Nella primavera-estate del 1944, l’Armata Rossa stava conducendo sanguinose battaglie per la liberazione delle regioni occidentali dell’Unione Sovietica occupate dai nazisti. Mancava ancora un anno intero alla fine della guerra, ma era già chiaro che prima o poi il nemico sarebbe stato cacciato dal suolo sovietico. In quel momento, sul tavolo dei massimi vertici dell’Unione Sovietica, Iosif Stalin, Vjačeslav Molotov e Lavrentij Berija, c’era un rapporto firmato dal Commissario del Popolo per la Sicurezza dello Stato, il generale Vsevolod Nikolaevič Merkulov. In questo rapporto era scritto che l'»Esercito Nazionale» polacco (Armia Krajowa), agiva contro i partigiani sovietici e la loro attività di fornitura informazioni all’Armata Rossa.
Merkulov riferì: «Il gruppo operativo segreto che ha operato nei mesi di maggio e giugno di quest’anno in prossimità della ferrovia Vilnius-Grodno, è stato attaccato da ingenti forze dell’Esercito Nazionale ed è riuscito a uscire dall’accerchiamento solo vestendo alcuni di loro con uniformi tedesche, simulando soldati tedeschi che scortavano i partigiani catturati«.
Questa riferita da Merkulov non fu l’unica incursione del genere attuata dai nazionalisti polacchi. Quando nel 1941, a seguito dell’attacco di Hitler all’Unione Sovietica, i territori occidentali dell’URSS caddero sotto il dominio degli invasori, nella Bielorussia occidentale oltre alle forze di occupazione tedesche, apparvero anche i polacchi.
Come è noto, le terre della Bielorussia occidentale divennero parte dell’Unione Sovietica solo poco prima dell’inizio della guerra, mentre prima ancora facevano parte della Polonia. Naturalmente, i nazionalisti polacchi, anche dopo che la Polonia fu occupata dai nazisti, consideravano come loro territorio la Bielorussia occidentale.
Occorre notare che nel suo complesso, la popolazione polacca della Bielorussia occidentale reagì piuttosto favorevolmente all’invasione del suo territorio da parte delle truppe di Hitler. Anche se nel 1939 furono i nazisti a porre fine alla statualità polacca, tuttavia, i polacchi che vivevano nell’ovest della Bielorussia li consideravano come liberatori dal potere sovietico. È ovvio che in questo caso, il ruolo principale fu svolto dalla percezione dei tedeschi come persone di cultura occidentale, più vicine ai polacchi che ai russi o ai bielorussi. In ogni caso, resta il fatto che i polacchi presero parte attiva alla formazione delle strutture amministrative e di polizia occupanti la Bielorussia.
È anche interessante notare, che i funzionari polacchi e gli agenti di polizia che lavorarono nelle strutture amministrative locali di questi territori, giunsero nel territorio della Bielorussia occidentale successivamente agli invasori nazisti. Poiché avevano esperienza nella polizia e nel servizio amministrativo e, per la maggior parte, parlavano tedesco, l’amministrazione dell’occupazione nazista li accettò molto volentieri per ricoprire posizioni negli uffici del comandante e della polizia ausiliaria. Inoltre, i nazisti si fidavano molto di più dei polacchi che dei bielorussi, i quali erano praticamente identificati con i russi e considerati politicamente estremamente inaffidabili.

