Nella notte tra l’11 e il 12 marzo 1938, le unità della Wehrmacht entrarono nel territorio dell’Austria. Non ci fu resistenza nei loro confronti, al contrario, i residenti locali li accolsero calorosamente.
Il 13 marzo 1938 alle ore 19:00, Adolf Hitler entrò solennemente a Vienna, accompagnato dal capo del comando supremo (Oberkommando) delle Forze armate tedesche, il generale Wilhelm Keitel. Lo stesso giorno fu pubblicata la legge «Sulla riunificazione dell’Austria con l’Impero tedesco», secondo la quale l’Austria fu dichiarata «una delle terre dell’Impero tedesco» e da allora in poi fu denominata «Ostmark«.
Da quel momento fino all’aprile del 1945, l’Austria fece parte del Terzo Reich. I suoi abitanti presero parte attiva all’aggressione contro l’Unione Sovietica, sia come parte della Wehrmacht sia prestando servizio nelle unità delle SS.
Non si può dire che in Austria non ci fosse una clandestinità anti-nazista. Ma per comprendere l’equilibrio delle forze è sufficiente citare alcuni fatti. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, circa 500 mila austriaci si unirono ai ranghi della Wehrmacht.
Nel 1942, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (partito nazista) era composto da circa 688 mila austriaci. Insieme a membri di altre organizzazioni hitleriane, fino a un quarto della popolazione del paese poteva essere considerato attivamente coinvolto nel movimento nazista sul territorio dell’Austria.
Così, quando nel 1944, iniziò la formazione di distaccamenti anti-nazisti dei volontari austriaci sul territorio della Jugoslavia, si riuscirono a creare solo tre battaglioni.
Pertanto, in base a questi dati e in funzione di tali circostanze sarebbe lecito attribuire agli austriaci le stesse responsabilità che hanno avuto i tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale.

Hitler accolto calorosamente a Vienna dopo l’annessione al Terzo Reich nel 1938

Il discorso a Heldenplatz (Vienna) in cui Hitler annunciò l’annessione dell’Austria al Terzo Reich
Tuttavia, nel 1943, alla Conferenza di Mosca dei ministri degli Esteri dell’Unione Sovietica, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, i Paesi della coalizione anti-hitleriana formularono una posizione leggermente diversa, riflessa nella «Dichiarazione sull’Austria»: «I governi del Regno Unito, dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti d’America hanno concordato che l’Austria, il primo Paese libero a cadere vittima dell’aggressione di Hitler, dovrebbe essere liberato dal dominio tedesco«, afferma il documento. Considerarono inesistente e invalida l’annessione imposta all’Austria dalla Germania il 15 marzo 1938. Non si considerarono in alcun modo vincolati da eventuali modifiche apportate in Austria dopo tale data. Dichiararono di voler vedere un’Austria restaurata, libera e indipendente e quindi consentire allo stesso popolo austriaco, così come ad altri stati vicini che affrontavano simili situazioni, di trovare quella sicurezza politica ed economica, che costituiva l’unica base per una pace duratura. Tuttavia, si richiamava l’attenzione dell’Austria sul fatto che avendo avuto una grande responsabilità nel partecipare alla guerra al fianco della Germania nazista, nella soluzione finale, il suo contributo alla causa della sua liberazione sarebbe stato inevitabilmente preso in considerazione.
Il tempo della liberazione per l’Austria arrivò nella primavera del 1945.
Il 17 febbraio 1945, con una direttiva del Comando Supremo dell’Armata Rossa, il 2° e 3° Fronte ucraino ricevettero il compito di preparare un’offensiva su Vienna.
L’inizio dell’offensiva sovietica era previsto per il 15 marzo 1945. Quasi contemporaneamente alla decisione di prepararsi per l’Operazione offensiva su Vienna, il Comando sovietico ricevette informazioni sull’imminente potente attacco dei nazisti nell’area del Lago Balaton, in Ungheria. Si decise di respingere l’offensiva tedesca nell’area del Lago Balaton, senza interrompere i preparativi per l’offensiva su Vienna.
L’Operazione Risveglio Primaverile della Wehrmacht fu l’ultima offensiva tedesca della Seconda Guerra Mondiale e l’ultima operazione difensiva dell’Armata Rossa.

Soldati della Wehrmacht impiegati nell’Operazione Risveglio Primaverile (Lago Balaton — Ungheria)
Durante i nove giorni di offensiva, i nazisti riuscirono ad avanzare di 30 km in direzione dell’attacco principale, ma non riuscirono a ottenere un successo decisivo.

