Questo non è un articolo breve. C’è molto da leggere, lo capisco, tuttavia credo fermamente che l’argomento sia abbastanza importante da meritare un’analisi approfondita e dettagliata.
La storia della guerra in Jugoslavia e della sua conseguente disgregazione, è una storia in buona parte ancora non scritta, perché sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che si vuole continuare ad occultare. Il massacro di Srebrenica è stato presentato dai grandi media occidentali come la peggiore atrocità commessa in Europa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Per anni la narrazione degli eventi riguardo quanto avvenuto quell’11 luglio del 1995, è stata viziata da interpretazioni personali e di parte degli storici ed è stata volutamente travisata da giornalisti asserviti ai centri di potere mediatico-economico europei e statunitensi, inadeguati nell’affrontare con indipendenza temi geopolitici.
La tragedia di Srebrenica è stata abusata più volte, e continua a essere abusata, come pretesto per organizzare un intervento politico e/o militare contro stati sovrani, o intromettersi nei loro affari interni e fomentare turbamenti interni per motivi «umanitari». «Dobbiamo evitare un’altra Srebrenica!» è un grido di guerra che è stato ascoltato spesso negli ultimi anni, come prefazione a interventi militari occidentali in Jugoslavia (Kosovo), Congo, Macedonia, Iraq, Siria, Libia. Srebrenica è anche un pilastro importante nell’ideologia dietro la dottrina della cosiddetta «responsabilità di proteggere», adottata per legalizzare gli interventi militari dell’Occidente. Questo è il motivo per cui la verità su Srebrenica è una questione di rilevante importanza.
Secondo la versione ufficiale dell’accaduto, l’11 luglio del 1995, le truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić sarebbero entrate a Srebrenica, una città dell’est della Bosnia Erzegovina, dichiarata dalle Nazioni Unite nel 1993 «zona franca» e totalmente disarmata in cui i soldati e le armi non potevano entrare, massacrando circa ottomila uomini e ragazzi bosniaci di religione musulmana. In seguito il Tribunale penale internazionale dell’Aia definì tale avvenimento un genocidio. La notizia di quell’evento fece in breve il giro del mondo. L’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, che in quell’anno era sotto pressione da parte dei grandi mezzi di comunicazione di massa per lo scandalo sessuale e le sue bugie sulla relazione con Monica Lewinsky, al fine di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, decise di sostenere con più forza i Musulmani Bosniaci e dichiarò: «Questa faccenda non può continuare dobbiamo assumerne il controllo«.
Ad agosto gli Stati Uniti dettero il via libera a una massiccia offensiva nella regione controllata dai serbi, battezzata Operazione Tempesta. Nei vari giorni di combattimento gli eserciti croati e musulmani compirono una vera e propria pulizia etnica. Duecentomila serbi abbandonarono le loro case e vi furono decine di migliaia di morti e dispersi. Nonostante questo però, ancora oggi Srebrenica rappresenta agli occhi dell’opinione pubblica occidentale il simbolo della malvagità del popolo serbo e della sofferenza dei musulmani bosniaci, come della correttezza dello smembramento della Jugoslavia e dei bombardamenti effettuati dagli Occidentali.
Solo negli ultimi anni e per giunta faticosamente, sono emerse nuove documentazioni relative alla guerra in Bosnia, ad uso di coloro che in buona fede sono stati raggirati e usati dalla disinformazione occidentale, attuata in questi decenni, e che spesso per non documentazione o forse ingenuità, hanno sostenuto le «ragioni» della NATO e dell’Occidente, ingrossando le fila di quell’opinione pubblica occidentale, pacifista e democratica, ma schierata per la necessità di bombardare la Jugoslavia e «fermare gli orrori», naturalmente di una sola parte: i «serbi cattivi». Non è intento di questo articolo negare che i serbi non abbiamo commesso atrocità, ma chi nella guerra civile nella ex Jugoslavia, finge di non vedere le atrocità commesse dai croati e dai musulmani bosniaci, è intellettualmente disonesto, ridicolo e ipocrita. Qualsiasi guerra purtroppo comporta stragi ed orrori e molto spesso ha come prima vittima i civili. Il problema però è che i governi occidentali ed i media a loro asserviti, al fine di giustificare le loro azioni e realizzare i loro piani geopolitici, hanno avviato un’immensa campagna di propaganda al fine di demonizzare i serbi descrivendoli come un popolo crudele, intento a perseguitare croati, albanesi e bosniaci, tacendo invece sui crimini e sulle violenze messe in atto dalle altre parti del conflitto.
