Dispiace che in Occidente la storia di questo ragazzo non sia conosciuta, ma non esiste un solo russo ed ex cittadino sovietico che non sappia chi sia Aleksandr Matveevič Matrosov. La sua eroica impresa divenne un simbolo di coraggio e prodezza militare, impavidità e amore per la Patria.
Il suo nome divenne l’emblema dell’eroismo dei soldati sovietici. Successivamente, oltre trecento persone commisero un atto eroico simile.
Poco si sa della sua infanzia. Nacque in Ucraina, ad Ekatorinoslav, l’attuale Dnipropetrovsk, il 5 febbraio 1924.
All’età di 5 anni perse entrambe i genitori e fu affidato ad un orfanotrofio.
Nel 1939 fu inviato a lavorare in un impianto di riparazione di automobili sito nell’attuale città di Samara, ma presto fuggì da lì. Per questo motivo fu condannato a due anni di carcere, pena che non scontò mai e che molti anni dopo la sua morte fu cancellata dal casellario giudiziario.
Anziché scontare la condanna fu inviato a lavorare in una colonia penale minorile ad Ufa.
All’inizio della Grande Guerra Patriottica, effettuò ripetutamente numerose richieste scritte per essere inviato al fronte.
Fu arruolato nell’Armata Rossa nel settembre del 1942 ed inviato alla scuola di fanteria, ma a causa delle esigenze della guerra, non terminò il corso ed insieme agli altri cadetti fu inviato in prima linea.
Fu assegnato al 2° Battaglione di Fanteria della 91° Brigata Volontaria Siberiana, la quale fu trasferita nella periferia di Pskov per ricacciare indietro i nazisti.
Il 27 febbraio 1943, la sua unità di combattimento ricevette l’ordine di attaccare una roccaforte nell’area del villaggio di Pleten, nella regione di Pskov. Non appena i soldati dell’Armata Rossa uscirono dalla foresta che avevano attraversato, caddero sotto il fuoco delle mitragliatrici pesanti tedesche. A sbarrare il passaggio ai soldati dell’Armata Rossa erano tre bunker nazisti, all’interno di ciascuno dei quali era stata installata una postazione mitragliatrice per sbarrare la strada di accesso al villaggio.
Durante la battaglia, i primi bunker furono distrutti dall’assalto delle truppe dell’Armata Rossa. Ma il terzo bunker non consentiva più l’avanzata dei soldati sovietici ed era in grado di causare notevoli perdite di vite umane. Tutti i tentativi di distruggere il bunker fallirono e la postazione mitragliatrice al suo interno continuava a sparare efficacemente.
A questo punto, il soldato dell’Armata Rossa Aleksandr Matrosov, strisciando a terra riuscì ad avvicinarsi al bunker e raggiunta la fenditura lanciò due granate all’interno. La mitragliatrice smise di sparare. Tutti credevano che i soldati nazisti all’interno fossero morti, ma non appena i soldati sovietici si alzarono in piedi, la mitragliatrice ricominciò a sparare.
A questo punto Matrosov si gettò con il suo corpo nella feritoia per bloccare con il suo petto il fuoco della mitragliatrice. La sua impresa riuscì ma i soldati nazisti trivellarono di colpi il corpo del giovane Aleksandr, il quale però con la sua azione aveva fatto guadagnare secondi importanti per concedere ai soldati dell’Armata Rossa di avanzare di corsa senza essere falcidiati dalla mitragliatrice tedesca.
Il diciannovenne Aleksandr Matrosov sacrificò la sua vita e riuscì a contribuire in modo determinante al successo della missione di combattimento della sua unità militare.
Fu sepolto nel villaggio di Chernushki ma nel 1948 i suoi resti furono trasferiti per una nuova sepoltura nella città di Velikie Luki, nella regione di Pskov.
Pochi giorni dopo il nome di Aleksandr Matrosov divenne noto in tutto il Paese. La data della sua morte fu posticipata al 23 febbraio, in coincidenza con il compleanno dell’Armata Rossa.
Con decreto del Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica datato 19 giugno 1943, per «l’esemplare esecuzione dei compiti di combattimento sul fronte della lotta contro gli invasori fascisti tedeschi ed il coraggio e l’eroismo mostrati» il soldato dell’Armata Rossa Aleksandr Matveevič Matrosov fu insignito postumo del titolo Eroe dell’Unione Sovietica e dell’Ordine di Lenin.
Luca D’Agostini
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