La storia dell’Albania è legata alla storia dell’Illiria, che controllava le aree interne dell’ovest della penisola balcanica dall’Istria alla Grecia settentrionale fino al VI secolo a.C.
Gli Illiri erano organizzati in comunità autogovernate, guidate dai consigli degli anziani. Nel periodo tra l’VIII ed il VII secolo a.C., sulle coste dell’Adriatico e dello Ionio, sorsero diverse colonie greche — Epidamnos (l’attuale Durazzo), Apollonio, Bouthroton (l’attuale Butrinto) e altri.
Nel III secolo a.C. apparvero le prime formazioni statali delle tribù illiriche. Il regno degli Adiani, più potente degli antichi stati illirici, si estendeva dalla costa della Dalmazia al territorio dell’Epiro. L’Illiria raggiunse il suo massimo splendore durante il regno di Agron (250-231 a.C.) e di sua moglie, la regina Teuta che gli succedette dal 231 al 230 a.C.. Gli Illirici praticavano la pirateria e ciò, nell’anno 229 a.C. li portò inevitabilmente ad entrare in conflitto con Roma e nel ma nel 167 a.C. furono definitivamente sconfitti.
L’Illiria, che comprendeva l’Albania, ottenne il successo economico e culturale sotto il dominio dei Romani. Durante questo periodo furono costruite fortezze e colonie commerciali, acquedotti e strade. Attraverso le terre illiriche passava la Via Egnatia, la più importante arteria militare e commerciale che collegava Roma a Bisanzio. I suoi porti, principalmente Dyrrachium (Durazzo), fornivano la comunicazione con l’Oriente; l’economia del tempo era basata sul commercio di farina, di vino, formaggio, olio e pesce; si svilupparono depositi di rame e argento e le persone ambiziose poterono fare carriera unendosi alle legioni romane.
Gli imperatori romani Claudio II il Gotico (268-270), Aureliano (270-275), Probo (276-282), Diocleziano (284-305) e Costantino I il Grande (306-337) discendevano dagli illirici. Tuttavia, la romanizzazione ebbe scarso effetto sugli Illiri, specialmente su quelli che vivevano nelle regioni interne, e avevano ancora una quasi autonomia tribale.
Nel I secolo a.C., il cristianesimo penetrò in Illiria (secondo la leggenda, l’apostolo Paolo proprio nell’Illiria). Tuttavia, la diffusa cristianizzazione degli Illiri iniziò nel IV e V secolo. Quando, nel 395, l’impero romano si divise in orientale e occidentale, l’Albania divenne parte dell’impero orientale (bizantino). Alcuni Illiri divennero imperatori bizantini, tra i quali Giustiniano I (527-565).
La caduta dell’Impero Romano nel V secolo, le devastanti incursioni degli Avari, degli Unni e dei Goti alla fine del IV e V secolo, così come l’apparizione degli slavi nel VI e nel VII secolo, posero fine all’esistenza dell’Illiria. Molti Illiri, che a quel tempo si erano convertiti al Cristianesimo, furono assimilati dagli slavi meridionali, altri, lasciando i loro posti occupati nelle aree costiere, andarono sulle montagne e quindi preservarono la loro identità etnica. Da loro provengono i moderni albanesi.
All’inizio del IX secolo, la costa dell’Albania e parte delle regioni montuose erano ancora sotto il dominio di Bisanzio. Tuttavia, l’Albania, situata alla periferia dell’impero bizantino, non era facile da difendere, e nei secoli IX e X fu conquistata dal regno bulgaro. Nel 998-1019 la Bulgaria cadde nuovamente sotto il potere di Bisanzio, ma nel 1050 l’Albania settentrionale passò sotto il controllo dei serbi. Allo stesso tempo, le regioni costiere meridionali furono conquistate dai Normanni, che si insediarono nel sud della penisola appenninica e in Sicilia, e quindi dai crociati.
Approfittando della debolezza dell’Impero bizantino, gli Albanesi, guidati dall’arconte Progon di Kruja, nel 1190 fondarono il primo stato indipendente, il Principato di Arbanon, con la sua capitale a Kruja. Anche gli slavi del Sud godevano della debolezza dell’influenza bizantina in Albania. Nel 1180 i serbi conquistarono Scutari e intorno al 1200 i bulgari occuparono l’Albania orientale.
Successivamente le truppe bulgare marciarono verso ovest attraverso la Macedonia e l’Albania e raggiunsero il mare Adriatico, ma non durarono a lungo lì. Nel 1246, l’Impero Bizantino sconfisse la Bulgaria e trasferì le sue truppe sulla costa settentrionale dell’Albania.
Nel 1256 i Bizantini catturarono Dyrrachium (Durazzo), ma nel 1257 furono costretti a cederla a Manfredi, Re di Sicilia. Due anni dopo, nel 1259, Dyrrachium (Durazzo) riuscì ad ottenere nuovamente l’indipendenza ma nel 1268 Manfredi riacquistò la sua autorità sulla città e conquistò anche Valona e Berat.
L’influenza occidentale si intensificò sotto il successore di Manfredi, Carlo I d’Angiò, che rese gli albanesi suoi vassalli e il 21 febbraio 1272 proclamò la creazione del Regno d’Albania.
Nel 14° secolo l’Albania fu conquistata dai serbi; nel 1346-1355 quasi l’intero territorio albanese faceva parte del regno serbo di Stefano Uroš IV Dušan Nemanjić (regnò dal 1331 al 1355). Dopo la sua morte però, l’impero serbo iniziò a disintegrarsi.
Tra signori feudali e capi tribù, iniziò una lotta per il potere in Albania tanto da divenire facile preda dell’impero ottomano.
I Turchi dapprima invasero l’Europa nel 1345 e iniziarono a spostarsi verso ovest, conquistando i disparati stati balcanici sulla loro strada. Conquistarono l’Albania nel 1385. Da questa data fino al 1912 l’Albania vide quindi oltre 5 secoli di dominio continuo da parte della Turchia, il che implicò una forte trasformazione. Il 70% della popolazione si convertì all’Islam, altri emigrarono in Grecia, in Egitto e in Italia, dove diedero origine alla popolazione degli albanesi d’Italia.
