Le fonti principali riguardo la vita del più giovane Imperatore di Roma, si trovano all’interno degli scritti di alcuni storici dell’epoca e riportati all’interno della Historia Augusta: «Dopo l’uccisione di Vario Eliogabalo (così infatti preferiamo chiamarlo piuttosto che «Antonino», dal momento che quella peste non mostrò alcuna delle qualità proprie degli Antonini, e questo nome gli fu cancellato, per volere del Senato, dagli Annali), salì al trono, per la salvezza del genere umano, Aurelio Alessandro, nato ad Arca Cesarea, figlio di Vario, nipote di Varia e cugino dello stesso Gabalo, il quale già in precedenza – cioè dopo la morte di Macrino – aveva ricevuto dal Senato il titolo di Cesare; ricevette dunque l’appellativo di Augusto, e, in aggiunta, gli fu concesso da parte del Senato di assumere in un solo giorno il titolo di Padre della Patria, l’autorità proconsolare e la potestà tribunizia, nonché il privilegio di proporre in Senato all’ordine del giorno fino a cinque argomenti«.
Alessandro era nato a Arca Cesarea (l’attuale Tell Arqa, in Libano), il 1° ottobre del 208 d.C.. Era figlio di Giulia Mamea, sorella di Giulia Soemia, moglie dell’imperatore Settimio Severo, ed era dunque cugino diretto di Eliogabalo. La nonna di Alessandro era la stratega e calcolatrice Giulia Mesa. Alessandro successe a Eliogabalo, dopo che costui fu assassinato. Il Senato, in via straordinaria, visti i disastri combinati dal cugino, gli concesse in un’unica soluzione tutti i poteri imperiali.
In questo articolo vedremo quanto le donne ebbero importanza all’interno della famiglia imperiale. Nel 221 d.C., dopo appena tre anni di regno, Eliogabalo vantava pessimi risultati politici e aveva perso, dopo quelle del Senato, anche le simpatie del popolo: era completamente in preda a deliri comportamentali, disprezzava il Mos Maiorum, dimostrava un eccessivo attaccamento ai culti orientali quali quelli di El-Gabal e del Sol Invictus, andando persino a sostituire Giove con quest’ultimo. Compiva persino sacrifici umani – non cittadini romani – e rese le ierogamie, considerate intollerabili ed oltraggiose, una prassi nel panorama cultuale della città di Roma. Tristemente degne di nota sono le esecrabili relazioni matrimoniali e amorose, fra cui quella con l’auriga Ierocle, divenuto persino suo marito e compagno sessuale a livello attivo, risultando pertanto indecente. Nel contesto culturale romano, questa relazione assunse connotati oltremodo offensivi.
Fu proprio agli estremi sgoccioli del terzo anno di regno di Eliogabalo che Alessiano (nome originario di Alessandro) si affacciò, a soli tredici anni, nella vita pubblica dell’Urbe. La «grande burattinaia» Mesa, nonna sia di Eliogabalo che di Alessiano, consigliò al diciottenne imperatore, appena appropriatosi del consolato per la terza volta consecutiva, di affiancare alla porpora il cugino più giovane in qualità di Cesare. Con l’adozione, Alessiano cambiò il proprio nome in Marco Aurelio Alessandro, rimanendo nel solco della reminiscenza dinastica degli Antonini e ricollegandosi direttamente alla figura cara a tutto il mondo greco-romano di Alessandro Magno. Se da una parte ci ritroviamo con un Augusto dai costumi lascivi, scandalosi ed orientaleggianti, dall’altra abbiamo un Cesare appena adottato ed associato con pochi anni di differenza dal padre acquisito, ma di stoffa estremamente differente.
