Da sempre, il mondo degli agenti segreti affascina milioni di persone ma in pochi si sono occupati di una spia particolarmente rilevante nelle questioni mediorientali. Si tratta di un cittadino egiziano inserito profondamente nella vita politica del proprio Paese e che negli anni ’70, decise di vendersi ai servizi segreti israeliani, influendo pesantemente sull’assetto geopolitico mediorientale.
Di lui si sapeva ben poco, finché la sua esistenza fu rivelata dal britannico, Ahron Bregman, giornalista e ricercatore storico della BBC, ma nonostante questa rivelazione, la notizia continua a essere largamente ignorata dai canali d’informazione, restando relegata ai polverosi archivi della storia. Qual è la ragione di tale disinteresse?
Ashraf Marwan nacque a Il Cairo il 2 febbraio 1944. Era un cittadino egiziano, ma non un cittadino qualsiasi. Marwan apparteneva ad una famiglia rispettata. Suo nonno era il capo dei tribunali della Sharia in Egitto e suo padre, un ufficiale militare, raggiunse il grado di generale nella guardia repubblicana egiziana. Nel 1965, all’età di 21 anni, Marwan si laureò in ingegneria chimica all’Università del Cairo e fu arruolato nell’esercito. Nello stesso anno incontrò Mona Nasser, la seconda figlia del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. La ragazza all’epoca aveva 17 anni. Si innamorò di lui, ma suo padre sospettava che l’interesse di Marwan per sua figlia derivasse più dal suo status politico che dal suo fascino personale. Tuttavia, sotto la pressione della figlia, accettò il matrimonio, che ebbe luogo nel luglio 1966. Marwan divenne così il genero del Presidente dell’Egitto.

da sinistra a destra: Gamal Abdel Nasser (Presidente dell’Egitto) — Mona Nasser (figlia del presidente Nasser) — Ashraf Marwan — Tahia Kazem (moglie del presidente Nasser)
All’epoca dei fatti che lo riguardano, Marwan aveva appena 23 anni e non godeva delle simpatie del suocero, di cui non condivideva l’ostinata ossessione di voler distruggere Israele. Marwan, neppure approvava l’alleanza del proprio Paese con l’Unione Sovietica. Esprimeva in pubblico le sue opinioni, volte a suggerire uno stabile accordo con Israele, attraverso la mediazione degli Stati Uniti.
Irritato da queste continue e imbarazzanti esternazioni, Nasser, favorì allora il suo trasferimento a Londra, insieme alla moglie Mona, dove Marwan frequentò un corso di perfezionamento post-universitario. Le sue permanenze in Egitto, si mantennero comunque frequenti e pur alternandosi tra la capitale britannica e il Cairo, il giovane restò comunque sempre attento agli affari del proprio Paese.
Nel 1967 Nasser decretò il divieto di transito alle navi israeliane nel canale di Suez. Sapendo che la sua iniziativa avrebbe avuto l’appoggio di Siria, Giordania e Iraq, il Presidente egiziano, si riprometteva di costringere Israele a una guerra che lui, forte di 280mila uomini dell’alleanza araba, si riteneva sicuro di vincere per realizzare così il sogno di distruggere una volta per tutte, l’odiato avversario, ma ancora una volta, queste previsioni si rivelarono sbagliate.
Fu nel corso di questo conflitto, passato alla storia come “la Guerra dei sei giorni”, che Marwan ebbe il suo primo contatto con l’ambasciata israeliana a Londra. Se nei film le spie sono uomini e donne freddi, spietati, calcolatori, nella realtà emergono caratteri ben diversi. Intanto, da principio l’agente del Mossad che rispose per primo al telefono non riconobbe il suo interlocutore e se lo lasciò scappare. Marwan dovette chiamare più volte prima di essere preso sul serio, agevolato anche dalla casuale presenza a Londra di due importanti funzionari del Mossad che ben sapevano chi fosse il «genero di Nasser». Cominciò così, nella diffidenza reciproca, il rapporto tra l’alto esponente del governo del Cairo e la struttura spionistica considerata tra le più efficienti al mondo. Da allora in poi, Marwan fornì attivamente notizie segrete che furono di grande aiuto al governo israeliano per prevedere le mosse dell’avversario. Il Mossad gli diede il nome in codice «L’Angelo».
Perché Marwan lo fece? Era l’odio per il suo Paese a muoverlo, oppure era per le generose prebende che gli venivano riconosciute? Va detto che nel suo forzato esilio in Gran Bretagna, impostogli dal suocero, Marwan aveva ceduto al tentacolare fascino della capitale britannica ed era anche caduto nel vizio del gioco che aveva pesantemente infierito sulle sue risorse finanziarie.
