Questa che state per leggere è una storia unica, proprio perché unico fu il tentativo di rivolta che ebbe successo in un campo di sterminio nazista. L’intero sistema di questi campi era organizzato in modo da infrangere la volontà di resistere nelle future vittime. Ma il 14 ottobre 1943, nel campo di sterminio di Sobibor, questo sistema fallì per merito di un tenente dell’Armata Rossa.
Il campo di sterminio nazista Sobibor fu fondato nella Polonia sud-orientale nella primavera del 1942 come parte di un programma che prevedeva la completa distruzione della popolazione ebraica in Europa.
Il campo esisteva da poco meno di un anno e mezzo, e durante questo periodo furono uccisi circa 250 mila ebrei dalla Polonia e di altri paesi europei.1
Il campo di Sobibor era circondato da un campo minato. Negli angoli del campo si trovavano le torri di guardia armate con mitragliatrici. Il campo era diviso in tre settori.
Il primo settore era composta da laboratori, sartoria, scarpe, carpenteria. Perché il tenente dell’Armata Rossa Pečerskij non fu ucciso subito? Il motivo consiste nel fatto che i tedeschi avevano bisogno di idraulici, meccanici e carpentieri. Pečerskij lavorava nella falegnameria. Quel tipo di manodopera era necessario nel campo perché le SS volevano godersi la vita anziché svolgere lavori manuali. Le donne detenute cucivano a maglia calzini per loro. I prigionieri artisti dipingevano ritratti che le SS mandavano a casa ai loro familiari.1
Il secondo settore consisteva in un magazzino dove venivano raccolti tutti i beni sottratti ai prigionieri: vestiti, gioielli, orologi e denaro. Nelle vicinanze del secondo settore c’era un cortile dove venivano allevati conigli ed oche in modo che le guardie del campo non morissero di fame.1
Il terzo settore era composto dalle camere a gas. Due lunghi corridoi conducevano a loro: uno per gli uomini, un altro per donne e bambini. Collegata ai corridoi vi era la «baracca dei parrucchieri». Qui ai prigionieri venivano rapidamente e brutalmente tagliati i capelli i quali poi erano spediti in una fabbrica vicino a Norimberga. Con i capelli dei prigionieri le fabbriche tedesche provvedevano a realizzare uniformi invernali per i soldati della Wehrmacht e scarpe morbide per marinai sottomarini: non si può fare rumore su un sottomarino. La richiesta di capelli nel Terzo Reich era di ingente quantità. L’attivazione delle camere a gas avveniva tramite l’accensione di un motore situato in un capannone fuori dall’edificio il quale conduce il gas tramite dei tubi di scarico. Il responsabile dell’attivazione e del funzionamento del motore l’ufficiale delle SS Erich Bauer, tristemente noto ai prigionieri di Sobibor con il soprannome di «Gasmeister» (Maestro del gas), come lui stesso amava definirsi.1
Il campo di sterminio di Sobibor fu costruito dal capitano delle SS, l’ingegnere Richard Tomalla. Alla fine della guerra fu catturato e giustiziato in Cecoslovacchia dall’NKVD, un corpo di polizia speciale sovietico definito «Commissariato del Popolo per gli Affari Interni dell’Unione Sovietica». Ma Tomalla servì a Sobibor per un tempo molto breve. Infatti fu presto sostituito dal nuovo comandante, il capitano delle SS Franz Stangl, il quale dopo fu trasferito al posto di comando del campo di Treblinka.1
Il nuovo comandante del campo di sterminio di Sobibor divenne il capitano delle SS Franz Reichleitner, al quale fu assegnato il compito di «aumentare la capacità del campo».1