Eliogabalo fu gradualmente abbandonato da tutti, ultimi furono i familiari e i pretoriani, i quali lo costrinsero a presentarsi al castrum assieme al giovane Alessandro. Quest’ultimo, non appena giunto, fu a gran voce osannato «Augusto», mentre Eliogabalo era deliberatamente ignorato. Eliogabalo, in un ultimo atto di sconsiderata follia, decretò la morte di tutti coloro che lo avevano ignorato nei saluti: il pretesto per i pretoriani era stato appena servito. Dopo una breve fuga, l’effeminato imperatore fu catturato, ucciso e decapitato assieme alla madre presso alcuni bagni siti nelle vicinanze delle pendici Sud-Est del Palatino; le loro teste furono poste su delle picche, mentre il corpo del defunto imperatore fu gettato nel Tevere. Morirono così una figlia e un nipote della fredda e calcolatrice Mesa, la quale senza scomporsi più di tanto, accolse con favore l’elezione da parte dei pretoriani di Alessandro in qualità di nuovo Augusto: tutto andò secondo ciò che macchinava e si augurava.
Marco Aurelio Severo Alessandro, propagandato come figlio naturale del defunto imperatore Caracalla, era divenuto il nuovo dominus della romanità. Il giovanissimo si ritrovò inevitabilmente nelle mani della nonna e della madre, le quali esercitarono il potere amministrativo per alcuni anni, prima che Alessandro potesse investirsi pienamente della tribunizia potestà. Durante questo periodo di reggenza, l’Imperatore fu chiaramente manovrato da una parte dalla madre Mamea, sempre più influente rispetto alla moribonda Mesa e dall’altra dai pretoriani; questi ultimi infatti non gradirono le ingerenze della sfera più colta della corte imperiale, rappresentata in primis dal noto giurista Eneo Domizio Ulpiano.
Ulpiano, insieme al collega Giulio Paolo, dopo numerose trafile, fu posto a capo delle coorti pretoriane. Chiaro sintomo dell’iniziale debolezza di Alessandro fu rappresentato dalla ribellione degli stessi pretoriani ai danni del loro nuovo prefetto, il quale essendo stato anche mentore dell’Imperatore, si ritrovò a chiedere ad egli ausilio per aver salva la vita, tuttavia né il giovane né la madre poterono fare nulla: l’etica rigida e austera che aveva imposto alla guardia imperiale, gli valse la vita.
A diciassette anni, Alessandro prese in moglie Sallustia Orbiana, ragazza che amava profondamente, figlia del nuovo prefetto del pretorio Lucio Seio Sallustio, costui però, fu rapidamente scalzato dopo due anni per mezzo di una ben riuscita mossa politica della madre. Mamea lo accusò di aver attentato alla vita del figlio, forse solo perché gelosa della nuora e del titolo di Augusta che le era stato dato. Alessandro si vide impotente innanzi alla madre e si ritrovò a compiangere tacitamente l’esilio della moglie in Libia, la cui sorte finale è tutt’oggi ignota.
Sua nonna, Giulia Mesa era oramai deceduta ed Alessandro, oramai adulto, iniziò ad occuparsi delle impellenti faccende statali, partendo dalla burocrazia e dalle gravi condizioni economiche.
Alessandro si dispose fin da subito con animo benevolo nei confronti del senato, da cui fu molto amato, per i suoi modi sobri e rispettosi. Nella Historia Augusta leggiamo: «Vietò che lo si chiamasse «signore». Ordinò che gli si scrivesse allo stesso modo che ad un privato, mantenendo solo l’appellativo di Imperatore. Abolì dalle calzature e dalle vesti le gemme di cui aveva fatto uso Eliogabalo. Indossava, così come viene raffigurato, una veste bianca senza oro, e mantelli e toghe comuni. Con gli amici viveva in un tale rapporto di familiarità, che spesso si fermava a sedere con loro, andava ai loro pranzi e alcuni, poi, li riceveva a casa sua ogni giorno, anche senza invito; riceveva le visite di saluto come uno qualsiasi dei senatori, a tende aperte e senza personale di cerimonia o solo alla presenza di quello che faceva servizio alle porte; ai ladri, però, non era concesso di salutare il principe, giacché non ne sopportava la vista«.
