Nel 2014 un residente di Anchorage (Alaska) ha lanciato una petizione dal nome «Alaska back to Russia» per proporre appunto il ritorno dell’Alaska alla Russia. La petizione che poteva essere sottoscritta solo dai residenti in Alaska raggiunse in pochi giorni la ragguardevole cifra di 38.000 firme, pari al 5% della popolazione dell’Alaska. La petizione comparve anche sul sito della Casa Bianca la quale si affrettò però nel rimuoverlo.
Partiamo quindi da questo spunto per descrivere in questo articolo le vicende che riguardarono la vendita dell’Alaska.
La storia della vendita dell’Alaska è caratterizzata da un’incredibile quantità di leggende. A chi in realtà appartiene legalmente all’Alaska? È vero che la Russia non ha mai ricevuto denaro per la sua vendita? In questo articolo faremo un pò di chiarezza su quanto avvenne nel 1867 quando l’Alaska russa divenne americana.
Il 22 ottobre 1784, una spedizione guidata dal mercante di Irkutsk, Grigorij Ivanovič Šelichov, fondò il primo insediamento permanente sull’isola di Kodiak al largo della costa dell’Alaska. Nel 1795 iniziò la colonizzazione dell’Alaska continentale. Quattro anni dopo, Novo-Arkhangelsk (adesso nota come Sitka) divenne la capitale dell’Alaska russa. Lì vivevano 200 russi e 1.000 aleutini.1
Nel 1798, la Compagnia Russo-Americana si formò in seguito alla fusione di Grigorij Šelichov e dei mercanti Nikolaj Mjlnikov e Ivan Golikov. Il primo direttore della compagnia era il comandante Nikolaj Rezanov. Quello sul cui amore per la giovane figlia del comandante della Fortezza di Conchite di San Francisco fu scritta l’opera rock «Juno e Avos«.1
La compagnia russo-americana, per ordine di Paolo I, ricevette l’autorità di governare l’Alaska, per rappresentare e difendere gli interessi della Russia. Fu dotata di una bandiera propria e le fu permesso di avere formazioni armate e navi. Ebbe diritti di monopolio per un periodo di 20 anni per il commercio di pellicce e la scoperta di nuove terre. I mercanti russi erano attirati in Alaska dall’avorio di tricheco (che era caro come l’avorio di elefante) e dalla preziosa pelliccia della lontra di mare, che poteva essere ottenuta negoziandola con gli indigeni. Nel 1824, la Russia e la Gran Bretagna firmarono un accordo che stabiliva il confine tra l’Alaska e il Canada.1
Questi privilegi erano concessi alla società dal governo imperiale. Quest’ultimo non solo raccoglieva ingenti tasse dalla Compagnia Russo-Americana, ma possedeva anche una gran parte di essa, gli zar e i loro familiari erano infatti tra gli azionisti della compagnia. Il «principale governatore» degli insediamenti russi in America era il talentuoso mercante Aleksandr Andreevič Baranov. Egli costruì scuole e fabbriche, insegnò ai nativi a piantare rape e patate, costruì fortezze e cantieri navali e ampliò il commercio della lontra di mare. Baranov amava l’Alaska non solo per una questione di denaro, ma anche per ragioni di cuore, egli aveva sposato infatti la figlia di un capo aleutino. Sotto Baranov, la Compagnia Russo-Americana ottenne enormi guadagni. Quando l’anziano Baranov rassegnò le proprie dimissioni, venne sostituito dal capitano luogotenente Hagemeister, che portò con sé nuovi dipendenti e azionisti provenienti dagli ambienti militari. Lo Statuto a quel punto imponeva che solo gli ufficiali di marina potessero guidare l’azienda. I più forti si appropriarono rapidamente del redditizio business, ma le loro azioni rovinarono la società.2
I nuovi capi della Compagnia Russo-Americana fissarono per se stessi degli stipendi astronomici. Gli ufficiali ordinari guadagnavano 1.500 rubli all’anno, paragonabili agli stipendi dei ministri, mentre il capo della compagnia guadagnava addirittura 150.000 rubli all’anno. Acquistavano enormi quantitativi di pelle dalla popolazione locale pagandola metà prezzo. Di conseguenza, nel corso dei successivi 20 anni, gli eschimesi e gli aleutini uccisero quasi tutte le lontre marine, privando l’Alaska del suo commercio più redditizio. I nativi ne soffrirono e diedero vita a insurrezioni popolari che i russi hanno fermarono sparando sui villaggi costieri dalle navi militari. Gli ufficiali cercarono così altre fonti di guadagno. Iniziò quindi il commercio di ghiaccio e tè, ma gli questi uomini d’affari non seppero organizzarlo in modo assennato e non abbassarono i loro stipendi. Di conseguenza, furono destinate alla Compagnia Russo-Americana delle sovvenzioni statali di 200.000 rubli all’anno. Ma anche questo non fu sufficiente per salvare l’azienda.2