Nel personale del campo erano elencati solo 29 membri delle SS. Ma furono aiutati dalle numerose guardie di Sobibor composte perlopiù da ucraini che si erano stabiliti a Lublino e in altre città polacche prima della guerra. Qualche volta poteva anche trattarsi di soldati ucraini appartenenti all’Armata Rossa i quali disertarono o tradirono per collaborare con i nazisti. Uno di questi fu l’ex soldato dell’Armata Rossa Ivan Demjanjuk, il quale divenne capo delle guardie di Sobibor. Costui nel dopoguerra fu giudicato colpevole di complicità nei massacri, ma all’epoca dei fatti il vile traditore ucraino fu notevolmente fortunato. Infatti quando scoppiò la rivolta nel campo ed i suoi colleghi furono tutti uccisi, Demjanjuk era nel centro di addestramento delle SS a Trawniki. Nel dopoguerra questo infame criminale di guerra non ebbe la fine che meritava, anzi nel 1993 fu naturalizzato cittadino statunitense e cambiò il proprio nome in John Demjanjuk.1

La guardia ucraina Ivan Demjanjuk
I pochi prigionieri sopravvissuti di Sobibor dissero che avevano più paura degli ucraini del battaglione di guardia che dei tedeschi. I tedeschi agivano secondo le istruzioni, gli ucraini sterminavano i russi con entusiasmo. Non i tedeschi, ma le guardie ucraine uccisero i prigionieri deboli e vecchi, non appena venivano portati al campo.1
La modalità del lavoro delle guardie ucraine era estremamente semplice: conducevano i prigionieri nel cosiddetto «bagno» (la camera a gas), dove dopo aver chiuso le porte dovevano solo attendere 15 minuti. Dopo di che obbligavano parte dei prigionieri, lasciati vivi, a portare i cadaveri in una fossa speciale vicino al campo.1
Durante l’esistenza del campo furono realizzati diversi tentativi di fuga, ma tutti fallirono. Fino all’autunno del 1943, quando un gruppo di prigionieri di guerra sovietici, tra i quali Aleksandr Pečerskij fu trasferito a Sobibor.1
Aleksandr Aronovič Pečerskij nacque in una famiglia ebrea a Kremenchug, nell’attuale Ucraina nel 1909. Suo padre era un avvocato. Nel 1915, la famiglia si trasferì a Rostov sul Don. Dopo la scuola, lavorò come elettricista in fabbrica e poi si laureò all’università.2 3
Il 22 giugno 1941, Pečerskij fu arruolato nell’esercito. Lui, che aveva un’istruzione superiore, ricevette il grado di tenente. Combatté vicino a Smolensk come parte del 596° Reggimento di Artiglieria della 19° Armata.
Durante i combattimenti Pečerskij salvò la vita al suo comandante il quale era rimasto ferito nel centro del campo di battaglia. Riuscì a soccorrerlo e portarlo via da una morta ormai sicura. Ma poco tempo dopo questo suo gesto eroico, la sua unità militare fu circondata a Vjaz’ma. Pečerskij nei combattimenti subì lievi ferite e fu catturato dai tedeschi. Fu inizialmente rinchiuso in un campo di prigionia militare, nell’attesa di essere deportato. In prigionia si ammalò anche di tifo, ma sopravvisse.
Nel maggio del 1942, tentò di fuggire dalla prigionia con altri quattro prigionieri. Il tentativo di fuga fallì ed i fuggiaschi furono mandati ad campo di concentramento a Borisov, e da lì a Minsk (Bielorussia).
All’inizio, Pečerskij si trovava nel cosiddetto «Forest Camp» situato fuori dalla città di Minsk. Poi, durante una visita medica, notando la circoncisione, le guardie naziste scoprirono l’origine ebraica di Pečerskij.3 Insieme ad altri prigionieri di guerra ebrei, fu rinchiuso in un seminterrato chiamato la «cantina ebraica». Lì rimasero per dieci giorni nella completa oscurità.
Il 20 agosto 1942, Pečerskij fu inviato al «campo di lavoro» delle SS a Minsk. Lì c’erano circa cinquecento ebrei dal ghetto di Minsk.3
Il 18 settembre 1943, come parte di un gruppo di 600 prigionieri ebrei, Pečerskij fu inviato al campo di sterminio di Sobibor, dove arrivò il 23 settembre. Appena giunti nel campo di sterminio, delle 600 persone, 520 furono immediatamente giustiziate nelle camere a gas, mentre le altre 80, tra le quali Pečerskij furono impiegate in lavori di manutenzione del campo. Mentendo, Pečerskij aveva dichiarato alle SS di essere un falegname prima che venisse arruolato nell’Armata Rossa e così i nazisti decisero di impiegarlo appunto come falegname. Nel campo di sterminio di Sobibor, Pečerskij divenne l’organizzatore e il capo della rivolta dei prigionieri.