Il 2 marzo 1444, nella cattedrale veneziana di San Nicola ad Alessio (in Albania), il principe albanese Giorgio Castriota detto Scanderbeg organizzò un grande convegno con la maggior parte dei principi albanesi, e con la partecipazione del rappresentante della Repubblica di Venezia. In questo convegno egli fu proclamato all’unanimità come guida della nazione albanese. La cosa non piacque al sultano Murad II che inviò contro gli albanesi un potente esercito guidato da Alì Pascià. Lo scontro con le forze di Scanderbeg, notevolmente inferiori, avvenne il 29 giugno 1444, a Torvioll dove i turchi riportarono una cocente sconfitta. Il successo di Scanderbeg ebbe vasta risonanza oltre il confine albanese, arrivò fino a papa Eugenio IV il quale ipotizzò addirittura una nuova crociata contro l’Islam guidata dallo stesso Scanderbeg.

Giorgio Castriota Scanderbeg
Da questo successo fino alla sua morte, Scanderbeg dovette affrontare diversi scontri contro le truppe turche, scontri che lo videro sempre vincitore. Le imprese di Scanderbeg preoccupavano anche i Veneziani, che avevano diverse relazioni commerciali con i Turchi. Essi si allearono con il sultano ma persero pesantemente il 3 luglio 1448, benché avessero raso al suolo la fortezza di Balsha.
Le gesta di Scanderbeg risuonavano per tutto l’occidente, delegazioni del papa e di Alfonso d’Aragona giunsero in Albania per celebrare la straordinaria impresa.
Maometto II, successore di Murad, si rese conto delle gravi conseguenze che potevano derivare dall’alleanza degli Albanesi con il Regno di Napoli e decise quindi di mandare due armate contro l’Albania, ma anche questa volta le truppe turche furono annientate.
La fama di Scanderbeg fu incontenibile, anche per il fatto che i suoi uomini a disposizione erano sempre nettamente inferiori al numero dei soldati turchi contro i quali combattevano.
Intanto, la morte di papa Pio II il 14 agosto 1464 determinò il fallimento della grande crociata che il Pontefice aveva in mente e che teneva in grande apprensione il sultano. L’anno dopo il Sultano intravide la possibilità di farla finita con Scanderbeg e mise insieme un poderoso esercito affidandolo ad un traditore albanese, Ballaban Pascià, ma anche quest’impresa fallì in prossimità di Ocrida (Macedonia).
I tentativi si facevano via via più pesanti e nella primavera del 1466, Krujë venne cinta d’assedio. Nonostante il fallimento lo stesso tentativo venne fatto nell’estate del 1467, ma per l’ennesima volta senza nessun successo e con grave danno per i Turchi.

Castello di Krujë
Scanderbeg tuttavia comprendeva che la difesa non poteva andare ad oltranza per cui cercò delle alleanze e il doge di Venezia si convinse ad inviare un emissario da Scanderbeg per organizzare una difesa comune, ma l’ambasciatore veneziano non poté portare a termine l’incarico perché Scanderbeg morì di malaria il 17 gennaio 1468. La città di Krujë cadde nelle mani turche dieci anni dopo la morte di Scanderbeg.
Giovanni Castriota, il figlio di Scanderbeg, trovò rifugiò con la madre a Napoli, ospitato da Ferdinando d’Aragona. Qui nel 1481, radunò alcuni fedelissimi e sbarcò a Durazzo, ma non riuscì a portare a termine alcuna impresa poiché i Turchi vanificarono immediatamente il suo tentativo.
Si concluse quindi qui il breve periodo di resistenza albanese durato appena 17 anni.
La sconfitta causò un ulteriore grande esodo di albanesi nell’Italia meridionale. La stragrande maggioranza della popolazione rimanente in Albania fu costretta a convertirsi all’Islam.
Dopo la guerra russo-turca (1877-1878) ed il crollo dell’Impero Ottomano, emerse il desiderio dei popoli balcanici di ottenere l’indipendenza. Al Congresso di Berlino, le grandi potenze proposero, come una delle condizioni di un trattato di pace, di trasferire le regioni dell’Albania settentrionale alla Serbia e Montenegro. Alcuni leader albanesi e rappresentanti della nobiltà, principalmente musulmani, si opposero a questa decisione: il 10 giugno 1878 a Prizren (Kosovo) annunciarono la creazione della lega albanese (Lega di Prizren). All’inizio, tale movimento ricevette il sostegno del governo ottomano, raccolse fondi, reclutò combattenti armati.
C’erano timori che dopo il crollo finale dell’Impero ottomano, l’Albania potesse essere divisa in parti dagli Stati vicini. Per evitare un simile risultato, la Lega di Prizren chiese l’unificazione dei distretti albanesi in un’unica provincia autonoma in modo che gli stessi albanesi controllassero l’amministrazione, l’istruzione scolastica e la riscossione delle imposte. Tale richiesta portò ad una spaccatura nella Lega di Prizren: i musulmani dell’Albania centrale si opposero al programma, rimanendo fedeli a Costantinopoli. Iniziarono degli scontri armati che adirarono il sultano il quale inviò truppe per sopprimerlo. Nell’aprile del 1881, l’esercito turco occupò Prizren. Alcuni dei leader della Lega di Prizren e membri delle loro famiglie furono arrestati.
Il movimento nazionalista si diffuse così clandestinamente tra gli albanesi emigrati all’estero. All’inizio del XX secolo, il movimento nazionalista si è intensificò in varie parti del paese. Nelle città c’erano commissioni segrete, che comprendevano rappresentanti di segmenti molto diversi della popolazione. Nel gennaio 1906, il Comitato albanese per la libertà decise di creare bande armate, molte delle quali, nella speranza di ottenere l’autonomia all’interno dell’impero ottomano, parteciparono alla rivoluzione dei giovani turchi.
Dopo il rovesciamento del sultano Abdul-Hamid II, nel luglio del 1908, apparvero scuole albanesi, emersero giornali e club politici, specialmente nel sud del paese. Nel novembre del 1908 si tenne a Monastir (Bitol) un congresso nazionale che discusse la questione dell’autonomia nazionale e l’adozione di un alfabeto albanese basato sul latino. Tuttavia, le richieste politiche degli albanesi furono respinte dai Giovani Turchi, che si sforzavano di rafforzare la Turchia imponendo tasse e servizio militare alle minoranze etniche. Ben presto il governo turco applicò un giro di vite sul movimento albanese. Questo approccio irritava persino i musulmani albanesi.
