Già prima del 2001, ben pochi occidentali conoscevano qualcosa di più dell’Afghanistan oltre il nome; un’idea molto vaga della sua collocazione geografica e dei confini territoriali, per i più grandi di età qualche ricordo dell’intervento armato dell’Unione Sovietica, immagini di figure femminili rinchiuse in un burqa. Tutto qua! Anche oggi però gli occidentali, dopo aver invaso e martoriato il Paese per 17 anni, sanno appena poco di più: talebani, kamikaze, signori della guerra, coltivazione di oppio e traffico di droga, sharia.
L’Afghanistan occupa una delle regioni più aride e inospitali del centro dell’Asia. Questo luogo dove steppe e deserti si fondono con i contrafforti occidentali dell’Himalaya e con l’altipiano iraniano, con meno del 3 % di suolo coltivabile, è stato da più di duemila anni il crocevia di strade imperiali e di culture tra le più importanti dell’Asia.
L’attuale Afghanistan, riunisce dentro i suoi confini vari popoli notevolmente diversi. Un’antica leggenda afgana narra che: «Dio, dopo aver creato la Terra e aver collocato con ordine diversi popoli nei diversi Paesi, si ritrovò con degli avanzi: monti altissimi, fiumi sfuggenti, piccoli laghi, immensi deserti stepposi, esigue pianure e soprattutto genti dalle caratteristiche disparate che non potevano abitare in nessuno dei luoghi già creati. Osservando il globo dall’alto dei cieli Dio notò che nel centro dell’Asia era rimasto un grande vuoto. Pensò allora di gettare i resti della creazione in quel baratro. Così nacque l’Afghanistan e così nacquero gli afghani».1
Analizziamo quindi il composito mosaico delle etnie, che sta alla base delle vicende del Paese.
I Pashtun, si considerano come gli autentici afghani, sono più della metà della popolazione. Hanno realizzato la creazione dello Stato afghano con la loro fiera resistenza alle invasioni britanniche.2 I Pashtun sono stati uno dei pochi gruppi etnici che sono riusciti a contrastare l’imperialismo britannico durante il XIX secolo, con Abdul Ghaffar Khan, soprannominato il Gandhi musulmano, fondatore del primo esercito nonviolento della storia: i Khudai Khidmatgar (servi di Dio).3 4 Da allora hanno conquistato tutti i posti nell’amministrazione, negli organismi di potere.2
Durante l’intervento militare sovietico in Afghanistan (1979-89) gli Stati Uniti sotto le presidenze Carter e Reagan, finanziarono consistentemente i Pashtun, tanto che molti di loro diventarono mujaheddin, cioè combattenti che sacrificavano la loro vita per gli interessi statunitensi.
Successivamente, i Pashtun guadagnarono l’attenzione di tutto il mondo con l’ascesa dei talebani, poiché erano la componente etnica principale nel movimento.
La popolazione totale del gruppo è stimata in circa 40 milioni, ma un conteggio esatto rimane poco affidabile per la natura nomade di molte tribù, la pratica di isolamento delle donne e le lacune nei censimenti.5

Anche il presidente Karzai è di etnia Pashtun

Afgano di etnia Pashtun
I Tagiki popolano la parte occidentale del Paese; sono circa la quarta parte della popolazione e non hanno mai accettato di buon grado l’egemonia dei Pashtun. La denominazione «tagico» non ha dei contorni precisi e può sovrapporsi da un punto di vista etnico a quella di «persiano». Si tratta infatti degli appartenenti a popolazioni indoeuropee da sempre sedentarie, dedite all’agricoltura, ma attive anche nel commercio e nell’artigianato nelle città. Parlano varianti della lingua persiana (chiamata farsi nell’attuale Iran, dari in Afghanistan e tagiki nell’Unione Sovietica).2
Questa lingua non solo è una delle lingue ufficiali dell’ Afghanistan, ma continua a essere lo strumento principale di comunicazione tra le diverse etnie che abitano il Paese, nonostante gli sforzi fatti in passato dai governi controllati dai Pashtun per imporre la propria lingua, il pashto. Il persiano è stata una delle lingue principali della cultura del mondo musulmano, che ha avuto appunto nei persiani-tagichi alcuni tra i suoi massimi rappresentanti. Essa si è diffusa anche al di fuori dei confini geografici dell’altipiano, giungendo fino all’India a Oriente e fino all’ Anatolia in Occidente.
I Tagichi hanno tratti somatici forti, il shalwar-kamiz (larghi pantaloni e camicia lunga al ginocchio), il copricapo pakol, la barba corta contraddistinguono a colpo d’occhio un tagiko.

