I leader del Movimento Bianco, sconfitti dall’Armata Rossa e ritiratisi fuori dalla Russia, non considerarono affatto la loro lotta finita e non si stancarono di fare dichiarazioni forti sull’imminente inizio di una nuova guerra civile.
I bolscevichi decisero di non aspettare che la vita stessa mostrasse quanto irreali fossero tali sogni e quindi iniziarono a cancellare i loro nemici dalla vita politica uno dopo l’altro. Li arrestarono e processarono, e la maggior parte di quelli fuggiti all’estero li eliminarono direttamente sul posto. La prima operazione di questo tipo della Čeka, un corpo speciale della polizia sovietica, che si concluse con successo, fu l’omicidio dell’atamano Dutov.
Atamano dei cosacchi di Orenburg, Aleksandr Ilič Dutov nacque nel 1879. Si laureò al Corpo dei cadetti di Orenburg, poi alla Scuola di cavalleria di Nikolaev e nel 1908 all’Accademia dello Stato Maggiore.
Nel novembre del 1917, il colonnello Dutov affrontò due guerre, quella contro il Giappone e quella contro la Germania. Era molto popolare tra i cosacchi, che lo elessero delegato al II Congresso generale dei cosacchi a Pietrogrado, e poi presidente del Consiglio dell’Unione delle truppe cosacche.
Dutov iniziò a combattere i bolscevichi fin dal primo giorno. L’8 novembre 1917 firmò un ordine di non riconoscimento nella provincia di Orenburg del colpo di stato realizzato dai bolscevichi a Pietrogrado e si assunse l’intero potere esecutivo della provincia.
I bolscevichi furono scacciati dalla provincia di Orenburg. Nel novembre del 1918 riconobbe incondizionatamente il potere di Kolčak, credendo che in nome di una vittoria comune avesse dovuto sacrificare le ambizioni personali.
Nel settembre del 1919, l’esercito di Kolčak era completamente allo sbando. A una sconfitta militare ne seguì immediatamente un’altra. Anche l’esercito cosacco di Orenburg fu sconfitto. Il 2 aprile 1920, Dutov e i resti delle sue truppe (circa 500 persone) attraversarono il confine russo-cinese. Lo stesso atamano si stabilì nella fortezza di confine di Suidun, mentre la maggior parte dei cosacchi al suo seguito si stabilirono nella vicina città di Gulja.
Dutov dichiarò immediatamente che non aveva alcuna intenzione di arrendersi: «La lotta non è finita. La sconfitta non è ancora certa» ed emise un ordine per unire tutte le forze anti-bolsceviche nell’esercito ribelle di Orenburg. Le sue parole: «Esco per morire sul suolo russo e non tornerò in Cina» divennero lo stendardo sotto il quale si radunarono i soldati e gli ufficiali dell’Armata Bianca che si trovavano in Cina.
Nell’autunno del 1920, gli agenti della Čeka intercettarono l’emissario di Dutov a Ferghana, nell’odierna Uzbekistan. Si scoprì che Dutov stava conducendo negoziati con i Basmachi, i quali vivevano nel Turkestan russo, per un attacco simultaneo alla Russia sovietica. Le trattative condotte da Dutov miravano a convincere anche l’Afghanistan a unirsi a loro, magari soprattutto in seguito ad alcune auspicate vittorie iniziali che avessero potuto incoraggiarne l’entrata in guerra.
La Čeka, un corpo speciale di polizia sovietico, creato da un Decreto del 20 dicembre 1917 di Lenin e Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij e che durò fino al 1922, per combattere i nemici del nuovo governo russo, iniziò a cercare una persona in grado di avvicinarsi a Dutov e portare a termine la missione.
Lo trovarono nel «principe» Kasimchan Čanishev, nato nella città di confine di Jarkent, in una ricca famiglia tatara. Era considerato un discendente di un principe o addirittura un khan. Per decenni, i mercanti di Čanishev contrabbandarono oppio e pellame di animali con la Cina, conobbero percorsi segreti attraverso il confine ed ebbero una rete di fornitori e informatori. Kasimchan era disperatamente coraggioso e aveva ripetutamente attraversato il confine.