All’inizio di aprile 1910, una protesta contro l’oppressione turca crebbe in una rivolta armata nel nord dell’Albania, che durò cinque mesi. Le autorità turche bandirono tutte le organizzazioni albanesi, disarmarono la popolazione, chiusero le scuole albanesi e gli organi di stampa. Nella primavera del 1911 scoppiò una seconda rivolta anti-turca, la cui richiesta era la concessione dell’autonomia. Anche il governo del Montenegro, che contava di approfittare della rivolta, sostenne la richiesta. Incapace di sopprimere la rivolta con la forza, il governo dei Giovani Turchi fece alcune concessioni (nell’educazione scolastica, nel servizio militare, nella tassazione e nell’uso dell’alfabeto latino in lingua albanese), ma rifiutò di unire in un’unica provincia i quattro distretti popolati dagli albanesi. Nonostante questo accordo, nel marzo del 1912 scoppiò una terza rivolta nelle regioni montuose settentrionali, che si estendevano fino alle parti meridionali e centrali del paese. A metà agosto, i ribelli albanesi presero il sopravvento. Avendo perso il controllo di gran parte del paese, i turchi furono costretti a una tregua 23 agosto 1912. L’impero ottomano accettò di concedere agli albanesi (ma non all’Albania) un’autonomia limitata, unendo i quattro distretti.
La debolezza dell’Impero Ottomano portò Serbia, Bulgaria, Montenegro e Grecia ad entrare nella Prima Guerra dei Balcani (ottobre 1912 — aprile 1913), a seguito della quale la Turchia perse gran parte del suo territorio in Europa. I montenegrini assediarono Scutari. Le truppe serbe, sconfiggendo i turchi in Macedonia, entrarono nell’Albania centrale in ottobre e occuparono Elbasan. Nel novembre 1912 i serbi presero anche Durazzo e Tirana. Il controllo su Giannina e sulle città dell’Albania meridionale fu stabilito dalle truppe della Grecia. Per impedire la divisione dell’Albania tra i suoi vicini, i leader albanesi, riuniti a Valona, proclamarono l’indipendenza del paese il 28 novembre 1912 e formarono un governo provvisorio guidato da Ismail Qemal Bej Vlora.
Il compito più difficile per l’Albania era ottenere il riconoscimento internazionale della sua sovranità e dei suoi confini, data l’opposizione di alcuni stati balcanici. La Serbia sperava di ottenere l’accesso al Mare Adriatico, controllando l’Albania centrale, il Montenegro cercò di ottenere Scutari, la Grecia voleva il controllo di alcune regioni meridionali. Le aspirazioni di Serbia, Montenegro e Grecia erano sostenute da Francia e Russia. Tuttavia, l’Italia e l’Austria-Ungheria, temendo il rafforzamento dell’influenza russa nei Balcani, si opposero a tali aspirazioni.
Le grandi potenze (Austria-Ungheria, Gran Bretagna, Germania, Italia, Russia e Francia) autorizzarono i loro ambasciatori riuniti alla conferenza di Londra a considerare la questione albanese insieme ad altri problemi sorti a seguito della guerra nei Balcani. In questa conferenza del 20 dicembre 1912, l’autonomia dell’Albania fu riconosciuta dalle grandi potenze. Secondo il trattato di Londra, firmato il 30 maggio 1913, fu istituita una commissione per risolvere la questione dei confini e dello status dell’Albania e prendere una decisione definitiva sul ritorno della città di Scutari in Albania, che fu conquistata dal Montenegro durante la prima guerra balcanica.
L’Albania fu proclamata un principato ereditario governato da un principe tedesco, sotto un protettorato esercitato per una durata di dieci anni (rinnovabili) da una commissione composta dai rappresentanti delle sei potenze e da un rappresentante dell’Albania.
Secondo il trattato di Bucarest, firmato il 10 agosto 1913, le dimensioni dell’Albania furono dimezzate. La pianura del Kosovo fu inclusa nella Serbia. La regioni di Pec fu inclusa nel Montenegro, che, tuttavia, avrebbe dovuto restituire Scutari. Infine, il confine con la Grecia fu stabilito secondo il protocollo firmato il 17 dicembre 1913 a Firenze. La Grecia ricevette il cosiddetto Epiro meridionale.
Le grandi potenze garantivano la neutralità dell’Albania, ma in realtà stabilirono un protettorato di Austria-Ungheria, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Russia, formando forze di polizia sotto la guida di ufficiali dell’Europa occidentale e un’amministrazione civile e finanziaria sotto il controllo della Commissione di controllo internazionale.
Non fu facile trovare un sovrano per il nascente stato albanese: vennero scartate le proposte di dare il trono al principe Ghica o al marchese d’Auletta Giovanni V Castriota Scanderbeg. Su istanza della regina di Romania Elisabetta di Wied, il ministro rumeno Take Ionescu propose come candidato suo nipote, il principe tedesco Guglielmo di Wied, che le grandi potenze scelsero come primo principe d’Albania. Il principe Guglielmo di Weid (1876-1945), fu incoronato il 21 febbraio 1914 sotto il nome di Guglielmo I. In pratica però, né Guglielmo I, né il governo da lui nominato, svolsero mai alcun ruolo. Tutte le decisioni importanti del governo sono state prese dalla Commissione di controllo internazionale.

Re Guglielmo I
Il 28 giugno venne assassinato a Sarajevo l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este e il 28 luglio l’Austria Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, dando origine alla Prima guerra mondiale: le sei potenze che avevano il protettorato sull’Albania entrarono in guerra l’una contro l’altra (da una parte Austria-Ungheria e Germania e dall’altra Francia, Gran Bretagna e Russia, mentre l’Italia si proclamò inizialmente neutrale il 2 agosto) e il principe, non potendo più contare più sul loro appoggio, che costituiva la base del suo potere, il 3 settembre del 1914 lasciò Durazzo sulla nave italiana «Misurata» e si trasferì a Venezia.
In seguito Guglielmo di Wied rientrò nell’esercito tedesco con lo pseudonimo di «conte di Krujë», dalla città albanese di Croia. Dopo la fine della guerra sperò di essere reintegrato sul trono, ma nella conferenza di pace di Parigi le sue ambizioni furono frustrate e, nel gennaio 1920, fu decisa la spartizione del paese.1
Con la fine della prima guerra mondiale, nel novembre 1918, la zona di occupazione austro-ungarica passò sotto il controllo dell’esercito italiano; parte del territorio occupato dalle truppe serbe, francesi e greche. Ancora una volta, piani per dividere il paese, ma i nazionalisti albanesi hanno ricevuto un forte sostegno dal presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson.