Nel 1980, dopo la morte del maresciallo Tito, la Jugoslavia divenne l’obiettivo geostrategico primario di una serie di avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue spoglie.
Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese, avviata già nel biennio 1986-87. Il quotidiano britannico «The Guardian», in un articolo pubblicato il 22 aprile 2002 riguardo le vicende della Bosnia degli anni Novanta, mette in luce la stretta collaborazione segreta e la collusione tra il governo degli Stati Uniti ed i movimenti fondamentalisti islamici di tutto il mondo. Washington ed i fondamentalisti islamici trovarono un interesse comune nei primi anni 1990, per aiutare i musulmani bosniaci secessionisti a combattere e demonizzare i serbi. Ecco un estratto dell’articolo del «The Guardian» a firma di Richard J. Aldrich, giornalista e professore di «Sicurezza Internazionale» all’Università di Warwick: «L’inchiesta ufficiale olandese sul massacro di Srebrenica 1995, pubblicata la scorsa settimana, contiene uno dei rapporti più sensazionali sull’intelligence occidentale mai pubblicati. I funzionari sono stati frastornati dalle sue conclusioni ed il governo olandese si è dimesso. Uno dei suoi molti volumi è dedicato alle attività clandestine durante la guerra in Bosnia dei primi anni 1990.
Per cinque anni , il professor Cees Wiebes dell’Università di Amsterdam University ha avuto libero accesso ai file segreti olandesi e ha effettuato numerosi viaggi in Bosnia per ricostruire gli accadimenti segreti di quegli anni. Le sue scoperte sono esposte in «L’Intelligence e la guerra in Bosnia, 1992-1995». Esso comprende notevole materiale su operazioni segrete, intercettazioni, agenti doppi e coinvolgimento di decine di agenzie di intelligence nella guerra in Jugoslavia.
Ora abbiamo la storia completa della alleanza segreta tra il Pentagono e gruppi islamici radicali del Medio Oriente, progettato per assistere i musulmani bosniaci — alcuni di quegli stessi gruppi che il Pentagono sta ora combattendo nella sua «guerra contro il terrorismo». Le operazioni del Pentagono in Bosnia hanno riproposto un altro loro «ritorno di fiamma».
Nel 1980 , i servizi segreti di Washington avevano sostenuto Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran. Poi, nel 1990, gli Stati Uniti lo hanno combattuto nel Golfo. Sia in Afghanistan che nel Golfo , il Pentagono per raggiungere i suoi scopi, aveva contratto debiti con alcuni gruppi islamici ed i loro sponsor nel Medio Oriente.
Nel 1993, questi gruppi, molti dei quali sostenuti dall’Arabia Saudita, erano ansiosi di aiutare i musulmani bosniaci nei combattimenti in Jugoslavia e reclamarono i loro crediti con gli statunitensi. Bill Clinton e il Pentagono erano desiderosi di essere visti come degni di credito e hanno rimborsato con un’operazione di massiccio armamento di questi gruppi, in flagrante violazione dell’embargo sulle armi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro tutti i combattenti nella ex Jugoslavia.
Il risultato fu un vasto canale segreto di contrabbando di armi attraverso la Croazia, organizzato dalle agenzie di sicurezza clandestine degli Stati Uniti, insieme a una serie di gruppi islamisti radicali, compresi i Mujaheddin afghani.
Le armi acquistate con il sostegno finanziario dell’Arabia Saudita, giungevano trasportate da una misteriosa flotta di aerei C-130 Hercules neri. La relazione del professor Wiebes, sottolinea che gli Stati Uniti erano «molto strettamente coinvolti» nel trasporto aereo. Combattenti Mujaheddin furono aerotrasportati in Bosnia e destinati come truppe d’assalto per le operazioni particolarmente pericolose.