Prima di prendere ogni decisione consultava inoltre un collegio di sedici padri coscritti, e non la ratificava mai se non mancava il consenso unanime. Pose un freno agli eccessi, mentre le spese inutili introdotte da Eliogabalo furono completamente tagliate. A ciò fu affiancata un’oculata riforma economica che permise un miglioramento del conio e che facilitò una stabilizzazione monetaria ormai perduta fin dagli anni di Settimio Severo e Caracalla. L’Imperatore acquisì a sue spese ingenti quantità di grano e le distribuì al popolo e visti i buoni risultati delle manovre, poté abbassare la tassazione alle classi meno abbienti per poi innestare nuove imposte sulla prostituzione di ambo i sessi; in contemporanea, creò un organo pubblico di prestito con un interesse bassissimo. Amante di tutte le arti e protettore di esse, si circondò di intellettuali, fra cui lo storico e biografo Cassio Dione Cocceiano.
Tuttavia l’influenza della madre, Giulia Mamea, sul giovane Alessandro, si fece sentire. Presenziò assiduamente, sotto caloroso consiglio della madre, ai processi sia per formarsi che per accertarsi del retto svolgimento di essi. Erodiano, nella «Storia dell’Impero Romano dopo Marco Aurelio» scrisse: «Governò infatti per ben quattordici anni senza versare sangue innocente; anche quando giudicava su colpe gravissime, egli non comminava la pena di morte, comportandosi in ciò molto diversamente da tutti gli altri successori di Marco, fino ai nostri tempi«. Alessandro Severo ordinò che sulle mura del suo palazzo e su quelle degli uffici pubblici fosse riportata la seguente frase: «Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris«, che significa «Non fare agli altri, ciò che non vuoi sia fatto a te«.
Vitale per la sua futura politica militare, fu il donativo ai legionari di nuovi appezzamenti di terra coltivabile. Nello stesso momento, venne ripristinata la falange, già ripresa parzialmente da Caracalla; abbinato a ciò, si vide un sempre maggiore utilizzo di sofisticate macchine da guerra e reparti ausiliari specializzati, quali arcieri e cavalieri pesanti. Alessandro fu un meticoloso restauratore e non differentemente da altri imperatori del passato, pagò ben volentieri per il miglioramento, la ricostruzione e la creazione di strutture adibite a scopi pubblici, dai templi fino alle terme, non a caso costruì un nuovo acquedotto per rifornire le ex Terme di Nerone.
Alessandro era un giovane di indole mansueta, pur essendo amante delle attività ginniche e di discipline come la lotta libera. Uno dei suoi passatempi preferiti in gioventù, per dare una idea di quanto potesse essere facile alla tenerezza, era quella di veder giocare assieme cuccioli di cane e piccoli maiali. Era di natura estremamente mite, se non addirittura schiva. La sua politica religiosa differì da quella dei suoi predecessori consanguinei: se i primi due, Settimio Severo e Caracalla, seguendo le leggi vigenti, portarono avanti numerose persecuzioni contro i cristiani, Alessandro invece si mostrò estremamente affabile con questi, andando persino a riconfermare privilegi appartenuti alle comunità ebraiche dell’Impero. Se Eliogabalo fu un soverchiante fautore dell’orientalizzazione, Alessandro fu a modo suo, considerati i tempi di incertezza, un vero e proprio restauratore dei culti tradizionali, presenziando in qualità di Pontefice Massimo ai riti, rispettando i numerosi collegi sacerdotali, visitando assiduamente i templi.