Intanto, il Medio Oriente era in guerra. Pur disponendo di soli 50 mila effettivi, lo Stato Ebraico mobilitò 214 mila riservisti e in soli sei giorni, grazie anche alle informazioni di Marwan, non solo sconfisse le forze avversarie, ma valicò i loro confini, impossessandosi della fascia di Gaza e della penisola del Sinai, mentre l’intera Cisgiordania, incluse Gerusalemme ed Hebron, cadde nelle loro mani. Anche la Siria pagò un prezzo elevato, perché le Alture del Golan passarono sotto il controllo di Israele che, alla fine del conflitto e in soli sei giorni, aveva quadruplicato la propria estensione territoriale.
Per gli alleati arabi, si trattò di una sconfitta umiliante e disastrosa. Egitto, Siria e Giordania, si trovarono con le proprie forze aeree completamente distrutte dalle massicce incursioni dei jet israeliani. Le loro perdite ammontarono a 21mila uomini, contro i soli 679 israeliani. La popolarità di Nasser, fino allora considerato il faro di riferimento del mondo arabo, subì un brusco ridimensionamento, anche alimentato dalla crescente contestazione dall’emergente movimento dei «Fratelli Musulmani». Il presidente egiziano si ritrovò quindi stanco, abbattuto e privo di motivazioni. Furono forse queste le condizioni che purtroppo nel settembre del 1970, lo portarono a una prematura morte per arresto cardiaco. Aveva solo 52 anni e con lui morivano le residue speranze arabe di liberarsi dello Stato d’Israele.
A Gamal Abdel Nasser, fece seguito il moderato vicepresidente Sadat, uomo politico votato al pragmatismo e piuttosto insofferente all’alleanza on l’Unione Sovietica. Per lui, Israele, era sì un avversario, ma troppo forte e abile per poterlo sconfiggere. Condividendo alcune delle opinioni espresse dal giovane Ashraf Marwan, lo richiamò in Patria nominandolo suo consigliere.
Il 21 febbraio 1973 si verificò un evento che costrinse il presidente egiziano a prendere posizione in questo delicato equilibrio. Un caccia israeliano abbatté vilmente un Boeing 727 libico, un aereo civile che stava sorvolando un territorio da loro controllato. A quest’atto di terrorismo di stato, intendeva reagire il presidente libico Muammar Gheddafi, il quale furioso per l’accaduto cercava la vendetta e certo di ricevere supporto dall’alleato del Cairo, si rivolse a Sadat, chiedendogli di aiutarlo a commettere un altro atto di terrorismo, cioè quello di abbattere un volo della compagnia israeliana «El Al» in partenza dallo scalo romano di Fiumicino. Gheddafi avrebbe provveduto a fornire gli uomini necessari, ma il problema era far loro pervenire un paio di lanciarazzi portatili RPG, cosa per lui impossibile poiché gli accordi con il governo italiano, non gli consentivano l’uso di colli diplomatici.
A questa richiesta Sadat piombò nel panico. Non poteva certo aderire alla follia del Presidente libico, ma neppure voleva scatenare le sue imprevedibili reazioni. Gli venne in aiuto il suo consigliere Marwan, il quale affermò risoluto: «Porterò io gli RPG a Roma, ma stia tranquillo. Farò in modo che restino inoffensivi«. Sadat, non poteva sentirsi più sollevato. Un diretto coinvolgimento del governo egiziano in un atto terroristico, avrebbe avuto disastrose conseguenze internazionali ed era quindi pronto a porre la sua fiducia, nelle mani del fedele consigliere. Ashraf Marwan partì alla volta di Roma e con il bagaglio diplomatico, introdusse i due lanciarazzi richiesti che consegnò a cinque palestinesi che, a loro volta, li trasportarono in metropolitana fino a Ostia, nascondendoli in alcuni tappeti. Il 5 ottobre 1973, i corpi speciali della Polizia di Stato italiana fecero irruzione nell’appartamento di Ostia e i cinque terroristi furono arrestati. Durante la perquisizione, in un armadio furono ritrovati due missili Sa-7 di fabbricazione sovietica, avvolti nei tappeti che erano serviti per trasportarli in metropolitana da Roma: i terroristi intendevano usarli per abbattere un aereo della El Al in decollo da Fiumicino.