Occorre considerare che la forza di protezione delle Nazioni Unite, UNPROFOR, era dipendente dall’intelligence di quelle nazioni che la costituirono e dalle sofisticate capacità di monitoraggio degli Stati Uniti per sorvegliare l’embargo sulle armi. Questo diede al Pentagono la capacità di manipolare l’embargo a sua discrezione, facendo finta di non vedere il traffico di armi notturno da loro organizzato«.1
Nel 2007, un libro curato da Ivana Kerečki intitolato «Il dossier nascosto del «genocidio» di Srebrenica», edito da «La Città del Sole», svolge un’accurata analisi storica, smontando pezzo per pezzo la tesi della pulizia etnica programmata e pianificata messa in atto dai serbi in tale frangente.2 3
Il dossier si compone di quattro parti fondamentali: la prima analizza parte dell’operato del «Srebrenica Research Group», un gruppo indipendente di personalità anglosassoni tra cui l’alto responsabile delle Nazioni Unite, Philip Corwin, che si trovava in Bosnia-Erzegovina all’epoca dei fatti e che riuscì a sfuggire miracolosamente a un attentato orchestrato dalle forze armate del governo musulmano bosniaco proprio in ragione delle funzioni da lui svolte. Corwin ripercorre l’operato delle Nazioni Unite in Bosnia Erzegovina durante quel periodo, ponendo in evidenza il sistematico boicottaggio che nei confronti dell’ONU stessa veniva messo in atto dalle autorità della NATO; il solo personale russo, infatti, aveva le idee sufficientemente chiare su ciò che stava per accadere, nel definire la presa di Srebrenica da parte dei serbi «l’unica soluzione sensata«, mentre il resto del personale era continuamente alle prese con i «bombardieri da salotto» di Washington che continuavano a premere per le incursioni aeree. Egli evidenzia come il fantastico numero di ottomila uccisi a Srebrenica (che in realtà, come vedremo, sono stati almeno dieci volte meno) fosse scaturito solo da un calcolo politico congiunto tra il governo di Sarajevo e le potenze occidentali per poter mettere in atto le ritorsioni contro la Serbia. Ciò che accadde nella cittadina bosniaca, secondo la lucida analisi dell’ex rappresentante ONU, fu solo il culmine di una serie di attacchi e contrattacchi che si protraevano ormai da tre anni, ma niente a che vedere con un genocidio.2 3
Vengono altresì analizzate le incongruenze per cui la città, dichiarata dalle Nazioni Unite «zona di sicurezza» e quindi disarmata, altro non era che una frode. «Zona di sicurezza» significava due cose principali: in primo luogo, che i musulmani bosniaci dovevano demilitarizzare totalmente l’intera città, mentre i serbi di Bosnia dovevano smettere di attaccarla, e non pensare neppure di entrarvi. Questi «zone di sicurezza» delle Nazioni Unite erano destinati solo ai civili. In realtà, però, i musulmani bosniaci mantennero in città un’intera divisione di montagna composta da migliaia di uomini, il 28° reggimento dell’esercito musulmano bosniaco comandato da Naser Orić, che continuarono a rinforzare sia via terra che per via aerea. Naturalmente i media occidentali non si sono minimamente chiesti come mai una forza così imponente potesse trovarsi in una zona protetta teoricamente disarmata. Inoltre, i musulmani bosniaci utilizzavano costantemente Srebrenica come base sicura per attaccare le posizioni dei serbi di Bosnia attorno alla città. All’inizio della guerra, con la connivenza dell’ONU i musulmani bosniaci avevano potuto compiere indisturbati le loro operazioni di pulizia etnica, avevano bruciato tutti i villaggi abitati dai serbi attorno a Srebrenica e massacrato la maggior parte dei civili che vi avevano trovato vivi (stiamo parlando di diverse migliaia di civili). I serbi locali avevano promesso che un giorno si sarebbero vendicati per questi massacri e alcuni di essi lo hanno fatto davvero quando i soldati del generale Mladić sono entrati a Srebrenica. E fu così che l’Occidente aveva finalmente trovato un casus belli.2 3

Naser Orić
