Zachar Artëmovič Sorokin sarà ricordato in eterno in Russia. Nel 1943 un addetto militare britannico giunse in Unione Sovietica per premiarlo con l’onorificenza dell’Ordine dell’Impero Britannico e durante la cerimonia della premiazione affermò: «Finché ci saranno persone simili in Russia, questo Paese sarà invincibile«.1
La caratteristica più importante della tradizione spirituale e storica russa è l’impresa, che è intesa come un atto commesso nel nome del bene comune mettendo a rischio la propria vita: l’amore per la Grande Madre Russia. Il lavoro del coltivatore di cereali richiedeva la costante protezione della sua terra e del suo popolo da minacce esterne, tra cui fattori climatici sfavorevoli e le scorrerie dei nomadi. Nella coscienza ortodossa, questo era espresso principalmente come volontà di accettare la morte per difendere i propri concittadini russi. Tuttavia, nell’epica epica russa antica, l’ideale popolare di un eroe guerriero incarnava non tanto le caratteristiche del sacrificio di sé quanto il superamento dei propri limiti, la capacità di compiere azioni memorabili, da tramandare per generazioni. Le gesta del più grande eroe russo di tutti i tempi, Ilya Muromets, sono ancora oggi conosciute da tutti i russi sin dalla tenera età.
Zachar Artëmovič Sorokin nacque il 17 marzo 1917 in un villaggio nella regione di Novosibirsk, ma da giovanissimo con la sua famiglia si trasferì nella cittadina di Tichoretsk, nei pressi di Krasnodar, in quanto il padre per motivi di salute non poteva più vivere nel rigido clima della Siberia. Dopo essersi diplomato alla scuola ferroviaria, iniziò a lavorare come assistente guidatore di locomotiva e nello stesso tempo studiava in club di volo.2
Nel 1937 fu arruolato nell’Armata Rossa. Nel 1939 si diplomò alla Scuola dei Piloti dell’Aviazione Navale. All’inizio della guerra prestava servizio come pilota della Flotta del Mar Nero. Nel luglio del 1941 fu trasferito alla Flotta del Nord.2
Il 17 settembre 1941 si mise subito in mostra abbattendo da solo nel corso di una battaglia aerea, ben 4 aerei nazisti. Per questa azione fu insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa.2
Pochi giorni dopo, il 25 ottobre 1941, durante una battaglia aerea il suo aereo fu abbattuto e cadde nella tundra innevata. Come in seguito scrisse lui stesso in un libro: «Il 25 ottobre 1941, al segnale d’allarme decollai con il mio aereo insieme all’aereo del mio amico Dmitrij Sokolov. In volo capitammo in uno spesso strato di nuvole. Eravamo a seimila metri d’altezza e non si vedeva nulla. Poi le nuvole cominciarono a diradarsi ed inaspettatamente, sullo sfondo del cielo scuro apparvero i contorni di quattro aerei nemici. Erano aerei tedeschi Messerschmitt-110, la loro mimetizzazione gialla e la croce nera sulla fusoliera divennero chiaramente visibili. Puntai uno degli aerei, lo misi nel mirino ottico ed iniziai a sparare al suo motore con la mitragliatrice. Il bombardiere fiammeggiante iniziò a cadere e piombato al suolo si alzò una colonna di fumo nero. Sokolov nel frattempo combatteva in un duello aereo contro un secondo aereo tedesco. Io attaccai il terzo della griglia dei 4 aerei nazisti. Mentre duellavo con il terzo aereo, il quarto cambiò linea di volo e mi attaccò da dietro. I colpi della sua mitragliatrice perforarono la fusoliera e la cabina di guida del mio aereo. Un proiettile colpì anche la mia coscia destra. Riuscii comunque ad abbattere il terzo aereo nazista ma subito dopo per i danni riportati il mio aereo cominciò a perdere velocemente quota. Dovevo provvedere ad un atterraggio d’emergenza.
Tra gli speroni di roccia tortuosi ed una gola profonda delle montagne sottostanti, intravidi un piccolo lago ghiacciato ed effettuai sulla sua superficie un atterraggio d’emergenza. Mentre cercavo di uscire dalla cabina vidi un pilota tedesco che fuggiva inseguito da un enorme cane. Quando il cane si avvicinò il pilota tedesco gli sparò. Notai che poco distante giaceva anche la carcassa di un Messerschmitt-110. Riuscii ad uscire dall’abitacolo, presi la mira e sparai due colpi di pistola contro il pilota nazista, uccidendolo.
