Il territorio dell’odierno Afghanistan era già abitato nel Neolitico, 100 mila anni prima di Cristo. Nella grotta di Darra-i-Kur, in Badakhshan, sono stati scoperti frammenti di teschio di un uomo di Neandertal. Durante l’età del Bronzo, tra il III e il II millennio a.C., con l’incremento del commercio con la Mesopotamia e l’Egitto e soprattutto con l’esportazione di lapislazzuli, estratti dalla miniera di Badakhshan, si svilupparono i primi centri urbani: Mundigak e Deh Murasi Ghundai. Successivamente, con la crescita del popolamento negli altopiani della Persia, nelle steppe dell’Asia Centrale e nella valle dell’Indo, la regione si trasformò in luogo di frequente passaggio e il passo di Khyber divenne la porta d’ingresso verso il nord dell’India.
Nel corso della storia, il territorio ha avuto tre denominazioni principali: Ariana, quando, duemila anni prima di Cristo, vi si insediarono alcune tribù ariane, Khurasan nel Medioevo e Afghanistan in tempi moderni. Si suppone che Kabul sia stata fondata nell’epoca dell’insediamento ariano e che nel territorio di Ariana sia stato compilato il Rig Veda, uno dei testi fondamentali dell’induismo. La regione fu annessa nel VI secolo a.C. all’impero persiano di Ciro il Grande e si ritiene che in quel periodo la religione zoroastriana sia stata introdotta nella regione Battriana.
Tre secoli dopo Alessandro il Macedone (il quale fondò Alessandropoli, l’attuale Kandahar) scacciò i Persiani ed annetté il territorio al suo impero. Quella di Alessandro non fu però un’impresa agevole: una più attenta rilettura delle fonti consente oggi di affermare che proprio qui Alessandro subì le sue uniche sconfitte e che il celebre matrimonio con la principessa Rossane rappresentò la conclusione di un negoziato tra il re macedone e i signori della Battriana, i quali dunque non furono semplicemente annessi al nuovo impero, ma piuttosto aderirono ad esso mantenendo una forte autonomia, il che favorì la successiva affermazione di una cultura di contaminazione grecobattriana.

