Per molto tempo gli Arabi vissero praticando il nomadismo, lavorando come costruttori e commercianti. Ad accomunarli è stata la religione islamica, fondata dal Profeta Maometto. Conquistarono un regno che aveva un’estensione pari a tre continenti.
Nella capitale dell’Impero Abbaside, Baghdad, fondarono la Casa della Sapienza (Bayt al-Ḥikma), la prima e tra le più importanti istituzioni culturali del mondo arabo-islamico. Nata inizialmente a Baghdad come biblioteca privata del Califfo abbaside Hārūn al-Rashīd, la Bayt al-Ḥikma fu grandemente ampliata a partire dall’832 da suo figlio e successore al-Maʾmūn che la affidò alle cure di Sahl b. Hārūn e di Salm, dotandola di un patrimonio librario che raggiunse, al momento della sua massima acme, la cifra sbalorditiva di quasi mezzo milione di volumi.
La novità della Bayt al-Ḥikma non era peraltro solo quella di costituire la più grande biblioteca del mondo arabo-islamico (in un’epoca in cui le più accreditate biblioteche cristiane latine non giungevano neppure al migliaio di esemplari), ma anche quella di servire come università pubblica dove svolgere corsi d’istruzione superiore e, nel caso della disciplina medica, di far funzionare un ospedale (bīmāristān) cui avevano libero e gratuito accesso tutti i malati, di ogni sesso e razza.
Già dal 750 circa, gli Arabi erano all’avanguardia rispetto ai loro contemporanei in campo medico, architettonico e astronomico. Anzi erano considerati veri pionieri in ognuna di queste discipline.
Quella arabica e la penisola più estesa al mondo. Sin dall’antichità è stata patria di nomadi che viaggiavano da un’oasi all’altra.
Nelle regioni sud occidentali, le piogge monsoniche, rendono i terreni fertili e il paesaggio è caratterizzato da catene montuose rigogliose e vaste zone costiere.
Per molto tempo queste popolazioni furono organizzate in comunità a loro volta divise in piccole famiglie e clan. Erano in gran parte pastori e non conoscevano i concetti di stato monarca o di condottiero.
Nonostante vivessero in questi territori già da svariati secoli, solo nel IX secolo a. C. si riscontra la prima definizione di “Arabi”. Si ipotizza che questo termine derivi a sua volta da “Àbara” che nelle lingue arabo ed ebraica significa “nomadi” o “viandanti”.
Queste popolazioni si dedicarono gradualmente alla pratica del nomadismo, dando vita a vaste comunità territoriali in cui risiedevano diversi gruppi. Con il tempo, iniziò a formarsi un’identità araba, di persone che parlavano una stessa lingua e si sentivano parte dell’omonima cultura.
Nelle torride regioni settentrionali, furono fondati regni di piccole dimensioni e città di magnifica bellezza, come “Petra”, una città scolpita nella roccia e sita nell’attuale Giordania e, come “Palmira”, sita nell’attuale Siria e che in passato costituiva un’autentica metropoli ove vivevano e lavoravano ricchi commercianti.
Nelle fertili regioni meridionali, l’agricoltura divenne presto il settore trainante. Sorsero centri molto importanti che trovarono il loro sviluppo lungo la famosa “via dell’incenso”. Infatti, incenso, seta, pietre preziose, sandalo, mirra, balsamo, canfora, bambù e spezie aromatiche, erano trasportate lungo la tratta carovaniera e, partendo dall’oasi yemenita di Najrān situata sulle coste meridionali della penisola arabica, passavano per Ma’rib, Mecca, Medina, Petra fino a giungere a Gaza dove le merci potevano essere imbarcate sulle navi che solcavano il Mar Mediterraneo. Il viaggio durava circa 90 giorni e, per effettuare il trasporti delle merci, ogni carovana di mercanti era composta da circa 2.500 dromedari.
Il commercio costituiva fonte di ricchezza per gli abitanti locali. Traiano costituì la prima provincia araba. Nel III Secolo vi fu anche un imperatore romano arabo. Si tratta di Marco Giulio Filippo Augusto, meglio noto come Filippo l’Arabo, nato in Siria, e il quale ricoprì la carica di imperatore dal 244 al 249 dopo Cristo.
I Romani chiamarono le regioni meridionali della penisola araba con l’appellativo “Arabia Felix” (Arabia Felice), le regioni settentrionali “Arabia Petrea” e quelle centrali “Arabia Deserta”. Proprio in queste ultime sorse La Mecca.
La vallata che ospita la città è un territorio arido. Situata lungo la “via dell’incenso”, nella città di La Mecca, i commercianti delle carovane potevano acquistare i migliori datteri e le più pregiate pelli animali. Nella città si trovano numerosi pozzi sacri e la Ka’ba.
