Il serial killer Aleksandr Alekseevič Labutkin, il quale uccise almeno 12 persone nella metà degli anni ’30 del secolo scorso a Leningrado, non è considerato da molti esperti come un maniaco. Labutkin non ha mai umiliato o torturato le sue vittime, non ha cercato di violentarle o di infierire sui cadaveri. Tutte le sue vittime sono morte per un colpo di pistola, dopo di che lo stesso Labutkin le aveva rapinate. Ma allo stesso tempo, non può essere considerato un semplice ladro. Perché il valore della refurtiva era del tutto insignificante. Labutkin chiaramente amava uccidere.
Nacque nel 1910 in una famiglia di operai. All’età di 17 anni ottenne un posto di lavoro nella fabbrica «Krasnoznamenjonets» come artigliere. L’impianto era militare e quindi il personale più collaudato della classe operaia venne selezionato lì. Labutkin aveva una passione sfrenata per il lusso, l’eleganza e gli abiti alla moda. Secondo i ricordi dei suoi amici, amava molto indossare una giacca scura e un cappello a tesa larga, che ne fecero nel quartiere dove abitava il suo segno distintivo.
Già a quel tempo era molto prestigioso lavorare in una fabbrica militare. E inoltre, Labutkin amava sinceramente le armi. Forse fu proprio per questa sua passione che entrò immediatamente in un reparto privilegiato, che era impegnato a controllare la qualità dei prodotti. Tuttavia, è del tutto possibile che l’autorità del padre, un lavoratore della stessa fabbrica con 42 anni di esperienza, abbia avuto un ruolo nell’assegnazione ad un reparto molto ambito.
Nel 1930, Labutkin, al’età di 20 anni, perse la mano destra, ma non nello svolgimento del suo lavoro in fabbrica. Nel fine settimana Labutkin, come parte del Komsomol (Unione della Gioventù Leninista di tutta l’Unione) aveva il compito di prestare attività lavorativa per aiutare i contadini. La mano di Labutkin fu tranciata dall’esplosione accidentale di trinitrato di cellulosa, una sostanza chimica esplosiva utilizzata in alcune attività degli agricoltori dell’epoca per sradicare gli alberi. Questo incidente fu ritenuta la causa per la quale un lavoratore assiduo e volenteroso, impiegato in un’azienda ed in una mansione ambita da molti, d’improvviso si trasformò in un sanguinario assassino.
Dopo l’incidente, Labutkin non poteva più lavorare nella fabbrica di armi e fu trasferito a lavorare in una centrale termoelettrica.
Un anno e mezzo dopo il passaggio al nuovo lavoro, Labutkin si sposò. Sua moglie era una certa Marija, nata nel 1913. A quel tempo, era già stata condannata per furto ed aveva trascorso diversi mesi in prigione, ma sembrava aver smesso di rubare. Labutkin si trasferì a vivere con sua moglie, la cui famiglia viveva in una casa alla periferia di Leningrado.
A quei tempi, non c’era né il concetto di «serial killer», né esistevano i criminologi che studiavano le menti criminali. Recentemente molti criminologi russi hanno provato a studiare la mente criminale di Labutkin.
Come già accennato, Labutkin amava le armi. Ma negli anni ’30, in Unione Sovietica possedere una pistola era abbastanza difficile. Tuttavia, Labutkin vi riuscì. Diventò amico di un ex anziano collega di suo padre, il quale lavorò in una fabbrica militare in epoca zarista e portò a casa una grande quantità di componenti di armi e di polvere da sparo, più anche molte attrezzature industriali utilizzate dalle fabbriche di armi. Così, quando il vecchio fabbro andò in pensione, nel suo capannone attrezzò un laboratorio molto fornito con un enorme stock di varie parti e componenti per la produzione artigianale di armi.
L’ex operaio della fabbrica di armi costruì per Labutkin una pistola e delle cartucce. Per un po’ di tempo Labutkin, che era destro, si allenò a sparare con la mano sinistra. Ma ad un certo punto non gli bastò sparare a lattine e bottiglie. Labutkin aveva bisogno di testare la sua abilità nel tiro su un bersaglio vivo.