Nozze di Alessandro e Rossane (Il Sodoma — Villa Farnesina — Roma)
Alla morte di Alessandro, nel 323 a.C., le satrapie orientali furono governate dalla dinastia seleucide, che regnava da Babilonia. Nel 250 a.C., Diodoto, un governatore locale greco-battriano, dichiarò indipendenti le pianure del fiume Amu. I conquistatori greco-battriani avanzarono verso sud e, nell’anno 180 a.C., imposero il loro dominio su Kabul e nel Punjab. Anche i Parti della zona orientale dell’lran si staccarono dai Seleucidi e assunsero il controllo di Seistan e Kandahar.
Una confederazione di cinque tribù nomadi centroasiatiche, note come le Yueh-chih si impadronirono del regno dei greco-battriani. Unite sotto le insegne di una di esse, Kusana, conquistarono il resto del territorio e fondarono il regno omonimo, che divenne un intermediario commerciale tra Roma, India e Cina, aprendo la cosiddetta «Via della Seta». Per questa via, attraverso la valle del fiume Tarim, il buddhismo giunse in Cina. Nel II secolo d.C. l’impero del re Kaniska si estendeva da Matura, nel nord e nel centro dell’India, fino ai confini della Cina nell’Asia centrale.
Nel III secolo, i Persiani sasanidi si impadronirono di parte dell’impero kusano e, nel secolo seguente, una nuova ondata di nomadi centroasiatici, noti come Heftaliti, assunse il controllo del territorio.
La grande confederazione heftalita presto si espanse lungo la dorsale delle steppe fino a penetrare attraverso i recessi montuosi del Caucaso, trasformandosi così in una grande potenza. Gli Heftaliti non di rado si spinsero sino a devastare le regioni di confine dell’impero romano, con il quale però furono più spesso alleati; la loro pressione sull’Iran contribuì più volte a determinare il successo delle offensive orientali di Roma prima e Bisanzio poi, ma soprattutto impedì quella grande espansione iranica verso il Mediterraneo sognata da molti dinasti sasanidi (di cui alcuni morirono sconfitti in battaglia dagli Heftaliti).
Questa confederazione impresse così una propria impronta nella grande storia del Mediterraneo, annullando la concreta prospettiva di un dominio iranico sul Levante, mentre sul piano culturale gli Heftalidi veicolarono in Iran (e in misura minore anche a Bisanzio), simbologie e costumi delle civiltà dell’Asia centrale. La loro storia costituisce così l’archetipo del ruolo che molto spesso l’Afghanistan giocò anche nei secoli successivi rispetto alle ambizioni politiche del confinante Iran.
Nel XV, ma soprattutto tra il XVI e il XVIII secolo, le continue offensive delle popolazioni afghane furono contrastate a fatica dai governi iranici. Nel XVII secolo l’Iran fu più volte invaso dalle forze afghane e ciò rappresenta una delle cause della progressiva emarginazione del mondo iranico dalla grande politica dell’età moderna.
E’ opportuno perciò riflettere su quanto questo Paese così remoto sia stato in realtà «vicino» alla storia europea: dal XVI al XVIII secolo, infatti, il principale alleato degli europei nella lotta contro gli ottomani fu proprio l’Iran, ma come si è detto la sua capacità espansiva fu costantemente tarpata dalla pressione afghana cosicché la resistenza turca fu assai più vigorosa.
L’islam penetrò in Afghanistan quando le forze musulmane sconfissero i Sasanidi nel 642 a Nahavand (vicino all’attuale Hamadan, in Iran) e raggiunsero il territorio afghano, che tuttavia risultò difficile da controllare per i musulmani, che intendevano convertirne gli abitanti. I secoli IX e X videro l’ascesa di varie dinastie islamiche locali. Una delle prime fu quella dei Tahiridi, stabilitisi a Khorasan, il cui regno incluse Balkh e Herat. A questa dinastia successe quella dei Safavidi, originari di Seistan. I principi del nord divennero presto feudatari dei potenti Samanidi, i quali, governando da Buhara, fecero comunque conoscere il loro splendore a Samarcanda, Balkh e Herat.
Nel 1219 i Mongoli, sotto il comando di Gengis Khan, invasero la parte orientale dell’impero del sultano Ala ad-Din e nel 1221 conquistarono il territorio, annettendolo al loro vasto impero. Tuttavia, con la frammentazione dell’impero dopo la morte di Gengis Khan nel 1227, alcuni capi locali riuscirono a mantenere dei principati autonomi, mentre altri giurarono vassallaggio ai principi mongoli. Nel 1360 caddero sotto il potere di Timur Lenk (Tamerlano), il conquistatore turco di fede islamica, i cui discendenti e governarono Khurasan fino agli inizi del secolo XVI.
Con la formazione del terzo impero persiano sciita (1502) e dell’impero Moghul in India (1526), la regione divenne scenario di frequenti lotte tra i Mongoli, che dominavano Kabul, i Persiani della dinastia safavide che controllavano la regione meridionale e i discendenti uzbechi di Tamerlano, che dominavano il nordovest. Da questi disordini si arrivò, nel 1747, all’unificazione del paese, quando un’assemblea di capi locali elesse come shah Ahmad Durrani, capo militare già al servizio dei sovrani persiani.

shah Ahmad Durrani
Il nuovo shah dovette concretizzare l’unione con mezzi militari, consolidando le frontiere nazionali, per difendersi dalla Russia a nord e dall’Inghilterra a sud, la quale quest’ultima controllava l’India.
La prima guerra anglo-afghana (1839-1842), persa dalla Gran Bretagna, consolidò il dominio dello shah Dost Mohamed, relativamente favorevole ai russi. Questo re volle aumentare la sua influenza nel nord dell’India, dove fomentò ribellioni antibritanniche. Quando la sua posizione si rafforzò con suo figlio, lo shah Shere Ali, gli inglesi tornarono a invadere il Paese.
Come conseguenza della seconda guerra anglo-afghana (1878-1880), la dinastia Durrani venne deposta e I’Afghanistan fu privato dei territori situati a sud del Khyber (incluso il passo). Il Paese fu così sottoposto al governo di un emiro imposto dagli inglesi, perdendo il controllo della sua politica estera. Nel 1893, la Linea Durand, che non fu presentata come ripartizione di confini, delimitò le zone di responsabilità per il mantenimento della legge e dell’ordine tra l’India britannica e l’amir Abdor Rahaman Khan, che governava da Kabul.
Nel 1919, dopo una terza guerra anglo-afghana durata solo quattro mesi, l’Afghanistan si liberò dal protettorato britannico. Il leader dell’indipendenza fu Amanullah Kan, nipote dell’emiro imposto dai britannici.

