Lev Michajlovič Dovator nacque in una povera famiglia di contadini bielorussi il 20 febbraio 1903, in un villaggio nella provincia di Vitebsk.
Si diplomò alla scuola parrocchiale del suo villaggio e subito dopo iniziò a lavorare a Vitebsk in una filanda di lino. Nel 1923 fu inviato a frequentare la scuola di partito (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), per frequentare un corso della durata di un anno che completò con successo.1
Nel settembre del 1924 fu arruolato nell’Armata Rossa ed assegnato alla posizione di capocantiere presso la sede della 7° Divisione di Cavalleria. All’inizio, occupando una posizione puramente economica come direttore di magazzino, Dovator fu addestrato nei corsi di chimica militare, che gli conferirono il diritto di diventare comandante della divisione chimica. Inoltre terminò con il massimo dei voti la Scuola di Cavalleria.1
Nel 1928 divenne membro del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica).
Nel 1936 si iscrisse all’Accademia Militare dell’Armata Rossa e mentre studiava, essendo un eccellente cavaliere, recitò nel film «Aleksandr Nevskij» di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, facendo da controfigura all’attore Nikolaj Konstantinovič Čerkasov, nelle scene a cavallo.2 Nel 1939 si laureò con lode all’Accademia Militare. Davanti a sé aveva certamente una brillante carriera militare. Dal novembre 1939 divenne capo del 36° Ordine di Cavalleria Speciale della Brigata delle Bandiere Rosse di Lenin, un corpo militare speciale degno di fama e tradizioni.1
La brigata era visitata quasi ogni giorno da funzionari governativi. Soprattutto un ospite frequente era Iosif Stalin, un grande amante dei cavalli. Visite di ospiti illustri e soprattutto quelle di Stalin, costrinsero hanno costretto l’unità militare comandata da Dovator ad essere costantemente in piena forma e pienamente operativa. Nel 1940, sotto il comando del generale Dovator, il 36° Ordine di Cavalleria Speciale della Brigata delle Bandiere Rosse di Lenin si esibì in una solenne parata sulla Piazza Rossa.1
Nel marzo 1941, il generale Dovator ricevette un nuovo incarico, questa volta nel distretto militare bielorusso, al comando della 36° Divisione di Cavalleria. Ma il destino salvò Dovator dalla morte o dalla prigionia nei primi giorni della Grande Guerra Patriottica. La 36° Divisione di Cavalleria fu lanciata in un contrattacco su Grodno ma fu decimata dall’aviazione tedesca il 25 giugno 1941. I suoi resti si trovarono in un enorme fossa comune ad ovest di Minsk. Non si salvò quasi nessuno dell’intera divisione di cavalleria sovietica. I primi giorni della guerra però, il generale Dovator era ricoverato in un ospedale di Mosca e quindi non fu presente sul campo di battaglia che vide sterminata l’unità militare di cui gli era stato affidato il comando.2
Dimesso dall’ospedale fu inviato lungo il Dnepr.1 Qui i tedeschi avevano quasi circondato le forze dell’Armata Rossa presenti nella regione di Smolensk e si stavano preparando per chiudere l’accerchiamento ed impossessarsi dell’attraversamento del Dnepr nel villaggio di Solov’evo.2 Il generale Dovator mostrò in questa circostanza tutto il suo valore nelle battaglie difensive e fu insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa.1
Ma il suo principale risultato nella Grande Guerra Patriottica furono le leggendarie incursioni sul retro del nemico, eseguite dal Gruppo di Cavalleria Separata, formato dalle divisioni di cavalleria 50 e 53 e poste sotto il suo comando.1 Dal 14 agosto al 2 settembre 1941, un gruppo di cavalieri cosacchi al comando del generale Dovator compì una serie di incursioni nelle retrovie tedesche nel territorio della regione di Smolensk, seminando il panico tra le truppe naziste. I cavalieri cosacchi con il generale Dovator in prima fila, non effettuavano solo incursioni rapide (tipo «toccata e fuga»), ma una loro incursione durò ben 10 (dieci) giorni consecutivi, durante i quali combatterono senza sosta contro soldati tedeschi letteralmente terrorizzati dall’abilità e dalla furia di Dovator e dei suoi uomini.2 Il 2 ottobre 1941 iniziò l’offensiva generale della Wehrmacht contro Mosca. A settembre-ottobre 1941 partecipò a pesanti battaglie difensive sul fiume Meže e lungo il fiume Lamé. Ecco il risultato ottenuto in tre mesi da Dovator e dai suoi cavalieri cosacchi, con i quali combatteva a cavallo fianco a fianco: più di 2500 soldati e ufficiali tedeschi uccisi, 200 mezzi di trasporto (autovetture e camion) e 9 carri armati tedeschi distrutti.1
