Questo nome è familiare ad ogni abitante di Stalingrado, l’attuale Volgograd. Ogni abitante conosce la sua impresa. In città c’è una piazza, una strada ed una scuola (la numero 14) che portano il nome di Aleksandr Aleksandrovič Filippov. Vi è anche un museo dedicato al giovane eroe.
Sasha nacque il 26 giugno 1925. Il padre lavorava in un ufficio postale, mentre la madre si prese cura della numerosa famiglia. Sasha aveva due sorelle, Marija e Vera, e tre fratelli, Sergej, Konstantin ed Ivan.1
Sasha era un ragazzo molto vivace, spesso fuggiva da scuola ed andava a lavorare nella bottega di un calzolaio.
Quando scoppio la guerra, il fratello Ivan fu arruolato nell’Armata Rossa ed andò al fronte. All’epoca Sasha aveva 16 anni, aveva intenzione di arruolarsi volontario ma glielo impediva l’età, così provò ad arruolarsi comunicando che aveva un anno in più, ma furono effettuati dei controlli e venne alla luce la sua reale età e quindi non fu arruolato.1
Prima della guerra Sasha era il capo di una delle tante bande di ragazzini di Stalingrado, si adirava molto spesso, anche solo per una parola fuori posto e facilmente faceva a pugni per strada con i rivali delle altre bande. Non aveva paura di nessuno, neanche delle persone più grandi di età. Era molto forte fisicamente ed aveva creato una piccola zona intorno la sua casa, nella quale aveva imposto la sua autorità. Ormai era diventato una conoscenza della polizia di Stalingrado, il quale lo prelevava dalla strada più volte a settimana, redarguendolo e richiamando ogni volta i suoi genitori per ricondurlo a casa.2
Quando i tedeschi entrarono a Stalingrado, Sasha contattò il comando locale dell’Armata Rossa, proponendosi per fornire aiuto. Fu così che divenne un esploratore. Non essendo un militare e data la sua giovane età, aveva facilità di movimento non essendo controllato. Il suo compito era infiltrarsi nelle retrovie nemiche e fornire informazioni di intelligence sul nemico. Il suo soprannome era: «scolaro»!1
Il comando dell’Armata Rossa, al fine di reperire informazioni utili, gli affidò il compito di sorvegliare un ponte di corda (una sorta di ponte tibetano) situato in una vallata nei dintorni di Stalingrado. Quando si avvicinò un gruppo di soldati tedeschi che volevano attraversare il ponte, Sasha molto sfacciatamente chiese loro dei soldi per il pedaggio. Il soldato tedesco che parlava il russo, tradusse agli altri soldati cosa aveva detto Sasha, e tutti i soldati cominciarono a ridere. Poi il soldato stesso lo accarezzò sulla guancia, prese dal suo zaino della cioccolata e due monete sovietiche ed iniziò con gli altri ad attraversare il ponte dicendogli: «mi raccomando continua a proteggere il ponte«.2
Dopo qualche ora giunsero dei militari rumeni, alleati dei tedeschi, che volevano anche loro attraversare il ponte. I rumeni non sapevano combattere e venivano utilizzati dai tedeschi come gendarmeria nei territori occupati. Avevano il compito di aiutare il quartier generale tedesco a mantenere l’ordine. Di fronte alla richiesta di pedaggio da parte di Sasha, i vili rumeni lo colpirono con schiaffi e sputi, poi lo gettarono a terra e lo presero a calci. Mentre il ragazzo era ancora a terra, si allontanarono attraversando il ponte, ma Sasha si rialzò prontamente e con un coltello che aveva nascosto nei paraggi tagliò le corde del ponte facendo precipitare nel burrone tutti i soldati rumeni, avvolti dalle loro stesse grida di disperazione.2
I nazisti stessi semplificarono il compito del giovane esploratore quando lo costrinsero a pulire e riparare i loro stivali. Un ragazzo con una borsa da scarpe sulle spalle non destava sospetti tra i tedeschi e, soprattutto era stato autorizzato a muoversi liberamente attraverso il loro territorio. Ma di notte, Sasha si incontrava con i suoi referenti per trasmettere informazioni importanti.1
Sasha si era guadagnato tra i nazisti la fama di pulitore di stivali. Un giorno a casa sua si presentò un ufficiale tedesco. Si tolse gli stivali ed ordino a Sasha di pulirglieli. Ordino alla madre di Sasha di preparargli una zuppa con i cavoli e nel frattempo si addormentò disteso sul divano. Sasha, mentre la madre cucinava, si recò in bagno, prese un rasoio e tagliò la gola all’ufficiale tedesco, tenendogli la mano sulla bocca per non farlo urlare. Attese per far dissanguare completamente il corpo dell’ufficiale nazista e poi lo mise in un sacco trascinandolo di nascosto a distanza della case, usufruendo dei vari cunicoli sotterranei scavati per proteggersi dai bombardamenti. La madre di Sasha la quale dovette ripulire tutto il sangue dalla casa, rimase per sempre sconvolta da tale episodio, soprattutto nell’assistere alla freddezza del proprio figlio di 16 anni.2