Amanullah Khan
Salito al potere, si propose di modernizzare il Paese e promulgò una Costituzione di taglio relativamente liberale. Il suo fu il primo governo al mondo a stabilire relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica. Fu l’inizio di una relazione che sarebbe durata settant’anni.
Amanullah fu rovesciato nel 1929 dal clan dei Mohammedzai, discendenti della dinastia detronizzata nel 1879 che incoronarono shah Mohammed Nadir.
Nel 1931 venne approvata una nuova Costituzione che, per accontentare i leader islamici, riconosceva il potere dei capi locali. Il nuovo shah fu assassinato nel 1933 e la corona passò a suo figlio Zahir, che nei primi vent’anni di regno tentò di consolidare la nazione, incrementò i rapporti con l’estero e sostenne lo sviluppo interno con fondi esclusivamente afghani.

shah Muhammad Zahir
Al termine della seconda guerra mondiale nella quale l’Afghanistan si mantenne neutrale, con l’indipendenza del Pakistan nel 1947 la vecchia Linea Durand pose il paese dinanzi al problema dello status politico dei pashtu che abitavano in territorio pakistano.
Da allora Afghanistan e Pakistan hanno mantenuto aperta una disputa politica circa il diritto all’autodeterminazione delle tribù pashtu che vivono lungo i confini tra i due stati.
Nel 1953 fu nominato primo ministro il tenente generale Mohamed Daud Kan, cugino e cognato del re.

