Nella seconda metà del XV secolo, un mercante dell’isola di Lesbo che aveva due figlie e quattro figli, non sospettava nemmeno che tre di loro sarebbero morti di una morte terribile, mentre altri due avrebbero fatto una carriera vertiginosa, diventando tra i più temibili pirati del Mediterraneo. Questi due furono i famosi pirati Aruj Barbarossa e Khayr al-Dīn Barbarossa. E come si addice ai veri pirati, furono fortunati più di una volta nella loro carriera.
La nostra storia inizia a Lesbo, catturata dai turchi. Fu lì che visse nel XV secolo un piccolo commerciante di nome Yakup Ağa.
Secondo gli archivi ottomani, Yakup Ağa era un Tımarlı Sipahi, cioè un cavaliere feudale ottomano, di famiglia originaria di Balıkesir, più tardi trasferitasi nella città ottomana di Vardar Yenice, oggi Giannitsa, presso Tessalonica. Yakup Ağa era tra quanti nel 1462 erano stati incaricati dal Sultano Mehmed II di conquistare Lesbo sottraendola alla Repubblica di Genova e come riconoscimento del suo impegno bellico gli era stato attribuito il feudo del villaggio di Bonova. Aveva sposato una ragazza greca di Mitilene, di nome Katerina, vedova di un prete ortodosso. La coppia ebbe due figlie e quattro figli: Ishak, Aruj, Khayr e Elias. Yakup divenne poi un affermato ceramista e vasaio e acquistò un battello per commerciare i suoi prodotti. I figli, tutti musulmani, aiutarono il padre nella sua attività, mentre le figlie furono allevate nella religione cristiana e una di loro in seguito divenne addirittura suora.
Dopo la morte di Yakup, la famiglia sprofondò in una crisi economica.
Per questo motivo, i due fratelli Aruj e Elias, decisero di tentare la fortuna a Istanbul. Là furono assunti su una cambusa come schiavi. L’impresa finì tristemente, poiché la loro imbarcazione fu attaccata da una galea dei Cavalieri di San Giovanni e di Rodi. Elias fu ucciso nel combattimento e Aruj fu ferito e messo ai remi come schiavo dei Cavalieri di San Giovanni e di Rodi.
Anche un destino così poco invidiabile non fece perdere la fiducia in se stesso al futuro pirata. In attesa di una potente tempesta, quando tutti intorno a loro erano impegnati nell’organizzare la galea, Aruj riuscì a liberarsi e si tuffò in acqua.
Il giovane Aruj (nato nel 1474) era un marinaio molto abile e preparato, profondo conoscitore delle tecniche di navigazione, parlava l’italiano, lo spagnolo, il francese, il greco e l’arabo. Così, raggiunta la costa ed arrivato a Istanbul, fu assunto come timoniere su una nave che effettuava atti di pirateria. Il giovane Aruj non era affatto contrario al derubare le navi dei mercanti. Anzi era così focoso e aggressivo che presto convinse la squadra a ribellarsi. Avendo personalmente fracassato la testa del capitano con un’ascia, assunse il comando della nave e comandò un assalto corsaro contro una nave mercantile. Fu quello l’inizio dell’attività del corsaro Aruj.
Presto visitò la sua terra natale, dove incontrò sua madre, diede parte del denaro alla famiglia e invitò i fratelli Ishak e Khayr ad unirsi a lui.
Le loro incursioni piratesche ebbero così successo che lo Shehzade Korkud, un principe ottomano e governatore della città di Adalia (Turchia), gli affidò 18 galee incaricandoli di combattere contro i Cavalieri di San Giovanni e di Rodi, i quali al fine di proteggere le coste europee aveva arrecato gravi danni alla navigazione e al commercio ottomani.