Il seguito dell’analisi è curato dal giornalista Edward Herman che pone in luce le politiche mistificatorie che hanno seguito i fatti di Srebrenica, mistificazioni poste in atto da un universo giornalistico addomesticato in cui fece la sua apparizione la lunga mano elargitrice del finanziere Soros. Herman ha indagato sull’origine della cifra degli ottomila giustiziati: tale inverosimile dato scaturì da un rapporto della Croce Rossa basato esclusivamente su una lista di nomi fornita dalle autorità bosniache. Secondo questa lista i serbi avevano fatto tremila prigionieri e cinquemila persone risultavano irreperibili; non fu dato rilievo al fatto che diverse migliaia di persone, come si scoprì, avevano ottenuto rifugio nella Bosnia centrale e nella stessa Serbia: la Croce Rossa rispose candidamente quanto squallidamente che non poteva depennare i nomi delle persone rinvenute in vita dalla lista dei cinquemila scomparsi perché «non ne avevano ricevuto i nomi«.2 3 A quanto riportato dal dossier, c’è da aggiungere che Miroslav Toholi, ex rappresentante del’esercito serbo, in un’intervista al giornale tedesco «Junge Welt», ha raccontato che le autorità musulmane hanno dichiarato vittime del presunto genocidio, alcune centinaia di caduti nei combattimenti e tra essi anche dei mercenari stranieri che hanno perso la vita nelle vicinanze di Han Pjesak. In sintesi le cifre fornite dai musulmano bosniaci, le quali riportano più di 8.000 vittime, comprendono: a) di fatto vittime di esecuzioni, b) morti per altre cause, sia in combattimento con le forze serbe, per cause naturali, a causa di un suicidio, battaglia o lotte intestine tra le forze musulmane stesse, c) ancora dispersi e il cui destino esatto non è noto. Solo quelli sotto la voce a) possono essere considerati vittime di crimini di guerra. Eppure, tutte queste categorie di vittime sono ammassate insieme in una cifra comune al fine di gonfiarla a sufficienza per giustificare l’affermazione di «genocidio». Occorre notare però, che nel il Tribunale Internazionale dell’Aia, né qualsiasi altra istituzione, sia stata in grado di determinare con precisione il numero dei prigionieri giustiziati.4
Nel 2015, le lapidi del Centro memoriale di Potočari, vicino a Srebrenica, erano circa 6.300. Ciò che risulta molto strano è che la procedura di sepoltura è completamente controllata dall’Istituto della Bosnia-Erzegovina per le persone scomparse, con sede a Sarajevo, e dalle autorità religiose musulmane, che, con il pretesto di rispetto delle regole e delle prescrizioni religiose, non hanno mai consentito alcun accesso di terzi ai contenuti delle bare, così come non hanno consentito alcuna verifica indipendente dei resti sepolti. Ciò significa che persino agli avvocati di difesa degli imputati al Tribunale Internazionale dell’Aia ed ai loro consulenti, è stato negato l’accesso per confermare l’identità dei resti umani sepolti. Per illustrare la natura opaca del Centro memoriale di Potočari e i giochi oscuri che lo circondano, è istruttivo leggere le parole di Haša Omerović, una donna bosniaca-musulmana che perse il marito, il padre ed il fratello a Srebrenica nel luglio 1995, ma che ha rifiutato di far seppellire il marito nel cimitero del Centro memoriale di Potočari: «Ci sono altre famiglie che hanno evitato di parlarne in pubblico, ma che hanno sepolto in silenzio, a proprie spese, i loro cari in altri luoghi, al di fuori di Potočari. Ci sono anche persone sepolte a Potočari, che non sono state uccise nel 1995, che erano soldati o comandanti. Sono sepolti a Potočari, e loro monumenti sono gli stessi di quelli delle persone che erano state effettivamente uccise nel luglio 1995. Inoltre vi sono sepolte persone uccise in lotte intestine o morte in altri tipi di battaglie. Queste ultime erano le guerre più sporche, condotte da mafiosi musulmani bosniaci, non da gente normale«.5
Herman poi evidenzia infine il sistematico ricorso, da parte della propaganda anti-serba, alle collaudate tecniche subliminali consistenti nell’inventare eventi infarciti con ogni sorta di particolare macabro e raccapricciante.2 3 Questa tecnica fu messa a punto dalla CIA col nome «The Quarterd Man«.6
La seconda parte dell’opera è dedicata alle testimonianze dirette degli avvenimenti, tra cui quella del generale canadese Lewis Mac Kenzie, primo comandante delle forze ONU a Sarajevo. Questi, confermando con la sua narrazione la prassi precedentemente descritta secondo cui spesso le forze armate del governo di Sarajevo hanno deliberatamente colpito i propri stessi cittadini al fine di favorire la reazione internazionale (leggasi: NATO) contro i serbi, racconta anche di come le richieste di incremento di truppe presentate dagli alti ufficiali ONU per la protezione di Srebrenica e delle altre enclavi furono costantemente disattese col preciso intento di assecondare i piani bosniaci e delle bande di Orić che prevedevano la presa della città da parte serba, al fine di scatenare la rappresaglia. Circostanziata teoria ripresa dall’alto funzionario ONU Carlos Martins Branco, il quale arricchisce il dossier con le particolarità relative al ritiro e alla mancata difesa della cittadina da parte delle truppe regolari e irregolari di Sarajevo. Chiudono il capitolo una intervista al Dr. Milan Bulajić, che ci svela di come le autorità bosniache abbiano omesso lo svolgimento di un censimento obbligatorio della popolazione sia nel 1996 che nel 2001 al fine di occultare il numero reale di persone decedute a Srebrenica, e due ritratti che mettono a luce la natura sanguinaria del comandante bosniaco Naser Orić.2 3