Generale Stojčev
Entro il 15 marzo, l’offensiva tedesca si era fermata, le loro riserve erano esaurite. La situazione era eccellente per il passaggio delle truppe sovietiche alla propria fase offensiva.
L’idea dell’operazione offensiva sovietica su Mosca prevedeva l’attacco principale delle forze della 4° e 9° Armata della Guardia dall’area a nord della città ungherese di Székesfehérvár a sud-ovest per circondare la 6° Armata SS Panzer. In futuro, le forze principali avrebbero dovuto sviluppare un’offensiva in direzione della città ungherese di Sopron e inoltrarsi oltre il confine ungherese-austriaco, facendo avanzare parte delle forze sulle città ungheresi di Szombathely e Zalaegerszeg, per circondare da nord il raggruppamento nemico accampato nella città ungherese di Nagykanizsa. La 26° e la 27° Armata avrebbero dovuto lanciare un’offensiva in seguito e contribuire alla distruzione del nemico circondato. La 57° Armata e il 1° Armata Bulgara, operanti sull’ala sinistra del 3° Fronte ucraino, dovevano intraprendere l’offensiva a sud del Lago Balaton con il compito di schiacciare il nemico e impadronirsi della regione petrolifera situata nella zona di Nagykanizsa.
Il 3° Fronte ucraino era comandato dal generale e Maresciallo dell’Unione Sovietica Fëdor Ivanovič Tolbuchin. Il 2° Fronte ucraino era comandato dal generale e Maresciallo dell’Unione Sovietica Rodion Jakovlevič Malinovskij. La 1° Armata Bulgara, alleata dell’Armata Rossa, era comandato dal generale bulgaro Vladimir Dmitrov Stojčev.

Generale e Maresciallo dell’Unione Sovietica Fëdor Ivanovič Tolbuchin

Generale e Maresciallo dell’Unione Sovietica Rodion Jakovlevič Malinovskij
L’offensiva delle truppe sovietiche iniziò il 16 marzo 1945 alle 15:35. Il martellamento a tappeto attuato dall’artiglieria dell’Armata Rossa fu così potente che sia la 4° Armata della Guardia che la 9° Armata della Guardia, che furono le prime unità a passare all’offensiva, all’inizio non incontrarono alcuna resistenza.
Poi, tuttavia, il nemico iniziò frettolosamente a trasferire nuove unità per fronteggiare l’avanzata dell’Armata Rossa.
Nella prima fase si verificarono aspre battaglie presso la città ungherese di Székesfehérvár, un importante centro di difesa tedesca.
Entro la sera del 18 marzo 1945, le truppe sovietiche riuscirono ad avanzare la linea del fronte lunga 36 km fino a una profondità di circa 18 km. La 6° Armata Carri della Guardia ebbe un ruolo fondamentale in questa rapida avanzata.
I tedeschi nel tentativo di respingere l’offensiva impiegarono dei rinforzi e spostarono le loro truppe da altri fronti facendo convergere sul luogo tre divisioni di carri armati e una di fanteria. Nonostante ciò, le truppe sovietiche riuscirono ad avanzare di altri 8 chilometri. Il 20 marzo giunse il momento di ordinare alla 26° e alla 27° Armata di colpire violentemente le truppe naziste.
La minaccia del completo accerchiamento e della sconfitta incombeva sulle truppe naziste situate nei pressi del Lago Balaton. La forza principale dei tedeschi in questa zona, la 6° Armata SS Panzer, fu ritirata attraverso un corridoio largo circa due chilometri e mezzo, che rimase nelle loro mani.