generale Mohamed Daud Kan
Daud Kan nazionalizzò i servizi, realizzò sistemi di irrigazione, strade, scuole e centrali idroelettriche con l’aiuto finanziario degli Stati Uniti, riorganizzò le forze armate con l’aiuto sovietico e si mantenne neutrale nella «guerra fredda». Abolì l’uso obbligatorio del chador (velo) per le donne e la purdah, ossia il divieto alle donne di mostrarsi in pubblico. Trovandosi in una zona ad alta conflittualità, all’inizio della guerra fredda l’Afghanistan cercò di mantenersi equidistante tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma decise a poco a poco di appoggiare l’Unione Sovietica in conseguenza dell’appoggio fornito dagli Stati Uniti al Pakistan. A partire dal 1955, migliaia di afghani furono regolarmente inviati a studiare in Unione Sovietica dove ricevevano una formazione soprattutto militare.
Le ambizioni indipendentiste dei pashtu spinsero Daud a ricorrere a misure repressive. Nel 1961 il Pakistan chiuse le frontiere con l’Afghanistan. Nel marzo 1963 il re Zahir «accettò le dimissioni» di Daud e, due mesi dopo, il Pakistan riaprì le frontiere, anche se il problema dei pashtu non era stato ancora risolto.
Si cercò un nuovo primo ministro che non appartenesse né all’aristocrazia né alla famiglia reale. La scelta cadde su Muhammad Yusuf, che propose un gabinetto di tecnocrati e intellettuali e approntò una nuova Costituzione basata sui principi della libertà individuale che preservava, al tempo stesso, i valori dell’islam e la monarchia. Entrata in vigore nel 1964, la nuova Costituzione permetteva per la prima volta la formazione di partiti politici e la realizzazione di elezioni, ma proibiva indirettamente la partecipazione di partiti marxisti.
Venne fondato in clandestinità il Partito Democratico del Popolo Afghano (PDPA), che nel 1965 organizzò le prime manifestazioni antimonarchiche. In poco tempo il PDPA si divise tra il gruppo Jalq (composto dall’etnia tadjik o afghano-persiana), che mirava a una rivoluzione basata esclusivamente sull’alleanza tra operai e contadini, e gli aderenti al Parcham o «bandiera» (dell’etnia pashtu), che cercavano un’ampia unione popolare con la partecipazione degli intellettuali, della borghesia nazionale, delle classi medie urbane e dei militari. Questi partiti facevano sentire la loro influenza attraverso i loro organi di stampa, Parcham, Shola (Fiamma) e Khalk (Masse).
Lavoratori e studenti cominciarono a organizzarsi attivamente nelle zone industriali del Paese.
Poiché le manifestazioni diventavano sempre più frequenti, anche le critiche al re si fecero più aperte.
Mosca, che non aveva apprezzato la sostituzione di Daud, sostenne nel 1973 la nomina dello stesso a presidente, approfittando dell’assenza del re Zahir Ahas, all’estero per motivi di salute. Con l’appoggio del PDPA fu proclamata la repubblica e venne abrogata la Costituzione del 1964.
Daud propose un programma basato sulla democrazia e sul socialismo, soprattutto riguardo a riforma agraria, nazionalizzazione delle banche, sviluppo industriale e giustizia sociale. La nuova Costituzione a partito unico, basata sul modello dell’Algeria e dell’Egitto di Nasser, fu approvata nell’aprile del 1977 e Daud, che aveva deposto i ministri comunisti del suo gabinetto, perdendo cosi l’appoggio di Mosca, fu eletto presidente per un periodo di 10 anni.
Poco sostenuto in patria, Daud cercò di riallacciare i legami con il mondo islamico. Si recò in Kuwait, Arabia saudita ed Egitto e, con un tentativo disperato, cercò di riconciliarsi con lo shah di Persia nel 1978, riuscendo solo ad anticipare la sua caduta. I militari organizzati dal Parcham lo assassinarono con tutta la sua famiglia e designarono al suo posto Nur Mohamed Taraki, che fu anche nominato segretario del PDPA. Hafizul’ah Amin, dirigente di una fazione comunista rivale, e Babrak Karmal, leader del Parcham, furono nominati vice primi ministri. Il conflitto tra questi ultimi si risolse a favore di Amin, che nell’aprile del 1979 ricoprì la carica di primo ministro (fino ad allora vacante) e a settembre depose e fece uccidere il suo ex alleato Taraki.
Amin rivoluzionò i modelli culturali del Paese introducendo cambiamenti come l’eliminazione della «dote», l’alfabetizzazione secondo valori laici e la riforma agraria. Benchè Amin avesse assicurato che l’Afghanistan si considerava un Paese non allineato, i contadini, a conoscenza delle trasmissioni di Radio Mosca, ritennero che il nuovo governo fosse marxista, filosovietico e quindi ateo. Nel febbraio 1979 l’ambasciatore nordamericano a Kabul fu sequestrato e assassinato. Gli Stati Uniti congelarono gli aiuti economici e aumentarono la loro ostilità verso un governo che qualificarono come filosovietico.
Amin fu ucciso durante un colpo di stato che, con l’appoggio dalle truppe sovietiche penetrate nel Paese per motivi strategici, nel dicembre 1979, portò Babrak Karmal alle cariche di primo ministro, presidente del Consiglio Rivoluzionario e Segretario Generale del PDPA. In varie parti del Paese, guerriglieri mujaheddin finanziati ed addestrati dagli Stati Uniti iniziarono a combattere contro i soldati sovietici. Musulmani fondamentalisti finanziati dall’Arabia Saudita giunsero nei territori afghani per combattere contro i sovietici. Nello stesso tempo, milioni di contadini afghani si rifugiarono nei vicini Pakistan e Iran.

Babrak Karmal
La suddivisione dei mujaheddin in diverse fazioni, coincideva con l’aumento dei contrasti all’interno del governo di Kabul. Nel maggio 1986 Karmal fu sostituito come segretario del PDPA da Mohammed Najibullah, un giovane medico pashtu, che nel gennaio 1987 annunciò un cessate il fuoco unilaterale, accompagnato da garanzie per i capi dell’opposizione disposti a trattare con il governo, da un’amnistia per i ribelli prigionieri e dalla promessa di un prossimo ritiro delle truppe sovietiche.