Come abbiamo accennato, la storia della vendita dell’Alaska è caratterizzata da una quantità incredibile di leggende. Esiste persino una versione secondo la quale l’Alaska sarebbe stata venduta da Caterina la Grande, che all’età di 70 anni aveva terminato il suo viaggio terreno. Questa storia può essere spiegata solo dalla popolarità del gruppo Lube e dalla sua canzone «Не валяй дурака, Америка» («Non fare la scema, America») in cui c’è una frase «Caterina, ti sbagliavi!«.1
Secondo un’altra leggenda, la Russia non ha venduto affatto l’Alaska, ma l’ha affittata agli Stati Uniti per 99 anni, e poi ha dimenticato o non è riuscito a richiederla. Purtroppo queste leggende sono nate perchè il popolo russo non ha mai digerito la perdita di questo territorio. Comunque sia, ahimè, l’Alaska fu davvero venduta. Il contratto per la vendita di possedimenti russi in America con una superficie totale di 58.0107 km quadrati fu concluso il 18 marzo 1867. Fu firmato a Washington dal Segretario di Stato statunitense William Seward e dall’inviato russo Baron Edward Stekl.1

Firma dell’accordo di vendita dell’Alaska
Il trasferimento definitivo dell’Alaska agli Stati Uniti ebbe luogo il 18 ottobre dello stesso anno.1 Quel giorno i soldati americani e russi erano in fila accanto al pennone, dal quale la bandiera russa iniziò ad essere ammainata, con l’accompagnamento di un saluto canonico. La bandiera però si aggrovigliò nella parte superiore del palo come se non volesse essere ammainata. Il marinaio russo che si arrampicò per riportarla giù purtroppo cadde da una notevole altezza e morì sul colpo. Si trattò di un cattivo presagio!2 Al secondo tentativo, sopra Fort Sitka la bandiera russa fu solennemente abbassata e fu issata la bandiera degli Stati Uniti.1
Una lettera di ratifica firmata dall’imperatore Alessandro II e conservata presso i National Archives and Records Administration degli Stati Uniti. La prima pagina contiene il titolo completo di Alessandro II.1

Lettera di ratifica
Gli storici sostengono che la vendita dell’Alaska fosse giustificata, in quanto all’epoca era considerata solo di un magazzino di risorse marine e minerali! All’epoca, era stata individuata qualche miniera d’oro ma grandi giacimenti d’oro non erano ancora stati scoperti e il reddito principale dell’Alaska derivava dalla lavorazione della pelliccia, in particolare della pelliccia della lontra marina, molto richiesta sul mercato. Prima che l’Alaska fosse venduta, gli animali erano stati quasi sterminati e il territorio aveva iniziato a subire danni ambientali.1
La regione si sviluppava molto lentamente, le enormi aree coperte di neve non potevano essere protette nel prossimo futuro. Dopo tutto, la popolazione russa dell’Alaska nel migliore dei casi non raggiunse mai un migliaio di persone.1
Inoltre, le ostilità in Estremo Oriente durante la guerra di Crimea mostrarono l’assoluta insicurezza delle terre orientali dell’Impero russo e specialmente dell’Alaska. Infatti nella guerra di Crimea, l’Inghilterra, la Francia e la Turchia si schierarono ancora una volta contro la Russia. Apparve subito evidente che la Russia non poteva provvedere né all’approvvigionamento dell’Alaska né alla sua difesa, poiché le rotte marittime erano controllate dalle navi nemiche.2 C’era il timore che il principale oppositore geopolitico della Russia, la Gran Bretagna, avrebbe facilmente conquistato queste terre, lasciando la Russia a mani vuote.1 Le tensioni tra Mosca e Londra crebbero vertiginosamente ed anche i rapporti con le autorità americane si fecero più surriscaldati che mai.1
Ebbe anche luogo una «colonizzazione strisciante»: i contrabbandieri britannici iniziarono a stabilirsi in Alaska nei primi anni del 1860. L’ambasciatore russo a Washington riferì alla madrepatria dell’imminente emigrazione dei rappresentanti della setta religiosa dei Mormoni dagli Stati Uniti all’Alaska. Pertanto, per non perdere il territorio per nulla, fu deciso di venderlo. La Russia semplicemente non aveva le risorse per difendere i suoi possedimenti oltreoceano in quel momento, poiché lo sviluppo richiedeva anche uno sviluppo della Siberia, intesa come terra di mezzo.1
L’Alaska fu pagata con un assegno di 7,2 milioni di dollari, corrispondente a 119 milioni di dollari statunitensi.1 Una cifra vicina ai 5 dollari al metro quadro. I russi che risiedevano in quel territorio e che non chiesero la cittadinanza americana furono rimpatriati nel loro Paese d’origine.3

Assegno con il quale fu pagata l’Alaska
Dove sono finiti i soldi?