Negli anni che seguirono, quando Shehzade Korkud divenne governatore di Manisa, Aruj ricevette una flotta più numerosa, articolata su 24 galee che facevano capo al porto di Smirne e gli fu ordinato di partecipare alla spedizione navale ottomana contro la Puglia, in cui Aruj cannoneggiò numerosi forti costieri e catturò due navi. Sulla via del ritorno a Lesbo, si fermò a Eubea e catturò tre galeoni e un’altra nave. Raggiunta Mitilene con questi vascelli catturati, Aruj venne a sapere che Shehzade Korkud, fratello del nuovo Sultano ottomano, era fuggito in Egitto per evitare di essere ucciso a causa di dispute successorie, pratica molto comune in quel tempo nel Casato di Osman. Temendo fastidi a causa delle sue ben note ottime relazioni col principe ottomano in esilio, Aruj fece vela verso l’Egitto, dove s’incontrò con Shehzade Korkud al Cairo e ottenne che gli fosse data udienza presso il Sultano Mamelucco Qanṣūh al-Ghūrī, che gli affidò un’altra nave e lo incaricò di effettuare incursioni e razzie contro le coste dell’Italia e le isole mediterranee sotto controllo delle potenze cristiane. Dopo aver passato l’inverno al Cairo, egli salpò quindi da Alessandria e prese a operare lungo le coste della Liguria e della Sicilia.
Nel 1503 Aruj prese altre 3 imbarcazioni e fece dell’isola di Gerba (in Tunisia) la sua nuova base, operando perciò nel Mediterraneo occidentale. Il fratello Khayr raggiunse Aruj a Djerba.
Nel 1504 i due fratelli chiesero ad Abū ʿAbd Allāh Muhammad Hamis, Sultano hafside di Tunisia, il permesso di usare il porto strategicamente importante della Goletta per le loro attività. Ottennero questo diritto, a condizione di consegnare un terzo delle loro prede al Sultano. Aruj, al comando di piccole galeotte, catturò due galee nei pressi dell’isola d’Elba. Più tardi, vicino a Lipari, i due fratelli catturarono una nave siciliana, la Cavalleria, con 380 soldati spagnoli e 60 cavalieri aragonesi a bordo, che dalla Spagna si stavano dirigendo alla volta di Napoli.
Nel 1505 i fratelli effettuarono razzie ed eccidi lungo le coste della Calabria. Queste azioni accrebbero ancor più la loro notorietà e i due fratelli furono raggiunti da un certo numero di altri corsari musulmani, incluso Kurtoğlu (noto in Occidente come Curtogoli).
Nel 1508 essi misero a ferro e fuoco senza alcuno scrupolo le coste della Liguria, particolarmente Diano Marina.
Nel 1509 anche Ishak lasciò Mitilene e raggiunse i fratelli a La Goulette. La fama di Aruj crebbe quando, tra il 1504 e il 1510, trasportò musulmani dalla Spagna ormai cristiana, in Nord Africa. I suoi sforzi nel soccorrere i musulmani spagnoli gli procurarono il soprannome di Baba Oruç (Padre Aruj) che, forse, per assonanza (sia in spagnolo, italiano e francese) si mutò in questi contesti linguistici in «Barbarossa», estesosi poi anche al fratello Khayr.
Nel 1510 i tre fratelli effettuarono incursioni a Capo Passero, in Sicilia, e respinsero un attacco spagnolo a Bugia, Orano e Algeri.
Nell’agosto del 1511 le incursioni e gli eccidi coinvolsero le aree attorno a Reggio Calabria. Mentre il brigantino su cui viaggiava Aruj navigava solitario nel sud del Tirreno, fu attaccato da due galee papali. Quando una delle galee rimase indietro, Aruj considerò l’attacco come migliore difesa e con un arrembaggio decise di salire a bordo della galea più vicina, ma sopravvalutò la sua forza. I pirati furono sconfitti e fatti prigionieri, il brigantino fu sequestrato. Ma Aruj non rimase prigioniero. Riuscendo a tirare fuori un pugnale che portava nascosto sotto gli abiti, tagliò le corde, conficcò l’arma nella gola del capitano della galea papale e liberò i pirati. I membri dell’equipaggio della nave nemica che decisero di combattere furono tutti uccisi, quelli che decisero di arrendersi furono gettati in mare aperto.
