Lo scenario di questa affascinante e drammatica storia è una Roma che stava mutando rapidamente. Dopo decenni di corruzione, nepotismo ed eccessi mondani, la Chiesa stava cercando di rimediare agli errori del passato. Era l’età della Controriforma, i costumi diventavano più sobri, almeno in chi sperava, prima o poi, di divenire Papa.
Nel 1500 per diventare Papa erano necessari pochi fattori, ma fondamentali: un cognome importante, una ricca famiglia alle spalle, appoggi politici e un’innata predisposizione al compromesso. Alessandro Farnese disponeva di tutto questo. Viveva come un re nel Palazzo della Cancelleria, era circondato da una corte di oltre trecento persone, ed era nipote del papa Paolo III. Alessandro Farnese non si distingueva solo per l’appartenenza alla importante famiglia Farnese, ma anche per merito di alcune sue doti personali. Era un uomo intelligente, un abile diplomatico il quale sapeva destreggiarsi con abilità nei differenti ambienti politici. La sua carriera ecclesiastica fu folgorante: eletto cardinale quando aveva solo 14 anni, divenne subito il braccio destro di Paolo III e poco dopo il rappresentante della corte papale nei rapporti internazionali. Poteva sembrare evidente che il suo cognome, i suoi sforzi ed i suoi meriti lo avrebbero condotto dritto al soglio pontificio, ma il sogno del cardinal Farnese di diventare Papa era destinato a non realizzarsi mai.
Nel 1556, Paolo III Farnese, nonno del cardinale Alessandro, era ormai morto da sette anni e Alessandro Farnese ricevette una buona notizia che giungeva dalla Francia: a 36 anni era divenuto padre di una bambina alla quale fu dato il nome Clelia. Ma per quanto fosse contento, il cardinale aveva più di un motivo per essere cauto. Da oltre vent’anni sperava, prima o poi, di essere eletto Papa come il nonno, ma per diventarlo doveva ostentare uno stile di vita più sobrio rispetto al passato. Quindi meno si sapeva della piccola Clelia e di sua madre, meglio era.
Esiste però una lettera ritrovata nell’archivio di Parma e scritta dalla cameriera del cardinale Alessandro Farnese, la quale si riteneva particolarmente stupita del fatto che doveva andare ad Avignone. La cameriera scrisse: «pensavo fosse burla l’andata mia ad Avignone«. Quindi possiamo immaginare che lo scopo di questo viaggio, fosse quello di andare a prendere la bambina che più o meno poteva avere tra i 4 e i 6 mesi di vita, per portarla alla corte urbinate dove c’era la zia Vittoria Farnese, la quale aveva tra l’altro appena partorito una bambina. Ma chi era la madre della bambina del cardinale? Alessandro Farnese fece di tutto per tener nascosta la sua identità. Un segreto che ha resistito per quasi cinque secoli, consentendo ad Alessandro Farnese di non vedere offuscata una carriera iniziata molti anni prima. Meno persone avrebbero conosciuto l’identità della madre di Clelia e più il cardinale poteva mantenere indisturbato il controllo della situazione politica.
Al suo prestigioso ruolo, Alessandro Farnese era arrivato molto presto, a poco più di 14 anni. Nato il 27 settembre 1520 a Valentano, nel viterbese, nelle terre d’origine della sua famiglia, Alessandro era figlio di Pierluigi, a sua volta figlio di papa Paolo III. Nel 1534, secondo l’indicazione data in punto di morte da Clemente VII, il conclave elesse Papa l’anziano cardinale Farnese il quale assunse il nome di Paolo III.

Ritratto di Paolo III — Opera di Tiziano (1543) — Museo nazionale di Capodimonte (Napoli)
Tutti ritenevano che si fosse trattato di un papato breve, invece durò quindici anni. Anche il nuovo sessantaseienne Papa, credeva di aver poco tempo davanti a sé, da qui la decisione di aumentare il peso della famiglia nominando cardinali due nipoti: Alessandro primogenito di suo figlio Pierluigi, e Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora, figlio di sua figlia Costanza. La fretta porto il papà a trascurare la regola che voleva i primogeniti destinati alla politica e i cadetti alla tonaca. Fu così che divenne cardinale Alessandro e non il secondogenito Ottavio, come di regola sarebbe dovuto avvenire. Ci fu una riprovazione all’interno dell’ambiente cardinalizio nei confronti di queste nomine di poco più che fanciulli, i quali furono sprezzantemente definiti: «cardinaletti».
Per quindici anni cardinal Alessandro Farnese fu tra i più stretti collaboratori di papa Paolo III, suo nonno. Nello splendido palazzo che si fece costruire a Caprarola, poco distante da Viterbo, i molti affreschi celebrano le sue missioni diplomatiche di quegli anni, tese a riappacificare i due grandi contendenti dell’epoca: il Re di Francia Francesco I e l’Imperatore del Sacro Romano Impero Carlo V.