Oltre alla lingua tatara, conosceva il russo e il cinese. Era un musulmano ortodosso, rispettava le leggi della Sharia e nessuno fu sorpreso se Kasimchan durante la rivoluzione divenne uno dei leader del movimento dei Basmachi.
Ma a un certo punto la situazione cambiò e nel 1917 Kasimchan si unì ai bolscevichi e nel 1918 formò un distaccamento della Guardia Rossa, conquistò Dzhankert e vi stabilì il potere sovietico, assumendo la carica di capo della polizia distrettuale.
Allo stesso tempo, uno zio nativo di Čanishev, un ricco mercante molto rispettato, viveva in Cina. I giardini di suo zio furono confiscati e i beni di molti altri parenti furono espropriati. Secondo gli agenti della Čeka, Čanishev avrebbe potuto benissimo recitare il ruolo di astioso e adirato nei confronti del governo sovietico, e il suo posto di capo della polizia avrebbe dovuto rappresentare l’esca che l’atamano Dutov doveva abboccare.
Nel settembre 1920, Čanishev fece il suo primo viaggio a Gulja. Si presumeva che in quella città avrebbe incontrato Milovskij, l’ex sindaco di Dzhankert (un tempo lui e Čanishev erano soci in affari).
Kasimchan riuscì non solo a incontrare Milovskij, ma entrò anche in contatto con il colonnello Ablajkhanov, il quale svolgeva le funzioni di interprete di Dutov, e promise a Čanishev di organizzare un incontro con il capo.
Čanishev attraversò il confine altre cinque volte, incontrò due volte Dutov, riuscì a convincerlo del suo risentimento nei confronti del governo sovietico e dell’esistenza di un’organizzazione clandestina a Dzhankert. Inviò a Dutov alcune armi e assunse nella polizia un certo Nekhoroshko, amico dell’atamano.
Tramite Nekhoroshko, Čanishev fece consegnare dei messaggi a Dutov nei quali si riferiva che a Dzhankert tutto era pronto e si stava solo attendendo l’inizio della rivolta. Nei messaggi era specificato che non appena gli uomini di Dutov avessero attraversato il confine, la polizia di Čanishev si sarebbe unita a loro.
A loro volta, gli uomini della Čeka riuscirono a entrare in possesso delle informazioni sulle forze possedute da Dutov. E questa informazione risultò inquietante. Secondo tali informazioni, Dutov poteva contare su circa 6 mila uomini armati di fucili e baionette, quattro mitragliatrici pesanti e due cannoni. Inoltre a Gulja Dutov aveva organizzato una fabbrica per la produzione di cartucce per fucili. Così si venne a scoprire che l’esercito di Dutov non era affatto un’invenzione, come i bolscevichi avevano sperato. Inoltre, Dutov manteneva stretti rapporti con organizzazioni clandestine di altre città del Caucaso, pronte a entrare in azione al suo segnale.
All’inizio di gennaio 1921, diversi scontri tra contadini e combattenti di organizzazioni clandestine avvennero nella Siberia occidentale. Circa 100 mila persone presero parte a questi scontri e così la Čeka decise che fosse urgente intervenire al fine di evitare che Dutov potesse sfruttare questi disordini per dare avvio alla sua insurrezione. Si misero da parte tutti i piani elaborati per giungere alla cattura dell’atamano Dutov e fu deciso di provvedere immediatamente alla sua eliminazione fisica.
Il 31 gennaio 1921, un gruppo di 6 agenti della Čeka attraversò il confine sovietico-cinese. Il comando del gruppo dei 6 agenti fu affidato a Čanishev. L’obiettivo assegnato a Čanishev era di liquidare Dutov alla prima occasione possibile. Affinché Kasimchan Čanishev non fosse tentato di rimanere in Cina senza aver completato l’incarico, 9 dei suoi parenti furono arrestati a Dzhankert, con la minaccia di essere uccisi qualora la missione non fosse portata a termine con successo entro il 10 febbraio 1921.
