.
Višinskij morì a New York il 22 novembre 1954, per via di un infarto subito in un’area di servizio un’ora prima dell’inizio del suo discorso sulla creazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Fu sepolto a Mosca, nelle mura del Cremlino sulla Piazza Rossa.
Luca D’Agostini
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Fonti:
(2) врагов народа
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