La storia più fantasiosa è quella della perdita di denaro pagata alla Russia per l’Alaska. Secondo la versione più popolare che esiste su Internet, la Russia non ha ricevuto l’oro dagli Stati Uniti perché affondò durante una tempesta insieme alla nave che lo trasportava.1
In realtà l’assegno di tale importo fu ricevuto dall’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Edward Glass. Per l’implementazione della transazione, l’ambasciatore russo ricevette anche una ricompensa di 25.000 dollari. Si presume inoltre che l’ambasciatore Glass abbia distribuito 144.000 dollari come tangenti ai senatori statunitensi che votarono per ratificare il trattato. In effetti, negli Stati Uniti, non tutti consideravano l’acquisto dell’Alaska un’attività redditizia.1 Tant’è che al momento dell’acquisizione della regione in molti accusarono Andrew Johnson, l’allora Presidente degli Stati Uniti, di «sprecare le risorse del Paese per comprare ghiaccio per il suo amato whiskey«.3 La stampa statunitense scrisse indignata: «Perché l’America ha bisogno di questa ghiacciaia e di 50.000 eschimesi selvaggi che bevono olio di pesce per colazione?«.2 Tuttavia, la storia delle tangenti non è mai stata confermata.1
Altra leggenda narra che il denaro della vendita dell’Alaska fosse stato inviato a Londra tramite bonifico bancario. Lì furono acquistati lingotti d’oro per questa quantità. Ma il 16 luglio 1868, la nave che portava questi lingotti in Russia affondò nell’approccio a San Pietroburgo. Nessun oro è stato mai trovato durante le operazioni di ricerca sul relitto di quella nave ed anche questa storia dettagliata e brillante è riconosciuta come una leggenda.1
La realtà è che i documenti che attestano la vendita dell’Alaska sono archiviati nell’Archivio Storico Statale della Federazione Russa, da cui risulta che il denaro è stato depositato in banche europee ed aggiunto al fondo per la costruzione delle ferrovie.1
Nell’Archivio Storico Statale della Federazione Russa è conservato anche un rapporto dettagliato su come furono spesi i soldi. Dal suddetto rapporto si evince che il denaro ricavato dalla vendita dell’Alaska fu speso per il pagamento degli stipendi dei dipendenti statali, per sanare i debiti delle chiese ortodosse e luterane e per la costruzione ed implementazione delle ferrovie Kursk-Kiev, Rjazan-Kozlovskaja e Mosca-Rjazan. Il resto del denaro ricavato dalla vendita dell’Alaska finì nelle casse del Tesoro di Stato della Russia.1
Alla fine del XIX secolo furono scoperti dei giacimenti auriferi, che avviarono la corsa all’oro e il popolamento dello Stato più a nord del continente americano. La scoperta di importanti giacimenti petroliferi fece sì che vi fosse una forte crescita economica del territorio durante gli ultimi decenni, a dispetto delle dure condizioni di vita. Attualmente l’economia dell’’Alaska è dominata dallo sfruttamento intensivo delle riserve di petrolio (che coprono il 23% del fabbisogno nazionale) e gas naturale e dall’industria della pesca.3
Luca D’Agostini
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