Nel 1535, Francesco I e Carlo V giunsero per l’ennesima volta ad uno scontro. Per Alessandro Farnese era la prima vera occasione di mostrare la sua abilità diplomatica. Il duca di Milano era morto senza lasciare eredi e i suoi legami di parentela con Carlo V, rischiavano di far finire Milano in mano all’Imperatore. Per Francesco I era inaccettabile e così diede inizio al conflitto. Papa Paolo III doveva mediare tra i due e per cercare di fermare lo scontro e limitare i danni, diede inizio a una serie di interminabili trattative che si conclusero con una tregua. Il ruolo diplomatico di suo nipote Alessandro fu fondamentale per giungere al risultato.
Ma la politica non era il suo unico interesse. Alessandro Farnese era giovane, ricco, potente, era circondato di letterati e artisti, ma era anche circondato da moltissime donne con le quali amava intrattenersi in momenti di piacere. Il centro di questa vita brillante a Roma, non era il celebre palazzo di famiglia, Palazzo Farnese, ma il poco distante Palazzo della Cancelleria, il luogo dove vivevano i cancellieri della Chiesa, la seconda carica dello Stato papale, ricoperta spesso da nipoti del Pontefice. Infatti, a metà Quattrocento Papa Callisto III aveva nominato vice cancelliere il nipote Rodrigo Borgia, destinato a divenire papa Alessandro VI. Successivamente subentrò nella carica Raffaele Riario, il quale fece erigere il palazzo ed era nipote di Sisto IV. Nel Cinquecento vi abitò il nipote di Leone X, Giulio de’ Medici, il quale a sua volta divenne papa Clemente VII. La tradizione continuò con Ippolito de’ Medici, nipote di Clemente VII, morto l’anno dopo lo zio. Ed è così che dal 1535, cioè da quando aveva 15 anni, a Palazzo della Cancelleria viveva cardinale Alessandro Farnese, nipote di papa Paolo III. In effetti il nepotismo è un fenomeno tipico del Rinascimento: in termini molto semplici si tratta della nomina a cardinale di un nipote del pontefice regnante che diveniva poi il suo segretario, il suo braccio destro, il suo uomo di fiducia. Ovviamente questo fenomeno sollevava indignazione da parte di coloro che volevano una riforma del mondo cattolico, e sollevava anche conflitti, per esempio nei confronti dei maggiori sovrani europei cattolici, i quali desideravano invece nomine di altri cardinali, possibilmente della propria famiglia.
Alessandro Farnese fu per gran parte della sua vita, cancelliere della Chiesa, carica che giustificava la sua presenza nel Palazzo della Cancelleria.
Ma Alessandro Farnese era rimasto molto dispiaciuto del fatto che Paolo III, suo nonno, avesse deciso di dare la primogenitura, cioè il potere politico ed economico a suo fratello Ottavio. Lui non desiderava la tonaca, ma il ruolo di governante politico ed invece, si era trovato ad indossare «panni» che non aveva desiderato. Mentre il nipote di Paolo III, Orazio, era promesso come sposo a Diana figlia del re di Francia Enrico II, e Ottavio (fratello di Alessandro) era sposato con una figlia naturale di Carlo V, Margherita D’Austria, vedova del duca di Firenze Alessandro de’ Medici. Un precedente che peserà nei rapporti successivi tra Medici e Farnese, e come vedremo nel corso dell’articolo, anche sulla vita di Clelia.
Destando scandalo in tutta Europa, nell’agosto 1545, Paolo III creò il nuovo Ducato di Piacenza e Parma, facendo in un sol colpo torto sia all’imperatore Carlo V, cui spettavano le investiture civili e nobiliari, sia alla Chiesa a cui amministrativamente le due ricche città appartenevano. A capo del nuovo stato fu nominato il figlio del pontefice, Pierluigi Farnese, padre di Alessandro Farnese.
Nello stesso mese, Alessandro Farnese invitò a Roma uno dei più grandi pittori del tempo: Tiziano. Il pittore veneto doveva realizzare alcuni ritratti del Papa in primis, ma poi anche del Cardinale. Ma soprattutto doveva realizzare una scena, che secondo il costume rinascimentale doveva avere una valenza politica.
Dietro l’apparente semplicità di un quadro che ritrae un Papa anziano, con i due nipoti ai lati, si nascondeva un preciso disegno politico, e nello stesso tempo un richiamo ad un altro celebre dipinto, quello in cui Raffaello oltre vent’anni prima, aveva ritratto Leone X de’ Medici con alla sua destra il cardinale Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, e alla sua sinistra il cugino, cardinal Luigi de’ Rossi.

Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese — Opera di Tiziano (1546) — Museo nazionale di Capodimonte (Napoli)

Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi — Opera di Raffaello (1518) — Galleria degli Uffizi (Firenze)
Tiziano su indicazione dei Farnese, doveva rappresentare l’investitura da parte del Pontefice ai suoi due nipoti prediletti. Ad Ottavio erano destinati i titoli e l’autorità politica ed economica sui feudi farnesiani, Alessandro era invece destinato a succedere un giorno al nonno sul soglio pontificio. Ma Alessandro Farnese intendeva trasmettere il messaggio che le due eredità non avevano ugual valore. Tutto nel dipinto di Tiziano sottolinea questo messaggio: Ottavio, cioè il potere politico, è inchinato davanti al nonno in un atteggiamento riverente. Il Papa non lo guarda. Inoltre, tra i due c’è un distacco (evidenziato dallo spazio) che non c’è sull’altro lato del dipinto. Il cardinale è l’unico a guardare verso lo spettatore e ostenta sicurezza ma soprattutto familiarità con il Papa, in quanto poggia la mano sul pomo della sedia sulla quale è seduto il Pontefice.
Ma non erano solo i quadri a testimoniare la situazione politica. Anzi, il cardinale Alessandro Farnese aveva una vera predilezione per gli affreschi che non erano mai fine a se stessi, ma dovevano servire a sottolineare un messaggio esoterico o politico. Il salone dei «Cento Giorni» a Palazzo della Cancelleria fu dipinto da un altro celebre artista di fine Rinascimento: Giorgio Vasari. La sala si chiama così perché affrescata dal pittore e dai suoi collaboratori in soli cento giorni. Vasari, quando mostrò con orgoglio il suo lavoro a Michelangelo, sottolineando quanto poco tempo c’era voluto per realizzarlo, si sentì rispondere freddamente: «Si vede!«

Sala dei Cento Giorni — Palazzo della Cancelleria (Roma)
L’urgenza dei lavori consisteva nel fatto che tutto doveva essere pronto per le nozze della sorella del cardinale, Vittoria Farnese, la quale andava in sposa al duca di Urbino Guidobaldo II. Anche Vittoria Farnese è un personaggio che ebbe un peso nella vita di Clelia.
La finalità dei quattro grandi affreschi principali della sala dei Cento Giorni era quella di indicare la politica di Papa Farnese e quindi della sua famiglia. Ed era un messaggio chiaro. Ad esempio, nell’affresco «Omaggio delle Nazioni al Papa» si ricordava che il potere papale, in un periodo di forte contrasto con l’imperatore Carlo V, era superiore a qualunque altro potere terreno. Paolo III è seduto sul trono e gli ambasciatori stranieri sono in ginocchio davanti a lui. Non a caso dietro al Papa ci sono il figlio Pierluigi, duca di Piacenza e Parma e il nipote ed erede Alessandro Farnese che dimostrando confidenza poggia la mano sulla veste del Pontefice.

Omaggio delle nazioni al Papa — Opera di Vasari — Sala dei Cento Giorni — Palazzo della Cancelleria (Roma)
Un concetto analogo, ma più orientato sull’eterna rivalità tra Francia e Spagna, è espresso anche nell’affresco «Il Papa portatore di pace», dove Paolo III si erge fisicamente e moralmente, come effettivamente tentò di fare a più riprese ma con scarso successo, a piacere tra i litigiosi Francesco I di Francia e Carlo V.
Con la «Remunerazione della Virtù» Vasari celebra la munificenza di Paolo III, specie quella verso gli uomini virtuosi. Evidente il tentativo di contrastare le proteste e le critiche che la politica nepotista del Papa aveva suscitato. Per rafforzare il messaggio intorno al Pontefice, invece dei parenti sono ritratti alcuni uomini illustri e stimati dell’epoca: l’umanista Pietro Bembo, il cardinale inglese Reginald Pole, gli italiani Contarini e Sadoleto, il letterato Paolo Giovio, Michelangelo.

Remunerazione della Virtù — Opera di Vasari — Sala dei Cento Giorni — Palazzo della Cancelleria (Roma)
Infine, nel quarto affresco, si celebra l’impegno di Paolo III per incrementare la gloria di Roma e della Chiesa.

Affresco opera di Vasari — Sala dei Cento Giorni — Palazzo della Cancelleria (Roma)
Esaltando il papato del nonno e facendosi ritrarre con lui, Alessandro preparava la propria ascesa al trono di Pietro, evento che sembrava quasi impossibile all’indomani della morte di Paolo III, avvenuta il 10 novembre 1549. Poco prima di morire, nel Palazzo del Quirinale l’anziano Pontefice aveva avuto un duro scontro proprio con il nipote cardinale. Due anni prima, Pierluigi Farnese, padre del cardinale e figlio del Papa, era stato ucciso dai nobili piacentini e il Ducato fu invaso dalle truppe imperiali. La crisi, oltre che internazionale, era divenuta anche familiare quando il cardinale Alessandro Farnese, si era schierato con il fratello Ottavio il quale non voleva rinunciare a Parma e Piacenza, nonostante Paolo III volesse far tornare le due città sotto il diretto dominio della Chiesa.