La terza parte del dossier prende in considerazione il rapporto redatto sui fatti di Srebrenica da una commissione speciale del governo serbo. Tale dettagliato rapporto, arricchito con minuziosa documentazione, non solo fa chiarezza sulla situazione sul terreno in Bosnia-Erzegovina pre-1995, quindi precedentemente ai fatti di Srebrenica, ma smentisce categoricamente e contraddice le requisitorie del Tribunale penale internazionale dell’Aia. Il rapporto governativo, inoltre, pur ammettendo che sporadici episodi di giustizia privata e di vendetta sommaria possono aver avuto luogo ai danni della popolazione musulmana, evidenzia come fu proprio la presenza sul campo e la determinazione del generale Ratko Mladić a scongiurare il reiterarsi di tali circostanze. Lord Paddy Ashdown, l’alto rappresentante dell’ONU in Bosnia, ha vietato la diffusione di questo rapporto e si è premurato di farne redigere un secondo, da una commissione alle sue dipendenze.2 3
La quarta sezione del dossier è dedicata a un filmato, contenuto in una video cassetta, stranamente rinvenuta il giorno del decimo anniversario dei fatti di Srebrenica. Tale filmato è stato presentato da tutti i mezzi di comunicazione del mondo come la prova incontrovertibile dell’eccidio di ottomila persone inermi perpetrato dai serbi nella cittadina bosniaca. Dietro questa buffonata c’è una tale Nataša Kandić, avvocatessa serba dirigente di una delle famigerate ONG che operano in Serbia per piegare il Paese alla sudditanza atlantica con la trita e consumata scusante dei «diritti umani». Il filmato mostra l’esecuzione di sei uomini non meglio identificati da parte di altrettanto non meglio identificati paramilitari serbi. Le numerose pagine della circostanziata analisi del dossier, mostrano come non quadra l’identificazione delle vittime, né quelle dei carnefici; non quadra l’identificazione del luogo dell’esecuzione e decine di altri dettagli.2 3
Grande pregio di questo dossier, inoltre, sta nell’aver spazzato via, attraverso una metodologia storiografica lucida e corretta, quella che si potrebbe definire l'»ipocrisia delle cifre». Secondo quanto riferì il presidente bosniaco Izetbegović fu lo stesso Clinton a richiedergli almeno cinquemila morti per scatenare la rappresaglia contro i serbi.2 3 E così Bill Clinton non fece alcuno scrupolo ad ordinare dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force, una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i sistemi di controllo del territorio.7
E sempre Bill Clinton non si fece alcuno scrupolo a collaborare ed appoggiare il presidente bosniaco Alija Izetbegović. Bill Clinton non se ne vergognò affatto! Ora alcuni lettori si chiederanno per quale motivo si sarebbe dovuto vergognare. La domanda che alcuni lettori si pongono è del tutto legittima, perchè nessun quotidiano o media mainstream occidentale si è mai preso la briga di rendere noto all’opinione pubblica chi fosse questo individuo, anzi lo hanno sempre dipinto come un islamico moderato e come una brava persona. Allora è bene, che prima di proseguire l’articolo con la questione di Srebrenica, ci rendiamo conto e capiamo chi era Izetbegović. Durante la Seconda Guerra Mondiale, egli aderì all’organizzazione «Giovani Musulmani» la quale si occupava di reclutare uomini per la famigerata divisione SS Handschar (Handžar in croato) in collaborazione con i servizi d’informazione della Germania Nazista (Abwehr e Gestapo). La divisione SS Handschar venne costituita nel febbraio del 1943 su ordine di Hitler e con la benedizione del Muftì di Gerusalemme, stretto collaboratore del Führer, al fine di combattere i partigiani di Tito. Le tecniche del terrore utilizzate dai suoi soldati ed ereditate da quelle dei Turchi all’epoca dell’Impero Ottomano, furono spaventosamente crudeli. Esse andavano dallo stuprare le donne, strappare gli occhi e tagliare i testicoli degli uomini vivi. Si dice che la loro crudeltà fosse tale che persino gli stessi ufficiali tedeschi delle SS ne risultassero scioccati.