Il tenente Pečerskij non si era fatto illusioni, sapeva benissimo che quelli che non erano stati uccisi immediatamente sarebbero stati uccisi un po’ più tardi. Decise quindi di usare questa tregua momentanea per provare a dare ai nazisti l’ultima sua battaglia personale.
Il primo problema che dovette affrontare Pečerskij, fu quello che i prigionieri civili del campo mancavano di esperienza militare e di risolutezza.
Il tenente Pečerskij iniziò a proporre l’idea di ribellione a ciascun prigioniero del campo. Insistette affinché tutti fuggissero, poiché chi fosse rimasto sarebbe comunque stato ucciso dai nazisti. L’ufficiale dell’Armata Rossa disse senza mezzi termini agli altri prigionieri: «nel tentativo di fuga molti moriranno, ma alcuni avranno la possibilità di liberarsi«. Nel campo di Sobibor, Pečerskij trascorse solo tre settimane ed in questo breve tempo cercò costantemente di ideare ed organizzare il piano di fuga.1
La maggior parte dei prigionieri del campo di Sobibor sosteneva il piano del tenente Pečerskij.
Il 14 ottobre 1943 i prigionieri del campo di sterminio si ribellarono. Secondo il piano di Pečerskij, i prigionieri dovevano segretamente e uno ad uno eliminare i soldati delle SS con i quali avevano contatto. Infatti chi lavorava nel campo era sempre in continuo contatto con i soldati tedeschi perché dovevano mostrare il lavoro che stavano svolgendo. Così, l’idea di Pečerskij era quella che ogni lavoratore prigioniero doveva attirare un solo soldato delle SS in un luogo chiuso con una scusa plausibile ed ucciderlo. Fondamentalmente però i prigionieri del campo di Sobibor affidarono il compito di uccidere i soldati nazisti al tenente Pečerskij ed a qualche altro soldato dell’Armata Rossa, in quanto loro, diversamente dalla stragrande maggioranza dei prigionieri erano stati addestrati militarmente nell’abilità del combattimento corpo a corpo, quindi era più facile per loro avere a che fare con i soldati delle SS.1 Poi dopo aver preso il possesso delle armi dall’armeria, avrebbero dovuto uccidere le guardie ucraine.
Nel giorno stabilito, il 14 ottobre 1943, i nazisti iniziarono ad essere attirati uno ad uno nei laboratori con pretesti pretestuosi, come adattare l’uniforme. Qui, senza far rumore furono strangolati o uccisi da colpi di ascia da Pečerskij e qualche altro soldato dell’Armata Rossa prigioniero del campo.1
Il piano ebbe successo solo parzialmente: i ribelli furono in grado di uccidere 12 soldati delle SS ma non riuscirono a prendere possesso del deposito di armi. I soldati delle SS superstiti lanciarono l’allarme e dalle torri di guardia aprirono il fuoco delle mitragliatrici sui prigionieri i quali nella fuga riuscirono ad uccidere tutte le guardie ucraine ma furono costretti ad uscire dal campo attraversando i campi minati nel tentativo di raggiungere la foresta circostante.3
Dei quasi 550 prigionieri del campo di lavoro, 130 non parteciparono alla rivolta (rimasero nel campo perché gravemente malati o solo fisicamente esausti da non potersi unire ai fuggiaschi, altri invece speravano che la sottomissione assoluta li avrebbe aiutati a sopravvivere), circa 80 morirono durante la fuga e altri 170 furono catturati dai tedeschi durante una ricerca su vasta scala. Tutti i restanti nel campo e catturati dopo la fuga, il giorno successivo furono immediatamente uccisi dai nazisti, come Pečerskij aveva immaginato fosse accaduto.