Su pressione degli Stati Uniti si stabilì un consiglio di reggenza di quattro membri e fu eletto un parlamento bicamerale, spostando la capitale a Tirana. Il presidente Woodrow Wilson degli Stati Uniti riconobbe l’Albania, che il 17 dicembre 1920 fu ammessa alla Società delle Nazioni. Diversi governi albanesi in conflitto fra loro si succedettero finché Ahmed Bey Zog non convocò il parlamento per approvare una nuova costituzione, proclamando l’Albania una repubblica e mettendo ufficialmente fine al principato di Guglielmo di Wied, il quale tuttavia continuò a reclamare il trono per sé e per i propri discendenti.
Tuttavia, la questione dei confini rimase aperta. A farne le spese, il 27 agosto 1923, sul confine tra Grecia e Albania, fu una delegazione italiana guidata dal generale Enrico Tellini, incaricato dalla Società delle Nazioni di tracciare i confini, la quale fu trucidata immotivatamente (eccidio di Giannina).

Generale Enrico Tellini
Zog fu eletto ufficialmente alla carica di Presidente della neonata repubblica albanese dall’Assemblea Costituente il 21 gennaio 1925, entrando nella pienezza dei poteri il successivo 1 febbraio 1925. Il governo di Zog seguì i modelli europei, sebbene una gran parte dell’Albania manteneva ancora una struttura sociale immutata dai tempi del dominio ottomano. Musulmano egli stesso, Zog introdusse riforme che proibirono i veli e posero divieti contro le crudeltà verso gli animali. Il principale alleato di Zog durante questo periodo era l’Italia, che prestò al suo governo fondi in cambio di un maggior coinvolgimento nella gestione della fiscalità albanese. Durante la presidenza di Zog, la servitù fu gradualmente eliminata e l’Albania iniziò ad emergere come una nazione, piuttosto che come un aggregato feudale.
Il crescente potere dell’Italia fascista in Albania era evidente a tutti. Gli italiani costrinsero Zog a non rinnovare il primo Trattato di Tirana (1926), sebbene Zog mantenesse ancora ufficiali inglesi nella Gendarmeria come contrappeso agli italiani, i quali gli avevano fatto pressioni per allontanarli. Nel 1932 e 1933 l’Albania non fu in grado di pagare gli interessi dei suoi debiti contratti con la Società per lo Sviluppo Economico dell’Albania: gli italiani usarono ciò come pretesto per ulteriori intromissioni. Essi chiesero che Tirana nominasse degli italiani a capo della Gendarmeria, si legasse all’Italia con una unione doganale e conferisse al Regno d’Italia il controllo dei monopoli albanesi dello zucchero, dei telegrafi e dell’elettricità. Infine, fu richiesto che il governo albanese disponesse l’insegnamento della lingua italiana in tutte le scuole albanesi, una richiesta che fu prontamente rigettata da Zog. Come sfida alle richieste italiane, ordinò che le spese nazionali fossero tagliate del 30%, allontanò tutti i consiglieri militari italiani e nazionalizzò le scuole cattoliche, gestite da italiani, nel nord del paese, per diminuire l’influenza italiana sulla popolazione albanese.
Quattro anni dopo, il 1 settembre 1928, il presidente Ahmed Bey Zog si autoproclamò Re degli Albanesi col nome di Zog I ed istituì una monarchia costituzionale.

Re Zog I di Albania
Egli creò una forte polizia, inventò un «saluto zoghista» (mano piatta sul cuore con il palmo rivolto in avanti) e sostenne di essere un successore di Giorgio Castriota Scanderbeg. Zog ammassò monete d’oro e pietre preziose che furono usate per sostenere la prima moneta cartacea d’Albania; le sue spese personali si aggiravano sul 2% del bilancio nazionale. Era praticamente ignorato dagli altri monarchi europei.
Durante la Grande depressione dei primi anni trenta, il governo di Zog divenne quasi totalmente dipendente da Mussolini. Si dovette importare il grano dall’estero e molti albanesi emigrarono.
Gli albanesi, al tempo del suo regno, erano ancora fedeli alle vendette sanguinose. Il primo degli errori di Zog fu di rompere bruscamente il fidanzamento con la figlia di Shefqet Verlaci subito dopo la sua incoronazione. Secondo il costume prevalente, Verlaci aveva, come risposta, il diritto di uccidere Zog. Il re si fece più di qualche nemico e spesso si circondava di guardie del corpo, evitando le apparizioni pubbliche. Nel 1931 Zog visitò Vienna e lì sopravvisse a un tentativo di assassinio.
Il regno di Zog fu ben presto molto legato all’Italia. I primi di aprile del 1939 il governo italiano inviò un ultimatum al governo albanese, chiedendo l’istituzione di un protettorato italiano sull’Albania. Non avendo accettato l’ultimatum, il 7 aprile 1939 l’Italia occupò militarmente l’Albania e costrinse Zog a fuggire prima in Grecia e poi a Londra. Cinque giorni dopo, il parlamento albanese proclamò nuovo re Vittorio Emanuele III d’Italia, che assunse il titolo di Re d’Albania. Il titolo fu mantenuto formalmente fino alla sua abdicazione nel 1943, quando Zog I, pur non facendo mai più ritorno in Albania, fu restaurato come re.
Uno dei primi atti del nuovo governo albanese fu la decisione di ritirarsi dalla Società delle Nazioni. La costituzione albanese fu abrogata ed il 3 giugno 1939 fu adottata una nuova costituzione. Secondo questa costituzione, l’Albania fu dichiarata un regno in «unione personale» con il re d’Italia, l’intero potere statale e esecutivo apparteneva al re italiano. Fu formato un governo locale subordinato al viceré italiano e ai suoi funzionari. Il 22 aprile 1939, l’ex inviato italiano in Albania, Francesco Jacomoni di San Savino, fu nominato governatore reale (vice-re).
Secondo il modello italiano, fu organizzato il partito fascista albanese e nel 1940 l’esercito albanese fu incorporato nell’italiano. Nell’ottobre del 1940, un contingente di truppe ausiliarie albanesi di 12.000 uomini prese parte alla campagna d’Italia contro la Grecia. Tuttavia, l’esercito greco non solo riuscì a fermare l’offensiva italiana, ma anche a trasferire i combattimenti nel territorio dell’Albania. Dal dicembre 1940 all’aprile 1941, la Grecia rioccupò l’Albania meridionale (Epiro settentrionale).
Dopo l’invasione della Jugoslavia e della Grecia però, il Kosovo e parti della Macedonia occidentale appartenenti alla Jugoslavia, parte del Montenegro appartenente alla Grecia, furono assegnati dalla Germania e dall’Italia all’Albania. Così, i sogni dei nazionalisti albanesi furono realizzati.