Polacchi della polizia ausiliaria al servizio dei nazisti in Bielorussia
La conseguenza di questa politica è stata la «polonizzazione» delle strutture amministrative nella Bielorussia occidentale, problematica purtroppo ancora strettamente attuale. Nella maggior parte delle amministrazioni distrettuali e cittadine, erano i polacchi a costituire la quasi totalità dei funzionari e dei dipendenti. In effetti, l’apparato amministrativo polacco tornò nella Bielorussia occidentale con baionette tedesche, e gli stessi polacchi non furono particolarmente gravati dal fatto che ora lavoravano non per la Polonia, ma per il Terzo Reich.
In città come Baranoviči, Grodno, Slonim, l’apparato amministrativo era quasi interamente costituito da polacchi, a Grodno la polizia locale era completamente polacca per etnia. La «polonizzazione» dell’apparato amministrativo nei territori occupati, ebbe la conseguenza che i proprietari terrieri polacchi dalla vicina Polonia, cominciarono ad arrivare nella Bielorussia occidentale, chiedendo di ripristinare la proprietà delle loro terre, come risultava precedentemente all’instaurazione del governo sovietico.
Occorre notare che anche in questo caso, le autorità di occupazione tedesche non posero particolari ostacoli, poiché videro nei polacchi un contrappeso all’influenza sovietica, quindi li ritennero completamente affidabili.
Importante è poi ricordare il pogrom di Jedwabne (conosciuto anche come massacro di Jedwabne). Si trattò di un massacro perpetrato dai polacchi nel luglio del 1941, nel villaggio e nelle vicinanze di Jedwabne, in Polonia, contro gli abitanti ebrei della zona.
A seguito dell’attacco portato nel giugno 1941 all’Unione Sovietica, le truppe tedesche si rimpossessarono rapidamente delle zone che l’Unione Sovietica si era annessa nel 1939 come conseguenza del patto di non aggressione russo-tedesco. I tedeschi, attraverso la propria propaganda, fomentarono la popolazione polacca ed asserirono che gli ebrei erano collaboratori dei sovietici. Così le SS organizzarono l’intervento degli Einsatzgruppen (gruppi speciali) al fine di sterminare gli ebrei del territorio occupato. La cittadina di Wizna, per esempio, nei pressi di Jedwabne (nel nord-est della Polonia) vide l’intervento degli Einsatzgruppen nell’uccisione di diverse decine di ebrei. Il villaggio e tutta la sua popolazione in quel momento era sotto il controllo dei soldati tedeschi.
Il mese successivo, il 10 luglio 1941, alla presenza dei soldati tedeschi che funsero da spettatori, uomini, donne e bambini polacchi di Jedwabne circondarono i loro vicini ebrei e tutti coloro che, a seguito di rastrellamenti auto-organizzati, riuscirono a trovare nei villaggi circostanti, compresi gli ebrei residenti dei villaggi circostanti come Wizna e Kolno. Gli uomini e gli anziani catturati furono condotti nella piazza di Jedwabne, dove furono uccisi mediante linciaggio da parte di concittadini polacchi inferociti. Gli ebrei sopravvissuti al linciaggio, giacenti a terra e allo strenuo delle forze, furono raccolti, trasferiti in un granaio al quale fu appiccato il fuoco; morirono bruciati vivi. Le donne e i bambini catturati, furono pubblicamente violentati dagli stessi polacchi e poi barbaramente uccisi nella medesima piazza. Un gruppo di cinquanta ebrei, tra i quali il rabbino della locale comunità, furono costretti a demolire il monumento dedicato a Lenin costruito dai sovietici. Questo gruppo fu successivamente ucciso e gettato in una fossa comune insieme ai frammenti del monumento distrutto.