Durante i mesi sacri molte persone raggiungevano la Ka’ba per partecipare a una cerimonia particolare e omaggiare le divinità. In quei periodi, i commercianti avevano la possibilità di concludere ottimi affari in quanto i clienti non erano solo gli abitanti di La Mecca ma anche numerosi pellegrini i quali avevano necessità di rifocillarsi e che avevano la possibilità di acquistare oggetti sacri.
Non si sa da dove arrivi la pietra nera all’interno della Ka’ba. Probabilmente è di origine meteoritica. Con il tempo la Ka’ba divenne un luogo dell’Arabia occidentale, un punto di riferimento per gli abitanti e per coloro che veneravano divinità pagane. Solo a partire dall’epoca di Maometto la struttura fu utilizzata in chiave monoteista.
Nell’Arabia antica si veneravano un dio supremo e diverse divinità locali. Particolarmente temuti erano i demoni, i “Jinn” che si diceva arrivassero con le tenebre. Il dio supremo a La Mecca era “Hubal” e il suo simbolo era la Luna. L’aspetto del dio Hubal era quello di un vecchio con un arco e una faretra, al cui interno vi erano le frecce, senza punte né impennaggi, che sarebbero servite al sādin (custode del santuario) per emettere a pagamento vaticini su richiesta degli interessati. Il nome della divinità sembra essere semplicemente la variante araba del nord-semitico ha-Baʿl, vale a dire «il Dio» e non è forse un caso che l’espressione usata in età islamica per chiamare Allah, fosse quella di Rabb al-Bayt, vale a dire «Il Dio (Signore) del Santuario«, la medesima formula cioè usata precedentemente per Hubal.
Oltre Hubal erano venerate anche Allāt dea della guerra, al-‘Uzzā che letteralmente significa “la Potentissima” e rappresentava la dea della stella del mattino, e Manāt dea del fato.

Hubal (seduto a sinistra), Allāt (in piedi a sinistra), Manāt (in piedi al centro), al-‘Uzzā (in piedi a destra)
Alberi, pozzi e pietre erano considerati sacri. Si ritiene che alcune pietre siano cadute dal cielo, come la pietra nera della ka’ba.
I luoghi di culto, delle varie divinità, erano gestiti da determinati clan. A La Mecca vivevano i Quràysh i quali pregavano nella Ka’ba e costituivano la classe privilegiata della città. Questa famiglia deteneva il monopolio sugli ingenti introiti, derivanti dal pellegrinaggio e che spesso erano causa di controversie.
L’universo politeista fu travolto da un uomo, Maometto, nato a La Mecca intorno al 570 dopo Cristo.
Maometto si ritirò nel suo antro per meditare e, durante il suo isolamento, visse un’esperienza ultra-terrena. Storicamente questo evento è conosciuto come “la Notte del Destino” (“Laylat al-Qadr”) e rappresenta il nucleo primario dell’Islam: l’accettazione della volontà divina.
La Notte del Destino è nelle ultime dieci notti del mese di Ramadan, un giorno particolare. Tra i sunniti si trova durante la 21ª, 23ª, 25ª, 27ª o la 29ª notte; tra gli sciiti, durante la 19ª, 21ª o la 23ª notte. La data precisa non è determinabile e le devozioni avvengono nelle diverse notti.
I cinque versi della 97ª Sura, al-Qadr (il Destino), sono dedicati alla Notte del Destino: “Abbiamo certamente, fatto discendere (il Corano) durante la notte di Al-Qadr. E chi ti dirà qual è la notte di Al-Qadr? La notte di Al-Qadr è migliore di mille mesi. Durante questa notte gli Angeli e lo Spirito discendono, con il permesso del loro Signore per ogni ordine. Essa è pace e salvezza fino all’alba.”
Durante quella notte, secondo la tradizione sunnita, il Corano fu rivelato a Maometto dall’Arcangelo Gabriele (Jibrīl o Jibrā’īl). Fu l’Arcangelo Gabriele a comunicare a Maometto la volontà di Dio: distogliere gli uomini dalla vita pagana e convertirli a pregare un unico Dio, Allah.

Arcangelo Gabriele e Maometto
Nello sciismo, la Notte del Destino è legata alla discesa della scienza sull’Imam. Questa notte è considerata benedetta dai musulmani, che devono fare invocazioni, preghiere, recitare il Corano e chiedere perdono sincero per i peccati commessi.
I seguaci di Maometto lo considerarono “il Sigillo dei Profeti”, l’ultimo Profeta nella storia dell’umanità. Si ritiene che Allah abbia dato vita ad Abramo, antenato delle tre religioni abramitiche, a Mosè, il Profeta simbolo dei giudei, a Gesù, Salvatore del mondo e fondatore del Cristianesimo, venerato anche dai musulmani.
Nel Corano è scritto che Allah ha annunciato la venuta del Profeta Maometto, indicandolo come suo successore.