Nel frattempo, con il sostegno della Gran Bretagna e dell’Unione Sovietica, in questi territori occupati dall’Albania fu organizzato un movimento di resistenza partigiana contro i regimi fantoccio. L’8 novembre 1941 gruppi di comunisti albanesi fondarono il Partito comunista albanese, il cui segretario era Enver Halil Hoxha (1908-1985), un ex insegnante educato in Occidente. Nella primavera del 1942 furono creati i primi distaccamenti partigiani comunisti che si opposero alle truppe italiane.
Alla fine del 1942, oltre 20 formazioni partigiane operavano nel paese. Nel luglio del 1943 fu deciso di organizzare lo Stato Maggiore dell’Esercito di Liberazione Nazionale d’Albania (PLA). Nell’autunno del 1943, i comunisti presero il controllo della maggior parte delle città meridionali dell’Albania.
La questione più controversa per il movimento di liberazione nazionale era lo status postbellico del Kosovo. I comunisti albanesi, non volendo rovinare le relazioni con i loro colleghi jugoslavi, sostennero l’idea di restituire la regione alla Jugoslavia.
Quando nel settembre del 1943 l’esercito italiano crollò, i tedeschi procedettero all’occupazione delle città albanesi. Rexhep Mitrovica fu nominato primo ministro del governo fantoccio filo-tedesco. I tedeschi quasi non intervenivano negli eventi che si svolgevano sulle montagne. Molti crimini di guerra, incluso il genocidio dei serbi del Kosovo, sono stati commessi da collaborazionisti albanesi, in particolare dai membri della 21te Waffen-Gebirgs-Division der SS Skanderbeg, una divisione delle SS costituita nel 1944 principalmente con volontari nazionalisti albanesi provenienti dall’Albania e dal Kosovo.
Dopo aver riorganizzato l’esercito (contava 20 mila persone), i comunisti marciarono contro i loro rivali. Le fazioni anticomuniste, che mancavano di coesione, dedizione, disciplina e armi, fecero appello al governo filo-tedesco a Tirana. Verso la metà dell’estate del 1944, i comunisti sconfissero i nazionalisti nel sud dell’Albania. Quando entrarono nell’Albania centrale e settentrionale alla fine di luglio, incontrarono solo insignificanti resistenze.
Nell’ottobre del 1944, i tedeschi iniziarono a ritirarsi dall’Albania e il 20 ottobre 1944 il comitato di liberazione nazionale antifascista fu trasformato nel governo democratico provvisorio guidato da Enver Hoxha. Tuttavia, questa non era la fine della guerra. Alla fine del 1944, le brigate partigiane insieme all’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia parteciparono alla liberazione del Montenegro e alla soppressione della resistenza dei nazionalisti albanesi in Kosovo.
Dopo la liberazione dell’Albania, la nuova leadership intraprese riforme su larga scala volte principalmente a rafforzare la posizione dello stato nell’economia. Fu istituito il controllo statale su imprese industriali e società per azioni di proprietà di proprietari stranieri e locali; la proprietà degli emigranti politici fu confiscata; le proprietà estere e le banche furono nazionalizzate; furono requisiti tutti gli autoveicoli e le officine di riparazioni auto. In conformità con la legge del 29 agosto 1945, le terre statali e tutte le proprietà terriere confiscate ai grandi proprietari terrieri ed alle istituzioni religiose, furono soggette alla divisione tra i contadini. Le grandi aziende zootecniche furono nazionalizzate. Nei due anni successivi quasi tutte le imprese industriali e commerciali divennero proprietà dello stato. Fu istituito un monopolio sul commercio estero e sul controllo statale sul commercio interno.
I comunisti tentarono di legalizzare il loro dominio tenendo elezioni per l’Assemblea costituente il 2 dicembre 1945. Il Fronte democratico albanese controllato dai comunisti, successore del Fronte di liberazione nazionale, ricevette il 93% dei voti: l’11 gennaio 1946 l’Assemblea popolare (Costituente) proclamò l’Albania repubblica e il 14 marzo dello stesso anno adottò la Costituzione della Repubblica Popolare di Albania (NRA). Il governo del paese era guidato da Enver Hoxha.

Enver Hoxha
Il 29 aprile 1946, la Jugoslavia di Tito fu la prima a riconoscere il governo comunista albanese, l’Unione Sovietica lo riconobbe il 10 novembre 1946. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti non riconobbero il nuovo governo albanese e ritirarono le loro rappresentanze diplomatiche. Nell’agosto del 1946, l’Inghilterra e gli Stati Uniti si opposero all’ammissione dell’Albania alle Nazioni Unite e solo il 15 dicembre 1955, a seguito di un accordo tra Est e Ovest, l’Albania divenne un membro di questa organizzazione.
Nel 1948 scoppiò un grave conflitto interno in Albania. Per rafforzare la difesa del paese e attuare piani ambiziosi per l’industrializzazione e la modernizzazione, era necessaria l’assistenza finanziaria e militare. Questa funzione fu assunta dalla Jugoslavia. I sei accordi economici conclusi tra il luglio 1946 e il giugno 1947 portarono alla formazione di società miste, all’arrivo di specialisti e consulenti militari jugoslavi e alla ricezione di attrezzature e sussidi dalla Jugoslavia.
La situazione cambiò radicalmente quando, il 28 giugno 1948, la Jugoslavia fu espulsa dal Cominform, l’organizzazione che riuniva tutti i partiti comunisti europei. L’Albania risolse immediatamente gli accordi economici con la Jugoslavia ed espulse i consiglieri jugoslavi. In risposta, la Jugoslavia nel 1949 pose fine al Trattato di amicizia con l’Albania. Nel novembre 1950, le relazioni diplomatiche tra i due paesi furono interrotte. Furono ripristinati solo il 21 dicembre 1953.
Nel 1948 il ministro della difesa albanese, Kochi Dzodze, principale rivale di Hoxha, che era ministro degli Interni e anche segretario esecutivo del Comitato centrale del partito, fu arrestato in quanto considerato seguace di Tito e nel 1949 fu giustiziato. Purghe politiche si verificarono in Albania tra il 1950-1952. Molti albanesi, in fuga da arresti, fuggirono dal paese. Nella società albanese, fu impiantato il culto di Stalin e Hoxha.