La via del tramonto di Alessandro Severo giunse da contesti militari e da eventi geopolitici in Oriente. Due anni dopo la salita al potere di Alessandro, nel 224 d.C., la Persia stava effettuando un cruciale giro di boa: l’ultimo sovrano dei Parti, Artabano V, fu travolto dall’imponente onda iranica di Dariardašīr, meglio noto come Ardashīr I, fondatore della dinastia sasanide. Il nuovo Impero si presentò come restauratore del costume antecedente all’ellenizzazione alessandrina e avversario naturale del mondo greco-romano, ancor più di quanto non lo potessero essere i Parti, questi non a caso, erano culturalmente affini ai Seleucidi filogreci: la guerra con Roma era alle porte. Nel 232 d.C., Alessandro aveva ventiquattro anni, era un uomo ben voluto dalla classe senatoria ed aristocratica, amato dal Senato, dal popolo e soprattutto, appoggiato dalle legioni, per via degli ingenti donativi che erano ad esse concessi.
Ardashīr I, nel suo piano di rivendicazione delle antiche glorie Achemenidi in Anatolia e nell’Egeo, si riversò oltre la regione dell’Osroene e della Mesopotamia romana, ricevendo però ambascerie pacifiche da parte di Alessandro. Quando l’Imperatore si accorse della completa inutilità della diplomazia, decise di riunire le legioni – undici per un numero di circa 150.000 unità – che aveva già predisposto in Oriente e le schierò sul fronte dell’Armenia, deciso a respingere e a guadagnare terreno sasanide. Le legioni del levante erano poco pronte allo scontro bellico, spesso indisciplinate e più stanziali che avvezze alle imponenti manovre d’avanzata fra le montagne e i deserti. Ci furono infatti malcontenti e persino alcune sollevazioni con fini d’usurpazione, ma che non riuscirono ad intaccare l’operazione militare guidata dallo stesso Alessandro, presentatoci dalle fonti a tratti restio allo scontro e in altri casi cavaliere intrepido fra le battaglie. La presenza della madre fra gli accampamenti, una malattia che lo costrinse a stare fermo ad Antiochia e una propensione più al dialogo diplomatico che al confronto bellico, posero Alessandro in una condizione molto scomoda.
Comunque, nonostante le molte difficoltà e le condizioni disagevoli, dopo il periodo invernale, le legioni romane si ritrovarono innanzi un esercito nemico anch’esso fiaccato e indebolito, tant’è che secondo svariate fonti, le legioni romane ottennero successi che fecero poderosamente desistere Ardashīr I, costretto così a fermare l’ambizioso piano espansionistico, un piano che riprenderà solo quattro anni dopo assieme al figlio Shapur I. Vi furono sia vittorie che sconfitte: il sostanziale esito paritario della campagna bellica stava permettendo all’Impero Romano di arginare abbastanza bene la nuova minaccia orientale, tuttavia Alessandro, nel pieno di nuovi preparativi per una controffensiva primaverile, fu scosso da un nuovo pericolo proveniente dal centro Europa.
Qualcosa non andava, le legioni che lo avevano supportato in Oriente erano rimaste stizzite dalle scarse abilità militari dell’Imperatore, seppur corroborate da un certo coraggio, pertanto si ritennero molto poco soddisfatte dei risultati ottenuti, soprattutto quando i piani per una invasione su larga scala dell’Impero Sasanide furono scartati a causa del pericolo proveniente dai barbari. L’umore generale delle truppe andava sempre più peggiorando. Nel 234 d.C. Alessandro si stabilì a Mogontiacum, l’attuale Magonza, in Germania, facendo della città il suo quartier generale per tutte le operazioni sul vasto fronte.
Deciso a ritentare la via diplomatica e pacifica, con la speranza di evitare nuovi combattimenti, preferì rivolgersi alle popolazioni barbare con in pugno l’oro anziché il gladio: fu l’errore fatale che gli costò la vita. Le legioni di stanza in Europa, già innervosite dal poco polso dimostrato in Oriente, erano avide di vincere una guerra e mettere le mani su un corposo bottino, mentre l’ennesimo trattato di pace li avrebbe sottratti a una campagna militare che si preannunciava durevole, piena di insidie e di conseguenza anche di glorie, ricchezze ed onorificenze: era giunto il momento di trovare un degno sostituto all’inesperto e reticente Imperatore.