Ritirata della 6° Armata SS Panzer dal Lago Balaton
Il 25 marzo 1945, il 2° Fronte ucraino lanciò un’offensiva contro Bratislava che privò il comando tedesco dell’opportunità di trasferire riserve alla direzione di Vienna.
Quattro giorni dopo, il 29 marzo, sull’ala sinistra del 3° Fronte ucraino, la 57° Armata e la 1° Armata Bulgara passarono all’offensiva in direzione di Nagykanizsa. Il giorno dopo, fu attuato un raid del 5° Corpo di Cavalleria della Guardia nella parte posteriore del gruppo tedesco nell’area di Nagykanizsa. Ben presto, le truppe sovietiche e bulgare catturarono Nagykanizsa, il centro di una delle ultime regioni petrolifere rimaste nelle mani dei tedeschi. Così, la Wehrmacht si trovò in una grave crisi di rifornimento di carburante.
Il 1 aprile 1945 la sede dell’Alto Comando Supremo dell’Armata Rossa chiarì i compiti: le principali forze del 3° Fronte ucraino ricevettero l’ordine di impadronirsi della capitale dell’Austria e, non oltre il 12-15 aprile, di raggiungere il distretto di Tulln e le città di Sankt Pölten e Neulengbach.
Il 4 aprile 1945, il gruppo d’urto del 3° Fronte ucraino raggiunse la periferia di Vienna.
L’eroe dell’Unione Sovietica, il generale Semën Pavlovič Ivanov, Capo di Stato Maggiore del 3° Fronte ucraino, ricordò: «La spina dorsale della guarnigione nemica erano i resti della 6° Armata SS Panzer. Non è un caso che il comandante di questo esercito, il generale delle truppe delle SS Sepp Dietrich, sia stato nominato capo della difesa di Vienna, il quale con arroganza dichiarò: «Vienna sarà salvata per la Germania».»
Oltre alle unità della 6° Armata SS Panzer, la capitale dell’Austria era difesa da 15 battaglioni di fanteria, da alcuni battaglioni dei cadetti della scuola militare di Vienna, dal «Volkssturm» (milizia popolare nazionalsocialista) e da 4 reggimenti della polizia di Vienna composti da 1.500 uomini ciascuno.
La difesa di Vienna era anche facilitata dalla sua posizione geografica: ad ovest Vienna era coperta da un crinale di montagne, e dai lati nord e est da una potente barriera d’acqua, il largo e profondo fiume Danubio. Sul lato meridionale, alla periferia della città, i tedeschi crearono una potente area fortificata, costituita da fossati anticarro e da un sistema sviluppato di fortificazioni composte da trincee e bunker. I nazisti battezzarono Vienna «la fortezza alpina».
Alle unità dell’Armata Rossa fu affidato un compito piuttosto difficile: prendere il controllo della città, preservando questa perla europea dalla distruzione.
L’attacco a Vienna iniziò il 5 aprile 1945. Durante i primi due giorni, feroci battaglie si svolsero nei quartieri meridionali e sud-orientali della città. Il nemico cercò di lanciare contrattacchi e attuò una resistenza disperata.
Il 6 aprile 1945, il comandante del 3° Fronte ucraino, il generale e Maresciallo dell’Unione Sovietica Fëdor Ivanovič Tolbuchin, parlando alla radio si rivolse ai residenti di Vienna: «Residenti della città di Vienna! È giunta l’ora della liberazione della capitale dell’Austria dal dominio tedesco, ma le truppe tedesche in ritirata vogliono trasformare Vienna in un campo di battaglia. Cittadini di Vienna: aiutate l’Armata Rossa nella liberazione della capitale dell’Austria! Fate la vostra parte nella liberazione dell’Austria dal giogo nazista tedesco. Molti austriaci hanno già risposto a questa chiamata.«
Il 7 aprile 1945, le forze principali della 9° Armata della Guardia e le formazioni della 6° Armata Carri della Guardia, dopo aver superato la foresta e i boschi viennesi, raggiunsero il Danubio. Pertanto, le truppe tedesche furono circondate dall’Armata Rossa.
A Vienna, giorno e notte avvennero pesanti combattimenti in strada. Il 9 aprile 1945, un battaglione di carri armati della 6° Armata Carri della Guardia, sotto il comando del capitano Dmitrij Fëdorovič Loza, fece irruzione nel centro di Vienna. Durante il giorno, il battaglione tenne le posizioni fino a quando le forze principali della sua armata giunsero a prestare i rinforzi. Per questa impresa, il capitano Dmitrij Fëdorovič Loza fu stato insignito del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.

Carristi sovietici della 6° Armata Carri della Guardia entrati a Vienna

Capitano Dmitrij Fëdorovič Loza
Fino alla sera del 10 aprile, la guarnigione tedesca a Vienna continuò ad attuare una feroce resistenza nel centro della città, tenendo sotto il suo controllo il Ponte Imperiale, l’unico ponte cittadino sul Danubio non fatto saltare in area dai nazisti. Il Ponte Imperiale consentiva l’interazione tra i nodi occidentali e orientali della difesa di Vienna.
Per conquistare il Ponte Imperiale, le autorità militari sovietiche decisero di condurre un’operazione coordinata tra lancio di paracadutisti e sbarco anfibio utilizzando i blindati della flottiglia militare del Danubio. Si trattava di una missione anfibia estremamente difficile: i battelli blindati diretti al sito di sbarco dovevano passare lungo le rive controllate dai nazisti, oltrepassare punti di fuoco fortificati, aggirare ponti distrutti e navi affondate, e tutto questo durante le ore diurne. Tra i partecipanti a questa audace operazione c’era il diciannovenne Georgij Aleksandrovič Jumatov, divenuto poi un famosissimo attore sovietico.

