La storia del cannibale di Belinskij, Aleksandr Vladimirovič Vičkov, diciassette anni fa colpì l’intera Russia. Il giovane cannibale che ha mangiato il cuore delle sue vittime, ora in seguito ad una condanna a vita è detenuto in una prigione speciale per detenuti condannati all’ergastolo sita sull’isola di Fuoco, un piccolo isolotto a centro di un lago nella Russia settentrionale. Nel carcere mantiene una fitta corrispondenza con una donna statunitense, residente negli Stati Uniti, la quale ha dichiarato di volerlo sposare.
Ma chi è Aleksandr Vladimirovič Vičkov? Nell’estate del 2013, il villaggio di Belinskij avente una popolazione di 8.500 persone circa, vicino la città di Penza, sembrava un enorme sito archeologico. Sembrava vi fossero giunte spedizioni per cercare tracce di una città sotterranea scomparsa o che si fosse in piena corsa all’oro. La gente del posto scavò un’infinità di buche nei terreni circostanti in cerca di resti umani. Ciò avvenne perché tre mesi prima, il loro concittadino Aleksandr Vičkov, fu condannato per una serie di impressionanti omicidi. Vičkov era abituato a smembrare le sue vittime ed a seppellire i resti in modo sparso nel terreno.
Aleksandr Vičkov è nato il 1 aprile 1988. Ha avuto un’infanzia travagliata: sua madre Irina era alcolizzata e suo padre era un meccanico ed avevano due figli, Aleksandr e Sergej. Il padre all’età di 40 anni, rendendosi conto dei disperati tentativi di sottrarre sua moglie all’alcol, si suicidò impiccandosi.
La madre da qual momento ha cominciato a frequentare uomini alcolizzati come lei e picchiava molto duramente i suoi due figli. Aleksandr si prese cura del fratello minore Sergej. Lavorava giorno e notte vendendo aneto e cipolle verdi al mercato, consegnando metallo per pochi centesimi ai vicini centri di raccolta. La madre continuamente ubriaca, sperperava in vodka i pochi soldi che portava il figlio ed ebbe un altro figlio da un tagiko.
Aleksandr Vičkov si diplomò presso la scuola professionale locale e si iscrisse alla scuola pedagogica di Belinskij, ma non riuscì a terminarla, in quanto il fratello Sergej fu duramente picchiato dalla madre fino al punto di divenire disabile. Aleksandr Vičkov fu così costretto ad interrompere gli studi e ricominciò a prendersi cura del fratello.
Aleksandr Vičkov cominciò a tenere un diario nel quale si auto soprannominava «Rambo». Nella testa di un adolescente disagiato e frustrato, c’era il desiderio di elevarsi al di sopra della realtà grigia che lo circondava e sentirsi come una persona speciale. L’umiliazione subita nell’infanzia, il senso di inferiorità di fronte ai propri coetanei, furono da lui espressi nel suo diario nell’ammirazione del culto delle teorie razziali di Hitler. La sua fidanzata Svetlana, dopo il suo arresto, in tribunale dichiarò che durante le loro frequentazioni Vičkov parlava con estasi di questo argomento e quindi lei decise pian piano di lasciarlo. Tale ammirazione non poteva logicamente essere condivisa con nessun russo e per questo motivo Vičkov non aveva amici ed era sempre isolato.
Durante gli ultimi giorni della relazione di Vičkov con la sua ragazza, lui in un’occasione si recò a casa di lei e la trovò insieme ad un altro ragazzo. La fidanzata di Vičkov si aspettò una reazione violenta, ma lui invece senza parlare e con estrema calma, chiuse la porta e se ne andò.
In seguito, durante il processo, gli psichiatri giudiziari trovarono il serial killer sano di mente, sebbene con qualche disturbo mentale. Vičkov voleva affermare e dimostrare a se stesso che non era uno «straccio» bensì «lupo solitario».