Travestiti da soldati papali, i pirati raggiunsero la seconda galea papale e massacrarono l’intero equipaggio.
Nell’agosto del 1512, il governante esiliato di Béjaïa invitò i fratelli a cacciare gli spagnoli e durante la battaglia, Aruj perse il braccio sinistro per via dell’esplosione di una palla di cannone. La menomazione gli fece attribuire il nomignolo di Gümüş Kol (Braccio d’argento in turco), in riferimento alla sua protesi d’argento che sostituiva l’arto mancante.
Più tardi, in quello stesso anno, i tre fratelli razziarono le coste dell’Andalusia, in Spagna, catturando una galeotta della famiglia Lomellini di Genova, che possedeva l’isola di Tabarca in quell’area. I fratelli perciò sbarcarono a Minorca e presero la fortezza costiera e poi, volgendosi contro la Liguria, conquistarono 4 galee genovesi vicino a Genova. I Genovesi inviarono una flotta per riprendersi le navi ma i fratelli catturarono anche la nave ammiraglia di questa flotta. Dopo aver catturato un totale di 23 navi in meno di un mese, i fratelli veleggiarono in direzione della Goletta. Qui furono costruite tre nuove galeotte e una polveriera.
Nel 1513 i fratelli catturarono 4 navi inglesi che tornavano in Francia, effettuarono raid a Valencia, dove presero altre 4 navi, e poi puntarono su Alicante e rubarono una galea spagnola presso Malaga.
Nel 1513 e 1514 i tre fratelli impegnarono squadre navali spagnole in numerose occasioni e si spostarono quindi nella loro nuova base di Cherchell, a est di Algeri. Nel 1514, con 12 galeotte e mille uomini, distrussero 2 fortezze spagnole a Béjaïa, e quando una flotta spagnola, sotto il comando di Miguel de Gurrea, viceré di Maiorca, giunse per prestar loro aiuto, una palla di cannone raggiunse uno dei tre fratelli, Ishak, ma questa volta con conseguenze più disastrose. Durante l’assedio di Béjaïa, proprio davanti agli occhi di suo fratello Aruj, Ishak fu squarciato in due da una palla di cannone. Disperato dopo la morte di un altro fratello, lo stesso Aruj pensò dapprima al suicidio, ma poi trasformò la sua energia in desiderio di vendetta. Così, i due fratelli Aruj e Khayr si diressero su Ceuta e misero a ferro e fuoco la città prima di conquistare Jijel, in Algeria, che era allora sotto controllo genovese.
Poco dopo conquistarono al-Mahdiyya, in Tunisia. Dopodiché fecero incursioni ed ogni genere di efferatezze lungo le coste della Sicilia, Sardegna, le Isole Baleari e il territorio spagnolo, catturando lì tre grandi navi.
Nel 1515 catturarono vari galeoni, una galea e tre imbarcazioni minori a Maiorca. Ancora nel 1515 Aruj inviò doni preziosi al Sultano ottomano Selim I il quale, in contraccambio, gli donò due galee e due spade incrostate di diamanti.
Nel 1516, assieme a Kurtoğlu, i due fratelli assediarono il castello dell’Isola d’Elba, prima di puntare una volta di più sulla Liguria, dove catturarono 12 navi e ne danneggiarono altre 28.
Nel 1516, il sovrano della città d’Algeria di nome Selim Eitemi chiese ad Aruj di soccorrerlo nelle battaglie contro gli spagnoli. Arrivato in Algeria, Aruj si mostrò subito come un alleato affidabile del sovrano locale: ordinò l’installazione di artiglieria e bombardamenti degli spagnoli. Il riconoscente Selim fece di Aruj il suo confidente, ma ciò si dimostrò per il sovrano stesso un grande errore. Un giorno Aruj entrò nelle terme dove il sovrano dell’Algeria si stava rilassando e lo strangolò con le proprie mani. Così Aruj divenne il nuovo sovrano dell’Algeria, dichiarandosi Barbarossa il Primo.