Mohammed Najibullah
I mujaheddin, tuttavia, incitati dagli Stati Uniti, continuarono a combattere. Dopo sei anni di trattative, fu firmato a Ginevra un accordo afghano-pakistano, sotto il patrocinio di Stati Uniti e Unione Sovietica. Tale accordo stabiliva le condizioni per i rapporti tra i due stati, specificava i principi di non intervento e garantiva il rientro volontario dei profughi, che erano allora 4 milioni. Un altro documento, firmato da Afghanistan e Unione Sovietica, disponeva il ritiro delle truppe sovietiche che divenne effettivo un mese dopo.
Il PDPA cambiò il suo nome in Partito Watan (Partito della Patria). Nel settembre 1991 gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica decisero congiuntamente di sospendere l’invio di armi al governo e alla guerriglia afghana. Il patto lasciò aperto lo scontro tra Arabia Saudita e Iran e i gruppi di mujaheddin finanziati dai due Paesi. Il governo di Kabul, una volta dissolta l’Unione Sovietica, restò senza appoggi esterni e, dopo che il presidente Najibullah si fu rifugiato nella sede dell’ONU a Kabul, nell’aprile del 1992, il governo passò nelle mani di quattro vicepresidenti.
Le autorità annunciarono la propria disponibilità a negoziare con i gruppi ribelli, ma il loro incontro, alle porte della capitale, con il comandante shah Ahmed Massud, del Jamiat-i-Islami, provocò le proteste dei gruppi di mujaheddin di maggioranza pashtu del sud e dell’est del Paese.

shah Ahmed Massud
Dal Pakistan, Gulbuddin Hekmatyar, capo del gruppo fondamentalista Hezb-i-Islami, minacciò di iniziare il bombardamento della capitale se il governo non si fosse dimesso.

Gulbuddin Hekmatyar
Nei giorni seguenti, forze di Massud e di Hekmatyar iniziarono i combattimenti all’interno della stessa Kabul.
L’alleanza dei gruppi islamici moderati capeggiati dallo shah Ahmed Massud, nominato ministro della Difesa del nuovo governo, ottenne il controllo della capitale, espellendo gli integralisti guidati da Gulbuddin Hekmatyar. In maggio, il Consiglio Interno dissolse formalmente il Partito Watan (ex PDPA) e istituì un tribunale speciale per giudicare gli ex ufficiali comunisti che avessero violato le leggi islamiche o nazionali. Furono disciolti anche la KHAD, polizia segreta, e l’Assemblea Nazionale.
Alcuni cambiamenti mostrarono l’intenzione del governo di reintrodurre nel paese la legge islamica: fu proibita la vendita di alcolici e si cercò di imporre nuove regolamentazioni per obbligare le donne a coprirsi il capo e a indossare gli abiti tradizionali. Hekmatyar continuò la lotta contro Kabul, esigendo il ritiro di Massud e delle milizie di Abdul Rashid Dostam. Quest’ultimo era stato membro del governo comunista, che aveva abbandonato per unirsi ai guerriglieri musulmani che avevano preso il potere.

Abdul Rashid Dostam
In quel periodo l’economia del Paese era paralizzata e il 60% dell’apparato produttivo distrutto.
L’Afghanistan diventò il maggiore produttore di oppio del mondo. Il governo pakistano decise di bloccare il
contrabbando di alimentari e di armi attraverso la sua frontiera con l’Afghanistan per indebolire Hekmatyar, che lo accusò di compromettere le relazioni tra i due Paesi.
A partire dal 1993, il presidente a Kabul e capo del Jamiat-i-Islami, Buranuddin Rabbani, Hekhmatyar e Dostam furono i principali leader in un conflitto contrassegnato da accordi e tradimenti finché, nel 1995, la nascita del gruppo armato dei Talebani nel sud dell’Afghanistan modificò il corso della guerra.
Questi guerriglieri, addestrati in Pakistan, avevano l’obiettivo di creare un governo islamico unito in Afghanistan e contavano sull’appoggio di vasti settori della società. Secondo il loro proclama, i leader prima menzionati costituivano una «alleanza integralista-comunista» che minacciava l’islam.
L’intervento dell’esercito talebano, che contava sull’appoggio di Pakistan, Arabia Saudita e Stati Uniti, avrebbe mutato le sorti del conflitto. Nel settembre 1996, Kabul cadde nelle mani dei talebani, mentre il
governo si rifugiava nel nord del Paese.
Una volta preso possesso di Kabul, il partito talebano, il cui capo era Mohammed Omar Akhunzada (il mullah Omar), seguendo le proprie direttive di governare secondo il Corano, eliminò le donne dalla sfera pubblica, allontanandole dal sistema educativo e riattivando la purdah.