Infatti, Paolo III, era venuto a conoscenza del fatto che i suoi nipoti, Vittoria Farnese, il cardinale Alessandro Farnese, Ottavio Farnese, Guido Ascanio Sforza, stavano complottando per cercare di fare in modo che Paolo III non riconsegnasse le città di Parma e Piacenza alla Chiesa. E proprio con il cardinale Alessandro Farnese, il Papa si adirò a tal punto che dopo una violenta discussione, il giorno dopo si sentì male e nei giorni successivi morì, pronunciando sul letto di morte la famosa frase rivolta al presente nipote Alessandro Farnese: «Così come ti ho dato il cappello, così te lo tolgo«.
La lotta per riottenere il Ducato di Parma e Piacenza continuerà anche dopo la morte di Paolo III. Il suo successore, Giulio III non amava i Farnese. Il Papa, filo-imperiale, si scontrò con l’orientamento filo-francese dei Farnese e il risultato fu che il cardinale Alessandro Farnese dovette stare quasi due anni lontano da Roma. Si vide privare di molti benefici e addirittura assistette impotente alla vendita degli arredi di Palazzo Farnese. Furono anni difficili, che avrebbero potuto causare anche una totale sparizione dalla scena politica di Alessandro Farnese, ma non fu così.
Morto Paolo III, in molti davano per conclusa la carriera del cardinale Alessandro Farnese, ma lui invece seppe abilmente addirittura accrescere in prospettiva il suo potere e la sua influenza, ed essere ancora un personaggio determinante per decenni sulla scena politica non solo romana ma anche fuori i confini di Roma.
Alessandro Farnese trascorse il periodo lontano da Roma, nelle città di Parma, Urbino e poi Firenze, alla corte di Cosimo I de’ Medici, duca di Toscana. Visse a Palazzo Vecchio ed è qui che incontrò per la prima volta uno dei suoi futuri e più acerrimi nemici, si chiamava Ferdinando. Nel 1551 era solo un bambino di 2 anni, sesto dei sette figli del Duca.
Nei primi tempi del pontificato di Giulio III, per il cardinale il problema era quello di riconquistare i beni e le terre dei Farnese, che erano stati sequestrati. Furono anni di intensissimo lavoro, di trattative segrete e pubbliche, di ricerche di accordi, di cambiamenti di alleanza con tutti gli attori che erano presenti sulla scena politica, tant’è che nello stesso conclave Alessandro Farnese poté stringere degli accordi, delle intese e delle alleanze che consentirono il ritorno ai Farnese di Parma e Piacenza. Si trattò di una sua vittoria personale.
I buoni rapporti dei Farnese con la Francia, facevano comodo a Giulio III in un momento di freddezza dei rapporti con l’imperatore Carlo V. Tra il 1552 e il 1555, Alessandro Farnese fu più volte in Francia, dove oltretutto godeva di molti incarichi e benefici.

Claude De Beaune
Ma fu soprattutto alla corte di Enrico II e sua moglie Caterina de’ Medici, che il giovane cardinale ebbe modo di distinguersi. In quegli anni ebbe molte relazioni sentimentali con donne francesi, tra cui quella con la duchessa Claude De Beaune, amica e dama di compagnia di Caterina de’ Medici. L’amicizia tra le due donne era così forte che Claude De Beaune divenne anche la tesoriera di Caterina.
Era Claude De Beaune la madre di Clelia, la figlia del cardinale Alessandro Farnese? Sì, è la scoperta è stata realizzata cinque secoli dopo «frugando» tra le molte lettere conservate nell’archivio di Alessandro Farnese. Nelle missive diplomatiche erano state ripiegate in quattro delle lettere di Claude de Beaune, lettere che gli furono recapitate ovviamente in gran segreto. Ma il contenuto era scritto in modo molto liberale e dalle sue parole risulta evidente che lei aveva un amore sconfinato per il cardinale Alessandro Farnese. Un amore che non terminò mai.
Nel frattempo, a Firenze nel 1564, il quattordicenne Ferdinando de’ Medici, divenne cardinale in seguito ad una tragedia familiare. Tramandano le cronache del 1562, che nell’autunno di quell’anno, durante una battuta di caccia il secondogenito di Cosimo, il diciassettenne cardinale Giovanni, litigò con il fratello don Garcia, più giovane di due anni, il quale ferì a morte il fratello. Cosimo I, addolorato e furioso uccise suo figlio Garcia. Alla notizia, la madre dei due ragazzi morì di crepacuore. Recenti ricerche hanno concluso che cardinal Giovanni e don Garcia, morirono come la madre di malaria, malattia per la quale all’epoca non c’era cura. Ma fu in virtù di quelle morti che al giovane Ferdinando si aprì la strada verso Roma e la porpora cardinalizia.
A 16 anni Ferdinando de’ Medici partecipò già al suo primo conclave. Morto Pio IV fu eletto Pio V e tale elezione deluse Alessandro Farnese, il quale ancora una volta non riuscì a salire al soglio pontificio. Ma anche per la curia romana il nuovo Papa rappresentava un problema. Pio V era rigido e intransigente, intendeva ripulire Roma dalla corruzione e dai costumi immorali ormai imperanti. Bolla dopo bolla cacciò dalla città le prostitute, condannò i bestemmiatori e i fornicatori, difese il vincolo matrimoniale e impose pene severe agli adulteri. Ma anche alla corte papale impose uno stile di vita più modesto, ordinando una drastica riduzione delle spese. Ma soprattutto si oppose al nepotismo, abitudine tanto cara ai suoi predecessori.