Alcuni ebrei trucidati nel pogrom di Jedwabne

Alcuni ebrei trucidati nel pogrom di Jedwabne

Alcuni ebrei trucidati nel pogrom di Jedwabne

Rogo del granaio di Jedwabne

Il gruppo di ebrei ai quali fu ordinato di distruggere la statua di Lenin e che fu poi immediatamente ucciso nel pogrom di Jedwabne
Fino al 2000 fu comunemente accettato che il massacro di Jedwabne fosse stato commesso dagli Einsatzgruppen delle SS tedesche; tuttavia nel 2000 fu pubblicato un dettagliato studio dell’evento da parte dello storico ebreo-statunitense Jan Tomasz Gross, il quale attribuiva la responsabilità ai polacchi affermando che il terribile massacro fu perpetrato da civili polacchi.
Ovviamente lo studio, che addossava le colpe ai polacchi e non alle SS tedesche, causò enormi controversie in Polonia e molti si interrogarono sulla validità delle conclusioni. Il polacco Tomasz Strzembosz, professore all’Università cattolica di Lublino (Polonia) e all’Accademia Polacca di Scienze — Istituto di studi politici, dopo un’attenta analisi dello studio effettuato dallo storico statunitense Gross, fu costretto a convenire che il massacro fu opera dei polacchi.
A seguito di una intensa attività di investigazione, nel 2002 anche l’Istituto polacco per la Memoria Nazionale (Instytut Pamięci Narodowej, IPN) fu costretto ad ammettere le responsabilità polacche, redigendo un rapporto nel quale confermava le prove fornite da Gross.
Il 14 febbraio 1942, su iniziativa del governo polacco in esilio in Gran Bretagna, fu creata l’Armia Krajowa (Esercito Nazionale), cioè gruppi paramilitari che si consideravano le forze armate della Polonia. La spina dorsale dell’Esercito Nazionale era costituita da ex ufficiali dell’esercito polacco, e il suo comandante in capo era il generale di divisione Stefan Paweł Rowecki, un ex colonnello dell’esercito polacco, che comandava una brigata corazzata durante la breve guerra della Polonia contro la Germania nazista.

generale Stefan Paweł Rowecki
L’Esercito Nazionale mirava a ripristinare la statualità polacca prebellica con l’aiuto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. L’Unione Sovietica era vista come un alleato situazionale nella lotta contro i nazisti, ma in seguito l’Esercito Nazionale intendeva avviare una lotta contro l’Unione Sovietica, con l’obiettivo di ottenere tutti i territori che appartenevano al dominio polacco prima del 1939. Infatti, mentre collaborava formalmente con l’Unione Sovietica, l’Esercito Nazionale stava effettivamente giocando un doppio gioco. Sul territorio della Bielorussia occidentale, l’Armia Krajowa fin dall’inizio della sua esistenza intraprese operazioni contro i partigiani sovietici, considerandoli come i loro oppositori naturali.
Allo stesso tempo, i nazionalisti polacchi cercarono di impersonare il ruolo di amici dei partigiani sovietici, ma non appena si svilupparono circostanze favorevoli, li colpirono immediatamente alle spalle. Numerosi ordini e rapporti che venivano periodicamente intercettati dai partigiani sovietici, testimoniano l’avversità dell’Esercito Nazionale nei confronti del movimento partigiano nella Bielorussia occidentale. Questi documenti sono tuttora conservati nei musei storici bielorussi.

Partigiani bielorussi
Quando, nell’autunno del 1943, l’Armata Rossa costrinse i soldati tedeschi presenti in Bielorussia alla progressiva ritirata, l’atteggiamento dell’Esercito Nazionale nei confronti dei partigiani sovietici divenne ancora peggiore. Ciò era dovuto al timore dei polacchi di perdere nuovamente il controllo sul territorio della Bielorussia occidentale. Nel distretto di Stolbtsi, i polacchi del battaglione locale dell’Esercito Nazionale spararono a dieci partigiani sovietici. In risposta, le forze dei partigiani bielorussi giunte in soccorso, disarmarono il battaglione dell’Esercito Nazionale e arrestarono i suoi comandanti. Molti soldati di questo battaglione polacco furono fatti prigionieri, divisi in piccoli gruppi e distribuiti tra i distaccamenti partigiani bielorussi.
Tuttavia, il cornetta Zdislav Nurkevič che partecipò personalmente all’esecuzione dei partigiani sovietici, e il comandante del battaglione, il tenente Adolf Pilch, riuscirono ad evitare l’arresto.