L’influenza jugoslava fu sostituita da quella sovietica: nel 1949, il 37% del bilancio dell’Albania proveniva dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati. Nel 1949, l’Albania fu ammessa all’appartenenza al Consiglio per l’assistenza economica reciproca (CMEA). Nonostante i difficili problemi economici, Hoxha non solo mantenne il potere, ma lo rafforzò anche, avendo concentrato nelle sue mani (dal luglio 1950) le cariche di leader del partito e capo del governo, oltre al ministro della difesa nazionale e al ministro degli affari esteri.
La morte di Stalin nel 1953 e la politica di Nikita Sergeevič Chruščëv, volta a denunciare il «culto della personalità» di Stalin ed a migliorare i rapporti con la Jugoslavia, costrinse Hoxha a cambiare drasticamente rotta, seguendo il modello di governo sovietico.
A metà degli anni ’50, l’insoddisfazione nei confronti della politica di Hoxha iniziò a crescere in vari settori della società. Vi furono richieste di una revisione dei processi politici del 1948-1949, il ripristino della democrazia all’interno del partito e la riabilitazione di persone innocentemente condannate. Tito dal canto suo chiese la rimozione di Hoxha ma quest’ultimo riuscì a mantenere il suo posto, facendo appello, tra le altre cose, ai sentimenti nazionalisti e invocando di affrontare la crescente minaccia del dominio jugoslavo. Nel 1957-1959 l’aiuto economico del Partito Comunista Cinese aumentò in modo significativo e, dall’ottobre 1959, la stampa albanese prese una chiara posizione filo-cinese: il 24 giugno 1960, la delegazione albanese all’incontro internazionale dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai a Bucarest condannò la politica dell’Unione Sovietica verso l’Occidente.
In risposta, Mosca iniziò a rompere i rapporti economici, a cancellare i programmi di aiuto ed a sospendere l’assegnazione dei prestiti. Gli specialisti sovietici furono richiamati dall’Albania e gli studenti albanesi furono privati del diritto di continuare i loro studi nell’Unione Sovietica. A dicembre del 1961, le relazioni diplomatiche tra Unione Sovietica ed Albania furono troncate. Lo staff dell’ambasciata sovietica e la missione commerciale furono richiamati dall’Albania e l’ambasciata e la missione commerciale dell’Albania a Mosca furono chiuse. Nello stesso anno, la Cina ne approfittò, fornendo all’Albania un prestito di 125 milioni di dollari per lo sviluppo dell’industria e inviando nel paese i loro consulenti e specialisti tecnici.
Nel settembre del 1968, l’Albania, in segno di protesta contro l’intervento sovietico durante la Primavera di Praga, annunciò il suo ritiro dal Patto di Varsavia. Come risultato della cessazione dell’assistenza economica dall’Unione Sovietica, più di 40 impianti industriali furono chiusi. L’Albania cessò il commercio con l’Unione Sovietica, ma gran parte delle sue esportazioni continuavano ad essere effettuate nei paesi socialisti dell’Europa orientale. La Cina rappresentava la metà del volume delle esportazioni albanesi e 3/5 del volume delle importazioni dell’Albania. Per 17 anni, la Cina fornì 1,4 miliardi di dollari di assistenza all’Albania.
La politica interna albanese propagò l’immagine dell’Albania come una «fortezza assediata», circondata da «stati capitalisti e revisionisti ostili». Hoxha fece costruire nel paese migliaia di bunker in cemento per essere usati come posti di guardia. Per questo motivo ancora oggi il territorio albanese è disseminato di oltre 500 mila bunker.

I bunker fatti costruire da Enver Hoxha
Dopo che la collettivizzazione dell’agricoltura fu completata (1967), fu lanciata una potente campagna per sradicare la vita religiosa. Chiese, moschee, monasteri e altre istituzioni religiose furono chiuse e trasformate in magazzini, scuole e officine. Molti sacerdoti furono repressi. Secondo la nuova edizione della Costituzione del 29 dicembre 1967, l’Albania fu proclamata il primo stato ateo del mondo.
Nel 1973-1974, il comitato per la radio e la televisione, i sindacati creativi di scrittori e artisti albanesi e l’Unione della gioventù di lavoro albanese furono eliminati. La vita culturale dell’Albania fu paralizzata per più di un decennio.
Il miglioramento delle relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti, iniziato nei primi anni ’70, pose fine all’amicizia con l’Albania. Nel 1974-1975, ci fu un’ondata di repressione in connessione con la scoperta della cospirazione filo-cinese. Con verdetto del tribunale militare, furono fucilati il ministro della Difesa Beqir Balluku, il capo dello stato maggiore Petrit Dume e capo della direzione politica dell’esercito Hito Çako. Molti funzionari di alto livello, così come i cittadini comuni, comprese le donne sovietiche che sposarono gli albanesi, furono sottoposti a repressione.
La Cina nel luglio 1978 decise di interrompere l’assistenza economica e militare in Albania e ritirare tutti gli specialisti. Dopo la rottura con la Cina, il regime di Hoxha scelse una strategia di sviluppo indipendente. Ciò fu facilitato dal rafforzamento dei legami con i paesi dell’Europa occidentale, specialmente con la Francia. Nel 1971 furono ripristinate le relazioni diplomatiche con la Grecia. Negli anni ’70, il numero delle ambasciate occidentali iniziò ad aumentare nella capitale albanese. Nonostante questo, l’Albania rimase il paese più chiuso in Europa.
Nel 1981 Hoxha ordinò l’arresto e l’esecuzione capitale di diversi dirigenti di partito e di governo accusati di corruzione e di attività controrivoluzionaria. Probabilmente per questo motivo il Primo ministro Mehmet Shehu, la seconda figura politica del regime accusata da Hoxha di essere un agente jugoslavo, «si suicidò» nel dicembre 1981.
Dopo la morte di Enver Hoxha avvenuta l’11 aprile 1985, Ramiz Alia assunse anche la carica di segretario del Partito del Lavoro d’Albania. Il regime di Alia comportò una certa distensione sia interna che in politica estera.
Alia si impegnò nelle pubbliche sedi a mantenere i principi del suo predecessore, ma prendendo il potere diede inizio a una tendenza parzialmente riformista incentrata su un decentramento economico e su incentivi materiali per i lavoratori albanesi. Alia ripristinò gradualmente i rapporti con i paesi stranieri (ad eccezione degli Stati Uniti e del Regno Unito). Nel 1987, si pose fine all’inimicizia con la Grecia, che dal 1940 era formalmente in guerra con l’Albania. Fu aperto il collegamento ferroviario con la Jugoslavia. La cooperazione economica, industriale e tecnica con i paesi dell’Europa occidentale si è ampliò e ripresero gli scambi culturali e scientifici.