La sera del 6 febbraio, il gruppo di 6 agenti della Čeka decise di introdursi all’interno della fortezza nella quale viveva Dutov. Uno rimase al cancello e il suo compito era impedire eventualmente alle guardie di chiudere i cancelli in modo che i liquidatori potessero poi andarsene senza impedimenti. Due agenti si appostarono vicino alla casa di Dutov: avevano il compito di correre in aiuto del gruppo principale se qualcosa fosse andato storto. Tre agenti si diressero verso la casa dell’atamano. La sentinella chiese: «Chi siete?«. I tre agenti della Čeka risposero: «Portiamo all’atamano Dutov una lettera del principe Čanishev«.
Due agenti, Makhmukh Khadzhamiarov e Kudduk Bajsmakov più di una volta avevano consegnato rapporti a Dutov ed erano quindi conosciuti dalla sicurezza di Dutov. Così la sentinella aprì il cancello e i tre agenti della Čeka entrarono. Uno dei tre rimase con i cavalli davanti vicino al cancello, Bajsmakov e Khadzhamiarov si recarono nel cortile. Bajsmakov iniziò una conversazione con la sentinella e Khadzhamiarov, accompagnato da un inserviente, entrò in casa. Quando giunse di fronte a Dutov gli consegno una lettera e disse: «Da parte del principe«.
L’atamano si sedette al tavolo, aprì la busta e cominciò a leggere la lettera nella quale vi era scritto: «Signor Atamano, smettila di attendere, è ora di iniziare, tutto è pronto. Pronto! Stiamo solo aspettando il primo colpo, quindi non dormiremo questa notte«. Dutov dopo aver letto alzò lo sguardo e disse: «Ma perché il principe non è venuto?«
Invece di rispondere, Khadzhamiarov prese un revolver dall’interno della giacca e sparò, mancando però il bersaglio. Dutov si gettò a terra. Il secondo proiettile lo centrò in piena fronte. Il terzo lo colpì al fegato mentre era disteso sul pavimento. Una guardia accorse nella stanza ma Bajsmakov la uccise con un pugnale. I liquidatori corsero per la strada, saltarono sui loro cavalli e riuscirono a dileguarsi.
Le guardie di Dutov che giunsero sul luogo per cercare il commando omicida non trovarono nessuno.
Dutov e i due cosacchi morti con lui, la sentinella Maslov e l’inserviente Lopatin, furono sepolti nel cimitero cattolico alla periferia di Suidun.
Pochi giorni dopo il funerale, la tomba dell’atamano fu profanata: i sei agenti della Čeka che avevano realizzato la missione riesumarono il cadavere di Dutov e lo decapitarono. L’11 febbraio 1921 Čanishev tornò a Dzhankert con la prova del completamento dell’incarico: la testa di Dutov. I suoi partenti furono rilasciati e un telegramma fu inviato a Mosca per confermare l’eliminazione di uno dei nemici più pericolosi del governo sovietico.
Khadzhamiarov ricevette dalle mani di Dzeržinskij un orologio d’oro con inciso: «Per il compagno che ha ucciso personalmente Dutov«. Čanishev come capo dell’operazione ricevette un orologio d’oro, una carabina personalizzata con il suo nome inciso, un attestato del governo firmato dal direttore della Čeka con scritto: «Il compagno Kasimchan Čanishev il 6 febbraio 1921 realizzò un atto di importanza nazionale, che salvò diverse migliaia di vite delle masse lavoratrici dall’attacco di una banda di terroristi e quindi il compagno nominato in questo attestato da parte delle autorità sovietiche deve essere rispettato e non può essere soggetto ad arresto senza la conoscenza del Capo del Governo«.
Tuttavia, premi così importanti non li protessero dalla repressione durante l’era del Grande Terrore. Khadzhamiarov fu fucilato nel 1938, stessa sorte toccò a Čanishev. L’attestato ricevuto non lo aiutò in quanto colui che lo firmò si rivelò in seguito essere un «nemico del popolo» e fu anch’egli fucilato.
La perfetta riuscita dell’operazione per eliminare Dutov rimase comunque un patrimonio di esperienza per i servizi segreti sovietici e risultò utile nella pianificazione di successive operazioni.
Luca D’Agostini
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