Durante l’occupazione nazista, la Repubblica Popolare di Lugansk e la Repubblica Popolare di Donetsk fornirono numerosi eroi, i quali contribuirono valorosamente al successo sovietico durante la Grande Guerra Patriottica.
Anna Dmitrievna Sopova nacque a Donetsk il 10 maggio 1924 dalla famiglia di un minatore. All’età di 11 anni, nel 1935, si trasferì con tutta la sua famiglia, nella città di Krasnodon, situata nell’attuale Repubblica Popolare di Lugansk.
Anna studiò diligentemente, aiutò coloro che avevano difficoltà nello studio. Proprio per questo suo impegno nell’aiutare gli altri studenti, il personale docente della scuola le conferì ripetutamente attestati di merito e per due volte le fu donato un viaggio turistico in una località balneare della Crimea.
Nel 1939 si unì al Komsomol (L’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione) e per il suo attivismo le fu assegnato il ruolo di consigliere. Estroversa, allegra, spiritosa, bella, sognava di diventare un pilota di aerei. Quando l’Unione Sovietica fu invasa, come molti studenti, prese parte alla costruzione di strutture difensive, alla raccolta di medicinali e medicazioni per i soldati sovietici feriti ed alla raccolta di bottiglie per realizzare bombe Molotov da lanciare contro i veicoli tedeschi. Anna si rivolse più volte all’ufficio di arruolamento militare del suo distretto per essere arruolata nell’Armata Rossa, ma ogni volta la sua domanda veniva respinta in quanto minorenne.
All’inizio di ottobre 1942, Anna Sopova entrò a far parte dell’organizzazione «Giovane Guardia» ed i suoi compagni la scelsero come comandante. La sua insegnante la ricordò con queste parole: «Anna era una ragazza molto dolce, sensibile, piena di calore ed allo stesso tempo dotata di un enorme coraggio ed eroismo«.
Il gruppo di Sopova, composto da 4 ragazzi, si riuniva clandestinamente nella casa di Jurij Vitsenovskij, soprattutto per scrivere volantini ideati proprio da Anna. I volantini ideati da Anna Sopova raccontavano le gesta dell’Armata Rossa, specialmente a Stalingrado ed erano distribuiti clandestinamente alla popolazione della zona di Krasnodon.
Il padre di Anna, Dmitrij Petrovič Sopov, ricorda quanto accadde una mattina del 7 novembre 1942: «La sera mia figlia Anna non era a casa. Tornò la mattina. Non mi diceva mai nulla riguardo dove si recasse. Immaginavo che trascorreva il tempo con i suoi amici, ma ignoravo cosa facesse. Solo che quella mattina notai come splendevano di gioia i suoi occhi. Con euforia baciò me e sua madre e continuava a ripetere: «Sotto la bandiera rossa la nostra gente!» Gli chiesi: «Di cosa stai parlando Anna?» Mi condusse fuori e disse: «Ammira papà!» Alzai lo sguardo e vidi una bandiera rossa sopra la casa«.
All’inizio di gennaio del 1943, molti partigiani operanti nel territorio di Krasnodon furono arrestati. Il cerchio si stava stringendo anche nei confronti di Anna Sopova e degli altri tre appartenenti al suo gruppo. Lei lo comprese ma decise di non lasciare la città. Anzi, cercò di pianificare una fuga dalla prigione per i partigiani arrestati.
Il 27 gennaio 1943, Anna Sopova fu arrestata. Suo padre ricordò così quel giorno: «La Gestapo bussò alla porta della nostra casa. Erano venuti per arrestare nostra figlia. Anna si vestì con calma, ci chiese di non preoccuparci e ci baciò. Le sue ultime parole furono: «Non preoccupatevi per me! Abbiate cura di voi miei cari!». Si allontanò con un’andatura decisa e sicura di sé. Non la vedemmo più viva«.
La portarono nella caserma della Gestapo, le cominciarono a chiederle chi conosceva, con chi aveva una relazione, quale era la sua attività. Anna rimase in silenzio. Le ordinarono di spogliarsi nuda. Le tagliarono i capelli e la frustarono con una frusta realizzata con filo metallico. Lei urlò terribilmente e le sue urla si udirono anche fuori dalla caserma. Le spezzarono le dita delle mani e la picchiarono con i manganelli, ma Anna non solo non rivelò nulla, ma si comportò in modo sprezzante nei confronti dei suoi carnefici.
Il 31 gennaio 1943, dopo gravi torture morì e fu gettata nella fossa comune numero 5 della città di Krasnodon. Quando l’Armata Rossa liberò la città di Krasnodon, il corpo di Anna Sopova fu rimosso dalla fossa comune e le fu data una degna sepoltura.
Il ricordo più emozionante di Anna Sopova non poteva essere descritto che dai suoi genitori. Dopo la liberazione della città di Krasnodon, ancora però in piena guerra, trovarono il coraggio di parlare della loro figlia. Anzi a parlare in realtà fu solo il padre, la mamma seduta accanto a suo marito aveva perennemente gli occhi lucidi e lo sguardo perso nel vuoto. Ecco le emozionanti parole di suo padre: «La nostra cara Anna non è più viva. Non possiamo più sentire la sua voce, tutto è diventato tremendamente noioso nella nostra casa. Morì per mano di banditi, la polizia tedesca.
Morì con coraggio e con onore. Non ha detto una sola parola anche sotto tortura. Morì perché non voleva essere una schiava tedesca, perché con tutto il suo cuore, con tutti i suoi sentimenti, non vedeva l’ora che tornasse l’Armata Rossa.