Ma subito dopo, influenti funzionari del precedente sovrano non riconobbero il potere di Aruj in quanto lamentavano l’avvenimento di un colpo di stato. A questa notizia, Aruj li invitò alla moschea, e non appena le porte si chiusero dietro di loro, diede ordine ai suoi pirati di ucciderli e fare a pezzi i loro cadaveri. Tra quei funzionari, 22 furono decapitati e i loro corpi furono legati a dei cavalli i quali, accompagnati dal coro di selvagge grida di giubilo dei pirati, li trascinarono per la città fino alle fosse delle latrine, dove furono gettati nelle acque reflue. Dopo una tale dimostrazione di potere e crudeltà, i sudditi abbandonarono ogni tentativo di resistenza.
Gli spagnoli non volevano perdere influenza in Algeria e nel settembre 1516 inviarono truppe guidate dal comandante Diego de Vera. Vedendo che le forze erano ineguali, Aruj escogitò un tranello. Senza interferire con lo sbarco degli spagnoli sulle loro rive, preparò con cura la città per il loro arrivo: ordinò di scavare buche nella città e coprirle con assi sottili e terra in modo che nulla potesse essere visto dal di fuori.
Per ordine di Aruj le porte della città furono aperte, i soldati sulle mura rimasero inattivi. Gli spagnoli caddero nell’ingegnosa trappola e irruppero nella città che sembrava loro indifesa. Dopo aver corso indisturbati per diverse centinaia di metri lungo le strade, iniziarono a cadere nelle profonde buche che li attendevano, mentre i pirati uscendo dalle loro case si precipitarono verso di loro. Il comandante spagnolo Diego de Vera fuggì e, insieme al figlio, raggiunsero la costa algerina e tutta la notte successiva la trascorsero immersi fino al collo nell’acqua.
Per sfortuna degli spagnoli, la tempesta che si scatenò in quella notte affondò molte delle loro navi e sancì il fallimento della missione spagnola.
Dopo aver consolidato il suo potere ed essersi proclamato nuovo Sultano di Algeri, Aruj s’impegnò ad ampliare i suoi domini di terraferma e conquistò Miliana, Medea e Ténès. Divenne famoso per aver trasportato cannoni navali attraverso i deserti del Nord Africa. Nel 1517 i fratelli colpirono Capo Limiti e in seguito Isola di Capo Rizzuto in Calabria.
Per Aruj la miglior difesa contro la Spagna era quella di unirsi all’Impero Ottomano, la sua stessa patria natia e la principale rivale della Spagna nei mari del Mediterraneo occidentale. Per questo egli rinunciò nel 1517 al suo titolo di Sultano di Algeri a favore del Sultano ottomano. Il Sultano di Istanbul accettò che Algeri fosse trasformata in sangiaccato (provincia) ottomano, nominando Aruj come Governatore di Algeri e come Beilerbei (Governatore generale) del Mediterraneo occidentale, promettendogli il suo sostegno in giannizzeri, galee e cannoni.
Gli spagnoli ordinarono ad Abū Zayyān, che avevano nominato nuovo governante di Tlemcen (città situata nel nord-ovest dell’Algeria) e Orano, di attaccare per via di terra Aruj, il quale però, conosciuto in anticipo il piano, prevenne il rivale, attaccando lui per primo Tlemcen, conquistandola e mettendo a morte per decapitazione Abū Zayyān e i suoi sette figli. Tutti gli altri parenti di Abū Zayyān furono annegati e alla macabra esecuzione partecipo materialmente lo stesso Aruj. L’unico sopravvissuto della dinastia di Abū Zayyān fu lo sceicco Buhammud (Abu Hammud), che fuggì da Orano e invocò l’aiuto spagnolo.
