La storia della milanese Alfa Romeo ha origini francesi e ascendenze napoletane. La genesi del marchio è infatti collegata alla fondazione della Società Italiana Automobili Darracq, che fu aperta a Napoli il 6 aprile 1906.1 2 L’avventura imprenditoriale si rivelò però subito irta di difficoltà soprattutto a causa dell’elevata lontananza di Napoli dalla Francia. Per questo motivo, già alla fine del 1906, la società fu trasferita a Milano con la costruzione di uno stabilimento in zona Portello.1 Ancora oggi una Darracq è esposta all’ingresso del museo dell’Alfa Romeo ad Arese.
Le difficoltà economiche e produttive però continuarono e le vendite si dimostrarono insufficienti a garantire la sopravvivenza dell’azienda. Così, nel 1909 la società fu posta in liquidazione e fu rilevata da alcuni imprenditori lombardi, che la acquistarono nel 1910, dando vita all’A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).
Fu deciso di assumere Giuseppe Merosi, un progettista piacentino con all’attivo diverse esperienze nella nascente industria automobilistica italiana.1 3

Giuseppe Merosi
A Merosi, che divenne perciò il primo responsabile tecnico della neonata casa automobilistica, fu affidato il compito di progettare un modello di autovettura totalmente nuovo e adatto alle esigenze del mercato italiano. Nell’occasione fu anche realizzato il primo logo dell’azienda. Abbozzato da Merosi stesso, il marchio mostrava i legami dell’A.L.F.A. con la città di Milano. Infatti da un lato fu disegnata la croce rossa in campo bianco, simbolo medioevale di Milano e dall’altro il serpente visconteo (il «biscione»). Attorno ai due emblemi erano presenti le diciture «ALFA» e «MILANO» divise da due nodi sabaudi in onore alla Casa regnante italiana.1
L’A.L.F.A. si caratterizzò da subito per le sue auto sportive le quali parteciparono a molte competizioni sportive. In pochi anni divenne un mito tra i piloti, uno dei quali era un giovane Enzo Ferrari.
Nel 1914, con lo scoppio del primo conflitto mondiale, l’A.L.F.A. entrò in crisi a causa della stagnazione del mercato interno dell’auto e per l’interruzione delle esportazioni.2 4 La situazione precipitò nel 1915, con l’ingresso in guerra dell’Italia.2
L’apparato produttivo nazionale convertì le proprie attività industriali per soddisfare la richiesta di forniture belliche e ciò mise l’A.L.F.A. in una situazione di difficoltà: i proprietari della casa automobilistica milanese non possedevano le risorse finanziarie per convertire gli impianti a tale scopo.1 2 5 Fu comunque fatto un tentativo, da parte di Merosi, di modificare il motore di un automobile per adattarlo agli aerei del Regio Esercito, ma il tentativo si concluse con un insuccesso.3 Per evitare di trovarsi in una situazione in cui la fabbrica non avrebbe prodotto più utili, la proprietà decise pertanto di vendere l’A.L.F.A. alla Banca Italiana di Sconto.1
L’istituto di credito individuò in Nicola Romeo, un ingegnere meccanico di Sant’Antimo (un paese in provincia di Napoli), il potenziale acquirente che avrebbe potuto gestire e, in seguito, acquistare l’A.L.F.A.1 6

Nicola Romeo
In precedenza Romeo, dopo aver avuto alcune esperienze lavorative in Belgio, aveva fondato nel 1911 a Milano la «Società in accomandita semplice Ing. Nicola Romeo e Co.» per la produzione di macchinari destinati alle attività estrattive.1 Dopo lo scoppio della guerra, l’imprenditore napoletano decise di entrare nel business delle commesse militari ottenendo nel luglio del 1915 un rilevante ordinativo per il Regio Esercito, che prevedeva la produzione di munizioni. Dato che la sua società non possedeva le risorse per soddisfare questo ordine, Nicola Romeo decise di rilevare l’A.L.F.A. entrando nel capitale societario con l’acquisto di alcune azioni.1 3