Alija Izetbegović

Alija Izetbegović
Nel 1946, Izetbegović fu condannato dalla Corte Suprema della ex Jugoslavia a tre anni di prigione e a due di perdita dei diritti civili a causa delle sue attività filo-naziste. Nel suo libro «La Dichiarazione Islamica» pubblicato nel 1970 e mai rinnegato scrisse: «Non esiste né pace, né coesistenza fra la religione islamica e le istituzioni politiche o sociali non islamiche. Avendo il diritto di governare il proprio mondo, l’Islam esclude evidentemente il diritto e la possibilità di conformarsi ad una ideologia straniera sul proprio territorio«. Per aver dato prova di fondamentalismo ed intolleranza verso le altre religioni egli fu condannato a dodici anni di prigione dalla Suprema Corte della Bosnia il 14 marzo del 1983. Ciononostante, malgrado l’interdizione alla pubblicazione, il suo scritto venne ristampato nel 1990.8
I media mainstream italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un «macellaio» il Generale Mladić e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadžić, hanno praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia, riguardante le dichiarazioni di Ibran Mustafić, ex sindaco di Sarajevo, ex deputato del Partito d’Azione Democratica e veterano di guerra bosniaco-musulmano. Le dichiarazioni di Mustafić, rilasciate nel 2014, fanno piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati serbi, ma dei musulmani bosniaci.7

Ibran Mustafić
Ibran Mustafić, ha rilasciato ai media una sconcertante confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della città. Mustafić ha affermato che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà«.7
Ibran Mustafić ha pubblicato un libro, «Caos pianificato«, nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante la guerra, anche durante il periodo in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle Nazioni Unite.7
Mustafić ha raccontato inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare bosniaco Naser Orić. A causa delle torture di comuni cittadini nel 1994, quando Orić e le autorità locali vendevano gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. Mustafić nel suo libro scrive: «Coloro che cercarono la salvezza in Serbia, si salvarono, ma coloro che fuggirono in direzione di Tuzla ( governata dall’esercito musulmano) furono perseguitati o uccisi«.E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica nel luglio del 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafić descrive molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992, quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.7
Mustafić inoltre nel suo libro ricorda: «Un mio parente, Mirsad Mustafić mi mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di scuola Branko Simić e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ilić, dell’infermiera Rada Milanović«. Mustafić riferisce della confessione di Naser Orić, il comandante bosniaco musulmano nella guerra di Srebrenica: «Quando abbiamo preso i serbi dalla prigione all’interno della quale li avevamo messi dopo averli catturati, è iniziato il massacro. Ho afferrato Slobodan Ilić! Gli sono saltato addosso! Era barbuto e capelluto come un animale . Lui mi guardava e non disse una parola. Ho preso la baionetta e gliel’ho infilata in un occhio. Lui non ha nemmeno chiesto pietà! Poi l’ho colpito con il coltello nell’altro occhio. Non potevo crederci che restasse in silenzio! Francamente in quel momento ho avuto paura , così gli ho subito tagliato la gola!«9
A tal proposito, nel libro è riportato anche un racconto dello zio di Mustafić: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di riportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai ad una certa distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato, mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunović ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanović con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potočari. L’intera strada era inondata di sangue«.7
Alcuni potrebbero dubitare dell’attendibilità di Ibran Mustafić e credere che questi racconti siano in qualche modo non corrispondenti alla realtà. Allora per sgomberare il campo da ogni sorta di dubbio riguardo l’operato di Naser Orić, riportiamo quanto affermato da altre fonti. Orić si guadagnò effettivamente una reputazione di estrema brutalità. Con la sua targhetta con la scritta «U.S Army» sulla divisa, con l’appoggio politico di Izetbegović, Orić credeva di poter agire impunemente. Aveva perfino videoregistrato alcuni dei suoi massacri, comprese le teste mozzate dei serbi, mostrando queste videocassette ai giornalisti John Pomfret del Washington Post e a Bill Schiller del Toronto Star. Schiller scrisse che Orić era «uno dei più sanguinari guerrieri ad aver mai attraversato un campo di battaglia«10 e poi racconta di una visita alla sua casa nel gennaio 1994: «In una notte fredda e nevosa, mi sono seduto nel suo salotto a guardare un video scioccante riguardo i massacri perpetrati da Naser Orić. C’erano case in fiamme, cadaveri, teste mozzate, e persone in fuga. Orić ha sorriso per tutto il tempo, ammirando la sua opera. «Li abbiamo presi in un’imboscata», ha detto quando un certo numero di serbi morti è apparso sullo schermo.