All’improvviso iniziò la tormenta polare. Nessuna visibilità. Più tardi, zoppicando per via della ferita alla gamba, mi incamminai tra i massi di un torrente ghiacciato, la visibilità aumentò. Ad un certo punto notai un altro pilota tedesco uscire dal suo nascondiglio ed assalirmi. Giunto a pochi metri da me mi puntò contro la sua pistola la quale però si inceppò. Mi colpì sul volto con il calcio della sua pistola a seguito del quale riportai una cicatrice dagli occhi al mento che mi rimase per il resto della vita. Dopo un breve combattimento corpo a corpo, nonostante la mia gamba destra ferita, riuscii a scaraventare a terra il pilota tedesco, così ebbi modo di estrarre la mia pistola e di ucciderlo sparandogli da distanza ravvicinata. Avvolsi il mio viso in una sciarpa per cercare di fermare il sangue e scoprii che il colpo subito dal pilota tedesco mi aveva fatto saltare anche alcuni denti.
Mi rimisi in cammino trascinando la mia gamba ferita. Poco dopo fui attaccato da un lupo ed a malincuore dovetti sparargli. Io sono siberiano e per me sparare ad un lupo è stato un trauma che portai con me per il resto della mia vita. Quando dopo la guerra, mia figlia chiedeva di prendere un cane in casa gli risposi che non era possibile perché avendo ucciso un lupo non ero degno di poterlo avere.
La neve era così alta che nonostante gli stivali della mia divisa entrò all’interno. Per sei giorni ebbi i piedi costantemente bagnati e congelati per via dei molti gradi sotto zero. Così quando dopo 6 giorni e dopo aver percorso 70 km, giunsi sulla costa e vidi i miei compagni dell’Armata Rossa, i miei piedi erano ormai congelati ed irrimediabilmente compromessi.
Fui trasferito in ospedale e mi amputarono entrambi i piedi«.1
Alla fine del 1942 fu dimesso dall’ospedale e manifestò subito il desiderio di riprendere a volare per combattere contro i nemici invasori. Fu dotato di protesi di legno ai piedi ed iniziò a pilotare immediatamente come se non fosse accaduto nulla dall’ultimo giorno in cui aveva volato. Il suo coraggio era immenso. Volare nell’Artico con aerei con la cabina di pilotaggio aperta non era facile e combattere era ancora più difficile. Le condizioni meteorologiche proibitive, il vento forte e gelido, il mare sottostante in tempesta, imponevano uno stato di salute perfetto ed un’eccellente allenamento fisico. Quando nel febbraio del 1943 Sorokin riprese a volare e combattere nel Mare del Nord, non godeva ne di uno stato di salute perfetto (gli erano stati amputati i due piedi) e non aveva un fisico allenato (aveva trascorso più di un anno disteso su un letto di un ospedale e camminava lentamente poggiandosi su un bastone). L’amputazione dei piedi comportava anche una terapia sanitaria che Sorokin avrebbe dovuto subire per il resto della sua vita ma che non fu possibile somministrargli al fronte. Soffriva di ulcere trofiche non cicatrizzate. Inoltre, al contrario di altri piloti, nel momento in cui suonava l’allarme, Sorokin non avendo i piedi non poteva, scattare e di corsa ed infilarsi nella cabina del suo aereo. Pertanto, anche nei momenti di relax e quando dormiva, dovette trascorrere lunghi periodi all’interno della sua cabina, in attesa della sirena d’allarme. Nonostante ciò, appena riprese a volare e combattere, in pochi giorni abbatté tre aerei tedeschi durante battaglie aeree uno contro uno.2
Nella primavera del 1943, contro gli aerei sovietici della Flotta del Nord i tedeschi schierarono il 6° Squadrone Aereo da Combattimento che portava il nome, inequivocabile, di «Orgoglio della Germania». Lo squadrone comprendeva un gruppo di assi guidati dal famoso pilota tedesco Rudolf Muller, il quale vantava ben 91 aerei sovietici abbattuti. Avendo deciso di colpire l’aeroporto di Vaenga, i tedeschi effettuarono una missione impiegando i 6 migliori piloti dello squadrone definito «Orgoglio della Germania». Si trattava di 6 piloti formidabili, molto famosi e altrettanto temuti e tra questi logicamente vi era il famigerato Rudolf Muller. All’avvicinarsi a Murmansk, i sei aerei tedeschi furono intercettati da quattro aerei sovietici, pilotati dai piloti Asilij Gorishnij, Nikolaj Bocim, Aleksandr Titov e Zachar