Sotto il papato di Pio V, al cardinale Alessandro Farnese non rimase altro che dedicarsi alla sua attività di mecenate, portando avanti i lavori di abbellimento del Palazzo di Caprarola, destinato a divenire la sua seconda residenza dopo il Palazzo della Cancelleria a Roma. Inoltre, a Roma, Alessandro Farnese si occupò della costruzione della maestosa Chiesa del Gesù, che riporta ancora oggi il suo nome sulla facciata.

Palazzo di Caprarola (Caprarola — Viterbo)

Chiesa del Gesù (Roma)
In entrambi i casi, a servizio del cardinale Alessandro Farnese ci fu uno dei maggiori architetti dell’epoca, Jacopo Barozzi detto il Vignola.
Nei saloni del Palazzo di Caprarola, Alessandro Farnese fece realizzare affreschi che dovevano celebrare i suoi fausti e quelli della famiglia Farnese. Nel commissionare questi affreschi non perse occasione di sottolineare il proprio peso in Vaticano. Infatti il cardinale Alessandro Farnese a differenza degli altri cardinali, aveva già partecipato all’epoca a sei conclavi e in ognuno giocò un ruolo da protagonista. Come è noto non fu eletto mai pontefice, ma fu sempre uno dei «papabili» nel vero senso della parola ed inoltre disponeva di così tanti voti da poter influenzare il conclave in modo da impedire ad un avversario di essere eletto.
Intanto sulla scena romana, almeno quella della vita mondana e del collezionismo d’arte, stava sorgendo un nuovo astro: Ferdinando de’ Medici.

Ritratto di cardinale Ferdinando I de’ Medici — Opera di Alessandro Allori (1587) — Museo Nazionale di Palazzo Reale (Pisa)
La splendida Villa Medici sul Pincio e il non meno sontuoso palazzo nella città di Firenze erano i punti di riferimento di una corte splendida, dominata da un giovane abituato a non badare a spese. Ferdinando non si limitava a dare ombra a colui che era già all’epoca soprannominato il «Gran Cardinale». Infatti, oltre al prestigio, le tensioni tra Medici e Farnese erano basate su fattori economici e politici, soprattutto da quando i Farnese avevano mostrato di avere mire sulla Repubblica di Siena, confinante con il loro Ducato di Castro. Influivano poi questioni di eredità dopo che Margherita D’Austria, vedova del duca Alessandro de’ Medici aveva sposato Ottavio Farnese, portando in dote palazzi e opere d’arte. Era questa l’atmosfera in cui maturò la decisione di trovare un marito a Clelia, la quale poco più che neonata era stata tolta alla madre naturale (che mai conobbe) e affidata alla sorella del cardinale, Vittoria Farnese duchessa di Urbino.

Ritratto di Clelia Farnese — Opera di Jacopo Zucchi (1570) — Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini (Roma)
Fu alla corte che era stata di Federico da Montefeltro che Clelia crebbe, scrivendo rispettose lettere a suo padre. Quando Clelia aveva dieci anni, iniziarono le trattative per far sposare Clelia al quindicenne marchese Giovanni Giorgio Cesarini, discendente di un’antica famiglia romana.
Il matrimonio si celebrò nel 1571 e il cardinale Alessandro Farnese si impegnò senza soste nella trattativa, ignorando che Giovanni Giorgio Cesarini sarebbe divenuto un grande amico dei Medici. Giovanni Giorgio e Clelia andarono ad abitare nel palazzo di famiglia dei Cesarini, dove tradizione vuole abbiano abitato i Borgia, a cominciare da Lucrezia e sua madre Vannozza Cattanei. Il palazzo, ancora oggi denominato Palazzo Borgia, si trova a Roma in Piazza San Francesco di Paola, nel pressi di Via Cavour.

Palazzo Cesarini (oggi Palazzo Borgia) — Roma
Palazzo Cesarini (oggi Palazzo Borgia) divenne uno dei centri della vita mondana di Roma, grazie alle collezioni d’arte di lui e alla bellezza di lei. Un binomio riconosciuto anche da un illustre visitatore quale lo scrittore francese Michel de Montaigne: «Vi sono infinite rare antichità e vi sono anche i ritratti delle più belle dame romane viventi, e della signora Clelia Farnese, sua moglie, che se non è la più gradevole senza confronto, è la più amabile donna che può esserci al momento a Roma«. Montaigne accennava al ritratto di Clelia realizzato da Jacopo Zucchi, in realtà in quegli anni, di ritratti della figlia del Gran Cardinale a Roma ce n’erano molti, ufficiali e ufficiosi, perfetti quest’ultimi per alimentare i pettegolezzi.