Mullah Omar
Nello stesso tempo proibì la musica e il canto (ad eccezione degli inni religiosi), le sale cinematografiche, il teatro e l’alcool, dichiarandoli «non islamici». Nel giugno del 1997 si formò il Fronte islamico Nazionale Unito per la salvezza dell’Afghanistan, più noto come Alleanza del Nord (AN), o Fronte Unico, composto in maggioranza da gruppi tagichi, uzbechi e hazari. Alla fine del 1997, l’esercito talebano controllava oltre l’80% del territorio afghano.
Nel luglio del 1999 l’opposizione tentò di unirsi sotto la guida di Massud, che continuava a controllare il 10% del territorio, ma l’offensiva militare del governo annunciata in agosto impedì che il processo andasse avanti. Il risultato degli scontri fu nullo, con avanzate e ritirate da entrambe le parti. Alla fine del 2000, l’esercito talebano controllava più del 95% del territorio afgano.
Il 3 settembre del 2001 Massud, leader dell’AN, fu assassinato e ciò rappresentò un colpo mortale per le aspirazioni dell’opposizione afgana. Circa una settimana dopo, l’11 settembre 2001, si verificò l’attacco terroristico contro New York e Washington. Gli Stati Uniti ne attribuirono la responsabilità all’organizzazione terroristica al-Qaeda, sino ad allora da loro finanziata in funzione antirussa e diretta dal saudita Osama Bin Laden, ex mujaheddin il quale viveva in Afghanistan con migliaia dei suoi uomini, protetto dai talebani.
Il 7 ottobre cominciarono i bombardamenti aerei dell’Afghanistan, nell’ambito della ipocrita campagna denominata inizialmente «Giustizia infinita» ed in seguito «Libertà duratura» dal presidente statunitense Gorge W. Bush.
In seguito ai bombardamenti che durarono diverse settimane, l’AN recuperò due terzi del Paese e il 13 novembre fece ingresso a Kabul. La caduta dei talebani era imminente quando si svolse la Conferenza Interafghana a Bonn. Venne firmato un accordo in base al quale si creava un’Amministrazione ad interim di 30 membri, alla cui presidenza fu nominato il pashtun filomonarchico Hamid Karzai.

Hamid Karzai
Si concordò un programma di due anni e mezzo fino alla celebrazione di elezioni generali, prima delle quali si sarebbero formate una Loya Jirga (Assemblea) d’Emergenza, una autorità di transizione e una Loya Jirga costituzionale, assistite da una forza di sicurezza internazionale dell’ONU.
Ma nonostante la fine ufficiale della guerra, l’Afghanistan era ancora soggetto ad attacchi. Dopo oltre due decenni di conflitti armati, alla fine del 2002 il territorio afgano risultava uno dei più minati del mondo. Gran parte del Paese era controllato da potenti signori della guerra sostenuti dagli Stati Uniti che facevano i propri comodi senza alcuna interferenza da parte del governo centrale.
In vista delle prime elezioni nazionali dopo trent’anni di regime fissate per il giugno del 2002, nell’agosto del 2003 l’ONU e il governo afgano firmarono un accordo che prevedeva la compilazione dei registri elettorali.
Il 3 novembre 2004 Karzai vinse le prime elezioni presidenziali con il 55% delle preferenze.
Il primo rapporto sullo sviluppo del Paese, pubblicato dall’ONU nel febbraio del 2005, segnalò che tre anni dopo la caduta del regime talebano l’Afghanistan continuava a essere uno degli stati più poveri del pianeta e ciò rischiava di farlo precipitare nuovamente nel caos. Dall’inizio del 2005 la «guerra finita» in Afghanistan ha ucciso più di 1900 persone.
Nel settembre 2005, dopo 36 anni (le ultime furono, infatti, nel 1969) in Afghanistan si sono svolte delle elezioni parlamentari. Il 16 settembre diciotto candidati (di cui sette sono stati assassinati nel corso della campagna elettorale) si sono sfidati per la carica di Presidente, nel corso di una tornata elettorale che ha rinnovato i 249 seggi della Wolesi Jirga (Camera Bassa) e 34 Consigli Provinciali.
Luca D’Agostini
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Fonti
Estratto da: Guida del mondo : il mondo visto dal sud, Bologna, EMI, 2001
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