Nicola Romeo in fabbrica
Il 4 agosto 1915 Nicola Romeo fu nominato direttore dello stabilimento del Portello e nel giro di due anni il gruppo industriale capitanato dall’ingegnere di Sant’Antimo riuscì ad acquisire il controllo della società; nell’occasione, l’A.L.F.A. cambiò denominazione in «Società Anonima Italiana Ing. Nicola Romeo». Essa si concentrò quindi nella fabbricazione di munizioni, lanciafiamme, gruppi elettrogeni per carri armati, motori aeronautici su licenza Isotta-Fraschini, treni e attrezzature da miniera, che erano fondamentali nelle trincee del fronte italiano, interrompendo temporaneamente la produzione di autovetture. Le attrezzature da miniera erano mosse da compressori d’aria che furono progettati da Merosi e che erano azionati dai motori già montati sulle autovetture A.L.F.A. In questo contesto, a causa del rapporto conflittuale che esisteva tra Merosi e Romeo il progettista piacentino fu inviato a Pomigliano d’Arco nel Sud Italia a guidare uno stabilimento di proprietà dell’ingegner Romeo, nel quale dovevano essere prodotti soprattutto aerei.1
Terminata la guerra, le commesse militari si esaurirono e Romeo decise di riconvertire le attività dell’azienda nella produzione di autovetture a uso civile.1 3 Questo processo fu facilitato dalle giacenze in magazzino di componenti di vetture che erano stati realizzati prima del conflitto e dai cospicui fondi accantonati da Romeo grazie alle forniture militari.1
Romeo, che era a conoscenza del valore del marchio A.L.F.A. nella commercializzazione di modelli di autovettura, decise di cambiare il nome della società in «Alfa Romeo».3 L’atto ufficiale della nascita dell’Alfa Romeo è datato 3 febbraio 1918 e venne firmato dal notaio Federico Guasti di Milano.2 Nello stesso anno Merosi tornò in azienda in seguito all’appianamento dei conflitti con Romeo. Ciò fu ottenuto anche grazie alla revisione del contratto che legava Merosi alla casa automobilistica, includendo un pagamento straordinario in funzione del numero di vetture vendute.2
Ma nonostante l’entusiasmo di Romeo, gli affari derivanti dalla vendita delle automobili non decollarono. L’azienda Alfa Romeo tornò di nuovo in difficoltà economiche a causa del basso volume di vendite. I motivi di questo scarso successo risiedevano nell’assenza quasi totale di una rete di concessionari e nella disorganizzazione societaria. Di conseguenza, Romeo e la sua azienda iniziarono a indebitarsi con le banche.
In ambito finanziario, la situazione dell’Alfa Romeo peggiorò con il fallimento nel 1921 della Banca Italiana di Sconto.1 Questo avvenimento fu cagionato dall’eccessivo indebitamento contratto dalle aziende, che erano infatti in difficoltà per le complicazioni dovute alla riconversione postbellica. L’istituto bancario fallito fu rilevato dalla Banca d’Italia attraverso la Banca Nazionale di Credito e quindi una parte dei debiti delle aziende interessate fu sostanzialmente gestita dallo Stato italiano. Di conseguenza queste società furono controllate di fatto dallo Stato italiano anche dal punto di vista amministrativo e l’Alfa Romeo non fece eccezione.1 2
Nel 1922 salì al potere Benito Mussolini, il quale decise di operare un taglio della spesa pubblica e quindi la Banca Nazionale di Credito non fu più in grado di elargire la cospicua liquidità che era stata fornita fino ad allora. Non avendo più accesso al credito con relativa facilità, la situazione dell’Alfa Romeo peggiorò quindi notevolmente e fu ventilata l’ipotesi di chiusura. Però nei confronti della casa automobilistica milanese, Mussolini non era così perplesso come per le altre realtà industriali in crisi. Infatti, il Duce riteneva che le vittorie dell’Alfa Romeo nelle competizioni automobilistiche davano al marchio, e quindi di riflesso anche all’Italia, un certo prestigio internazionale. Mussolini decise pertanto di salvare l’Alfa Romeo dalla chiusura. Però, con le vendite che continuavano a scarseggiare, nel 1925 la Banca Nazionale di Credito fece valere il suo peso ed estromise dall’azienda Romeo, sostituendolo con Pasquale Gallo.2