Ma per immortalare la bellezza di una donna possono andar bene anche il marmo e lo scalpello di uno scultore, oppure i versi di un poeta come Torquato Tasso il quale a Clelia dedicò varie rime. Una delle immagini più belle di Clelia, sopravvissuta nel tempo, è però una statua: la Venere Cesarini, opera dello scultore Giambologna, oggi custodita all’interno dell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma, insieme con le altre opere della collezione Boncompagni Ludovisi. Un retroscena che riguarda la Venere Cesarini è sicuramente l’eccezionalità della concessione fatta nel 1580 al Cesarini di poter commissionare l’opera al Giambologna. Infatti lo scultore, già da vent’anni era lo scultore di corte dei Medici.
Fu il granduca Francesco I de’ Medici, fratello del cardinale Ferdinando, a seguire personalmente la questione. Ma come mai i Medici concessero ai Cesarini, ciò che era stato rifiutato ad altri? Tra le varie motivazioni, sicuramente c’era il fatto che il Cesarini, essendo anche lui un amante dell’arte dell’antichità, abbia potuto avere un ruolo come agente dei Medici a Roma. Altro fatto rilevante è che era sposato a Clelia Farnese, e questa circostanza per i Medici, in quel momento, aveva una valenza politica particolare.
Se c’era da raffigurare Clelia Farnese nuda, dietro l’opera d’arte di turno era sempre possibile intravedere la mano del cardinale Ferdinando de’ Medici. Ancora oggi non è chiaro se Clelia cedette o meno alla corte che Ferdinando le fece per anni, anche in modo da creare imbarazzo non solo allo stesso marito, ma anche al padre, il cardinale Alessandro Farnese e aspirante Papa. Quello che è certo è che le maldicenze circolavano sotto forma di sonetti anonimi o lettere senza firma, inviate al Palazzo della Cancelleria, lettere che con grande dolore della stessa Clelia, trovavano il padre decisamente attento alla lettura. Ma non c’erano solo lettere anonime a dimostrare la lotta in atto. Lo stesso cardinale Alessandro Farnese sapeva di aver spesso avuto atteggiamenti poco amichevoli sia nei confronti del genero, sia con Ferdinando de’ Medici. Al primo aveva negato ad esempio il prestito della sua preziosa «Danae» di Tiziano, che si dice la figurasse una sua amante giovanile.
Dalle lettere di Clelia a suo padre, inviate poco tempo dopo il matrimonio, si evince un grande stato di grande agitazione e preoccupazione della figlia. Il motivo di questo stato d’animo era dovuto al fatto che Giovanni Giorgio Cesarini e il cardinale Alessandro Sforza avevano iniziato a litigare, ma purtroppo ancora oggi non conosciamo i motivi di questi aspri diverbi. Ma esiste una lettera «di fuoco» scritta dal Cesarini e indirizzata al cardinale Alessandro Farnese, nella quale gli scrive che «io non posso essere trattato in quel modo!«.
I rapporti tra il cardinale Alessandro Farnese e il cardinale Ferdinando de’ Medici erano addirittura molto peggiori. Non solo perché, ignorando suo suocero, Giovanni Giorgio Cesarini aveva nominato il cardinale Ferdinando de’ Medici quale suo esecutore testamentario, ma la tensione tra i due cardinali era già molto alta da tempo. Già nel novembre 1580, la tensione tra i due era così alta che Ferdinando de’ Medici se ne lamentò con un inviato di Ottavio Farnese scrivendogli: «Essendo queste dimostrazioni da inimico chiaro, egli non era soggetto tale che fosse per sopportarlo, et di renderne la pariglia et proceder seco ne i medesimi modi molto bene.» Si trattava di una dichiarazione di guerra vera e propria, anche se in ritardo, infatti la guerra era già scoppiata da anni.
Lo dimostrano proprio i dipinti di Zucchi voluti da Ferdinando de’ Medici e realizzati in parte già prima del suo sfogo appena sopra citato. Oggi quelle opere sono disperse in vari musei, ma qualcosa a Palazzo Vecchio a Firenze è ancora visibile. Già a fine anni Settanta del Cinquecento, in barba al rigido codice morale che gli ultimi pontefici avevano cercato di imporre, la corte e gli ospiti di Ferdinando de’ Medici potevano ammirare gli affreschi di Zucchi. In particolare la volta della Sala degli Elementi offre nella nascita di Venere un’intensa figura femminile che fissa lo sguardo dello spettatore e che somiglia in modo evidente a Clelia.
Un aspetto secondario, solo in apparenza, e che richiama una delle rappresentazioni più clamorose di Clelia volute dal solito cardinale Ferdinando de’ Medici, è la «Pesca dei Coralli», un quadro di cui in realtà esistono più versioni. Quella originale era destinata allo studiolo del cardinale a Villa Medici, e non lasciava dubbi: la donna al centro del dipinto non solo ha il volto di Clelia, ma mostra alle sue spalle un uomo che ricorda molto il cardinale de’ Medici. Ma cosa ancora più indicativa, è che le altre figure femminili, tutte in pose tutt’altro che caste, hanno i tratti di Clelia Farnese, quasi fosse un’ossessione per Ferdinando de’ Medici.