Nel maggio 1518, l’Imperatore Carlo V arrivò a Orano e fu ricevuto dallo sceicco Buhammud e dal governatore spagnolo della città, Diego de Córdoba, marchese di Comares, che comandava una forza di 10 mila soldati spagnoli. Raggiunti da migliaia di beduini, gli spagnoli marciarono su Tlemcen, dove Aruj era ad attenderli alla guida di 1.500 soldati turchi e 5 mila guerrieri indigeni. Aruj riuscì a difendere la città di Tlemcen per 20 giorni, dopodiché fu catturato in combattimento dalle forze spagnole comandate da Garcia de Tineo e fu impiccato nella pubblica piazza della città.
Aruj garantì la presenza ottomana in Nord Africa, che durò de facto per 4 secoli, fino alla perdita dell’Algeria nel 1830 ad opera della Francia, della Tunisia (che divenne protettorato francese nel 1881), della Libia ad opera dell’Italia a seguito della guerra italo-turca del 1911-12, senza dimenticare la perdita de jure dell’Egitto e del Sudan nel 1914 ad opera del Regno Unito, dopo che l’Impero Ottomano si era unito alle Potenze Centrali nella Prima Guerra Mondiale (ma, de facto l’Egitto era già stato assoggettato finanziariamente a Londra a seguito del fallimento intervenuto all’epoca del Chedivè Isma’il Pascià).
La Repubblica di Turchia rinunciò ufficialmente ai restanti diritti ottomani in alcuni territori dell’Egitto e del Sudan con il Trattato di Losanna del 1923.
Nell’ultimo secolo, numerosi sottomarini della Marina Militare turca sono stati chiamati col nome di Aruj.
L’ultimo fratello sopravvissuto, Khayr al-Din Barbarossa (detto in italiano Ariadeno Barbarossa), nato nel 1478, ereditò il posto di suo fratello, il suo soprannome di Barbarossa e la sua missione.
Avendo saputo della morte di suo fratello Aruj per mano degli spagnoli, Khayr al-Din Barbarossa iniziò a prepararsi per la difesa. Infatti, il 17 agosto 1518, un potente squadrone arrivò in Algeria sotto la guida del famoso comandante Hugo de Moncada. Sbarcati senza ostacoli, gli spagnoli iniziarono un assedio, quando improvvisamente una terribile tempesta colpì le loro navi, affondandone molte e fracassandone altre sulle rocce. Khayr al-Din Barbarossa con il suo esercito, doveva solo completare ciò che la tempesta non era riuscita colpire, cioè gli impauriti soldati spagnoli sbarcati in Algeria e che alle loro spalle non avevano più navi, rinforzi, rifornimenti, cibo e logistica. Per Khayr al-Din Barbarossa e il suo esercito fu così alquanto semplice circondare gli spagnoli e catturare numerosi prigionieri.
Secondo il suo piano, gli spagnoli avrebbero dovuto pagare un riscatto per liberare i loro numerosi soldati catturati, ma col passare del tempo dalla Spagna non arrivò mai una richiesta per instaurare una trattativa per la liberazione dei soldati spagnoli. Sembrava che in Spagna si fossero dimenticati di loro. Infuriato da tale mancanza di considerazione, Khayr al-Din Barbarossa fece trasportare tremila soldati prigionieri davanti alla fortezza di Peñon, roccaforte spagnola sulle coste nordafricane, e ordinò la loro esecuzione in modo che gli stessi spagnoli della fortezza potessero assistere a questo terribile massacro.
Alla mattanza effettuata con le sciabole dai corsari di Khayr al-Din Barbarossa, sopravvissero solo 72 soldati spagnoli, che si gettarono in mare sperando di morire tra le onde, ma furono catturati nuovamente. Di fronte a questo impressionante e macabro spettacolo, gli spagnoli decisero di pagare il riscatto per salvare i loro soldati fatti prigionieri, ma Khayr al-Din Barbarossa decise di ucciderne altri 36 (cioè la metà di quelli che erano sopravvissuti) davanti agli occhi degli inermi soldati e autorità spagnole che occupavano la fortezza di Peñon. I loro corpi furono fatti a pezzi e cuciti in sacchi di pietre, gettati in mare. Le fonti tacciono su quello che accadde agli altri 36 sopravvissuti.