Ben presto la classe privilegiata di La Mecca si sentì minacciata dal messaggio di Maometto. Il monoteismo non era accettabile. Le divinità che Maometto considerava idoli malvagi erano venerate da tempo immemore.
Il nuovo Profeta e i suoi seguaci dovettero far fronte a numerose ostilità. Un giorno i suoi detrattori decisero che Maometto doveva essere assassinato, ma il tentato omicidio fallì, perché Maometto riuscì a sventarlo.
Consapevole di avere i giorni contati a La Mecca, si fece aiutare dai suoi seguaci a fuggire dalla città. Ma i suoi detrattori erano uniti e determinati e sapevano perfettamente come agire. In seguito si scoprì che l’Arcangelo Gabriele aveva avvertito Maometto, garantendogli la protezione divina. Si ritiene che Maometto fuggì da La Mecca nel luglio del 622 dopo Cristo. Il suo esodo “Egira” (“Hijira”), da La Mecca alla volta di Yathrib (l’attuale Medina — propriamente Madīnat al-Nabī, «Città del Profeta«), segna l’inizio dell’epoca islamica.
Il Profeta si rifugiò nel suo antro sul Monte Taur per poi raggiungere in poco tempo la città di Yathrib dove gli fu garantita protezione. Gli abitanti della città speravano di porre fine alle faide familiari.
Nell’arco di soli dieci anni, Maometto compì un’impresa eccezionale: riuscì a riunire tutte le famiglie arabe attraverso la fede in Allah. Fino a quel momento la città di La Mecca era stata teatro di numerose lotte, ma Maometto decise di recarsi comunque in pellegrinaggio nella sua città natale e compì sette giri intorno alla Ka’ba, proprio come fanno oggigiorno milioni di fedeli.
Dopo la morte di Maometto, le truppe arabe avanzarono verso nord, attaccarono l’Impero Persiano, sconfissero i Bizantini nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa. Ad oriente conquistarono il territorio che giunse sino all’attuale Turkmenistan e ai confini con la Cina. Ad occidente, oltre al Nord Africa, invasero le isole di Creta, Cipro, Sicilia e Sardegna e giunsero fino in Francia. Poco dopo conquistarono anche la penisola iberica. Nell’VIII Secolo, gli Arabi controllavano un vasto impero, persino più esteso dell’Impero Romano.
Molti gruppi sociali si unirono ai conquistatori, in alcuni casi perché costretti a farlo, ma in realtà le motivazioni erano di diversa natura. Ad esempio, alcuni settori della popolazione che erano stati particolarmente discriminati, considerarono l’alleanza con i conquistatori un modo per passare dalla parte del vincitore, come accadde alla famiglia Luvata in Libia. Quando nel VI Secolo i Bizantini conquistarono il Nord Africa, questa famiglia aveva perso potere, era stata sottomessa e totalmente emarginata. L’arrivo degli Arabi diede loro una possibilità di rivalsa; schierandosi con i nuovi conquistatori ebbero l’opportunità di tornare a far parte dell’élite, di riacquisire un ruolo di primo piano nel paese.
Intorno al 700 dopo Cristo, gli Arabi regnavano su una popolazione di circa 60 milioni di abitanti e questa circostanza lì rese potenti e ricchi.
A capo dell’Impero c’era il califfo. Spesso, parlando delle autorità arabe si confonde l’utilizzo dei termini: califfo, sultano, emiro e sceicco. Analizziamo subito le differenze, poiché rappresentano concetti molto diversi.
Il califfo è il più importante di tutti. Califfo, in arabo “khalīfa” vuol dire il “successore”, “vicario”, “sostituto”. Nell’Islam è il vicario di Maometto (Mohammad) alla guida politica e spirituale della comunità islamica universale. È del tutto evidente che il significato del termine “khalīfa” in questo caso ha valenza di “vicario” e non quello di «successore«. Sarebbe considerato infatti assolutamente blasfemo, nell’Islam, che Maometto possa mai avere un suo successore nella profezia.
Comunque, nella storia islamica, i califfi sono stati pochi e tutti concentrati nei primissimi tempi successivi alla morte di Maometto. Recentemente vi è stato un terrorista iracheno, Ibrāhīm ʿAwed Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī o semplicemente Ibrāhīm al-Badrī, noto universalmente col nome di battaglia di Abū Bakr al-Baghdādī , che si era autoproclamato “califfo” al fine di far credere al mondo che, tutti i musulmani erano fedeli suoi. Costui, in realtà, non era riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei musulmani ed è stato ucciso in Siria il 27 ottobre 2019.
Il termine sultano, invece, non ha nessuna connotazione religiosa. La radice di questa parola è “sulṭān” che in arabo vuol dire “forza”, “autorità”. Il sultano è colui che comanda, il sovrano.