Vi fu la liberazione dei prigionieri politici e l’abolizione di leggi particolarmente odiate dalla popolazione, quale ad esempio sul divieto di dare nomi cristiani e musulmani ai neonati.
Furono introdotti salari differenziali, progettati per stimolare la produzione.
Tuttavia i problemi di sistema che Hoxha aveva lasciato in eredità con la propria politica erano di una natura e dimensione tale da rendere necessaria un’attenzione drastica ed immediata, e il tentativo di Alia negli anni 1985-1989 volto a revisionare il sistema fu insufficiente a scongiurare il disastro. Rieletto alla guida dello Stato dopo le elezioni presidenziali del 1987, avviò una timida apertura politica e nel 1990, contestualmente alla caduta dei regimi comunisti dell’Europa orientale, introdusse il multipartitismo.
Nel maggio del 1990 vi fu la riforma del sistema giudiziario: fu ridotto il numero dei reati per i quali era prevista la pena di morte, gli imputati ricevettero il diritto alla tutela degli avvocati e fu introdotto il diritto alla libertà di religione dal paese. Su pressante richiesta degli studenti fu rimosso il nome di Hoxha dal nome dell’università di Tirana. Furono eliminati tutti i simboli e le statue di Stalin dalle città Nel luglio del 1991 furono ripristinati i rapporti con l’Unione Sovietica.
Alle elezioni politiche del 1991 Ramiz Alia fu eletto presidente della Repubblica di Albania.
Nel frattempo, la situazione economica nel paese peggiorò. La mancanza di mezzi di trasporto, di combustibile, razionalizzazione dell’energia elettrica che bloccò l’attività delle fabbriche fece precipitare l’Albania nel caos economico e decine di migliaia di persone fuggirono dal paese.
L’ammontare del debito estero crebbe dai 350 milioni di dollari di marzo 1991 ai 600 milioni di dollari di dicembre dello stesso anno. Il tasso di inflazione raggiunse il 600%. Il ritorno dei terreni ai precedenti proprietari portò alla distruzione dell’agricoltura, ai conflitti tra i proprietari ed all’uccisione di contadini e bestiame .
L’aiuto umanitario internazionale era intermittente. All’inizio di dicembre del 1991 scoppiarono rivolte in tutto il paese, accompagnate da migliaia di dimostrazioni di oppositori e saccheggi di magazzini e negozi di generi alimentari. Il 6 dicembre 1991 il governo albanese crollò ed Alia fu costretto a convocare elezioni parlamentari anticipate .
Nelle elezioni del 22 e 29 marzo 1992, il Partito democratico ottenne una chiara vittoria, ottenendo 92 seggi su 140 in parlamento, mentre i socialisti ottennero 38 seggi. I restanti 10 seggi furono suddivisi tra partiti minori. Il 3 aprile 1992, il presidente Ramiz Alia si dimise, e il suo incarico il 9 aprile fu preso dal leader democratico, il cardiologo Sali Berisha.

Sali Berisha
Gli albanesi nutrivano grandi speranze che il paese intraprendesse la via della democrazia e della ripresa economica, ma furono delusi. Invece del tanto atteso benessere, molti residenti del paese persero i loro risparmi investiti in neonate attività finanziarie. Allo stesso tempo, quando il governo Berisha tentò di usare metodi coercitivi, l’instabilità politica si intensificò. Così, invece della democrazia promessa, il governo tornò alle brutali tattiche dittatoriali caratteristiche del precedente regime comunista. Nel luglio 1991 fu vietato Partito Comunista d’Albania. L’ex presidente Alia fu arrestato con l’accusa di corruzione e rilasciato dal carcere nel luglio 1995.
Ci fu uno stretto controllo sui media e sulle attività dell’opposizione. Nel referendum del 6 novembre 1994, gli elettori respinsero il progetto di Costituzione preparato dal team di Berisha. I risultati delle elezioni tenutesi nel maggio-giugno 1996 furono truccati dal Partito Democratico per mantenere il potere. I socialisti si rifiutarono così di prendere il loro posto nel nuovo parlamento fantoccio.
Dopo il crollo nel mese di gennaio 1997 di alcune società finanziarie arricchitesi rapidamente e poi dichiarate in bancarotta, l’Albania affrontò una grave crisi sociale. Oltre 300 mila persone si videro annullare il valore delle loro azioni acquistate in banca. La popolazione perse da 1,5 a 2 miliardi di dollari. Il 15 gennaio 1997, i residenti di Tirana scesero in strada e diedero fuoco all’ufficio di una delle società finanziarie che li aveva truffati. Per un mese e mezzo, migliaia di cittadini si radunarono ogni giorno per manifestazioni, chiedendo che il governo restituisse i loro risparmi. Il governo, tuttavia, rifiutò di compensare le perdite subite dalla popolazione ed ordinò alle forze di polizia di disperdere le manifestazioni. In risposta i manifestanti chiesero le dimissioni di Berisha.
Alla fine di febbraio del 1997, le proteste pacifiche degenerarono in una rivolta. In tutto il paese, le agenzie governative furono date alle fiamme. Nel sud, nelle città di Valona e Saranda, la popolazione prese le armi dai depositi dell’esercito. Le dimissioni del governo e l’adozione della legge sulla compensazione parziale delle perdite subite dagli investitori truffati, non furono in grado di fermare la ribellione. Il 2 marzo 1997, il parlamento dichiarò lo stato di emergenza nel paese. Berisha accusò l’opposizione di incitare le rivolte e diede alle truppe l’ordine di prendere il controllo delle città ribelli, ma i soldati si rifiutarono di aprire il fuoco e in parte andarono dalla parte del popolo.
Il 6 marzo 1997, il governo di Berisha crollò definitivamente. Diversi alti funzionari governativi fuggirono all’estero.
Sotto la pressione delle forze interne ed esterne il 9 marzo, il presidente Berisha fu costretto ad accettare la creazione di un «governo di riconciliazione nazionale» con la partecipazione di tutti i principali partiti politici. Nel frattempo, i disordini si diffusero nelle regioni settentrionali dell’Albania . A metà marzo del 1997, i ribelli erano alla periferia di Tirana. Iniziò l’evacuazione delle missioni diplomatiche. Una nuova ondata di rifugiati si riversò in Grecia e soprattutto in Italia.