Ashraf Marwan aveva informato gli agenti israeliani dell’imminente attentato e questi avevano a loro volta allertato le istituzioni italiane, che provvidero al riguardo. Marwan aveva così salvato la vita a 130 passeggeri israeliani. Tuttavia, pur risolto questo problema, su Sadat gravava ancora la questione del Sinai, tuttora in mano israeliana. Il Sinai era parte integrante del territorio egiziano, ospitava pozzi petroliferi e (soprattutto) assicurava il controllo del traffico sul canale di Suez. Era imperativo che l’Egitto ne ritornasse in possesso, anche per placare le crescenti proteste che infiammavano non solo il popolo egiziano, ma l’intero mondo arabo. Che fare? Il suo gabinetto, optava per la linea dura e proponeva un intervento armato, ma dati i precedenti, Marwan era sicuro che quell’intervento si sarebbe concluso con l’ennesima sconfitta.
Tuttavia, valutando e scartando le varie ipotesi, Sadat dovette infine cedere ai propri generali. L’attacco alle forze israeliane era inevitabile per salvaguardare il prestigio egiziano. Così Sadat, si trovò costretto a dare via libera all’attacco e Marwan, rientrato prontamente a Londra, ne informò i Servizi Segreti israeliani, concordando con loro che si sarebbero limitati all’azione difensiva, senza contrattacchi nel suolo egiziano.
Così avvenne, infatti. L’invasione egiziana — scatenata nel giorno del Kippur, festa nazionale ebraica – fallì, ma le forze israeliane si limitarono a contenerla senza contrattaccare e determinando così una situazione di stallo che portò a una tregua nelle cui more prese l’avvio una mediazione internazionale patrocinata dall’ONU. L’allora presidente statunitense Jimmy Carter, promosse nel 1978 lo storico incontro tra Sadat e il suo omologo israeliano Begin. Gli accordi raggiunti contemplavano il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte egiziana e la restituzione del Sinai da parte israeliana. Ai due presidenti fu conferito il Nobel per la Pace e dopo decenni di guerre, le due Nazioni approdarono a una pacifica convivenza.
Solo tre anni dopo, nel corso di una parata militare, tre soldati uscirono dal corteo, lanciarono granate sul palco delle autorità e spararono a Sadat, uccidendolo sul colpo. Insieme a lui perirono altre undici persone e lo stesso vicepresidente Hosni Mubarak, che seguì poi Sadat nell’incarico, restò ferito. Gli attentatori, appartenevano al movimento integralista della Jihad islamica, che si ribellava al trattato di pace con Israele.
Il Magg. Gen. (in pensione) Zvi Zamir , il capo del Mossad che era uno dei gestori di Marwan, lo descrisse come «la migliore fonte che abbiamo mai avuto«.

Ashraf Marwan a Londra

Ashraf Marwan
Marwan continuò a lavorare per il Mossad fino al 1998. La sua identità di agente segreto al soldo di Israele fu rivelata nel dicembre 2002 dallo storico israeliano londinese Ahron Bregman, il quale nel suo libro «La spia che cadde sulla terra«, affermò che Marwan era un doppio agente che aveva ingannato gli israeliani. La fonte di Bregman era il Magg. Gen. (in pensione) Eli Zeira, il direttore dei servizi segreti militari israeliani nella guerra del 1973 e il principale colpevole nel fiasco dei servizi segreti prima della guerra. Il ruolo di Marwan ha aperto un lungo dibattito all’intero dei servi segreti israeliani. Considerato un ottimo agente dal Mossad, fu invece tacciato di essere una spia e un doppiogiochista dall’Aman, i servizi segreti militari israeliani.
Ahmed, uno dei due figli di Marwan era sposato con la figlia dell’ex segretario generale della Lega araba Amr Moussa. L’altro suo figlio, Gamal, è un caro amico di Gamal Mubarak, il figlio dell’ex presidente egiziano Hosni Mubarak.
Il 27 giugno 2007, all’età di 63 anni, quando ormai era un ricco uomo d’affari, anche se non sempre e del tutto leciti, Marwan morì precipitando dal balcone della sua residenza londinese a Carlton House Terrace, a pochi metri da Piccadilly Circus. Nessuno, compreso lo storico Bregman, credette mai alla sentenza di suicidio con cui si chiuse l’inchiesta.
Qualcuno l’aveva ucciso, ma chi? I patetici governanti occidentali e i loro mezzi di disinformazione di massa, non potendo additare quali colpevoli la Federazione Russa e il Presidente Putin, si guardano bene dal richiedere di fare luce sull’accaduto e prendono per buona la soluzione la più strana e improbabile soluzione del caso, quella basata sul suicidio di Marwan.