Può esserci, però, quello che comanda, nel senso proprio colui che concretamente impartisce gli ordini, il comandante. Costui e l’emiro. Il termine arabo “amīr” significa letteralmente «comandante«, persona cioè che detiene l’autorità per emettere un ordine (ordine in arabo è “amr”) e per vederlo eseguito. Da questa parola ne deriva anche un’altra, quale “ammiraglio”, infatti in arabo “amir al-bahr” vuol dire “comandante sul mare”.
Infine, analizziamo il termine “sceicco”. Deriva dall’arabo “shaykh” letteralmente significa «vecchio» o «anziano«, ma in realtà indica una qualsiasi persona che goda di grande rispetto. In passato, nel mondo arabo tribale, il capo della tribù era lo sceicco.
Gerarchicamente, subito sotto il califfo, c’erano i governatori delle province, i quali avevano il compito di riscuotere le imposte. I musulmani erano obbligati al versamento di una tassa sociale, i non musulmani invece, definiti “protetti” e dovevano pagare un’ulteriore tassa speciale. Gli introiti erano amministrati dalle autorità finanziarie: “dīwān” e redistribuiti.
Il termine arabo “dīwān” indicava in origine il registro del soldo delle milizie arabe e delle pensioni di stato, e poi qualsiasi pubblico ufficio amministrativo. In Africa settentrionale e in Spagna, aveva anche il significato particolare di ufficio e magazzino della dogana (parola, questa, che risale anch’essa alla stessa voce araba). In tempi più recenti, è stato usato come sinonimo di consiglio, specialmente per indicare il consiglio dei ministri nell’Impero Ottomano, e anche con il significato di assemblea e di tribunale supremo (nei principati di Valacchia e Moldavia). Dal termine “dīwān” deriva la parola “divano”, cioè un sedile per più persone, imbottito e con cuscini utilizzato in sale, salotti e altri ambienti di soggiorno. Il nome è dovuto al fatto che questo tipo di sedile costituiva l’unico arredamento del “dīwān” e dell’ufficio di dogana. Come mobile, entrò a far parte dell’arredamento degli ambienti di rappresentanza delle dimore signorili del 17° Secolo.
Maometto aveva incoraggiato i suoi seguaci ad essere sempre assetati di conoscenza, dalla culla alla tomba. Emblematica a riguardo una frase proferita proprio da Maometto: “L’inchiostro del sapiente è più santo del sangue del martire”.
Ci fu un Califfo che prese alla lettera queste parole. Si trattava del Califfo al-Maʾmūn il quale regnava a Baghdad nel IX Secolo dopo Cristo e aveva un progetto preciso: trasformare la città nel centro scientifico più importante dell’epoca.

Al-Maʾmūn
Il bisnonno di al-Maʾmūn aveva già reso la capitale un centro importante. Baghdad (situata nell’odierno Iraq), costituiva un importante snodo commerciale tra i fiumi Tigri ed Eufrate. La metropoli, probabilmente, fu progettata come “città rotonda”. Interi quartieri furono costruiti seguendo una pianta circolare e tutte le strade conducevano al centro, ossia a una piazza gigantesca che ospitava il palazzo del Califfo e la moschea principale.
Ben presto Baghdad divenne una città fortificata, protetta da mura di cinta. Intorno all’800 dopo Cristo ospitava circa un milione di abitanti ed era la città più popolata al mondo. Attirava specialisti e ricercatori dai più remoti angoli della Terra, rappresentava la “patria” delle invenzioni e del sapere.
Il Califfo al-Maʾmūn era ossessionato dalla sete di conoscenza. Durante il suo regno convocò a corte diversi astronomi e chiese loro di disegnare nuovi planisferi. Leggenda vuole che quando era ancora un ragazzo, Aristotele gli fosse venuto in sogno e gli avesse raccomandato di essere sempre assetato di conoscenza. Da quel momento in poi decise di dedicare tutta la sua vita alla scienza.
Il Califfo al-Maʾmūn fondò l’istituto di ricerca più famoso dell’impero, dove si riunivano e lavoravano traduttori arabi e persiani, cristiani ed ebrei, che traducevano le principali opere scientifiche del mondo.
Nel IX e X Secolo, lo sviluppo scientifico a Baghdad raggiunse l’apice grazie ai talentuosi tre fratelli matematici Banū Mūsā: Abū Jaʿfar Muḥammad ibn Mūsā ibn Shākir, Aḥmad ibn Mūsā ibn Shākir e al-Ḥasan ibn Mūsā ibn Shākir.

I tre fratelli Banū Mūsā
I fratelli Banū Mūsā furono gli inventori del primo macchinario programmabile: un abbeveratoio automatico per cavalli.
Il medico Hunayn ibn Ishaq è considerato il pioniere dell’oculistica ed eseguiva addirittura interventi sui tumori.
al-Kindī fu il maggiore filosofo che lavorava nella città di Baghdad. In matematica, al-Kindī ebbe un ruolo importante per l’introduzione dei numerali indiani nel mondo islamico e cristiano. Fu pioniere della crittoanalisi individuando diversi nuovi metodi per decrittare un codice cifrato. Utilizzando la propria competenza di matematico e medico sviluppò una scala per consentire ai medici di quantificare la potenza dei medicamenti. Fece esperimenti di musicoterapia.