Benito Mussolini alla guida di un Alfa Romeo
L’appannamento del marchio Alfa Romeo causato dalla scarso successo commerciale dei modelli da strada fu mitigato dai successi nelle competizioni, e in particolare dal trionfo dell’Alfa Romeo nel primo campionato del mondo di automobilismo organizzato nella storia (1925), che fu conquistato grazie alle vittorie di Antonio Ascari e Gastone Brilli-Per.1 3 Per celebrare la vittoria, sul bordo dello stemma della casa automobilistica milanese fu aggiunta una corona d’alloro che possiamo notare nel marchio sulle autovetture ancora oggi.1
Nel frattempo, a causa delle vicissitudini societarie che avevano coinvolto Gallo, l’azienda era ancora in difficoltà nonostante la moderata ripresa delle vendite. Gallo fu arrestato perché fu colto in flagrante durante il tentativo di fornire aiuto a uno strenuo oppositore del regime fascista, l’onorevole Cipriano Facchinetti, il quale intendeva fuggire dall’Italia. La gestione di Gallo, a dispetto della breve durata, fu comunque caratterizzata da una riorganizzazione delle attività produttive che fu poi importante per il successivo rilancio dell’azienda. A questo punto il Duce in persona scelse come direttore Prospero Gianferrari, il quale migliorò ulteriormente i processi produttivi e costituì, all’interno dell’Alfa Romeo, un settore che si sarebbe occupato di realizzare le carrozzerie, dando quindi la possibilità all’azienda di costruire vetture complete. Inoltre Gianferrari scelse di diversificare l’attività produttiva: nel 1931 fu introdotto il primo veicolo industriale non derivato da autovetture stradali, mentre nel 1932 fu presentato il primo motore aeronautico totalmente progettato dall’Alfa Romeo, che fu poi montato sul Caproni Ca.101.1
Nonostante i successi sportivi, la situazione finanziaria dell’Alfa Romeo continuava a essere critica. Agli altri problemi negli anni Trenta si aggiunse la grande crisi economica che era iniziata nel 1929 con il crollo della Borsa di Wall Street e che fece precipitare la situazione.3 In questo contesto, nel 1933, il governo italiano decise di rilevare le quote dell’Alfa Romeo che erano di proprietà delle banche acquisendo ufficialmente il controllo dell’azienda, che diventò pertanto statale.3 6 In questa situazione, dato che i conti continuavano a peggiorare, alcuni esponenti del ministero del Tesoro ipotizzarono la chiusura della casa automobilistica.1 A questo punto intervenne nuovamente Mussolini in persona che decise, attraverso l’IRI (l’ente statale da lui fondato con lo scopo di sostenere le banche e le aziende in difficoltà), di salvare l’azienda, dando l’incarico a Ugo Gobbato di riorganizzare l’Alfa Romeo da un punto di vista sia finanziario sia produttivo. L’interessamento personale di Mussolini non fu casuale: il Duce era infatti un grande estimatore dell’Alfa Romeo soprattutto per i risultati sportivi conseguiti.1 3 Furono nuovamente questi ultimi a spingere Mussolini ad andare contro l’opinione del suo ministero decidendo, per la seconda volta, di salvare la casa automobilistica milanese.1
Nel complesso, gli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale furono caratterizzati da modelli potenti e raffinati, contraddistinti da una linea elegante. In particolare, i tre modelli che negli anni trenta fecero poi dell’Alfa Romeo un marchio famoso in tutto il mondo anche per le auto da strada furono la 6C 1500, l’8C 2300 e la 8C 2900.2