La successiva serie di cadaveri era stata fatta a pezzi con esplosivi: «Abbiamo lanciato quei ragazzi fin sulla luna» si vantava. Quando sono apparse le riprese di una città fantasma colpita da proiettili ma senza corpi visibili, Orić si è affrettato ad annunciare: «Là abbiamo ucciso 114 serbi». Il video si concludeva con festeggiamenti dei soldati musulmani bosniaci che cantavano in coro il nome di Naser Orić.10
Il comandante generale delle Nazioni Unite Phillipe Morillon, che prestò servizio nel 1992 e nel 1993, cioè nel corso dei massacri messi in atto dai musulmani bosniaci, durante la testimonianza al processo contro Milošević, il 12 febbraio 2004 riferì al procuratore del Tribunale Internazionale dell’Aia: «Naser Orić compiva attacchi durante le feste ortodosse e distruggeva villaggi, massacrando tutti gli abitanti serbi. Questo creò un livello di odio piuttosto straordinario nella regione.» Nonostante le sue responsabilità riguardo il massacro di 3.262 serbi, dei quali 2.382 erano civili, il presidente bosniaco Izetbegović gli conferì il Giglio d’Oro, la più alta decorazione militare della Bosnia.

Hakija Meholjić
Hakija Meholjić, l’allora capo della polizia di Srebrenica e collaboratore di Naser Orić, in un’intervista al giornale musulmano bosniaco «Dani«, ha ricordato che in occasione della conferenza bosniaca a Sarajevo nel settembre 1993, il presidente Izetbegović aveva affermato di aver discusso vari scenari per Srebrenica con il presidente Clinton. Meholjić nell’intervista affermò: «Io ed Orić, siamo stati ricevuti dal presidente Izetbegović, e subito dopo l’accoglienza ci ha chiesto: «Cosa ne pensate di scambiare Srebrenica per Vogosca (un sobborgo di Sarajevo)?» C’è fu un silenzio per un po’ e poi io dissi: «signor presidente, se questa è una decisione già presa, allora non avrebbe dovuto invitarci qui, perché dobbiamo tornare immediatamente a Srebrenica, affrontare la gente ed accettare personalmente il peso di questa decisione». Poi lui mi disse: «sapete, mi è stato offerto da Clinton nell’aprile 1993 di lasciare che le forze dei cetnici (un termine derisorio utilizzato dai bosniaci nei confronti dei serbi) entrino a Srebrenica, compiano un massacro di 5.000 musulmani, e poi ci sarà un intervento militare»«. Nonostante le successive mentite di Izetbegović, vi sono otto testimoni che hanno confermato ciò che il presidente Izetbegović dichiarò alla delegazione di Srebrenica.4 Michael Evans, giornalista del London Times affermò che «il fatto che i comandanti dell’esercito bosniaco e una grande divisione militare avevano abbandonato
la città prima che i serbi ne violassero il perimetro, era un segno che era stata presa una decisione di sacrificare Srebrenica per il bene di una strategia politica«.11
I media occidentali, già fortemente impegnati nella demonizzazione dei serbi, hanno scelto di ignorare questi fatti ed hanno trattato tutta la questione riguardante la guerra nella ex Jugoslavia in modo tendenzioso ed ingannevole. Molte menzogne sono emerse successivamente all’aver messo in primo piano i campi di prigionia serbi, descritti nei dettagli e con tanta indignazione, senza tenere conto del fatto che i musulmani bosniaci ed i croati avevano fra gli altri dei campi similari a Celebici, Tarcin, Livno, Bradina, Odzak e il campo Zetra di Sarajevo, con un numero pressoché uguale di prigionieri ma addirittura con un trattamento peggiore.12 13

Borislav Herak
Folli affermazioni sulle condizioni di detenzione, tipo Auschwitz, nei «campi di concentramento» serbi sono state riprese dai giornalisti in servizi che hanno avvallato la propaganda diffusa dai governi occidentali. Roy Gutman, il quale ricevette il premio Pulitzer con John Burns per i suoi reportages sulla Bosnia nel 1993, si affidava come fonti unicamente alle autorità musulmane e croate, a testimoni di dubbia credibilità e ad affermazioni inverosimili, ed è stato una fonte importante dello straordinario lavaggio dei cervelli, tendenzioso e menzognero, sui «campi di concentramento».14 Tra l’altro, John Burns aveva ottenuto il riconoscimento del premio Pulitzer per una lunga intervista effettuata a Borislav Herak, un prigioniero bosniaco, che era stato messo a sua disposizione ed a disposizione di un cineasta finanziato da Soros. Qualche anno più tardi, Herak denunciò pubblicamente che era stato costretto a fornire la sua confessione altamente inverosimile e che aveva dovuto imparare a memoria pagine e pagine di menzogne. Questi due scandalosi premi Pulitzer sono la testimonianza della parzialità mediatica del sistema di informazione e comunicazione occidentale.