al-Kindī
Il matematico e astronomo persiano al-Khwārizmī è stato un personaggio di fondamentale importanza. È conosciuto come il padre dell’algebra. Il suo nome ha dato origine ai termini algoritmo e algebra. Il Califfo al-Maʾmūn lo nominò responsabile della sua biblioteca, la famosa la Casa della Sapienza di Baghdad. Sotto la sua direzione furono tradotte in arabo molte delle principali opere matematiche del periodo greco-ellenistico, dell’antica Persia, di Babilonia e dell’India. Il cratere lunare al-Khwārizmī è dedicato a lui.

al-Khwārizmī
La sapienza dei saggi di Baghdad non si diffuse in modo pacifico ma solo in seguito alle campagne arabe di conquista dell’Europa.
Nel 711 dopo Cristo, le truppe arabo-berbere raggiunsero le coste spagnole dal Nord Africa. Gli Arabi sconfissero i Visigoti che regnavano in Spagna. Conquistarono intere regioni della penisola iberica e invasero anche la Francia.
Il nuovo sovrano arabo apparteneva al clan dei Banu Umayya. Fondò il Califfato di Cordova.
Cordova divenne la capitale dell’Impero e ben presto la più vasta metropoli dell’Europa antica. I califfi fecero costruire gigantesche opere edilizie, delle vere e proprie opere d’arte architettoniche che furono definite moresche. Tra queste la Moschea di Cordova, oggi trasformata in cattedrale e Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La Grande Moschea di Cordova, oggi cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima in Cordova, è una delle principali espressioni dell’arte arabo-islamica e dell’architettura gotica e rinascimentale dell’Andalusia.

Grande Moschea di Cordova

Grande Moschea di Cordova
Lo stesso vale per l’Alhambra a Granada.

Alhambra (Granada)

Alhambra (Granada)
Gli abitanti dell’Andalusia trassero enormi benefici dal nuovo dominio. Gli Arabi introdussero numerose coltivazioni sconosciute, tra cui gli agrumi, i carciofi, il cotone e il riso.
Inoltre insegnarono nuovi metodi di irrigazione dei campi. L’aumento della produttività e la ripresa del commercio portarono ingenti ricchezze alle città andaluse e svilupparono un consistente fervore culturale. Tale fervore funse da calamita e attirò molti eruditi a corte. Scienziati e artisti si stabilirono nella nuova capitale della cultura europea e presto si sparse la voce che in quelle regioni l’arte e la scienza erano favorite e che i sapienti percepivano un’ottima remunerazione.
Proprio a Cordova, tra i tanti innovatori della cultura araba in Occidente, spiccò una figura nota a pochi, ma che ebbe un ruolo rilevante nell’introdurre nella città andalusa nuovi usi e costumi a dir poco originali per l’epoca, da essere considerato un vero e proprio pigmalione degli aristocratici arabi. Stiamo parlano del musico Zyriab, il cui vero nome era Abu Al Hasan Ali Ibn Nafi.
Zyriab nacque in Mesopotamia nel 789. Probabilmente gli fu affibbiato quel soprannome per via della carnagione scura e perché la sua voce ricordava quella dell’omonimo uccello canterino dal piumaggio nero: il merlo. Viveva a Baghdad dove era discepolo del musicista Ishaq di Mosul. Come è accaduto più volte nella storia dei grandi artisti, Zyriab era un discepolo che aveva il dono della voce e riuscì a superare anche il suo stesso maestro. Infatti, Ishaq, per quanto lo ammirasse, provava una profonda invidia nei suoi confronti. Una volta, Harun al-Rashid, Califfo di Baghdad, amante delle arti, disse a Ishaq di mandargli a palazzo il suo miglior discepolo. Il predestinato fu Zyriab. Ma quest’ultimo, invece di allietare il Califfo con le canzoni insegnategli da Ishaq, disse: “so cantare ciò che sanno gli altri, ma so anche ciò che altri non sanno. Se tu vuoi, canterò ciò che nessuno ha mai ascoltato”. Con queste parole Zyriab incuriosì il Califfo, che rimase allietato dalle sue canzoni. Il giovane musico si dimostrò un vero talento e non usò il liuto del suo maestro, ma il suo con cinque corde, fatto con materiali alquanto pregiati: corde di seta rossa e budella di cucciolo, con il plettro che era un artiglio d’aquila. Il Califfo, incantato da quella musica, chiese a Zyriab di ritornare, cosa che non avvenne mai. Ishaq, venuto a sapere ciò che era successo a palazzo, rimproverò il suo allievo, mostrando tanta invidia per la sua bravura, dicendogli addirittura che avrebbe dovuto ucciderlo per la sua insolenza. Il maestro, però, diede a Zyriab la possibilità di andarsene da Baghdad, perché non aveva più intenzione di rivederlo.