Alla fine di marzo 1997, Berisha fece appello alle potenze dell’Europa occidentale con una richiesta di intervento militare per prevenire la guerra civile. Il 28 marzo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decise di inviare in Albania un nutrito contingente della forza multinazionale delle Nazioni Unite guidata da Italia («Operazione Alba») per fornire protezione in operazioni di distribuzione alimentare umanitaria. Il personale militare straniero era di stanza in tutte le principali città portuali e all’aeroporto internazionale vicino a Tirana. Le forze multinazionali rimasero in Albania fino al 14 agosto 1997.
Nelle elezioni parlamentari che ebbero luogo il 29 giugno e il 6 luglio 1997 Il Partito Democratico ottenne solo 29 dei 155 seggi dell’Assemblea Nazionale. La vittoria elettorale fu dei socialisti i quali ottennero 101 seggi. Nel referendum, tenutosi in parallelo con le elezioni, circa un terzo degli elettori sostenne la restaurazione della monarchia. Il 23 luglio 1997, Sali Berisha fu costretto a dimettersi.
Ironia della sorte, i socialisti, vale a dire gli ex comunisti dovevano condurre il paese sulla via della democrazia e del libero mercato. Questo si rivelò un compito molto difficile. Il primo ministro Fatos Nano e il suo partito socialista dovettero riguadagnare la fiducia del popolo, risolvere problemi finanziari, far rivivere l’economia, ripristinare la legge e l’ordine e adottare una nuova costituzione. Tuttavia, dopo i primi successi, i socialisti, guidati da Nano, affrontarono problemi senza fine, ritornarono ai vecchi metodi di gestione. Il nuovo governo non riuscì a contenere l’ondata crescente di criminalità; si rivelò impotente a gestire il calo della produzione e la rapida inflazione.
Tutti questi problemi si aggiunsero ad una fase di transizione caratterizzata da continue azioni violente con uccisioni di deputati di entrambe gli schieramenti. In quegli anni, entrambe le parti erano in uno stato di guerra ed il paese era diviso: a nord, i democratici guidati da Berisha , che chiedevano di tenere elezioni anticipate, a sud i socialisti guidati da Nano. Il 12 settembre 1998, un deputato del Partito Democratico fu ucciso a Tirana. In risposta, i sostenitori Berisha presero d’assalto e diedero fuoco alla sede del primo ministro. Nella capitale iniziò un’insurrezione armata che fu soppressa solo il terzo giorno.
Fatos Nano incapace di gestire la situazione si dimise dalla carica di primo ministro.
Il 21 ottobre 1998 il Parlamento approvò il progetto di Costituzione, elaborato con la partecipazione di consulenti dell’OCSE .
Nella primavera del 1999, il caos e la corruzione si intensificarono nel paese.
L’orientamento verso l’Occidente (alla fine del 1998, 40 partiti nel paese erano a favore dell’adesione alla NATO) fu accompagnato da complicazioni nelle relazioni con i paesi vicini. In tali condizioni, le azioni della NATO contro la Jugoslavia servirono da catalizzatore per aggravare i problemi interni. All’inizio del 1999, scoppiò in Albania uno scandalo per la fornitura illegale di armi ai militanti del Kosovo. In Sud Africa, un pretendente al trono albanese, il re Leka I, fu arrestato per aver immagazzinato armi e munizioni destinate ai separatisti del Kosovo. A metà aprile 1999 ci fu una rottura nelle relazioni diplomatiche con la Jugoslavia. Un’ondata di rifugiati provenienti dal Kosovo si riversò nel paese, il cui numero ammontava a 450 mila persone. Lo spiegamento di rifugiati nel sud dell’Albania portò alla violazione dei diritti dei greci che vivono lì. Anche le relazioni con la Grecia, la Macedonia e un certo numero di altri stati si deteriorarono.
L’instabilità nelle aree di confine contribuì alle attività delle bande che erano impegnate nel contrabbando di armi e beni, saccheggi ed estorsioni sulle strade.
Le elezioni parlamentari del 2001 furono vinte dal Partito Socialista d’Albania del premier Ilir Meta, il quale divenne il più giovane primo ministro in Europa. Il programma del governo, approvato dal parlamento nel novembre 1999, si concentrava sull’assicurare l’ordine pubblico e la sicurezza nel paese, risolvere i problemi sociali, sviluppare le infrastrutture di trasporto e accelerare il processo di privatizzazione (principalmente nei settori minerario e del combustibile e dell’energia). Si prevedeva di rafforzare il lavoro per attirare gli investimenti stranieri nell’economia, nonché per migliorare il processo di integrazione dell’Albania nelle strutture europee e del Nord Atlantico.
Ben presto però, lo scoppio della lotta interna al partito socialista causò un’altra crisi di governo. Sotto la pressione di Fatos Nano, il 29 gennaio 2002, Ilir Mehta si dimise.
Nel giugno 2002 si sono tennero le elezioni presidenziali che portarono all’elezione alla carica di presidente dell’Albania del 74enne generale in pensione Alfred Moisiu il quale dall’inizio del 2000 guidava l’Associazione atlantica albanese, difendendo l’idea della rapida adesione dell’Albania alla NATO.

Alfred Moisiu
Nel 2009 l’Albania è entrata nella NATO e ha posto domanda di adesione all’Unione Europea.
Attualmente l’Albania affronta una crisi sistemica che caratterizza la sua difficoltà nel suo cammino verso lo sviluppo. L’Albania è un paese agricolo in quanto l’industria rappresenta circa il 12% del reddito nazionale e l’agricoltura rappresenta il 56%. Il destino del paese dipende in gran parte dai risultati della soluzione del problema della criminalità e della corruzione, nonché dal problema del Kosovo, che sarà determinante per la sua stabilizzazione politica ed economica e l’istituzione di relazioni economiche con l’estero.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Edwin E. Jacques, The Albanians. An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present, McFarland & Company, 1995, p.358
Estratto da:
Antonello Biagini, Storia dell’Albania contemporanea, Bompiani, 2005
Nunzio Dell’Erba, Storia dell’Albania, Newton Compton, Roma 2007
Piero Pasini, Nel regno delle aquile, Focus Storia, Settembre 2013
Арш Г. Л., Сенкевич И. Г., Смирнова Н. Д. Краткая история Албании / Под ред. А. Ф. Миллера. — М.: Наука, 1965.
Смирнова Н. Д. История Албании в XX веке. — М.: Наука, 2003.
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