La prima volta che Aleksandr Vičkov andò a caccia di umani fu il 17 settembre 2009. Si recò in un locale dove si bevevano alcolici, fece conoscenza con un uomo molto anziano che era già ubriaco nel locale. Lo invitò a casa sua per bere un altro po’ insieme. Così, a casa gli fece bere ancora dell’altra vodka e quando l’anziano crollò addormentato, lo uccise e lo seppellì in un burrone dietro la sua casa. In futuro, tale modalità di omicidio, diventerà il suo standard. La differenza consisteva solo negli strumenti utilizzati per uccidere: talvolta un coltello e talvolta un martello.
Vičkov smembrava accuratamente i suoi cadaveri, altrettanto accuratamente li imballava in confezioni sigillate e poi li seppelliva in una vicina discarica.
Le vittime di Vičkov erano solitamente persone che nessuno cercava una volta sparite. Le sue vittime erano persone sbandate ed estremamente alcolizzate. Gli psichiatri giudiziari sostennero che questo suo atteggiamento andava interpretato come una vendetta nei confronti di sua madre e degli altri alcolizzati che lei frequentava.
Vičkov andò a caccia delle sue vittime per quasi 3 anni, sempre nel periodo da maggio a settembre. Ciò principalmente perché in questo periodo, squadre di lavoratori migranti dall’Asia centrale si recavano a lavorare nel villaggio di Belinskij e, semmai, i sospetti della polizia sarebbero dovuti ricadere su di loro. In secondo luogo, è più facile scavare il terreno in estate che in inverno.
Un giorno accadde qualcosa che prima o poi sarebbe dovuta accadere. Furono trovati 3 corpi smembrati e iniziò quindi la ricerca del criminale. Il capo della polizia locale individuò in Aleksandr Zhuplov, il responsabile dei tre omicidi. Si trattava di un malato di mente che frequentava abitualmente quei luoghi. Zhuplov confessò e la corte lo inviò al trattamento sanitario obbligatorio in una colonia penale, ma, in seguito a nuovi elementi emersi nel corso delle indagini, il folle che si era autoaccusato fu scarcerato e la ricerca del colpevole ricominciò. Il panico divampò nel villaggio.
Il merito nella cattura di Aleksandr Vičkov appartiene alle forze dell’ordine, ma avvenne casualmente. Una notte alla fine di gennaio 2012, Vičkov scassinò la porta di un ferramenta ed entrò nel negozio per rubare coltelli e qualche soldo. La polizia che aveva incrementato i controlli in strada, si accorse che stava avvenendo un furto e lo arrestò. Alla stazione di polizia, Aleksandr Vičkov confessò tutti gli omicidi commessi. I poliziotti locali ad ascoltare le ricostruzioni dettagliate dei suoi omicidi, rimasero scioccati. Non potevano neanche immaginare che il mostro che stavano cercando avesse le sembianze di un giovanissimo ragazzo, basso, magro e per via del suo comportamento calmo apparentemente insospettabile.
Nel suo diario, Aleksandr Vičkov ha descritto in dettaglio gli omicidi di 11 persone. L’accusa al processo gli imputò 17 omicidi, ma al termine del processo la corte lo condannò sulla base di soli nove omicidi accertati. Grazie alle sue indicazioni, nel territorio circostante il villaggio furono ritrovati sparsi molti resti umani. Nel suo diario, ha descritto in dettaglio come ha mangiato il fegato e il cuore delle sue vittime per provare a se stesso che poteva fare qualcosa di soprannaturale. Nel suo diario ha anche riportato una ricetta da lui inventata un piatto di carne di bicipite umano con contorno di cavolo.
Aleksandr Vičkov è stato condannato all’ergastolo per omicidio e vilipendio di cadavere. Per sempre, finché sarà in vita, sarà rinchiuso nella prigione speciale per detenuti condannati all’ergastolo sita sull’isola di Fuoco, un piccolo isolotto a centro di un lago nella Russia settentrionale.
Luca D’Agostini
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