La moglie e i figli di Marwan non hanno mai creduto all’ipotesi del suicidio. Il giornalista egiziano Amr Ellissy ha condotto un’indagine sulla morte di Marwan per la sua serie di documentari Ekhterak, trasmessa dalla televisione egiziana in sei episodi nel primo anniversario della morte di Marwan. Anche la rivista britannica Private Eye ha seguito da vicino la storia e ha suggerito che c’erano considerevoli motivi di sospetto sulle circostanze della morte di Marwan.
Lo storico israeliano londinese Ahron Bregman, autore del libro «La spia che cadde sulla terra» e che rivelò l’identità di Marwan e in seguito divenuto amico stretto proprio di Ashraf Marwan, riferì: «Spesso la gente mi chiede: «Ma secondo lei cos’è successo ad Ashraf Marwan?» A essere sincero, me lo chiedo spesso anch’io. Quando la moglie e i figli mi pregarono, tramite il loro avvocato, di comparire davanti al coroner per sostenere l’ipotesi dell’omicidio anziché quella del suicidio, che molti musulmani considerano un peccato grave, accettai senza remore. Onorai il mio impegno, sentendomi in pace con me stesso, e ancora oggi una parte di me è convinta che Marwan non si sia suicidato, ma sia stato ucciso.«
Quando in un’intervista gli chiesero un parere sulla morte di Marwan, l’ex capo dei servizi segreti militari egiziani Fuad Nasser disse: «Penso che l’abbiano assassinato. Chi sia stato non lo so, ma in generale non c’è dubbio che si tratti di un omicidio.«
Anche se la polizia londinese esclude la pista dell’omicidio, la controversa immagine di uomo d’affari, di politico e di spia, lascia spazio a molte ipotesi, soprattutto se si pensa che la vita di Marwan si è più volte incrociata con un altro egiziano famoso: Mohammed al-Fayed, la cui vita è stata segnata dalla morte violenta del figlio Dodi. Il 31 agosto 1997, Dodi rimase vittima di un incidente automobilistico avvenuto sotto il Tunnel de Pont De l’Alma, a Parigi. Insieme al lui morì la compagna, la Principessa del Galles Diana Spencer, e l’autista Henry Paul.
Tre anni dopo, l’unico testimone sopravvissuto, il fotografo James Andanson, fu stranamente trovato morto suicida in un bosco. Le inchieste che seguirono la morte di Lady Diana portarono l’opinione pubblica alle più svariate supposizioni, incluso il coinvolgimento dei servizi segreti britannici; ma, dopo nove anni, le autorità britanniche sono arrivate alla conclusione che l’incidente fu causato dall’alta velocità e dallo stato di ebbrezza dell’autista.
Proprietario del 3% della squadra di calcio londinese del Chelsea e in affari con un amico di Israele, il finanziere inglese Tin Rowland, negli anni ’80 Marwan tentò di prendere il controllo dei famosi negozi «Harrods», contendendoli a Mohammed al-Fayed, che poi ne diventerà proprietario. Negli anni, i rapporti di lavoro e il reciproco rispetto che intercorreva tra i due si andò deteriorando fino a trasformarsi in un irriducibile rivalità fatta di accuse ed offese infamanti e di minacce di querela.
La stampa internazionale ha inoltre parlato di un possibile coinvolgimento di Marwan nelle manovre poco limpide della «Lonrho» di Tin Rowland, la società di diritto inglese che esercitava svariate attività, in particolare nel settore minerario e metallurgico, in Africa e Medio Oriente.
Ashraf Marwan è il terzo egiziano che è morto cadendo da un balcone di Londra. Il 21 giugno del 2001 perse la vita l’attrice Soad Hosny, precipitata dal terrazzo del suo appartamento di Maida Vale, zona settentrionale di Londra. L’attrice e cantante egiziana conosciuta come la «Cenerentola del cinema arabo» era stata sospettata di aver lavorato per lo spionaggio egiziano negli anni ’60, un dubbio che danneggiò la sua stessa carriera e la portò alla rovina economica. Intorno alla metà degli anni ’70 era stata la volta di Leithy Nassif, ex-capo della guardia presidenziale di Anwar Sadat che, nel 1971, aveva partecipato ad una epurazione del precedente governo.
L’unico filo che lega le tre vittime è il fatto che al momento della morte tutti e tre stavano scrivendo le loro memorie. Segreti che potrebbero aver potuto creare non poco imbarazzo e che avrebbero infittito una trama già complicata.
Luca D’Agostini
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Fonti
Ahron Bregman, La spia che cadde sulla terra: I miei rapporti con l’agente segreto che fece tremare il Medio Oriente, Einaudi, Segrate 2018
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