Quindi sommando chi non partecipò alla rivolta, chi fu ucciso durante il tentativo di fuga e chi fu catturato ed ucciso successivamente, il numero dei morti è di un totale di 380 persone.
Il destino dei 170 prigionieri che invece riuscirono a fuggire fu determinato dalla scelta che effettuarono. Alcuni decisero di seguire il tenente Pečerskij il quale voleva dirigersi in Bielorussia per unirsi ai partigiani ed attendere l’arrivo dell’Armata Rossa, altri invece, spaventati dall’idea di combattere al fianco dei partigiani e di venir poi arruolati nell’Armata Rossa, decisero di rimanere in Polonia. Solo 53 partecipanti alla rivolta sopravvissero fino alla fine della guerra e tutti loro dovettero la loro vita al coraggio ed all’abilità del tenente dell’Armata Rossa Aleksandr Pečerskij.1
La maggior parte di coloro che partirono con il tenente Pečerskij (e questi erano per lo più soldati dell’Armata Rossa fatti prigionieri di guerra dai nazisti) si salvarono. La maggior parte di quelli che decisero di rimanere in Polonia morirono. E la maggior parte di loro non morì per mano dei nazisti, ma per mano dei polacchi: quasi 90 prigionieri di Sobibor che non seguirono Pečerskij furono vittime di collaboratori dei nazisti, oltre che di comuni abitanti polacchi antisemiti.
Il comando militare tedesco si infuriò per l’avvenuta rivolta di Sobibor e la fuga di molti suoi prigionieri. Su ordine diretto di Heinrich Himmler, il campo di Sobibor fu immediatamente demolito, i terreni furono arati, i nazisti piantarono cavoli e patate sul luogo del massacro di migliaia di persone.
Il 22 ottobre 1943, Aleksandr Pečerskij e gli ex prigionieri di guerra del campo di Sobibor che lo avevano seguito dopo la fuga, si unirono ad un distaccamento partigiano in Bielorussia per aiutarli a combattere finché l’Armata Rossa non avesse liberato la Bielorussia. Durante le battaglie al fianco dei partigiani, Pečerskij ed i suoi uomini riuscirono a far deragliare due treni tedeschi uccidendo i nazisti che viaggiavano all’interno.

Il tenente Pečerskij in prima fila tra i partigiani
Quando l’Armata Rossa liberò la Bielorussia, Pečerskij fu arruolato nuovamente ed assegnato ad un battaglione di fanteria d’assalto.4
Il comandante del battaglione, il maggiore Andreev, fu così scioccato dalla storia di Pečerskij e della rivolta di Sobibor che, nonostante il divieto di lasciare la posizione del battaglione, permise a Pečerskij di andare a Mosca per essere ascoltato dalla «Commissione di indagini sulle atrocità degli invasori fascisti tedeschi e dei loro sostenitori». Nella commissione, gli scrittori Pavel Antokolskij e Veniamin Kaverin ascoltarono la storia di Pečerskij e pubblicarono un saggio dal titolo «Rivolta a Sobibor». Dopo la guerra, il saggio è entrato nella famosa collezione «Il Libro Nero».5 La collezione fu bandita dalla censura per la pubblicazione nell’Unione Sovietica del 1947.6 7 Il libro è stato pubblicato per la prima volta in Russia nel 2015.8 9
Pečerskij, durante gli anni dell’Unione Sovietica non è stato tra i più famosi eroi di guerra. E’ stato premiato solo con due medaglie: «Per la vittoria sulla Germania» e «Per il merito militare», ma non ha avuto altri riconoscimenti che invece avrebbe certamente meritato. C’erano diverse ragioni per un atteggiamento freddo nei confronti della rivolta di Sobibor. Nell’Unione Sovietica, non era consuetudine concentrarsi sulle imprese mono-etniche della guerra, e la rivolta di Sobibor era opera principalmente opera degli ebrei. Inoltre, i rapporti deteriorati tra l’Unione Sovietica ed Israele hanno prodotto un effetto di scarsa attenzione su questa eroica ed emozionante impresa: in Israele, la storia della rivolta di Sobibor è stata celebrata a livello statale, il che costrinse la leadership sovietica a prestargli meno attenzione.1