Nel 1526, Khayr al-Din Barbarossa attaccò nuovamente Reggio Calabria subendo però lo scacco da parte dei reggini. Si rivolge allora contro Messina e attaccò la fortezza sul porto. In cerca di altri bottini risalì la penisola italiana, ma davanti a Piombino fu affrontato e costretto alla fuga da Andrea Doria, alla guida di una flotta composta da navi pontificie e da alcune galee dei Cavalieri di Malta.
Dal 1533, Khayr al-Din Barbarossa divenne l’ammiraglio della flotta ottomana.
Nell’estate del 1534 compì una terribile incursione sulle coste tirreniche alla testa di 82 galee: sbarchi e saccheggi si registrarono a Cetraro, San Lucido dove furono catturati 900 prigionieri, Capri, Procida e Gaeta. Approdato a Sperlonga, e messo a ferro e fuoco il territorio circostante e la stessa città, tentò addirittura di rapire Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano Colonna e celebre per la sua bellezza, per farne dono al sultano Solimano I (Solimano il Magnifico), ma la ragazza riuscì a rifugiarsi rocambolescamente a Campodimele. La città di Fondi da cui Giulia era fuggita, fu saccheggiata per 4 giorni, poi fu la volta di Terracina. Riempite le navi di schiavi e di bottino, si Khayr al-Din Barbarossa si diresse verso la Tunisia dove conquistò Biserta e Tunisi.
La reazione in Europa non si fece attendere. Nel 1535, Carlo V d’Asburgo armò una flotta di 82 galee e 200 vascelli galee e la affidò ad Andrea Doria il quale riconquistò Tunisi, ottenendo, dopo un saccheggio di due giorni, 10 mila schiavi. Khayr al-Din Barbarossa però, avendo previdentemente lasciato una piccola flotta a Bona, lo raggiunse e, mentre l’Europa lo credette morto, e si celebravano ovunque festeggiamenti, si diresse verso le Baleari dove attraccò Minorca. Mise a ferro e fuoco il porto e poi assalì Mahón e la saccheggiò. La rocca si arrese ma 400 abitanti furono uccisi e oltre duemila furono condotti in schiavitù. La loro vendita gli procurerà più di 500 mila ducati sui mercati di Costantinopoli ed Alessandria. Anche il bottino (gioielli, stoffe preziose, polvere da sparo e armi) fu straordinariamente copioso. A Istanbul fu accolto come un eroe, ricevendo diversi doni fra cui, nel 1535, un magnifico palazzo.
Nella campagna del 1537 devastò la costa della Puglia e catturò 10 mila prigionieri. In agosto raggiunse Corfù, piazzaforte veneziana e vi sbarcò a meno di tre miglia dal castello, con una forza composta da 25 mila uomini e 30 cannoni, tra cui il cannone più potente dell’epoca, che sparava palle del peso di 50 libbre. Con questo cannone, in tre giorni furono sparati 19 colpi, dei quali solo cinque riuscirono a colpire la fortezza. Causa maltempo e causa la precisione del fuoco dell’artiglieria veneziana che, tirando dalla fortezza, affondò 5 galee corsare e colpì perfino la sua ammiraglia, Khayr al-Din Barbarossa decise di desistere. Si dedicò però alle isole minori dove conquistò ricchi bottini e prigionieri a Malvasia, Nauplia, Sciro e Egina. A settembre la campagna di razzie e devastazioni si concluse. Il bottino di tali operazioni corsare ammontò a 400 mila pezzi d’oro, un migliaio di donne e 1.500 giovani. In omaggio al sultano inviò a Solimano I duecento giovani vestiti di scarlatto, ciascuno dei quali portava una coppa d’oro e d’argento; altri duecento portavano in dono pezzi di fine drappo e 30 offrirono altrettante borse colme di preziosi doni.