Georgij Aleksandrovič Jumatov
Nel corso della sua vita, Georgij Aleksandrovič Jumatov dichiarò: «Tutti i ponti di Vienna erano stati fatti saltare. Grazie alla nebbia riuscimmo ad avvicinarci all’ultimo ponte ancora integro. L’aviazione non poteva entrare in funzione altrimenti avrebbe bombardato il ponte che a noi serviva integro. Entrambe le sponde erano controllate dai tedeschi che coprivano la ritirata della SS Panzer Division. Con l’aiuto della nebbia, navigando lungo il fiume giungemmo nei pressi del ponte. Noi marines (fanteria marina) lanciammo i rampini e con gli zaini pieni di granate ci arrampicammo sulle corde. Eravamo un centinaio di ragazzi di diciannove e vent’anni, il più anziano, ne aveva venticinque. Strisciando tra la nebbia riuscimmo a posizionare le granate sotto alcuni carri armati tedeschi. Il radiotelegrafista comunicò: «I marines si sono impadroniti del ponte». Ad un certo punto però i tedeschi si resero conto che eravamo sbarcati e ci diedero immediatamente la caccia. I combattimenti furono violentissimi. Dei circa 100 marines che eravamo sbarcati, rimanemmo vivi solo in 15 ma eravamo tutti feriti, la stragrande maggioranza era gravemente ferita. Dopo che le nostre truppe riuscirono ad attraversare il ponte, fummo trasportati in ospedale. Sopravvivemmo solo in tre!«.
Il racconto di Georgij Aleksandrovič Jumatov descrisse una parte dell’operazione, che in realtà fu molto più complessa. Come descrisse Jumatov, ogni marines della forza di sbarco sovietica che tentò di impadronirsi del Ponte Imperiale, ad un certo punto si trovò sotto il continuo fuoco nemico. Nessuno fu risparmiato dal combattimento e ciascuno dei sovietici che aveva preso parte allo sbarco combatté fino alla morte, senza arrendersi e ritirarsi.
La sanguinosa battaglia per il Ponte Imperiale, che divenne la chiave della battaglia per Vienna, durò tre giorni. L’inizio della battaglia avvenne nella notte del 13 aprile 1945, quando un battaglione di paracadutisti della 7° Divisione Aviotrasportata della Guardia riuscì a sfondare sulla terraferma le truppe tedesche schierate nei dintorni a protezione del ponte. Entrambe le parti subirono comunque pesanti perdite, ma il sacrificio e la conquista di importanti posizioni da parte dei paracadutisti dell’Armata Rossa, fu determinante per consentire il proseguimento e raggiungere l’esito vittorioso dell’intera battaglia.
Così, dopo la conquista di punti strategici nelle zone terrestri vicino al ponte, la mattina del 13 aprile 1945, un centinaio di ragazzi facenti parte di un distaccamento d’assalto combinato del corpo dei marines sovietici (di cui faceva parte Jumatov), sotto il comando del tenente maggiore Kočkin, sbarcò dalle navi fluviali e prese d’assalto il ponte.
I marines russi si batterono tenacemente e valorosamente, ma decisamente inferiori di numero erano destinati a soccombere, tanto che dopo accaniti combattimenti, dei 100 marines sovietici ne rimasero vivi solo 15 e tutti feriti. La svolta nell’esito della battaglia a favore dei sovietici, fu l’impiego aviotrasportato di un reggimento di fucilieri della 80° Divisione Fucilieri della Guardia che furono paracadutati nei pressi del ponte, supportati da un precisissimo fuoco di artiglieria effettuato dai cannoni semoventi della 2° Brigata Meccanizzata della Guardia. I paracadutisti sovietici giunsero appena in tempo per salvare la vita ai 15 marines sopravvissuti e annientando i soldati tedeschi presenti, riuscirono a prendere il pieno possesso del ponte.
Fu così che ad alta velocità, 16 unità sovietiche di artiglieria semoventi superarono il ponte e stabilirono una difesa perimetrale sulla riva occidentale. Gli artificieri del genio rimossero dal ponte tutti gli esplosivi piazzati dai nazisti. Il ponte passò completamente sotto il controllo delle truppe sovietiche, la minaccia della sua distruzione fu definitivamente eliminata.

