Poche persone conoscono ancora questa vicenda. Invito quindi tutti coloro che non la conoscono, a leggere fino alla fine questo articolo, prestando particolare attenzione. Non crederete ai vostri occhi!
Nel 1990, la situazione fra gli Stati Uniti e l’Iraq di Saddam Hussein si era fatta tesa, e la squadra di neo-conservatori vicini al Presidente Bush convinse quest’ultimo ad un intervento armato contro il presidente iracheno. Ma la situazione non era facile. Era necessario convincere della necessità della guerra un popolo su cui pesava ancora il ricordo del Vietnam. Il problema che si poneva era: in che modo demonizzare l’Iraq di Saddam Hussein, che ancora qualche anno prima, oltre ad averlo finanziato ed armato, si era successivamente reso benemerito, agli occhi degli Stati Uniti, aggredendo l’Iran scaturito dalla rivoluzione islamica e antiamericana del 1979 ed incline a far proseliti nel Medio Oriente. La demonizzazione sarebbe risultata tanto più efficace se al tempo stesso si fosse resa angelica la vittima.1
Gli Stati Uniti fecero allora sapere a Saddam che non avevano nulla in contrario se si fosse impadronito dei campi petroliferi del Kuwait, un territorio che da sempre l’Iraq reclamava come proprio. La trappola funzionò. E Saddam invase il Kuwait. Subito dopo, Dick Cheney (che in quel periodo era Ministro della Difesa) fece avere all’Arabia Saudita delle foto satellitari nelle quali si vedevano 250.000 soldati di Saddam ammassati verso il confine del loro Paese. Temendo un’invasione imminente, i sauditi concessero agli statunitensi il permesso straordinario di stabilire delle basi militari sul loro territorio, mettendoli così in grado di attaccare comodamente l’Iraq.
Contemporaneamente, partiva una massiccia campagna mediatica contro Saddam, dapprima denunciando che i soldati iracheni tagliavano le orecchie ai kuwaitiani che resistevano ed in seguito, degna di un vero spettacolo di teatro, la stessa campagna mediatica culminava con la toccante testimonianza di una giovane infermiera volontaria kuwaitiana, Nayirah al-Sabah, la quale in una audizione del 10 ottobre 1990, niente po’ po’ di meno che al Congresso degli Stati Uniti, singhiozzando descriveva al mondo intero le atrocità commesse dai soldati di Saddam negli ospedali del suo Paese invaso: «Ero volontaria all’ospedale al-Addan. Mentre ero là ho visto i soldati iracheni entrare nell’ospedale armati di mitra e dirigersi nelle camere dove si trovavano i bambini nelle incubatrici. Hanno tolto i neonati dalle incubatrici, le hanno portato via e hanno lasciato i neonati a morire sul pavimento gelido«. Continuò affermando che questo era accaduto a «centinaia» di bambini.1 2 3 4 5
Il racconto venne sbandierato ripetutamente dal Presidente Bush sr., ribadito dal Congresso, avallato dalla stampa più autorevole ed addirittura spacciato per vero da Amnesty International, che pubblicherà il 19 dicembre 1990 un rapporto di 84 pagine sul Kuwait con un ampio spazio dedicato alla storia delle incubatrici.1 6 La giovane infermiera kuwaitiana dichiarò: «Furono uccisi 312 neonati«. Questa notizia così orripilante ma anche così circostanziata da indicare con assoluta precisione il numero dei morti, non poteva non provocare una travolgente ondata di indignazione.1 La notizia fece il giro del mondo, e da quel momento per l’opinione pubblica, la guerra contro Saddam divenne non solo necessaria ma anche urgente.7
Il Senato degli Stati Uniti approvò l’invasione dell’Iraq con 52 voti favorevoli contro 47 contrari.6
Qualche anno dopo, alcuni giornalisti vennero in possesso di foto satellitari che erano state scattate dai russi sulla stessa zona di deserto e proprio negli stessi giorni. Tali fotografie mostravano distintamente i carri armati iracheni al centro di Kuwait City ma al contempo rivelavano che lungo la frontiera con l’Arabia Saudita non c’era assolutamente nulla di ciò che avevano dichiarato gli Stati Uniti: non un mezzo, non un uomo, non un carro armato.2 3