Il giovane allievo decise di abbandonare la capitale e di andare altrove. Iniziò per lui un lungo periodo in cui errò in diversi paesi quali la Siria, la Libia e l’Egitto. Ovunque andasse nel suo lungo vagabondare, Zyriab era acclamato per la sua musica che, come lui amava dire agli altri, era ispirata da angeli che gli venivano in sogno. Venne poi a conoscenza della fiorente Cordova e inviò una missiva all’Emiro della città, per essere accettato al suo palazzo. Trascorsero alcuni mesi e arrivò la tanto attesa risposta perché, secondo la leggenda, Abd al-Rahman (l’Emiro di Cordova) aveva fatto un sogno che riguardava lo stesso musico. Quando Zyriab giunse a Cordova si ritrovò in una città ricca di splendore. L’Emiro era molto amato dai suoi sudditi, anche perché favoriva la tolleranza religiosa nei confronti dei cristiani. Zyriab ebbe un forte rapporto di amicizia con Abd al-Rahman che, senza nemmeno averlo sentito cantare, dopo il quarto giorno dal suo arrivo, gli donò anche un palazzo e una servitù. Successivamente anche l’Emiro rimase incantato dalla voce di Zyriab. Il musico trovò in Cordova la sua nuova casa. Lo straniero venuto dall’Oriente portò a corte non solo la sua musica ma anche nuove mode, per l’epoca molto innovative. Infatti, introdusse il gioco degli scacchi, insegnò agli aristocratici di Cordova l’utilizzo dei calici di vetro invece delle coppe dorate per degustare meglio il vino. Inoltre, insegnò alla servitù di servire le portate ai banchetti in un certo ordine: antipasti, zuppe, pesce, carne e infine dolci accompagnati da liquori. Zyriab è da considerarsi quindi l’ideatore di uno dei primi menù della storia. Introdusse a corte anche gli asparagi.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, Zyriab suggerì ai nobili di vestirsi con colori chiari in estate e scuri nei periodi più freddi. Consigliò anche tagli di capelli corti con zigomi scoperti e l’uso di alcune creme per la pelle. Introdusse alcune superstizioni che ancora oggi perdurano nell’immaginario collettivo: la paura del numero tredici, quella degli specchi e la certezza che i bambini che giocano con il fuoco fanno la pipì a letto. La fama di Zyriab lo portò a fondare scuole di musica alle quali potevano accedere indistintamente uomini e donne, e scuole di bellezza dove insegnava agli uomini le nuove mode di cui era portatore. Insegnava a fare la barba, a tagliarsi le unghie e ad usare il deodorante. Nonostante fosse sempre a contatto con la corte dell’Emiro, non volle mai entrare in politica, perché il potere non gli interessava.

Zyriab
L’eredità andalusa è visibile in moltissimi ambiti. Termini come alcol, materasso e caraffa fanno parte del nostro lessico e sono in uso ancora oggi.
Lo stile musicale andaluso, le canzoni accompagnate dal liuto, influenzarono i poeti medioevali gettando le basi di quella che sarà la musica dei cantautori.
Lo stile di vita orientale influenzò gli usi e costumi delle corti europee, in cui si giocava a scacchi o si promuovevano le buone maniere a tavola.
L’apogeo andaluso fu rappresentato al meglio da Voltaire, Goethe e Lessing i quali lo considerarono un modello culturale di grande tolleranza.
Cordova era anche un importante punto di riferimento in ambito medico. In quel periodo, la città disponeva di cinquanta ospedali. Il dottor al-Zahrāwī (Abū l-Qāsim Khalaf ibn ʿAbbās al-Zahrāwī), conosciuto in Occidente con il nome di Abulcasis è considerato il più grande chirurgo del Medioevo e il padre fondatore della chirurgia moderna.
al-Zahrāwī era un uomo estremamente devoto alla professione medica, e riceveva pazienti e studenti non solo dal mondo arabo ma dall’Europa intera e dispensava cure, aiuto e consigli a tutti coloro li richiedessero. Uno dei suoi pregi maggiori era la sua straordinaria prudenza e professionalità: spinto dalla morale deontologica e dalla volontà di efficacia tecnica, al-Zahrāwī si rifiutava di intervenire senza conoscere la causa esatta che provocava la malattia e senza un piano operatorio prestabilito e insisteva sull’importanza dell’osservazione diretta e approfondita di ogni caso così da poter effettuare la diagnosi più precisa possibile, di modo da prescrivere il trattamento più adatto. Era indispensabile a suo parere dunque, nell’ambito della chirurgia, essere molto equilibrati, prudenti ed avere il massimo rispetto della persona umana: a questo proposito egli nel proemio alla sua opera principale, al-Taṣrīf, si indirizza ai suoi allievi con queste parole: “Comportatevi con riservatezza, e precauzione; abbiate nei riguardi dei pazienti, dolcezza e perseveranza; seguite la via buona, che porta al bene, ed a conseguenze fortunate. Astenetevi dall’iniziare trattamenti pericolosi e difficili. Evitate ciò che potrebbe compromettervi nel vostro onore, e nei vostri beni; è la migliore decisione per la vostra reputazione, e la più conforme ai vostri interessi, in questo mondo e nell’altro.”