In altre versioni del dipinto, non c’è la figura del cardinale fiorentino, però le principali figure femminili richiamano evidentemente Clelia, una Clelia sempre nuda e per nulla intimorita di mostrarsi agli occhi di Ferdinando, come a quelli dei tanti incuriositi ospiti dello spregiudicato padrone di casa. Una versione della «Pesca dei Coralli» realizzata nel 1585 da Jacopo Zucchi è oggi conservata alla Galleria Borghese di Roma.
Del resto pochi anni più tardi, nel ottobre 1587, Ferdinando de’ Medici dimostrò di cosa fosse capace al momento dell’improvvisa morte per avvelenamento del fratello, il granduca Francesco I e della sua seconda moglie Bianca Cappello. Ma prima che il destino decidesse di riportarlo per sempre a Firenze, Ferdinando de’ Medici ebbe modo di continuare il suo braccio di ferro con il «Gran Cardinale» ancora per alcuni anni.
Al centro della contesa, sempre il papato e Clelia.
Giungiamo al 1585. Non fu un buon periodo per Alessandro Farnese, in quanto oltre gli acciacchi fisici, ad aprile morì Giovanni Giorgio Cesarini, il marito di sua figlia Clelia. Il decesso del Cesarini fu preceduto di qualche giorno dalla morte di papa Gregorio XIII. Quindi mentre Clelia piangeva la morte del marito, il padre entrava in conclave, deciso ancora una volta di diventare Papa, circostanza che non avverrà. Da qui il detto: «Chi entra in conclave Papa, ne esce cardinale«. Rispetto ai conclavi precedenti, per il cardinale Alessandro Farnese l’ambizione e le speranze non erano cambiate, erano cambiati gli avversari e i concorrenti diretti, il principale dei quali era proprio il cardinale Ferdinando de’ Medici.
Alessandro Farnese arrivò in conclave acclamato dal popolo che lo voleva Papa, ma le manovre di Ferdinando de’ Medici lo impedirono. Il duello Farnese-Medici aprì così le porte alla nomina di Sisto V. Ma all’uscita dal conclave, il Gran Cardinale non terminò di duellare con il Medici. In quel momento c’era Clelia vedova e le chiacchiere correvano, ma la donna non aveva nessuna voglia di essere sottoposta ai voleri della sua famiglia d’origine.
Dalle Fiandre, dove comandava le truppe del Re di Spagna contro i Protestanti, intervenne nella questione un altro Alessandro Farnese, il nuovo Duca di Parma e Piacenza, figlio di Ottavio e quindi nipote del Gran Cardinale. Alessandro omonimo del cardinale Alessandro Farnese, era un eccezionale comandante militare, riconosciuto unanimemente nella seconda metà del Cinquecento come il maggior condottiero che fino allora si fosse visto in Europa. Gli storici hanno ritrovato una lettera del duca Alessandro Farnese inviata alla cugina Clelia, una lettera molto dura e decisa nella quale indicava che lei non aveva altra possibilità se non quella di lasciare il suo palazzo di Roma e andare a vivere con Margherita D’Austria, oppure da Vittoria Farnese, la quale era sua zia e l’aveva cresciuta, e di lasciare suo figlio all’epoca adolescente, Giuliano Cesarini, in affidamento e tutela al nonno, il cardinale Alessandro Farnese.
Per la famiglia Farnese era importante che Clelia lasciasse Roma per fermare le voci e i pettegolezzi. Anche perché forte della vittoria in conclave e senza più il freno costituito dalla presenza di Giovanni Giorgio Cesarini, la corte del cardinale Ferdinando de’ Medici nei confronti di Clelia si faceva sempre più intraprendente e pressante. Ma Clelia si oppose ai consigli di suo cugino e gli rispose con una lettera di molte pagine all’interno della quale argomentava che intendeva rimanere a Roma, che era una donna libera e che il marito le aveva lasciato in eredità l’usufrutto di tutti i suoi beni immobili, e quindi in un certo modo si riteneva emancipata.
Di fronte al suo rifiuto di lasciare Roma e recarsi dalla moglie di suo zio, Margherita d’Austria, oppure dalla zia Vittoria Farnese, il Gran Cardinale decise di intervenire bruscamente. Fu così che il cardinale Alessandro Farnese convocò a Palazzo della Cancelleria sua figlia Clelia. Ne seguì un durissimo e drammatico colloquio durante il quale il padre comunicò a sua figlia la decisione presa: avrebbe dovuto sposare un ragazzo molto più giovane di lei, Marco Pio di Savoia, signore di Sassuolo.
Clelia doveva necessariamente rispettare gli ordini del padre e così le nozze furono celebrate nell’agosto del 1587 nella cappella del Palazzo di Caprarola. Nulla sarà più come prima, e non solo perché Clelia partì per Sassuolo con il marito.