Tagiki

Tagiki
Gli Hazara discendono dalle truppe mongole che accompagnarono Gengis Khan ed i loro tratti somatici sono caratterizzati dal naso schiacciato e dagli occhi a mandorla. Si sono insediati nelle valli del centro dell’Hindu Kush verso il diciottesimo secolo. Erano spinti dalla pressione dei nomadi Pashtun, costretti a loro volta ad abbandonare le tradizionali zone di espansione sulla riva occidentale dell’Indo a seguito dell’arrivo della potenza coloniale inglese. Nella nuova area di insediamento gli Hazara furono completamente assorbiti dalla lingua e dalla cultura dei contadini di quelle vallate. Da nomadi che erano, divennero sedentari. Non solo: essi costituiscono un’isola particolare nel mosaico di popoli che è l’Afghanistan, in quanto sono l’unico gruppo sciita in un contesto sunnita. Tale peculiarità è dovuta al fatto che si convertirono all’Islam in un momento in cui l’Afghanistan era sotto l’influenza dei persiani sciiti.
Nel 1893 gli Hazara subirono un genocidio da parte del capo Pashtun l’emiro Abd al-Rahman e si stima che il 60% della popolazione Hazara fu sterminato in quella occasione. Nel 2001, poco prima della distruzione dei Buddha della valle di Bamiyan, gli Hazara hanno subito una pulizia etnica da parte dei talebani, che ha fatto scomparire del tutto la comunità fino ad allora presente nella valle.6
Il fatto di essere sciiti, unito anche ad altri elementi, ha contribuito comunque ad emarginarli all’interno della vita afghana.2 Oggi gli Hazara rappresentano approssimativamente il 9% della popolazione afgana.7 La maggior parte degli Hazara è analfabeta, a Kabul vive in quartieri ghetto dove non ci sono né elettricità né acqua potabile e fa lavori che nessun altro è disposto a fare. A tal proposito infatti, renda chiara l’idea un detto popolare afgano: «Gli Uzbeki in Uzbekistan, i Tagiki in Tagikistan e gli Hazara nel goristan». Il «goristan» è il cimitero.1 Fino agli anni ’70 nelle scuole sunnite si propagandava lo sterminio degli Hazara. Gli insegnanti predicavano che l’uccisione di qualsiasi Hazara garantiva l’accesso al paradiso.8

Hazara

Hazara
Gli Uzbechi e i Turcomanni, che giunsero più tardi, si dedicano, in maggioranza, rispettivamente alla pastorizia nomade e all’agricoltura.2
I Nuristani (conosciuti anche come Kafiri), di origine sconosciuta, popolano il nord-est. Si tratta di un gruppo
di poche migliaia di persone, abitanti vallate praticamente inaccessibili nell’Afghanistan orientale. Alcuni villaggi sono anche in Pakistan. Considerando la lingua, la struttura fisica e la cultura, i Nuristani non hanno alcun legame con le altre popolazioni dell’area. Questi elementi hanno portato alcuni studiosi europei a sostenere nel secolo scorso che essi fossero i diretti discendenti degli eserciti di Alessandro Magno, il quale nel suo viaggio in Oriente doveva appunto essere passato per queste terre. Una simile ipotesi, per quanto affascinante, non ha però alcun fondamento scientifico. Ciò non toglie che l’origine di questo popolo continui a costituire, da un punto di vista storico e religioso, un grosso interrogativo.2
Fino alla fine del secolo scorso i Nuristani (Kafiri) erano rimasti di fatto pagani: kafir in arabo significa proprio «infedele». Anche in questo caso, come per gli Hazara, l emiro di Kabul Abd al-Rahman lanciò contro di loro un jihad o «guerra santa» sia per convertirli alla «vera fede» sia soprattutto per portare il loro territorio sotto il suo diretto controllo politico. L’impresa, compiuta nel 1895- 96, ebbe successo, e queste vallate vennero ribattezzate ufficialmente Nuristan, cioè «terre della luce» dell’Islam. Da qui la denominazione di «Nuristani».2