Bernard Kouchner, uno dei fondatori di Medici senza frontiere e ministro degli esteri dei primi due governi guidati da François Fillon sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, riferì che nel corso di una visita effettuata al presidente Izetbegović morente, l’ex Capo di Stato della Bosnia gli confessò che le informazioni sui «campi di concentramento» serbi erano state distorte allo scopo di ottenere dalla NATO il bombardamento contro i serbi.15 Questa confessione importante non ha avuto mai alcuna menzione da parte dei media occidentali. Una delle più vergognose menzogne degli anni Novanta fu quella riguardante il campo serbo di Trnopolje, visitato da giornalisti britannici della ITN nell’agosto 1992. Questi giornalisti fotografarono un certo Fikret Alić, mostrandolo emaciato e apparentemente rinchiuso dietro lo sbarramento di un campo di concentramento. In realtà, Fikret Alić si trovava in un campo di transito, era malato di tubercolosi ben prima di arrivare al campo, non rappresentava in alcun modo gli altri residenti del campo, e partiva poco tempo dopo per la Svezia.16 Ma questa foto particolarmente disonesta, che fece il giro per tutto l’Occidente come prova dell’esistenza di un Auschwitz serbo, fu accolta dalle autorità della NATO come prova di accusa della malvagità dei serbi.

Fikret Alić
A distanza di 20 anni dagli eventi di Srebrenica, nonostante sia stata fatta luce su alcuni aspetti, i Paesi Occidentali hanno continuato nella loro strategia e nel 2015 il Regno Unito ha proposto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di riconoscere il genocidio di Srebrenica. Ma fortunatamente, esiste una Federazione Russa guidata dal presidente Putin, che non si aggrega e non si rende complice di tali comportamenti ipocriti. Così, durante la votazione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’ambasciatore russo Vitalij Churkin, oppose il veto alla proposta del regno Unito, annullandone la realizzazione.
La storia, si sa, la scrivono i vincitori, ma la verità all’interno di tutte le menzogne per anni costruite dalle cancellerie occidentali riguardo i fatti di Srebrenica, è che la Jugoslavia di Milošević andava eliminata perchè la sua economia era ancora orientata verso il socialismo e rappresentava un ostacolo all’idea del modello unico globale auspicato e fortemente voluto dagli Stati Uniti. Fino al 5 ottobre del 2000 infatti la stragrande maggioranza delle industrie del Paese erano ancora di proprietà statale. Anche le aziende a capitale misto avevano la limitazione di poter essere vendute al capitale straniero, al massimo fino al 49%, e soprattutto potevano essere privatizzate solo con il consenso della maggioranza dei lavoratori.7 Un tipo di legislazione evidentemente contrario alle politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Una volta smembrata la Federazione Jugoslava in tanti piccoli protettorati NATO, veniva meno un altro importante ostacolo che potesse contrastare l’egemonia politica statunitense sull’Europa. Ancora oggi la Serbia non sconta colpe connesse a quanto accaduto dopo il disfacimento della Jugoslavia, ma paga la colpa di non voler arrendersi a quel disfacimento e, soprattutto, alle logiche geopolitiche che hanno portato alla riscrittura di confini e sovranità, come arbitrariamente stabilito nelle segrete stanze dei governi occidentali.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) The Guardian
(2) A cura di Ivana Kerečki, Il Dossier nascosto del «genocidio» di Srebrenica, La Città del Sole, Napoli 2007.
(3) Srebrenica
(5) Haša Omerović, Un altro volto di Srebrenica, rivista Novi Reporter, Banja Luka, Bosnia-Erzegovina, 2 marzo 2011.
(6) John Kleeves, Vecchi trucchi, Il Cerchio Editore, Rimini 1991.
(7) Emerge la verità
(10) Bill Schiller, Muslims hero vows he’ll fight to the last man, Toronto Star, 31 gennaio 1994
(11) Michael Evans, London Times, 1 agosto 1995
(12) Celebici
(13) Diana Johnstone, La crociata dei folli, Il tempo delle ciliege, Parigi 2005, pp. 140-141
(14) Diana Johnstone, La crociata dei folli, Il tempo delle ciliege, Parigi 2005, p. 146
(15) Bernard Kouchner, I guerrieri della pace,Grasset, Parigi 2004, pp. 372-374
(16) Diana Johnstone, La crociata dei folli, Il tempo delle ciliege, Parigi 2005, pp. 133-135
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