al-Zahrāwī sottolineava inoltre l’importanza di un rapporto medico-paziente positivo e fondato sul rispetto reciproco, e insisteva allo stesso modo sul dovere di dispensare cure indipendentemente dalle differenze di statuto sociale.
Fu il primo chirurgo a mettere in pratica una serie di operazioni chirurgiche:
- l’estrazione, per via vaginale, dei calcoli renali;
- la tracheotomia, operazione che praticava sul suo servitore;
- la legatura arteriosa per arrestare le emorragie (operazione resa nota nel XVI secolo da Ambroise Paré);
- le suture intradermiche, che non lasciano tracce visibili, e le suture con due aghi ed un solo filo;
- il metodo di riduzione delle lussazioni della spalla, chiamata oggi «manovra di Kocher», ad opera di Emil Theodor Kocher;
- la frattura della rotula (patellectomia), circa mille anni prima di Ralph Brooke;
- la messa in pratica nelle operazioni della piccola pelvi della «posizione Trendelenburg», attribuita in seguito al chirurgo tedesco Friedrich Trendelenburg;
- il trattamento chirurgico delle osteo-artriti tubercolari per lo più vertebrali («Mal di Pott»), sette secoli prima di Percival Pott;
- l’escissione delle varici, applicata anche oggi con lievi modifiche;
Egli inoltre praticava brillantemente: la trapanazione, le amputazioni, il trattamento delle fistole, delle ernie e della perforazione anale, la cura dell’aneurisma, l’operazione del gozzo, la litotomia, interventi di chirurgia plastica, l’asportazione delle tonsille.
Il dottor al-Zahrāwī costruì con le proprie mani gli strumenti chirurgici e ne inventò di nuovi. Impiegò bisturi, pinze e divaricatori. Curò la cataratta con la micro spatola sottile a lancia che consentiva di raggiungere il cristallino opacizzato ed estrarlo dalla camera posteriore. Molti degli strumenti impiegati all’epoca dal dottor al-Zahrāwī sono usati tuttora.
Il dottor al-Zahrāwī è anche considerato il pioniere della somministrazione di medicinali per la terapia psichiatrica e del dolore. Produsse personalmente medicinali a base oppiacea.

al-Zahrāwī
A partire dall’XI Secolo, furono costruiti centri di erudizione medica ai confini dell’Impero islamico. A Montpellier, nell’odierna Francia, e a Salerno, nell’Italia meridionale, sono ancora visibili le testimonianze dello stretto legame con gli istituti medici arabi situati nella Spagna meridionale e nelle zone siciliane che all’epoca erano governate dagli Arabi.
In Europa, la nuova medicina rappresentò un salto di qualità notevole. Le nozioni elaborate in campo farmaceutico furono alla base delle future farmacie medievali. Gli Arabi furono pionieri delle discipline specialistiche, oculistica, farmacologia, anatomia e chirurgia. Discipline che poi si sarebbero diffuse in Occidente.
In Europa, per secoli i libri di testo arabi furono considerati letture obbligatorie. Primo fra tutti il “Canone della medicina” (“Qānūn”), scritto dall’importante medico arabo Ibn Sīnā, noto in Occidente come Avicenna. Nato nell’attuale Uzbekistan, fu una delle figure più note nel mondo islamico; in Europa Avicenna diventò una figura importante a partire dal Mille; fu riconosciuto autore di importantissime opere nel campo della medicina rimaste incontrastate per più di sei secoli. È considerato come «il padre della medicina moderna». George Sarton, storico della scienza, ha indicato Avicenna come: «il più famoso scienziato dell’Islam e uno dei più famosi di tutte le razze, luoghi e tempi”.

Avicenna
L’influenza culturale araba non impedisce comunque la lotta militare tra arabi e cristiani. Nell’XI Secolo, i cristiani ottennero un importante successo militare nella penisola iberica, precisamente sulle montagne delle Asturie. In quell’occasione, Bisanzio lanciò un grido di aiuto.
Infatti, da tempo i Turchi costituivano una seria minaccia per l’Impero Bizantino che il 26 agosto del 1071 subì una netta sconfitta nella Battaglia di Manzicerta. Avendo necessità di aiuto, i bizantini tentarono in ogni modo di attirare i cristiani e di dare loro un obiettivo per unirsi alla battaglia.