Soldati dell’Armata Rossa festeggiano attraversando il Ponte Imperiale
Nel frattempo, la sera del 13 aprile 1945, le truppe tedesche superstiti che difendevano il ponte, si rifugiarono nel centro di Vienna. Ma il loro tentativo di resistenza fu inutile. Due giorni dopo, il 15 aprile 1945, la città fu completamente sotto il controllo sovietico. Vienna era stata liberata, ma il sacrificio sovietico nelle battaglie per la liberazione della capitale austriaca fu impressionante: l’Armata Rossa perse in due mesi 38 mila tra soldati e ufficiali. Il numero esatto delle perdite tedesche nelle battaglie per Vienna è sconosciuto, ma 130 mila soldati e ufficiali tedeschi furono fatti prigionieri dalla gloriosa Armata Rossa.
Gli abitanti di Vienna salutarono i combattenti sovietici come liberatori. Un ufficiale dell’intelligence sovietica di nome Otar Chkheidze, dopo la guerra ricordò: «Nel pomeriggio del 13 aprile 1945, capimmo che ormai Vienna era stata liberata. Il giorno successivo, noi esploratori fummo inviati ad ispezionare la città. Le strade e le piazze della capitale austriaca erano gremite di gente. I residenti trattavano calorosamente i soldati sovietici. Ci piacque l’architettura di Vienna e lo spirito amichevole ed elegante dei suoi abitanti. Mi colpì soprattutto la maestosa Cattedrale di Santo Stefano. Gli austriaci sono persone che amano molto la musica, pertanto, dalle finestre aperte delle abitazioni pervenivano spesso i suoni di un pianoforte o di un violino. Abbiamo anche visitato la tomba di Strauss. I marinai del Danubio hanno deposto una corona di fiori sulla tomba del talentuoso compositore«.
Certo, non tutti furono felici dell’ingresso dell’Armata Rossa a Vienna. Molti simpatizzanti o filo-nazisti viennesi, dimenticando con un getto di spugna gli anni passati, accorsero a salutare festosamente l’ingresso dell’Armata Rossa in città. Ma quelli più convinti e coinvolti, quelli che detenevano importanti cariche politiche, oppure , erano direttamente o indirettamente coinvolti in crimini contro la popolazione sovietica, beh costoro erano più che disperati. Consapevoli del futuro che le attendeva, terrorizzate dalle più che giuste punizioni che l’Armata Rossa aveva in serbo per loro, alcune famiglie naziste si suicidarono interamente.
Le unità militari sovietiche che si distinsero nelle battaglie per Vienna ricevettero il titolo onorifico di «Vienna». Il Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica istituì altresì una medaglia «Per la liberazione di Vienna«. Nell’agosto del 1945, a Vienna, fu eretto un monumento in onore ai soldati sovietici morti nelle battaglie per la liberazione del Paese.

Monumento in onore ai soldati sovietici morti nelle battaglie per la liberazione
Su iniziativa degli abitanti di Vienna, dal 1946 al 1955 il Ponte Imperiale fu denominato «Ponte dell’Armata Rossa». Dal 1956 si decise di tornare al nome originale, ma il ricordo di chi lo ha slavato dalla distruzione è sopravvissuto. Infatti, nel 2010, gli abitanti di Vienna hanno installato una targa di granito sul Ponte Imperiale raffigurante l’assalto al ponte stesso avvenuto il 13 aprile 1945. Il testo sulla targa recita: “1945. Alle coraggiose guardie sovietiche delle truppe aviotrasportate. I residenti riconoscenti di Vienna «.

Targa apposta sul Ponte Imperiale nel 2010 dagli abitanti di Vienna
Luca D’Agostini
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Fonti
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Бирюков Н. И. Трудная наука побеждать. — М.: Воениздат, 1968
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Штеменко С. М. Генеральный штаб в годы войны. — М.: Воениздат, 1989
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Мошляк И. Н. Вспомним мы пехоту… / Литературная запись Л. И. Парфенова — М.: Воениздат, 1978
Лазарев С. Е. Венская операция 1945 // Российская историческая энциклопедия в 18 томах / Глав. ред. А.О. Чубарьян. Т. 4. М.: ОЛМА Медиа Групп, 2017
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