Il nome del generale Lev Michajlovič Dovator era ben conosciuto da tutti i soldati ed ufficiali tedeschi che partecipavano alla Battaglia di Mosca. Era diventato il loro incubo e con lui i suoi cavalieri cosacchi. Volantini con una ricompensa per la sua testa erano sparsi ovunque intorno a Mosca. I soldati tedeschi erano incentivati con premi speciali qualora l’avessero ucciso. Ma tutto ciò ancora non bastava, il morale dei soldati nazisti intorno a Mosca era bassissimo e tra di loro evitavano anche di pronunciare il suo nome perchè ciò incuteva ancora maggior terrore rispetto a quello già provato. Per il comando tedesco, la situazione si era fatta preoccupante ed era necessario un segnale forte. I vertici militari nazisti diedero l’ordine di bruciare completamente il suo villaggio natale in Bielorussia e di sterminare tutta la popolazione locale, in modo che la notizia giungesse al generale Dovator. Inoltre per rialzare il morale delle truppe tedesche partecipanti alla Battaglia di Mosca, Hitler autorizzò la creazione di un corpo di èlite con l’unica missione di individuarlo ed ucciderlo.1
Intanto il comando sovietico per le incursioni nelle retrovie tedesche che avevano sparso eccezionale panico tra i nazisti, gli assegnò il grado di maggiore generale e l’Ordine di Lenin. A novembre del 1941 gli fu assegnato il comando del 2° Corpo di Cavalleria della Guardia.1
I tedeschi erano ormai a 30 km dalla periferia nord di Mosca ed avevano stimato di conquistare la capitale russa entro la fine di novembre. Il generale Dovator ed i suoi uomini costituivano l’ultimo baluardo prima che i tedeschi entrassero in città. Il Maresciallo dell’Unione Sovietica Konstantin Konstantinovič Rokossovskij scrisse una lettera a Dovator: «Compagno Dovator! Tutta l’Europa ti sta guardando. C’è un’opportunità per eccellere. Spero che ripristinerai la situazione con un rapido contropiede decisivo con i carri armati«. A questa lettera, Dovator rispose: «L’Europa non lo so, ma i tedeschi certamente apprenderanno che Mosca non verrà conquistata«.2 Dovator mantenne la parola!
Il 19 dicembre 1941, vicino al villaggio di Palashkino, nel momento in cui il generale Dovator stava esaminando le posizioni del nemico con il binocolo, lui e il suo vice furono colpiti da una raffica di mitragliatrice sparata dai membri del corpo di elite che era stato appositamente creato in Germania per dargli la caccia.1
Con decreto del Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica del 21 dicembre 1941, il generale maggiore Lev Michajlovič Dovator per il coraggio e l’eroismo mostrati nelle battaglie con gli invasori fascisti tedeschi ottennero postumo il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.1
Il corpo del miglior comandante della cavalleria dell’Armata Rossa fu cremato nel cimitero di Donskoj e fino al 1959 l’urna con le sue ceneri si trovava nel crematorio stesso. Solo nel 1959 fu sepolto nella fossa comune del cimitero di Novodevičij, sulla quale nel 1966 fu eretto un bellissimo monumento a questi eroi che diedero la vita per Mosca e per la Patria.
Il ricordo di Lev Michajlovič Dovator è immortalato nei nomi delle strade di 26 città della Russia e di tante altre città della Bielorussa. La scuola elementare n. 662 di Mosca porta il suo nome.1
A Vitebsk, in Bielorussia, ogni anno si tiene un torneo statale di lotta greco-romana con un premio in memoria del generale Dovator. Sempre in Bielorussia, ogni anno si tengono una serie di competizioni equestri intitolate alla memoria dell’eroico generale.1
Luca D’Agostini
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