Il penultimo giorno dell’estate, il 30 agosto 1933, Labutkin prese la sua pistola e si recò alla sua prima caccia. Si recò in un bosco fuori situato nelle vicinanze del suo quartiere in cerca di animali, ma ad un tratto tra la vegetazione incontrò cinque persone (due coppie più un’altra donna) di ritorno dal bosco dove si erano recati per raccogliere i funghi. Per loro disgrazia incontrarono Labutkin. Tutti e cinque furono trovati a terra il mattino successivo. Quattro erano morti e una donna era gravemente ferita. Fu portata in ospedale, dove morì presto, senza riprendere conoscenza. Il bottino di Labutkin fu essenzialmente i cestini con i funghi raccolti.
Sulla scena dell’omicidio fu condotta un’indagine piuttosto approfondita. Presto i medici legali affermarono che la morte era stata provocata dagli spari di una stessa pistola e che non vi erano altri segni di violenza sulle vittime. Inoltre, le indagini consentirono di stabilire con assoluta certezza che tutte le vittime erano state uccise con cartucce artigianali e non con proiettili di fabbrica.
La polizia interrogò tutti quelli che vivevano nelle vicinanze, pattugliarono il bosco, effettuarono delle perquisizioni nelle case limitrofe al bosco al fine di scoprire se qualcuno avesse delle pistole non registrate. Ma tutto lo sforzo investigativo risultò vano.
Con l’autunno le indagini rallentarono notevolmente, ma a dicembre Labutkin entrò in azione un’altra volta. Il 2 dicembre 1933 sparò a due persone che tornavano a casa dal lavoro. Il bottino questa volta consistette in una busta della spesa contenente prodotti alimentari, un paio di stivali di feltro e 85 rubli (lo stipendio medio di un lavoratore all’epoca era di 120 rubli al mese). Fu questa circostanza, dove la quantità dei soldi rubati era per l’epoca abbastanza rilevante, a condurre le indagini sulla pista sbagliata. Non si cercò un assassino che amasse uccidere, ma un rapinatore esperto che uccideva a scopo di lucro.
Gli organi di partito di Leningrado ordinarono che lo staff di polizia del quartiere dove erano avvenuti gli omicidi, fosse integrato con forze aggiuntive. I boschi della zona cominciarono ad essere pattugliati costantemente da unità di polizia e militari. Allo stesso tempo, gli agenti di polizia intensificarono le loro indagini. Interrogarono anche Labutkin e molto probabilmente per questo motivo la sua attività criminale si fermò per un po’ di tempo, ma non troppo.
Infatti Labutkin colpì nuovamente l’11 aprile 1934. In questa circostanza uccise un anziano idraulico il quale tornava a casa dal lavoro, Il bottino dell’assassino fu un set di attrezzi idraulici, 150 rubli e due denti d’oro che il criminale strappò dalla bocca della vittima.
In quei giorni l’intensità delle pattuglie di polizia era stata praticamente ridotta, in quanto non erano emersi riscontri ed era piuttosto oneroso mantenere una massiccia presenza di forze dell’ordine in quell’area. Dopo l’omicidio dell’idraulico fu stabilito nuovamente un pattugliamento intensivo nella zona degli omicidi. Di conseguenza, Labutkin di nuovo si calmò per alcuni mesi, attendendo che scemasse l’attività di controllo delle forze dell’ordine.
Poi colpì di nuovo il 13 novembre 1934, sei mesi dopo l’ultimo omicidio. Un cacciatore di uccelli che si era recato di sera nel bosco, fu la sua nuova vittima. Ciò che Labutkin riuscì a rubare questa volta fu una sacca con gli uccelli uccisi.
Le forze dell’ordine e gli organi di partito non sapevano cosa fare con questo assassino. A Leningrado e nei suoi sobborghi, le voci sulla comparsa di un assassino inafferrabile si stavano rapidamente diffondendo. La voce che cominciò a diffondersi tra la popolazione consisteva nel fatto che era stato il diavolo in persona a dare la caccia ad anime innocenti, incoraggiato dalla distruzione delle chiese. Naturalmente, queste voci non erano un segreto per chi era al potere. Furono chiamati i migliori investigatori di Mosca per catturare il misterioso killer.