Se la premura del Gran Cardinale era soprattutto quella di allontanare sua figlia da Roma, dai pettegolezzi e quindi da Ferdinando de’ Medici, il destino gli giocò un brutto scherzo. Infatti poco dopo le nozze di Clelia, Ferdinando de’ Medici raggiunse suo fratello, il Granduca Francesco I nella villa medicea di Poggio a Caiano, vicino a Firenze. Lì assistette, forse non innocente, alla rapida morte del Granduca e di sua moglie e né prese subito il posto, dopo aver estromesso dalla corsa al trono il nipote don Antonio. Divenuto il terzo granduca di Toscana, il cardinale Ferdinando de’ Medici non fece mai più ritorno a Roma.
L’estate successiva, mentre soggiornava nel Palazzo di Caprarola, anche l’ormai anziano cardinale Alessandro Farnese, malato di gotta, si senti male in piena notte mentre dormiva nella sua stanza da letto, la Stanza dell’Aurora. Dopo alcune settimane, per prestargli le cure necessarie, si rese necessario il trasporto a Roma, al Palazzo della Cancelleria. E fu nel palazzo all’interno del quale trascorse la maggior parte della sua vita, che il 2 marzo 1589 il Gran Cardinale morì. Aveva 68 anni. Un cortigiano di Palazzo della Cancelleria scrisse una lettera al nipote del Gran Cardinale, il duca Alessandro Farnese, nella quale lo avvisò della morte dello zio: «Vostro zio, il cardinale Alessandro Farnese, è morto in modo che non è possibile morire più cristianamente ne più santamente«.
Quando il corpo del cardinale Alessandro Farnese fu portato sull’altare della Chiesa del Gesù ed esposto al popolo di Roma per l’ultimo saluto, tanta fu la folla commossa e addolorata che voleva baciare le vesti del cardinale, che fu necessario spiegare come ordine pubblico non solo l’intero corpo delle Guardie Svizzere ma anche molti padri Gesuiti che quel giorno coadiuvarono le guardie nel servizio di ordine pubblico.
Clelia non si recò a Roma per i funerali di suo padre e rimase chiusa nel dolore nel Palazzo Ducale della città di Sassuolo. Sempre a Sassuolo, apprese in seguito della morte del papa Sisto V e poi nel 1592 della morte di suo cugino, il duca Alessandro Farnese. Ma i lutti intorno a Clelia non terminarono e così, nel 1599 morì anche il suo secondo marito Marco Pio di Savoia.
Fu così, che rimasta sola, senza il padre, senza il marito, senza l’appoggio del cugino, nel 1599 Clelia fece ritorno a Roma. Ma la città eterna non era più la stessa, in quanto ormai durante il papato del severo Clemente VIII, Roma non era più quella dei suoi trionfi mondani bensì quella dell’esecuzione di Beatrice Cenci e del rogo di Giordano Bruno.
Anche Ferdinando de’ Medici ormai era lontano dagli anni romani. Non era più cardinale ed aveva sposato la francese Cristina di Lorena, con la quale ebbe nove figli. Ma non dimenticò mai Clelia e così nel suo studiolo agli Uffizi fece portare tele da Palazzo Vecchio e da Villa Medici. Tra queste, tre dipinti in cui appare nuda la figlia del cardinale Alessandro Farnese.
Ma anche Clelia non è più quella di una volta. Visse con il figlio Giuliano nel palazzo di famiglia, il Palazzo Cesarini, oggi denominato Palazzo Borgia. E fu in questo palazzo che nel febbraio del 1609 la raggiunse la notizia della morte di Ferdinando de’ Medici.
Ma il grande dolore arrivò con la morte prematura del figlio, avvenuta nel gennaio del 1613. Ormai addolorata e sfinita per le vicissitudini della sua vita e per i lutti che la circondarono negli ultimi anni, l’11 settembre 1613 anche Clelia morì.
Lasciò un lunghissimo testamento scritto con una terminologia molto perentoria, tanto che ogni sua disposizione è introdotta con le parole: «Ordino e voglio«. Indicò come suo esecutore testamentario il cardinale Odoardo Farnese, figlio di suo cugino il duca Alessandro Farnese.
Di Clelia Farnese restano oltre al testamento, vari ritratti, ufficiali e non, ma non esiste una tomba. Nel testamento Clelia scrisse che il suo desiderio maggiore era quello di trascorrere l’eternità con suo padre e quindi diede disposizioni affinché fosse sepolta nella stessa tomba del cardinale Alessandro Farnese, ma senza che vi fosse apposta una lapide sopra con il suo nome. La tomba di Alessandro Farnese si trova a Roma all’interno della Chiesa del Gesù.
Purtroppo Clelia non fu ascoltata neanche da morta e non fu sepolta all’interno della tomba di suo padre. L’unica volontà che fu rispettata fu quella di non apporre alcuna lapide sul suo luogo di sepoltura, ma dove Clelia riposa nessuno l’ha ancora scoperto.
Luca D’Agostini
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