Anche la notizia dell’infermiera che aveva commosso il mondo era ovviamente un’invenzione sapientemente prodotta e diffusa.1 Tenetevi forte: infatti l’infermiera si rivelò essere la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, Saud Nasir al-Sabah, membro della famiglia reale kuwaitiana ed anch’egli presente nell’aula dell’assemblea durante la testimonianza. La ragazza logicamente non era mai stata infermiera ed aveva recitato tra lacrime e voce rotta dal pianto la scena del tutto inventata delle incubatrici, scritta ad arte da Lauri Fitz-Pegado, vice presidente della Hill & Knowlton, una delle più note società di pubbliche relazioni di Washington.8 Si venne anche a scoprire che per recitare questa sceneggiata, la ragazza era stata allenata professionalmente dalla stessa «Hill & Knowlton».2 3 6 9

Lauri Fitz-Pegado
Addirittura nella farsa tenutasi al Congresso degli Stati Uniti, la falsa infermiera si presentò solo come Nayirah e secondo l’Assemblea, il suo cognome restava riservato per evitare ritorsioni irachene contro la sua famiglia che si trovava nel Kuwait occupato.10 Per i suoi vili servigi, Hill & Knowlton venne generosamente ricompensata ed incassò dieci milioni e ottocento mila dollari dall’associazione «Citiziens for a free Kuwait» e Fitz-Pegado entrò a far parte dello staff elettorale di Clinton e Gore.6 9 11 Nel frattempo, gli statunitensi ne avevano approfittato per piazzare delle basi permanenti in Arabia Saudita.2 3
Un giornalista statunitense, John MacArthur, in un suo libro del 1992 dal titolo «Second Front: Censorship and Propaganda in the 1991 Gulf War«, descrive come dopo la guerra, alcuni investigatori sui diritti umani cercarono conferme sulla storia di Nayirah, senza trovare alcun testimone o altre prove che potessero sostenerla. John Martin di World News Tonight dell’ABC visitò l’ospedale al-Addan e intervistò il dottor Mohammed Matar, direttore del sistema sanitario del Kuwait, e sua moglie, la dottoressa Fayeza Youssef, che dirigeva il reparto di ostetricia dell’ospedale. Secondo la loro testimonianza, le accuse di Nayirah erano false. In tutto il Kuwait erano disponibili pochissime incubatrici, non certamente le «centinaia» citate da Nayirah, e nessuno aveva visto soldati iracheni strappare neonati alle macchine. «Credo si sia trattato solo di propaganda», disse Matar.12
Anche Middle East Watch, un’organizzazione sulla tutela dei diritti umani, svolse un’indagine propria, concludendo che la storia fosse una mistificazione. Il direttore di Middle East Watch, Aziz Abu-Hamad, che condusse un’indagine di tre settimane in Kuwait dopo la guerra, dichiarò: «Le ricerche accurate di Middle East Watch non hanno prodotto alcuna prova per sostenere queste accuse. Dopo la liberazione del Kuwait, abbiamo visitato tutti gli ospedali nei quali secondo la testimonianza sarebbero accaduti tali episodi. Abbiamo intervistato i dottori, le infermiere e gli amministratori e abbiamo consultato gli archivi delle strutture. Ci siamo anche recati nei cimiteri e abbiamo esaminato i registri. Non abbiamo trovato alcun riscontro riguardo l’accusa secondo cui i soldati iracheni avrebbero tolto i neonati dalle incubatrici lasciandoli morire«.13
Insomma, si è trattato di una bufala in piena regola, senza se e senza ma, una ridicola messa in scena organizzata dalle più alte istituzioni degli Stati Uniti. Un’infamia che sancì la distruzione dell’intero Iraq.
Luca D’Agostini
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Fonti
(3) Bugie per scatenare la guerra
(4) John R. MacArthur, Second Front: Censorship and Propaganda in the 1991 Gulf War, University of California Press, Berkeley 1992, p. 54.
(5) John R. MacArthur, Second Front: Censorship and Propaganda in the 1991 Gulf War, University of California Press, Berkeley 2004, p. 58
(6) Bugie
(8) John R. MacArthur, Second Front: Censorship and Propaganda in the 1991 Gulf War, University of California Press, Berkeley 2004, p. 63
(9) Sheldon Rampton, John Stauber, Vendere la guerra. La propaganda come arma d’inganno di massa, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell’Emilia 2004, p. 60
(10) Sheldon Rampton, John Stauber, Vendere la guerra. La propaganda come arma d’inganno di massa, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell’Emilia 2004, p. 61
(11) «Citizens for Free Kuwait Files with FARA After a Nine-month Lag», O’Dwyer’s FARA Report, Vol. 1, N. 9, ottobre 1991, p. 2
(12) John R. MacArthur, Second Front: Censorship and Propaganda in the 1991 Gulf War, University of California Press, Berkeley 2004, p. 62
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