Alfa Romeo 6C 1500

Alfa Romeo 8C 2300

Alfa Romeo 8C 2900
A partire dalla stagione 1937-1938 l’azienda costituì il Gruppo Calcio Alfa Romeo e si iscrisse al campionato di calcio di Serie C. La stagione seguente l’Alfa Romeo ingaggiò, grazie anche alla prospettiva di un’occupazione stabile come meccanico, il diciottenne Valentino Mazzola, futuro capitano del Torino. Il club disputò cinque stagioni in terza serie fino alla stagione 1941-1942, dopo la quale rinunciò all’iscrizione; disputò inoltre quattro edizioni della Coppa Italia senza mai superare il primo turno eliminatorio.7
La fama internazionale conquistata dall’Alfa Romeo fece dire a Henry Ford, in un colloquio che avvenne nel 1939 proprio con Gobbato, l’amministratore delegato dell’azienda milanese «quando vedo passare un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello«.1
Verso la fine degli anni Trenta la situazione politica in Europa stava però mutando. I venti di guerra portarono le varie nazioni, Italia compresa, verso la corsa agli armamenti. La produzione industriale dell’Alfa Romeo fu orientata verso l’assemblaggio di motori aeronautici e autocarri, che sarebbero stati più utili all’Italia in caso di conflitto armato. L’assemblaggio di autovetture civili si ridusse quindi drasticamente a favore soprattutto della produzione aeronautica. I suoi motori aeronautici furono quindi montati su un numero ragguardevole di aerei della Regia Aeronautica, contribuendo a scrivere pagine importanti della storia dell’aviazione italiana.8 9
La Seconda Guerra Mondiale causò molti danni agli stabilimenti industriali dell’Alfa Romeo. Il colpo di grazia avvenne il 20 ottobre del 1944, quando il più violento bombardamento che avesse subito Milano fino ad allora causò l’abbattimento di oltre il 60% della struttura industriale dell’Alfa Romeo, causando la chiusura dell’impianto produttivo. Lo stabilimento di Pomigliano d’Arco subì la medesima sorte il 30 maggio 1943, con la distruzione del 70% delle strutture industriali.1 2 3
Nel 1945, a conflitto terminato, l’Alfa Romeo si trovò in una situazione di grandissima difficoltà. Durante la guerra lo stabilimento del Portello era stato pesantemente danneggiato e non esisteva pressoché più un mercato automobilistico italiano. C’era poi penuria di materie prime e mancavano gli uomini che avrebbero potuto gestire la situazione; l’amministratore delegato Gobbato era infatti stato assassinato il 28 aprile 1945. Le sorti dell’Alfa Romeo vennero nuovamente affidate a Pasquale Gallo, nominato commissario straordinario dal CNL e poi divenuto presidente, carica che mantenne fino al 1948.10 11 12
Sin dalla fine della guerra, l’azienda cercò di rimettere in funzione gli impianti danneggiati dedicandosi inizialmente alla costruzione di cucine elettriche e a gas, infissi metallici, motori elettrici, respingenti per carrozze ferroviarie, mobili e altri manufatti.1 2 4 La guerra aveva distrutto gli stabilimenti, ma non era riuscita a distruggere il mito delle auto Alfa Romeo, belle e veloci che continuarono ad uscire dallo stabilimento milanese, anche se le poche autovetture prodotte, erano destinate ad una nicchia di mercato.
Dovranno passare diversi anni prima che riprenda la produzione nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. In quel momento, l’idea di una grande industria meccanica nel Sud Italia non era presa in considerazione dal governo De Gasperi e dall’IRI.
Nel frattempo negli Stati Uniti, Henry Ford era riuscito con il «modello T» a fare dell’automobile un bene di massa. Lo stesso obiettivo fu perseguito dalla FIAT in Italia. La penisola italiana in quel periodo era un enorme cantiere, la ricostruzione post-bellica avrebbe da li a breve prodotto il boom economico. Nel 1955 la FIAT lanciò la «600», due anni dopo la «500».
L’Alfa Romeo non stette a guardare. Nel 1955 lanciò la «Giulietta» che divenne subito un mito leggendario. L’autovettura, irraggiungibile per la grande maggioranza degli italiani, che non poteva permettersela, si guadagnò il soprannome di «fidanzata d’Italia«. Con la Giulietta nacque anche il termine «alfista», che da allora avrebbe definito gli appassionati del marchio milanese.1

Alfa Romeo «Giulietta» (1955)
L’Alfa Romeo era all’epoca guidata da Giuseppe Luraghi, il quale era anche presidente di Finmeccanica, ovvero della finanziaria caposettore dell’IRI che era a sua volta proprietaria dell’Alfa Romeo. Milanese, socialista, economista e scrittore, Luraghi fu uno dei più brillanti manager italiani. La fabbrica di Arese fu la grande scommessa di Luraghi. Negli anni Sessanta costruire auto a Pomigliano d’Arco non rientrava ancora nei piani industriali dell’Alfa Romeo. Dal 1962, dallo stabilimento di Arese iniziò ad essere prodotta la Giulia un’altra auto Alfa Romeo destinata a segnare un’epoca.

Alfa Romeo «Giulia»
Ma un’Alfa Romeo non era ancora alla portata di tutti. All’inizio degli anni Sessanta per comprare una Giulia occorrevano due milioni di lire, troppo per un operaio il cui stipendio mensile non arrivava a ottantamila lire al mese. Il mercato di massa infatti era dominato dalla FIAT, le sue auto costavano molto meno. Così, ad un certo punto, in Alfa Romeo si procedette alla realizzazione di un progetto al fine di produrre un’autovettura utilitaria, una novità assoluta per Alfa Romeo. Tale autovettura fu definita dai progettisti «Pidocchio», ma non fu mai prodotta in serie. Luraghi avrebbe voluto produrre questa utilitaria proprio nello stabilimento di Pomigliano d’Arco, che sopravviveva solo grazie alle commesse pubbliche, producendo motori diesel e autobus a due piani, i Metropol.