Ma mentre le indagini erano in corso, Labutkin riuscì a commettere molti altri omicidi. L’11 gennaio 1935, due coppie sposate divennero sue vittime. Incontrò e sparò ad una prima coppia e dopo circa due ore incontrò e sparò alla seconda coppia. E tutto ciò avvenne entro un raggio di non più di un chilometro dal luogo in cui uccise i cacciatori. Era assolutamente chiaro che il misterioso killer viveva nelle vicinanze, in quanto per via dell’intensità dei controlli e delle perquisizioni per le strade della città, non avrebbe potuto muoversi facilmente portando con se un’arma.
Il 17 febbraio 1935, il corpo di un anziano lavoratore fu trovato nello stesso bosco, luogo dei precedenti omicidi. Le indagini stabilirono che fu ucciso dalla stessa pistola e che furono usate ancora cartucce fatte in casa. Ma questa volta, la polizia trovò qualche indizio. Avendo studiato attentamente le tracce attorno al cadavere, si resero conto che sul luogo dell’omicidio vi erano stati un uomo e una donna. Le indagini stabilirono che la donna aveva convinto l’anziano a recarsi sul luogo dell’agguato e che qui il killer sparò. I parenti dell’anziano dichiararono che la vittima non aveva nulla di prezioso con sé. Quindi, in questo caso, la versione della rapina non fu presa in considerazione. I detective di Mosca suggerirono alla polizia locale di Leningrado che l’assassino era un pazzo, il quale non uccideva per la refurtiva, ma per il piacere di uccidere. L’indagine della polizia di Leningrado si spostò immediatamente sui malati di mente.
Il 18 marzo 1935 Labutkin entrò nuovamente in azione. L’obiettivo dell’agguato fu una coppia che stava camminando nel bosco. L’uomo fu ucciso immediatamente, ma la donna si spostò velocemente prima dello sparo ed il proiettile la ferì anziché ucciderla. Labutkin rubò qualche piccolo gioiello che la donna indossava ma per qualche strana ragione, non le sparò nuovamente per ucciderla. Anzi le diede un appuntamento nello stesso luogo e svanì nel bosco. La donna ferita e scioccata riuscì comunque a tornare a casa, ma non si recò dalla polizia bensì da una sua amica, alla quale chiese se recarsi all’appuntamento. Secondo quanto dichiarò la sua amica, la donna era attratta dall’assassino. Le riferì: «Era tutto così ben curato, ben vestito. Era davvero bello«.
L’amica della vittima denunciò immediatamente tutto alla polizia. Le forze dell’ordine rintracciarono subito la donna ferita per realizzare un identikit del misterioso killer. Ma quando la donna dichiarò che l’assassino non aveva la mano destra, l’arresto del criminale divenne questione di brevissimo tempo.
Le indagini portarono all’arresto di Labutkin e di altre quattro persone. Sua moglie, Marija, la quale non solo sapeva degli omicidi, ma aveva anche aiutato ad attirare alcune delle vittime in un’imboscata. La madre di Labutkin, la quale vendeva alcuni degli oggetti provenienti dalla refurtiva degli omicidi. Il fabbro che costruì la pistola e fornì le cartucce artigianali a Labutkin. Ed infine un vicino della madre di Labutkin, il quale sapeva degli omicidi, ma non lo riferì alla polizia. Quest’ultimo fu condannato a cinque anni di prigione.
Labutkin fu condannato a morte e la fucilazione fu eseguita subito dopo la sua condanna. I restanti imputati furono condannati dai 10 ai 20 anni di carcere. Il loro destino è sconosciuto. Così come non è noto, quante persone abbia effettivamente ucciso Labutkin. Confessò la commissione di 12 omicidi, ma nella sentenza di condanna fu ritenuto responsabile di 15 omicidi.
Luca D’Agostini
Lascia un commento
Fonti:
Вы должны авторизоваться чтобы опубликовать комментарий.