La nostra Anna nacque nel 1924, qui nel Donbass. Sono suo padre, ho lavorato prima in un’officina meccanica e poi per tutta la vita nelle miniere. Non c’è una sola miniera a Krasnodon che non ho visitato, che non conosco come le mie tasche.
Anna è cresciuta come una ragazza allegra, talvolta irrequieta, molto curiosa e decisa. Fin dalla prima elementare si distinse per la sua perseveranza nello studio. Otteneva sempre il massimo dei voti.
Abbiamo osservato con orgoglio la sua crescita. Ricordo quanto fosse contenta e gioiosa quando così piccola, per la prima volta indossò una cravatta da pioniera e ci disse: «Un pioniere è un esempio per tutti». Continuò a studiare ed i suoi voti erano sempre eccellenti. I suoi quaderni erano puliti ed ordinati, così come i libri per i quali nutriva un fortissimo rispetto.
Anno dopo anno il tempo passò ed Anna crebbe divenendo dipendente dalla lettura. Leggere era divenuto il suo bisogno quotidiano. Pur studiando assiduamente, Anna ha sempre trovato il tempo per aiutare sua madre a casa. Imparò a cucire, cucinare, a prendersi cura del giardino. Ricordo un giorno quando appena tornata a casa da scuola, vigorosa ed allegra disse a sua madre: «Mamma, riposati! Oggi laverò il pavimento da sola».
Quando iniziò la guerra, il suo desiderio principale era quello di arruolarsi nell’Armata Rossa. Provammo a dissuaderla ma fu impossibile farla ragionare. Comunque le sue domande di arruolamento furono respinte in quanto era minorenne.
In una calda giornata di luglio del 1942, l’orda tedesca fece irruzione a Krasnodon. Anna divenne di colpo seria e riflessiva. Da quel momento la maggior parte delle sere non le trascorreva a casa. Tornava quasi sempre la mattina successiva.
Non sapevamo precisamente dove si recasse nostra figlia. Quando gli chiedevamo: «Dove vai Anna?», ci rispondeva semplicemente: «Non vi preoccupate!». Noi immaginavamo che trascorreva il tempo con i suoi amici, ma ignoravamo cosa facesse.
Solo quando l’Armata Rossa liberò la nostra città, quando estrassero il corpo della nostra cara Anna dalla fossa comune numero 5, ci fu riferito delle attività segrete di nostra figlia.
Ci dissero che Anna faceva parte di un organizzazione clandestina composta da 4 membri del Komsomol (L’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione), i quali si riunivano a casa di Jurij Vitsenovskj per scrivere volantini riguardo i successi ottenuti dall’Armata Rossa. Poi di nascosto distribuivano questi volantini alla popolazione, rendendo così alto il morale della gente che aspettava di essere liberata dall’occupazione tedesca.
Una sera di novembre del 1942, Anna particolarmente allegra ci disse: «Mamma, papà, l’Armata Rossa arriverà presto». Non demmo peso alla sua esternazione, pensavamo fosse il frutto di un suo desiderio e non di informazioni ricevute.
Quando molti ragazzi e ragazze partigiane furono arrestati all’inizio di gennaio, Anna ci disse: «È impossibile lasciare i nostri compagni nei guai!» e divenne ancora più chiusa nei nostri confronti.
Io notai che lei era preoccupata, anche se cercava di non mostrarlo. Una volta a pranzo si sedette a tavola e non mangiò in quanto scoppiò a piangere ininterrottamente. Si chiuse nella sua camera e la sera uscì nuovamente. Ora abbiamo appreso che Anna stava pianificando una fuga per i partigiani prigionieri.
La mattina del 27 gennaio 1943 bussarono alla nostra porta. Era la Gestapo. Io e mia moglie scoppiammo a piangere, mentre Anna si era appena vestita e con fare calmo e tranquillo ci si avvicinò. Baciò sua madre e poi me ed il suo fratello minore di 14 anni. Ci disse: «Non preoccupatevi per me! Abbiate cura di voi miei cari!».
Scortata dalla polizia tedesca, nostra figlia camminava con sicurezza attraverso la neve. Mentre gli agenti della Gestapo camminavano con difficoltà e barcollavano per l’altezza della neve, Anna camminava fiera e teneva le gambe saldamente a terra. Ciò mi ricordò quello che lei mi diceva spesso: «Questa terra è mia madre, è la Madre Russia».
Si allontanò e non l’abbiamo più vista, la nostra amata, gloriosa, indimenticabile figlia.
La nostra Anna è morta, la nostra perdita è pesante, ma siamo orgogliosi di nostra figlia, della sua resistenza e del suo coraggio. Nostro figlio Ivan insegnava geografia a scuola. Lo hanno portato via le SS e rinchiuso in un campo di concentramento. I loro due fratelli Vanja e Jasha fanno parte dell’Armata Rossa, non sappiamo dove siano, ma lasciamoli combattere. Possano odiare con tutto il cuore i tedeschi ed i loro alleati. Possano ucciderli senza pietà. Possa la loro vendetta essere minacciosa e sacra!»
Anna Dmitrievna Sopova ricevette postumo l’Ordine della Guerra Patriottica di 1° grado e la medaglia «Partigiano della Guerra Patriottica» di 1° grado.
Anna Sopova era una ragazza che amava in modo intenso la sua Patria e come molte altre Giovani Guardie, morì per mano dei nazisti, ma il suo luminoso ricordo vive ancora e vivrà per sempre nei cuori del popolo russo.
Luca D’Agostini
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