Ecco così fra i vari generali, venir fuori la figura di Gaio Giulio Vero Massimino detto il Trace, noto anche come l’Ercole Romano o Anteo il gigante: alto due metri e quaranta centimetri, mezzo alano e mezzo goto, un colosso prima pastorello da fanciullo e poi legionario di gavetta ai tempi di Settimio Severo. Cercando di prendere in contropiede Alessandro, alcuni legionari ricoprirono di porpora quella montagna d’uomo, mentre stava effettuando una rassegna delle truppe in qualità di addestratore delle reclute.
Massimino fu inizialmente titubante, egli infatti conosceva personalmente l’Imperatore. Da esso ricevette numerose volte dimostrazioni di affetto e fiducia, ciononostante sarebbe stato poco saggio indispettire nuovamente le truppe, poiché stavolta ne andava della sua stessa vita. Così accettò ed inviò dei sicari alla ricerca di Alessandro, il quale tentato il tutto e per tutto, fra promesse e parole di conforto ai soldati, si rifugiò nella propria tenda assieme alla madre. Fu così che il 18 o il 19 marzo 235 d.C. trovarono entrambi la morte, pugnalati dopo circa tredici anni di regno. I soldati fedeli a Massimino confermarono così i loro dubbi: Alessandro, nel marzo dell’anno 235 d.C., all’età di circa ventisei anni, era ancora un burattino nelle mani della potente ed influente madre e pertanto, ricevette assieme ad essa la condanna a morte.
Massimino durò poco più di tre anni senza mai mettere piede a Roma, ma fu poi anch’esso ucciso dai suoi soldati, nonostante le fortunate avventure militari sul Reno che tanto fecero sognare e arricchire le legioni lì stanziate. Primo Imperatore barbaro e grande vincitore degli stessi, non fu mai ben visto dal Senato, lo stesso Senato che anni dopo, con l’ausilio dell’imperatore Gordiano III, divinizzò Alessandro e diede a lui e alla madre la giusta sepoltura. La tomba in questione è il cosiddetto Monte del Grano, il terzo mausoleo imperiale per grandezza a Roma dopo quello di Augusto ed Adriano. In quell’imponente tumulo, oggi visitabile dall’esterno nel Parco XVII Aprile 1944, sito nel quartiere Tuscolano, senza alcun dubbio riposarono per lunghi secoli le spoglie di Alessandro Severo e della madre Giulia Mamea.

Ninfeo di Alessandro Severo (Parco XVII aprile 1944 — Roma)

Ninfeo di Alessandro Severo (Parco XVII aprile 1944 — Roma)
Oggi è conservato ai Musei Capitolini un meraviglioso sarcofago lì ritrovato, con scene raffiguranti Achille durante la permanenza alla corte del re di Sciro. Ritroviamo Alessandro e Mamea sul coperchio marmoreo. Persino la morte non è riuscita a dividere madre e figlio.

Sarcofago di Alessandro Severo e di sua madre Giulia Mamea

Sarcofago di Alessandro Severo e di sua madre Giulia Mamea (Musei Capitolini — Roma)
Con la dipartita dell’ultimo maschio dei Severi, si aprirono le porte di un periodo caratterizzato da una costante instabilità politica che vide tuttavia l’emergere di personaggi mirabili ed interessantissimi da analizzare, per qualità e difetti. I successivi cinquant’anni di anarchia militare vedranno susseguirsi numerosi generali al potere, ognuno con storie ed origini del tutto peculiari, singolarissimi tasselli di ciò che rappresenta a livello storico l’Antica Roma.
Luca D’Agostini
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