cornetta Zdislav Nurkevič

tenente Adolf Pilch
Adolf Pilch con ciò che restava del battaglione al suo comando, si mise in contatto con il comando delle forze di occupazione naziste contro le quali invece avrebbe dovuto combattere, iniziando presto a condurre operazioni contro i partigiani sovietici. Quando le gloriose unità dell’Armata Rossa entrarono nel territorio della Bielorussia e combatterono contro gli invasori nazisti, le formazioni locali dell’Esercito Nazionale rivolgevano i loro sforzi principali contro i partigiani sovietici.
Gli stessi storici polacchi riferiscono sulla cooperazione dell’Esercito Nazionale con i nazisti. Ad esempio, lo storico polacco Jerzy Turonek, nella sua opera «La Bielorussia sotto l’occupazione tedesca» (Białoruś pod okupacją niemiecką), pubblicato nel 1993, scrive che: «Il 9 dicembre 1943, il comandante del battaglione dell’Esercito Nazionale, il tenente Adolf Pilch, noto con lo pseudonimo partigiano di «Gura», firmò un accordo segreto con il comando di occupazione tedesco. In base a questo accordo, il suo battaglione ricevette armi e munizioni dalle unità tedesche di Minsk. L’accordo rimase in vigore fino alla fine dell’occupazione della Bielorussia.«
L’Esercito Nazionale era così ostile ai partigiani bielorussi, che i gruppi di partigiani tra il loro materiale portavano sempre uniformi tedesche, le quali spesso dovevano indossare per travestirsi da unità tedesche e per non essere attaccati dall’Esercito Nazionale.
Alla fine di giugno 1944, quando i tedeschi stavano completando la loro ritirata dalla Bielorussia, è interessante notare che, insieme ai nazisti, un intero battaglione dell’Armia Krajowa, in precedenza di stanza nella regione di Stolbtsi, si diresse rapidamente verso Brest. Infatti, un convoglio di 150 autoveicoli e di 860 soldati e ufficiali del battaglione polacco, partirono verso ovest contestualmente alla ritirata tedesca. La ritirata fu guidata dal comandante del battaglione, il tenente Adolf Pilch. Aveva con sé una sorta di lasciapassare, un documento ufficiale redatto dal comando nazista con sede a Minsk, da mostrare eventualmente ai comandanti di unità militari tedesche, sul quale vi era scritto l’ordine di non ostacolare i polacchi nella loro ritirata. Addirittura, strada facendo, diversi ufficiali tedeschi accompagnarono il battaglione in ritirata per evitare malintesi. Inoltre, i tedeschi aiutarono il battaglione dell’Esercito Nazionale ad attraversare il fiume Bug occidentale, attraversamento che sarebbe risultato impossibile data l’assenza di ponti percorribili.
Va notato che la stessa situazione si verificò in altre repubbliche sovietiche dove operava l’Esercito Nazionale, in Lituania e Ucraina, sui territori rivendicati dai polacchi. L’intelligence sovietica riferì che numerosi e ben armati distaccamenti dell’Esercito Nazionale operavano nel territorio dell’Ucraina occidentale: il distaccamento Vilka composto da settecento uomini, il distaccamento Pshebrozhe composto da duemila uomini e il distaccamento Manevič di centocinquanta uomini.
Nonostante formalmente i distaccamenti dell’Esercito Nazionale avessero intrapreso una lotta contro i nazisti, in realtà li aiutarono ricoprendo il ruolo di assistenti volontari delle forze punitive tedesche in operazioni antipartigiane. Pertanto, le unità polacche erano armate con armi automatiche registrate presso la Gestapo locale. Gli ufficiali polacchi Bulat e Wuik, che comandavano i distaccamenti, intimidirono ripetutamente la popolazione locale, minacciando l’esecuzione immediata per qualsiasi aiuto fornito ai partigiani sovietici.
I soldati dell’Esercito Nazionale si comportarono spietatamente nei confronti dei cittadini sovietici che cadevano nelle loro mani. Ad esempio, il 5 aprile 1943, nel villaggio di Antonovka, nel Voivodato di Lublino, i soldati dell’Esercito Nazionale uccisero sette ragazze russe, infermiere che curavano i partigiani feriti. Le ragazze erano state catturate dai tedeschi ma riuscirono a fuggire, durante la loro fuga furono però catturate e barbaramente uccise dai polacchi.
Il 13 marzo 1944, in Bielorussia, nel villaggio di Prodlov, distretto di Kletsk, i soldati dell’Esercito Nazionale spezzarono braccia e gambe ad operai e contadini locali che furono arrestati con l’accusa di simpatizzare con i partigiani bielorussi. La quasi totalità di loro rimasero invalidi a vita. Ancor peggio andò a dieci residenti del villaggio che furono uccisi dai polacchi.
Nella zona della città polacca di Sandomierz, i soldati dell’Esercito Nazionale sparando raffiche di mitra, uccisero un gruppo di prigionieri di guerra sovietici disarmati,che lavoravano come braccianti agricoli per i residenti locali.
E questi sono lungi dall’essere esempi isolati delle atrocità che l’Esercito Nazionale commise contro i cittadini sovietici.
Quando l’Armata Rossa respinse i nazisti in Polonia, l’Esercito Nazionale continuò la sua linea antisovietica. Anche dopo che i nazisti annegarono nel sangue la rivolta di Varsavia, uccidendo centinaia di migliaia di abitanti della capitale polacca, l’Armia Krajowa vietò ai suoi soldati di impegnarsi nelle ostilità contro i nazisti. È interessante notare che la Germania mostrò anche una straordinaria pietà ai «patrioti polacchi». Heinrich Himmler infatti, emise una direttiva speciale che proibiva l’uso della pena di morte contro i soldati polacchi dell’Esercito Nazionale.
Fino a un certo momento, il comando sovietico condusse una politica di neutralità nei confronti delle formazioni armate polacche controllate dai britannici. Tuttavia, poi, quando divenne chiaro che l’Armia Krajowa era quasi completamente una formazione antisovietica, il comando sovietico proibì alle unità e alle suddivisioni dell’Armata Rossa di stipulare accordi con l’Esercito Nazionale, impose se necessario di disarmare le formazioni polacche anche mediante l’uso della forza.
Nel 1945, l’Esercito Nazionale praticamente cessò di esistere, il che fu facilitato dalla liberazione della Polonia dagli invasori nazisti e dall’istituzione di un regime filo-sovietico al suo interno. Il 19 gennaio 1945 su indicazioni delle autorità sovietiche, fu emesso un ordine sullo scioglimento dell’Esercito Nazionale.
Il 27 marzo 1945, i membri dell’alto comando dell’Esercito Nazionale furono arrestati e portati a Mosca con un volo speciale. Tra i detenuti c’era l’ultimo comandante dell’Esercito Nazionale, il generale di brigata Leopold Okulicki.