Sorokin. Furono presto raggiunti dal comandante del reggimento, l’Eroe dell’Unione Sovietica, Pëtr Sbignev, il quale assunse il comando della battaglia. Nella feroce battaglia aerea che ne scaturì, quattro dei sei aerei nemici furono abbattuti e lo stesso Müller fu costretto ad effettuare un atterraggio d’emergenza in territorio sovietico. Uno degli aerei nemici, pilotato da uno dei migliori piloti tedeschi, fu abbattuto abilmente proprio da Sorokin. Un pilota sovietico, con i piedi amputati, proveniente da un anno di inattività dovuta al ricovero in ospedale, senza allenamento, stremato da lunghe attese al freddo e al gelo in attesa di un segnale d’allarme, aveva abbattuto un formidabile pilota tedesco. Tutti i piloti della Flotta del Nord furono estremamente orgogliosi di Sorokin e la sua impresa travalicò i confini dell’Unione Sovietica. L’addetto militare britannico che giunse in Unione Sovietica per premiarlo con l’onorificenza dell’Ordine dell’Impero Britannico, durante la cerimonia della premiazione affermò: «Finché ci saranno persone simili in Russia, questo Paese sarà invincibile«.1
Quando il 19 agosto 1944 gli fu assegnato il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, il capitano Sorokin aveva effettuato 117 missioni di combattimento abbattendo 11 aerei nemici.2
In totale durante la guerra abbatté 18 aerei nemici, 12 dei quali pilotando con protesi di legno ai piedi.2
Era così abile come pilota che al termine della guerra, pur con la sua invalidità, continuò a prestare servizio nell’aeronautica sovietica fino al 1955.2
Nel 1945, su iniziativa dell’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione (Komsomol), tutti gli abitanti della città di Tichoretsk, la città dove Sorokin era cresciuto, in segno di riconoscenza nei suoi confronti, pagarono di tasca propria per far costruire un aereo da affidare a Sorokin. Nella cerimonia di consegna dell’aereo a Sorokin, il portavoce degli abitanti di Tichoretsk disse: «L’eroica Armata Rossa, sotto l’ingegnosa guida del Comandante Supremo Maresciallo dell’Unione Sovietica, il compagno Stalin, ha preso a calci gli invasori nazisti dalla nostra sacra terra sovietica ed ora picchia la bestia fascista nella sua stessa tana. Non dimenticheremo mai i crimini commessi dagli invasori fascisti tedeschi e dai loro servitori malvagi nel nostro Kuban. Hanno versato nelle fertili steppe del Kuban il sangue e le lacrime delle nostre migliori persone. Desiderando rafforzare l’assistenza dell’Armata Rossa nella totale sconfitta del nemico, abbiamo deciso di organizzare una raccolta di fondi dai nostri risparmi personali per la costruzione del caccia Tichoretskij Komsomol. Consegniamo questo aereo per proteggere il nostro connazionale, Eroe dell’Unione Sovietica, il glorioso falco stalinista, capitano Zachar Artëmovič Sorokin. Possa il nostro glorioso concittadino, sull’aereo costruito con i soldi che abbiamo raccolto, battere i maledetti tedeschi, che hanno portato così tanto dolore e disgrazia al popolo sovietico. Lascia che la bandiera della vittoria della nostra giusta causa risplenda più velocemente! Morte agli invasori fascisti tedeschi.«1
Sorokin visse a Mosca dove lavorò nel Comitato dei Veterani di guerra sovietici. Svolse l’attività di giornalista scrivendo ben 15 libri.2 Era molto amico di Gagarin e di Valentina Tereshkova.
Si sposò dopo la guerra e dalla moglie ebbe 2 figli: Aleksej nato nel 1948 e morto nel 2010, Ljudmila nata nel 1952. La moglie però morì prematuramente nel 1953 lasciandolo con un figlio di 5 anni ed una figlia di 1 anno d’età. Si sposò una seconda volta e nel 1959 nacque sua figlia Marija.1 2
Nel corso degli anni, le protesi sempre di più sfregavano le gambe, i dolori erano infernali. Bagni terapeutici e trattamenti sanitari specifici erano costantemente richiesti. Sua figlia ricorda come il padre non riuscisse a dormire e spesso stringeva i denti dal dolore. Ogni anno un intervento di chirurgia. Di conseguenza, nel 1978, il suo cuore non poteva più sopportarlo. Morì il 19 marzo 1978. E’ sepolto nel cimitero di Kuntsevo.2
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Сорокин
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