Sasha affrontò compiti che erano adatti solo a combattenti esperti. Nelle sue azioni mostrò una resistenza sbalorditiva, come quando per effettuare una missione navigò lungo il fiume Volga per parecchio tempo seduto cavallo di un tronco d’albero.1
Nelle varie missioni effettuate nelle retrovie nemiche, Sasha una sera scoprì che vi era casetta isolata in campagna, dove i proprietari erano stati tutti uccisi ed era stata occupata stabilmente dai tedeschi. Così Sasha convinse un ufficiale dell’Armata Rossa di farsi consegnare alcune granate. La notte successiva Sasha, avvicinandosi di soppiatto alla finestra della casa di campagna piena di tedeschi che stavano mangiando e bevendo ella casa, tirò fuori le granate dagli stracci sporchi tra i quali le aveva nascoste e le gettò all’interno della casa attraverso la finestra e poi fuggì immediatamente. I soldati nemici all’interno morirono tutti ma i tedeschi non credettero che potesse trattarsi di un’azione di sabotaggio in quanto avvenuta in un luogo da loro ben sorvegliato e nel quale era impossibile addentrarsi, ma non per Sasha che aveva il permesso di entrare per andare a pulire gli stivali. Le autorità tedesche attribuirono la causa dell’esplosione all’interno della casa alla manipolazione incurante delle armi.2
In totale Sasha effettuò dodici missioni nelle retrovie del nemico, ottenendo ogni volta informazioni preziose per l’Armata Rossa.1
Il 19 dicembre 1942 non fece ritorno da una missione. I suoi referenti lo aspettarono per due giorni nascosti nella vegetazione e sdraiati sotto la neve.1
Il 21 dicembre 1942, i genitori di Sasha furono convocati all’ufficio del comandante tedesco. Sasha era stato arrestato, ma non è noto in quale circostanza. Quando il figlio vide la madre, la abbracciò e disse: «Non piangere, mamma, scapperò comunque!«.1
Sasha fu torturato per due giorni con pestaggi, sfregi con baionetta sul corpo e sul volto e con ustioni. Il 23 dicembre 1942, fu condannato all’impiccagione di fronte ai propri genitori ed a tante altre persone nel piazzale antistante l’ex Chiesa dell’Annunciazione di Stalingrado. Molti abitanti di Stalingrado vennero rastrellati per strada e costretti ad assistere alla pubblica esecuzione in modo che altri si scoraggiassero dall’intraprendere azioni simili. Molte persone piangevano ed urlavano pietà. Con lui furono impiccati altre due persone. Ma le persone come Sasha non si arrendono fino all’ultimo respiro che hanno in corpo. Il padre di Sasha, in un raduno avvenuto il 25 aprile 1943, raccontò ciò che lui e moltissimi altri abitanti di Stalingrado erano stati costretti ad assistere: «Quando il boia gli si avvicinò,Sasha attraverso un traduttore rumeno chiese di poter riferire informazioni segrete riguardanti i partigiani, ma solo ad un alto ufficiale tedesco che avrebbe avuto il potere di salvargli la vita. Fu così che un alto ufficiale tedesco salì sul patibolo e si inchinò verso Sasha per sentire a bassa voce le informazioni segrete che il ragazzo doveva comunicargli. Sasha chiese ed ottenne di essere slegato ma anziché riferire il segreto all’ufficiale tedesco piegato verso di lui, lo colpì con un violento calcio in bocca tanto da farlo sanguinare copiosamente e tentò di fuggire, gridando: «Prova a riprendermi, carnefice! Non potrete impiccare tutti noi, siamo molti! I nostri soldati verranno presto e risponderai per tutto! Stalin vi ucciderà tutti!» Purtroppo, uno dei soldati tedeschi della scorta dell’alto ufficiale nazista lo raggiunse immediatamente e lo trafisse con la baionetta uccidendolo. Il suo corpo fu appeso impiccato. «1 2 3
Quanto accaduto fu comunicato da tutti i presenti all’esecuzione agli altri abitanti di Stalingrado ed è tramandato di generazione in generazione da tutte le famiglie abitanti a Stalingrado (oggi Volgograd).
In sua memoria, nel luogo dove è nato e cresciuto è stata ricostruita una casa simile alla sua, sulla quale è stata apposta una targa commemorativa. La strada dove si trova è ora chiamata «Via Sasha Filippov» e fino all’aprile del 1951 si chiamava «Via Brjansk»
Sasha fu sepolto nella piazza di Stalingrado che oggi porta il suo nome.3 Nel 1965, sulla tomba di Sasha fu installato un obelisco di granito con l’iscrizione: «Sasha Filippov, 1925-1942, membro partigiano del Komsomol, brutalmente torturato dai fascisti«.1 Qualora doveste recarvi a Volgograd, non dimenticate di passare nella «Piazza Sasha Filippov» e di omaggiare con un inchino la memoria di questo valoroso ragazzo.
Luca D’Agostini
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Fonti
(2) Филиппов Александр Александрович
(3) Чуянов А. С. На стремнине века, Записки секретаря обкома. — Книга. — Москва: Политиздат, 1976. — С. 242—243. — 288 с
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