Nel 1538, Khayr al-Din Barbarossa affrontò nuovamente Andrea Doria nella battaglia di Prevesa sulla costa albanese. Andrea Doria lo fronteggiò con 80 galee veneziane, 36 pontificie, 30 spagnole, 50 galeoni e 200 altre navi da guerra, con a bordo 60 mila uomini e 2.500 cannoni ma il Barbarossa, che poteva contare su 130 galee e un’ottantina di vascelli minori, ebbe la meglio e catturò alcune galee genovesi e veneziane.
Nella primavera del 1543, a seguito dell’alleanza di Solimano I con il Re Francesco I di Francia durante la Guerra d’Italia del 1542-1546, Khayr al-Din Barbarossa fu inviato a Marsiglia. Nel raggiungerla compì qualche scorreria sulle coste italiane. Si presentò minaccioso nello stretto di Messina: Diego Gaetani, l’allora governatore di Reggio Calabria, rifiutò di trattare, cercò, anzi, di reagire facendo tirare un colpo di artiglieria contro la sua flotta, uccidendo 3 marinai ottomani. Khayr al-Din Barbarossa fece allora sbarcare 12 mila uomini, bombardò la città e la conquistò. La rocca del governatore fu saccheggiata e tra i prigionieri vi fu anche la figlia dello stesso Gaetani, di nome Flavia e dell’età di 18 anni. Il Barbarossa che all’epoca aveva 67 anni se ne invaghì, la sposò e come regalo di nozze, lasciò liberi i genitori della donna risparmiando nel contempo alla città un feroce sacco.
Khayr al-Din Barbarossa proseguì saccheggiando le coste campane. A Nettuno e ad Ostia compì razzie riempiendo di viveri la sua flotta. Proseguì verso la Provenza, dove fece base, prima di assediare Nizza che fu espugnata e saccheggiata; assalì l’isola d’Elba come risposta ad una mancata richiesta di restituzione di un giovane, figlio di Sinan rais, da anni trattenuto a Piombino alla corte degli Appiano.
Il bottino sulle coste nizzarde e liguri (la stessa Genova pagò un riscatto) fu così ricco che Khayr al-Din Barbarossa inviò in Algeria 25 galee cariche di bottino e a Costantinopoli 4 grosse navi, cariche di 5 mila cristiani, tra cui duecento monache, razziate in vari conventi italiani, quale suo regalo personale di donne vergini a Solimano. Tra i prigionieri cristiani vi fu anche un prelato spagnolo, Giovanni Canuti (all’epoca vescovo di Cariati e Cerenzia), che morirà in schiavitù ad Algeri.
Superati i settant’anni di età, Khayr al-Din Barbarossa smise di navigare e si stabilì definitivamente nel suo palazzo di Istanbul. La sua salute era molto precaria e soffriva di diarrea sanguinolenta. Il suo medico ebreo gli consigliò come cura il calore dei corpi delle giovani vergini. Khayr al-Din Barbarossa rispettò le prescrizioni del suo medico ma la conseguenza di ulteriori divertimenti con le vergini fu il completo esaurimento fisico del vecchio corsaro. Così, Il 4 luglio 1546, Khayr al-Din Barbarossa morì nel 1546, a causa di un attacco di «febbre gialla» e fu sepolto a Beşiktaş, a nord di Istanbul, in un mausoleo costruito dal famoso architetto Sinan.
Il rispetto per lui tra gli Ottomani fu così grande che ogni volta, passando davanti al suo mausoleo, le navi salutavano il famoso pirata con lo sparo dei cannoni. Nel corso del tempo, questa tradizione è diventata un ricordo del passato, ma ancora oggi diverse navi della Marina Militare turca e due porti di Istanbul prendono il nome di Khayr al-Din Barbarossa.
Luca D’Agostini
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Fonti
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