Nuristani

Nuristani 2
Vi sono alcuni Kirghizi nelle alture del Pamir dei quali si è sentito spesso parlare soprattutto per le loro vicissitudini. Guidati da alcuni capitribù, essi erano fuggiti dall’Unione Sovietica durante lo stalinismo. Si erano rifugiati in Cina, da lì erano ancora scappati dopo la presa del potere da parte di Mao. Giunti nelle alte montagne del Pamir afghano, avevano di nuovo preso la via dell’esilio in seguito al colpo di Stato del 1978. Passati per il Pakistan, dopo che un iniziale progetto di trasferimento in Alaska era fallito, sono stati accolti dal governo di Ankara, che ha assegnato loro delle terre nella zona del Lago di Van. Una scelta motivata ufficialmente con la comune appartenenza all’etnia turca, ma che aveva però anche risvolti meno nobili. Le terre assegnate erano infatti in realtà appartenenti a popolazioni curde, nei confronti delle quali la Turchia ha sempre attuato una feroce politica repressiva, negando qualsiasi riconoscimento.2
I nomadi beluci vivono al sud. Complessivamente sono circa quattro milioni di individui, oggi essi sono divisi tra Iran, Afghanistan e Pakistan, senza contare piccoli insediamenti in Uzbekistan.2
Vi sono infine i nomadi Kuchi, che privi di qualsiasi documento, non sono controllabili in alcun modo. Le loro carovane si spostano anche di 1.500 chilometri, incuranti delle frontiere, per raggiungere i pascoli; «Che tu possa non essere stanco» è il saluto che si scambiano.1

Kuchi

Kuchi
Possiamo affermare che la moderna storia afghana si riassume nel tentativo dei Pashtun di controllare in modo reale lo stato indipendente dell’Afghanistan. Infatti a partire dall’Ottocento, le redini del potere in Afghanistan passarono ai Pashtun i quali tradizionalmente erano insediati tra le pendici orientali dell’Hindu Kush e le rive dell’Indo.
La creazione delle attuali frontiere dell’Afghanistan avvenuta nel XIX secolo fu opera degli inglesi ed aveva lo scopo di raggruppare questi popoli intorno a Kabul, ma questa si è dimostrata purtroppo un’utopia. Perché in Afghanistan ogni persona si identifica di più con il proprio popolo, anche se sta in un altro stato: nell’ex Unione Sovietica (Tagiki, Uzbechi e Kirghizi), in Iran (Hazara, Turcomanni) o in Pakistan (Beluci) piuttosto che con i Pashtun e lo Stato nazionale afghano.2
Inoltre è da considerare che nel 1893 l’inglese Mortimer Durand, tracciando una linea di confine che da lui prende il nome, ha diviso il popolo dei Pashtun in due entità statuali diverse: l’Afghanistan e il vicereame dell’India (destinato poi a diventare il Pakistan dopo l’indipendenza accordata nel 1947). Mentre in Afghanistan i Pashtun sono l’etnia dominante, in Pakistan essi sono invece emarginati dai centri del potere. Anche per questo quindi i confini con il Pakistan non sono mai stati accettati dai governi di Kabul. La tesi è sempre stata questa: tutta la zona abitata dai Pashtun deve far parte dello stesso Stato.2
Da qui la rivendicazione di quelle terre chiamate «Pashtunistan». La polemica ha anche avuto momenti di acuta tensione durante i primi anni sessanta. La questione resta aperta, anche se al momento non è più stata reiterata dagli afghani.2
Questo ha fatto sì che il sistema politico afghano si sia fondato sin dall’inizio della guerra su un’organizzazione tribale che bloccava le tendenze centraliste. Il fatto che ciascun popolo possieda una lingua differente, e la divisione religiosa tra sunniti e sciiti non favoriscono molto il processo centralizzatore.
Il sistema tribale imperante per la maggioranza dei gruppi afghani, capeggiati da un khan o da un sultano discendente più o meno diretto dal patriarca fondatore, è un sistema sociale che molti osservatori occidentali hanno giudicato crudele e ingiusto.2
Il pretesto di questa ferocia è stato molto utile agli occidentali, sia nel secolo scorso sia negli ultimi anni, per cercare di giustificare l’imposizione di un controllo esterno. L’intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati, ha causato più di un milione di morti e più di tre milioni di rifugiati in Pakistan; le risorse economiche sono inutilizzate e il paese risulta distrutto.
L’Afghanistan costituisce il tipico esempio di ciò che accade anche in altri posti del mondo dove l’Occidente prende a pretesto la ferocia dei popoli per giustificare le sue intenzioni di genocidio e di integrarli in realtà che sono loro estranee. A chi osserva con attenzione i fattori geopolitici che sono alla base di qualsiasi evento politico, economico e finanziario, non possono sfuggire quelle che sono le vere ragioni dell’intervento militare occidentale camuffato da difesa dal terrorismo islamico e da altre ragioni ideologiche e umanitarie: oleodotti, gasdotti, controllo di un territorio da sempre crocevia tra Oriente e Occidente.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Afghanistan
(2) Pedro Ceinos. Atlante illustrato delle minoranze etniche: le popolazioni indigene dei cinque continenti, Red, Como 1992
(4) Anna Bravo, La conta dei salvati, Bari-Roma, Editori Laterza, 2013
(5) UNFPA Projects in Afghanistan
(7) Hazara
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