Alfa Romeo — autobus a 2 piani «Metropol»
Con la fine del boom economico, anche in Italia iniziarono contestazioni e proteste: nel ’68 protagonisti furono gli studenti, l’anno seguente fu la volta degli operai metalmeccanici. Per fronteggiare la situazione molto tesa nel Sud Italia, si decise di costruire un nuovo stabilimento a Pomigliano d’Arco, al fine di produrre una nuova autovettura: l’Alfasud.

Alfa Romeo «Alfasud»
L’autovettura era molto veloce, performante, di ottima qualità e con un’eccellente tenuta di strada. Una speranza, oppure una scommessa, comunque nata in uno dei momenti più difficili per il mercato automobilistico. Negli anni Settanta, il conflitto in Medio Oriente fece salire alle stelle il prezzo del petrolio. Assieme alla crisi energetica arrivarono sul mercato italiano, la Renault R5 la Volkswagen Golf. Furono modelli che riscossero un grande successo ed erano stati pensati per affrontare la crisi. All’Alfasud invece non si riuscirono a produrre nemmeno quelle poche auto richieste dal mercato.
Ancora una volta nella sua storia, sull’Alfa Romeo pesavano una montagna di debiti. Non c’erano alternative, bisogna vendere l’azienda. Per prima si fece avanti la statunitense Ford. Dopo un primo contatto tra il presidente della Ford Donald Petersen e l’allora presidente dell’IRI Romano Prodi, fu avviata una trattativa per la vendita dell’Alfa Romeo. Ma la FIAT, impaurita dall’ingresso in Italia di un suo concorrente straniero, presentò un’offerta più alta di quella della Ford. In realtà la FIAT non era interessata all’Alfa Romeo come azienda e come gamma di produzione di autoveicoli, però temeva l’ingresso in Italia di un concorrente straniero avesse potuto costruire automobili. In pratica la Ford metteva timore non perché avrebbe acquistato l’Alfa Romeo, ma perché avrebbe potuto iniziare a costruire in un territorio, quello italiano, che era tutto in mano alla FIAT.
Alla fine Romano Prodi vendette l’Alfa Romeo alla FIAT per 1050 miliardi di lire, prezzo da molti economisti ritenuto un «regalo».
Oggi il marchio Alfa Romeo è scomparso da Pomigliano d’Arco. L’ultima gloriosa auto con il biscione che vi fu prodotta, è stata l'»Alfa 33″. Per anni a Pomigliano è stata prodotta la FIAT «Panda». I nuovi piani industriali stabiliscono che dal 2020, a Pomigliano d’Arco è prodotta la nuova Panda ibrida e successivamente, dopo la presentazione che avverrà nel 2021, anche l’Alfa Romeo «Tonale».13 14
Gli ultimi modelli del’Alfa Romeo in questi anni sono stati assemblati nello stabilimento di Cassino.
Chiudiamo l’articolo, con una rassegna di alcuni modelli famosi o più affascinanti, tra quelli prodotti dall’Alfa Romeo nella sua storia.

Alfa Romeo 2000 sportiva (anno di produzione 1954)

Alfa Romeo Giulia GT (anno di produzione 1968)

Alfa Romeo 33 stradale (prodotta in solo 18 esemplari dal 1967)

Alfa Romeo spider Duetto (prodotta dal 1966 al 1994)

Alfa Romeo Montreal (anno di produzione 1970)

Alfa Romeo «Giulia» della Polizia di Stato italiana

Alfa Romeo «Alfetta» dell’Arma dei Carabinieri
Luca D’Agostini
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Fonti
1) Alessandro Sannia, Alfa Romeo — 100 anni di leggenda, Gribaudo, Milano 2010
2) Maurizio Tabucchi, Alfa Romeo 1910 — 2010, Giorgio Nada Editore, Milano 2010
3) David Owen, Grandi Marche — Alfa Romeo, Edizioni Acanthus, Milano 1985
4) Milano
5) Treccani
6) Gianluca Pellegrini (a cura di), L’Enciclopedia dell’auto — Quattroruote, Editoriale Domus, Rozzano 2003.
7) Mazzola
8) Alfasport
9) Alfasport 2
10) Germano Maifreda, Geoffrey Pizzorni e Ferruccio Ricciardi, Lavoro e società nella Milano del novecento, Franco Angeli, Milano 2006
11) Fabio Raffaelli, Enciclopedia dell’automobile, Art Editrice, Bologna 2007
12) Gianluigi Lenguito, Alfa Romeo. Una favola moderna, Lybra, Spoleto 2011
13) Il Sole 24 ore
14) Il Giornale
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