Il loro sogno era riconquistare la città santa di Gerusalemme, considerata la culla della Cristianità. In realtà, molte categorie sociali che godevano di una determinata fama si sentirono chiamate in causa per difendere la loro reputazione. Alla fine dell’XI Secolo, i Crociati insieme a contadini, malati e diseredati, decisero di conquistare la città santa. L’invasione dei cristiani si rivelò un successo, ma anche un massacro. Tuttavia la pace a Gerusalemme non fu ristabilita. La città divenne territorio di conquista in diverse occasioni, in una guerra che durò circa 150 anni.
Spesso questi eventi celavano interessi politici e militari. In Europa, i Papi lottavano con tutte le loro forze per la supremazia, in particolare con gli imperatori del Sacro Romano Impero. Il grido di aiuto dei Bizantini, rappresentava un’opportunità di prendere il sopravvento. I Papi pensavano di poter agire a livello politico e decisero di accogliere la richiesta bizantina, incoraggiando i sacerdoti a condannare le atrocità perpetrate dai musulmani nei confronti dei cristiani. Sottolinearono inoltre, l’importanza della riconquista della Terra Santa, in particolare della Palestina e di Gerusalemme, a vantaggio di tutta la Cristianità.
Il conflitto proseguì anche in Spagna. I cristiani riconquistarono territori musulmani in una guerra intestina che sembrò non avere fine. Cordova era una città frammentata, non più in grado di resistere a ulteriori assalti. Nel 1085 i cavalieri cristiani la invasero.
Toledo era la seconda città dopo Cordova ad ospitare il più influente centro di ricerca arabo sul territorio europeo. Ben presto i conquistatori si resero conto del tesoro che avevano trovato e decisero quindi di non distruggerlo, ma di preservarlo. Con la cosiddetta “Opera di traduzione” furono inaugurate biblioteche e collezioni di libri all’interno della città. Gli eruditi cristiani erano prevalentemente monaci e provenivano dall’Europa. Il loro obiettivo era ampliare il bagaglio culturale e si misero all’opera collaborando con studiosi ebrei. I gruppi di lavoro nelle varie lingue, intrapresero un’impresa titanica di traduzione in latino di testi scritti in persiano, greco e arabo.
Toledo fu un tassello essenziale perché ospitava una numerosa popolazione cristiana già durante il dominio arabo. In tutto il periodo della dominazione araba, i cristiani si erano adeguati alla cultura araba dei conquistatori e Toledo ospitava biblioteche enormi e prestigiose. La popolazione locale conviveva pacificamente con gli Arabi ed erano numerosi anche i casi di bilinguismo. I cittadini di quei territori potevano esprimersi facilmente in arabo e in latino; fu proprio questa particolare situazione culturale a consentire la preservazione e la trasmissione delle conquiste scientifiche arabe nel mondo cristiano.
Alfonso X detto “il Saggio” fu uno dei maggiori promotori dell’opera di traduzione. Fece tradurre in spagnolo opere scientifiche e letterarie e fu un pioniere dell’istruzione a portata di tutti, anche di coloro che non conoscevano il latino.
Particolarmente influente fu una raccolta di favole arabe “Kalīla wa-Dimna” la cui traduzione fu patrocinata da Alfonso “il Saggio”. Fu letta in tutta Europa e da allora è stata tradotta in più di sessanta lingue.

Kalīla wa-Dimna
La raccolta di favole arabe “Kalīla wa-Dimna” gettò le basi per gran parte delle antiche favole medievali spagnole che “Kalīla wa-Dimna” si ispirarono.
Ma nel XIII Secolo, l’apogeo del califfato arabo giunse ormai a termine. L’esercito dei cavalieri mongoli invase i territori arabi instaurando un clima di paura e terrore. Gengis Khān e i suoi seguaci conquistarono vaste zone del Medio Oriente. Nel 1258 invasero Baghdad e la rasero al suolo. Anche la Casa della Sapienza, l’istituto di ricerca arabo più autorevole, fu distrutto insieme agli innumerevoli tesori che conteneva. Moltissimi volumi furono gettati nel Tigri. Si narra che per via del colore dei tomi le acque si tinsero di nero. Il Califfo di Baghdad fu ucciso.
I Crociati conquistarono poi l’ultimo territorio spagnolo che era ancora sotto il dominio arabo: il Sultanato di Granada.
Spesso si afferma che l’Europa affonda le sue radici nella cultura greco-romana e giudaico-cristiana. Ma purtroppo si dimentica, o si finge di dimenticare, che l’Europa si fonda anche una su una terza cultura: quella arabo-islamica.
Infatti, nel corso dei secoli, i dominatori e gli eruditi arabi fecero tesoro delle conoscenze degli antichi e apportarono notevoli progressi promuovendo la ricerca globale. Il libero scambio di idee riuscì a travalicare i confini politici e religiosi e consentì la trasmissione del sapere per il bene di tutta l’umanità.
Luca D’Agostini
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