Leopold Okulicki
In totale, alla fine della guerra, 7.448 membri dell’Esercito Nazionale furono arrestati e internati in Polonia. L’alto comando, compreso il generale Okulicki, fu portato davanti a un tribunale sovietico. Il pubblico ministero affermò che nel solo periodo dal 28 luglio al 31 dicembre 1944, i soldati dell’Esercito Nazionale con imboscate ai soldati dell’Armata Rossa, causarono 277 morti e 94 feriti tra soldati e ufficiali. Sempre il pubblico ministero produsse le prove che l’Armia Krajowa, in altre imboscate tese ai soldati dell’Armata Rossa dal il 1° gennaio al 30 maggio 1945, causò ulteriori 314 morti e 125 feriti tra soldati e ufficiali.
Per i crimini commessi, il 21 giugno 1945, il Collegium militare della Corte Suprema dell’Unione Sovietica, condannò i comandanti dell’Esercito Nazionale e altri leader dei nazionalisti polacchi, a periodi di reclusione variabili da 4 mesi a 10 anni. Il generale Okulicki ricevette la condanna più lunga: 10 anni di carcere. Ma non ebbe tempo per espiare la pena, il 24 dicembre 1946, il criminale Okulicki morì di infarto a Mosca, all’interno della prigione di Lubjanka.

Processo a Leopold Okulicki
Luca D’Agostini
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Fonti
Jerzy Turonek, Białoruś pod okupacją niemiecką, Książka i Wiedza, Varsavia 1993
Jan Tomasz Gross, I Carnefici della porta accanto : 1941: il massacro della comunità ebraica di Jedwabne in Polonia, Mondadori, Milano 2002
Армия Крайована на территории СССР)
Катастрофа евреев в Белоруссии
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