C’era un altro aspetto importante da considerare: le vicende dei prigionieri fuggiti uccisi per mano dei polacchi minacciavano di rovinare i rapporti tra l’Unione Sovietica e la Polonia socialista, così a livello politico si decise di non celebrare la rivolta di Sobibor.1
Riprendiamo il racconto della vita di Pečerskij. Dopo essere stato ascoltato a Mosca dalla «Commissione di indagini sulle atrocità degli invasori fascisti tedeschi e dei loro sostenitori», Pečerskij fu inviato di nuovo nelle file del 15° Battaglione d’assalto e combatté sul 1° Fronte del Baltico. Il 20 agosto 1944, fu ferito alla coscia da una scheggia di una mina e dopo quattro mesi di cure negli ospedali, fu congedato in quanto divenne disabile e non più adatto al servizio militare. Nell’ospedale vicino a Mosca dove era ricoverato, Pečerskij incontrò colei che sarebbe divenuta la sua seconda moglie, Olga Ivanovna Kotova, dalla quale ebbe una figlia di nome Eleonora.2 3 6

Pečerskij e sua moglie Olga Ivanova Kotova
Aleksandr Aronovič Pečerskij visse tutta la sua vita post-bellica a Rostov sul Don, dove lavorò come direttore del teatro della commedia musicale.
Nel 1948, durante una campagna politica di persecuzione definita «Lotta contro il cosmopolitismo» Pečerskij perse il lavoro. Dopo di ciò, non ha poté ottenere un lavoro per cinque anni e visse con i soldi del lavoro di sua moglie.

Pečerskij e sua moglie Olga Ivanova Kotova
Dopo la morte di Stalin, nel 1954 Pečerskij ottenne un nuovo posto di lavoro nello stabilimento di Rostmetiz come direttore di un forno per il pane. Dal 1960 fu assunto nel corpo di polizia.
Nel 1963, Aleksandr Pečerskij fu testimone dell’accusa al processo contro undici guardie ucraine nel campo di Sobibor.10
Nel 1987, tre anni prima della sua morte, ad Hollywood, è stato girato il film «Fuga da Sobibor», in cui l’attore Rutger Hauer ha interpretato il ruolo di Pečerskij. Lo stesso Pečerskij fu invitato alla prima del film, ma essendo malato e non sapendo quanto tempo ancora avrebbe vissuto, decise di non recarsi negli Stati Uniti per paura di non morire in Russia.
Pečerskij morì a Rostov sul Don il 19 gennaio 1990 ed è sepolto nel cimitero nord della città.
Nella città di Rostov sul Don è stato creato un monumento in ricordo di Aleksandr Pečerskij e anche il presidente Putin ha voluto incontrare la figlia di Pečerskij, Eleonora, omaggiandola con fiori e assumere con lei iniziative per onorare la memoria dell’eroe, autore di un’impresa straordinaria.

Il presidente Putin con la figlia di Pečerskij
Tra le iniziative per onorare la memoria di Pečerskij, il 3 maggio 2018 in Russia, è uscito un film dal titolo «Sobibor», diretto dal regista Konstantin Jur’evič Chabenskij il quale ha interpretato anche il ruolo di Aleksandr Aronovič Pečerskij.
Consiglio vivamente a tutti di vedere questo film, anche se non conoscete il russo. Ne vale assolutamente la pena.
Per chi volesse vederlo, ecco a voi il film.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Лейтенант Печерский из Собибора
(4) Собибор / Сост. С. С. Виленский, Г. Б. Горбовицкий, Л. А. Терушкин. — М.: Возвращение, 2008. — 264 с
(5) Черная Книга. Под ред. В. Гроссмана и И. Эренбурга. МИП «Обериг» Киев.- 1991
(6) ЗАБЫТЫЙ ПОДВИГ
(8) Чёрная книга
(9) Эренбург Илья Григорьевич, Алигер(Зейлигер) Маргарита Иосифовна, Гроссман Василий Семенович. Черная книга. — М.: Corpus, 2015. — 768 с.
(10) Печерский Александр
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