Sant’Agata è una santa venerata dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa cattolica. Il suo memoriale è il 18 febbraio (il 5 febbraio nella Chiesa cattolica).
Sant’Agata, il cui nome in greco Agathé, significava buona, fu martirizzata verso la metà del III secolo ed alcuni reperti archeologici risalenti a pochi decenni dalla morte, avvenuta secondo la tradizione il 5 febbraio 251, attestano il suo antichissimo culto.
Agata nacque l’8 settembre 229 a Catania. La Sicilia allora, come l’intero Impero Romano era soggetta in quei tempi alle persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.
Nel III secolo, l’editto dell’imperatore Settimio Severo, stabilì che i cristiani potevano essere prima denunciati alle autorità e poi invitati ad abiurare in pubblico la loro nuova fede. Se essi accettavano di ritornare al paganesimo, ricevevano un attestato (libellum), che confermava la loro appartenenza alla religione pagana, in caso contrario se essi rifiutavano di sacrificare agli dei, venivano prima torturati e poi uccisi.
Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi comunque del cristianesimo, fu ancora più drastico; tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi.
In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica; il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.
E come per tutte le città dell’Impero Romano, anche Catania aveva un proconsole o governatore, che rappresentava il potere decentrato del vasto impero. Il suo nome era Quinziano, uomo brusco, superbo e prepotente e circondato da una corte numerosa, da un numero enorme di schiavi e di guardie imperiali.
Secondo la “Passio Sanctae Agathae” risalente alla seconda metà del V secolo e di cui esistono una traduzione greca e due greche, Agata apparteneva ad una ricca e nobile famiglia catanese, il padre Rao e la madre Apolla, proprietari di case e terreni coltivati, sia in città che nei dintorni, essendo cristiani, educarono Agata secondo la loro religione.
Agata quando compì 15 anni decise di consacrarsi a Dio. Il vescovo di Catania accolse la sua richiesta e durante una cerimonia ufficiale chiamata “velatio”, le impose il “flammeum”, cioè il velo rosso portato dalle vergini consacrate.
Nel mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna del VI secolo, è raffigurata con la tunica lunga, dalmatica e stola a tracolla, abbigliamento che lascia supporre che fosse diventata diaconessa.
Il proconsole di Catania Quinziano, ebbe l’occasione di vederla e fu folgorato dalla sua bellezza. Decise di possederla ed in forza dell’editto di persecuzione dell’imperatore Decio, l’accusò di vilipendio della religione di Stato, accusa comune a tutti i cristiani, quindi ordinò che la catturassero e la conducessero al Palazzo Pretorio.
Agata fuggì per non farsi arrestare e si rifugiò a Malta e a Palermo; ma venne comunque catturata e condotta da Quinziano.
Il proconsole quando la vide davanti a sé fu conquistato dalla sua bellezza e una passione ardente s’impadronì di lui, ma i suoi tentativi di seduzione non andarono in porto, per la ferma resistenza della giovane Agata.
Quinziano allora mise in atto un programma di rieducazione della ragazza affidandola ad una cortigiana prostituta di nome Afrodisia, affinché la rendesse più disponibile. Trascorse un mese, sottoposta a tentazioni immorali di ogni genere, con festini, divertimenti osceni, banchetti; ma lei resistette indomita nel proteggere la sua verginità consacrata a Dio, al quale volle rimanere fedele ad ogni costo.
Sconfitta e delusa, Afrodisia riconsegnò a Quinziano Agata dicendo: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna“. Allora furioso, il proconsole imbastì un processo contro Agata, la quale si presentò vestita da schiava come usavano le vergini consacrate a Dio; “Se sei libera e nobile perché ti comporti da schiava?” le obiettò il proconsole e lei rispose: “Perché la nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi del Cristo“.
Il giorno successivo Agata fu sottoposta ad un altro interrogatorio accompagnato da torture. Le furono stirate le membra, le furono inflitte ferite lacerate con pettini di ferro, fu ustionata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza, allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare o tagliare i seni con enormi tenaglie.
Questo risvolto delle torture, costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio, infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffrì enormemente ma sopportò tutto con dignità. La tradizione vuole che verso la mezzanotte, mentre era in preghiera nella cella, le apparve San Pietro da un bambino porta lanterna, i quali risanarono le mammelle amputate.
Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, fu riportata alla presenza del proconsole, il quale visto le ferite rimarginate, domandò incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine rispose: “Mi ha fatto guarire Cristo“. Ormai Agata costituiva una sconfitta bruciante per Quinziano, il quale non poteva sopportare oltre, intanto il suo amore si era tramutato in odio ed ordinò allora che venisse bruciata su un letto di carboni ardenti, con lamine arroventate e punte infuocate.
A questo punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, non bruciava il velo che lei portava; per questa ragione “il velo di sant’Agata” divenne da subito una delle reliquie più preziose; esso è stato portato più volte in processione di fronte alle colate della lava dell’Etna, attribuendogli il potere di fermarla.
Mentre Agata spinta nella fornace ardente moriva bruciata, un forte terremoto scuote la città di Catania e il Palazzo Pretorio crolla parzialmente seppellendo due carnefici consiglieri di Quinziano; la folla dei catanesi spaventata, si ribellò all’atroce supplizio della giovane vergine. Allora il proconsole fece togliere Agata dalla brace e la fece riportare agonizzante in cella, dove morì qualche ora dopo.
Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciò Catania, molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò; da allora sant’Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e protettrice contro gli incendi.
L’ultima volta che il suo patrocinio si rivelò valido, tramite il miracoloso velo, portato in processione dall’arcivescovo di Catania, fu nel 1886, quando una delle ricorrenti eruzioni dell’Etna, minacciava la cittadina di Nicolosi, posta sulle pendici del vulcano e che venne risparmiata dalla distruzione.
Nel 1040 le reliquie della santa, furono trafugate dal generale bizantino Giorgio Maniace, il quale le trasportò a Costantinopoli; ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, il provenzale Gilberto ed il pugliese Goselmo, le riportarono a Catania dopo un’apparizione della stessa santa, che indicava la buona riuscita dell’impresa. La nave approdò la notte del 7 agosto ad Aci Castello e tutti i catanesi risvegliatisi e rivestitisi alla meglio, accorsero ad onorare la “Santaituzza”.
Le sue reliquie sono conservate nel duomo di Catania in una cassa argentea, opera di celebri artisti catanesi; vi è anche il suo busto argenteo, opera del 1376, che reca sul capo una corona, dono secondo la tradizione, di re Riccardo Cuor di Leone.
Luca D’Agostini
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