Questo articolo è dedicato a una leggenda dei servizi segreti sovietici e russi: Aleksej Nikolaevič Botjan. Quest’uomo oggi ha 102 anni ed è colui che ebbe il merito di salvare la città polacca Cracovia, dalla distruzione organizzata dalle truppe tedesche.
Botjan è nato nel villaggio di Čertoviči in Bielorussia, a 78 km da Minsk, il 10 febbraio 1917. Dopo la guerra polacco-sovietica, il suo villaggio natale divenne territorio polacco.
Il 1 settembre 1939, il giorno dell’invasione tedesca della Polonia, Aleksej Nikolaevič Botjan era un ufficiale della divisione antiaerea dell’esercito polacco. Lo stesso giorno, sparando personalmente con una mitragliatrice antiaerea riuscì ad abbattere tre aerei Junkers nazisti. Questi tre aerei rappresentano i primi aerei tedeschi abbattuti nel corso di tutta la Seconda Guerra Mondiale.
Per moltissimi anni la sua vita è stata del tutto segreta. Solo dopo il 2000 una piccola parte della sua storia e delle sue attività è stata desecretata. Ma ancora oggi e forse per sempre, la stragrande maggioranza della sua vita e delle sue attività, rimarranno coperte dal segreto di Stato.
Quindi affidiamoci ai suoi racconti forniti solo dopo il 2000 previa autorizzazione delle autorità della Federazione Russa e alle poche informazioni presenti nei documenti desecretati. Botjan qualche anno fa ha raccontato: «Ho combattuto da solo per diversi mesi, poi finalmente le truppe sovietiche occuparono la nostra regione, impedendo ai nazisti di catturarla, e così fortunatamente divenni cittadino dell’Unione Sovietica. Smisi di combattere e fui assunto come insegnante delle scuole elementari, poi nel 1940 mi mandarono a Mosca per studiare. E poiché conoscevo già quattro lingue, il polacco, il bielorusso, il russo e il tedesco, mi fu offerto di entrare in una scuola agenti segreti destinati alle attività di ricognizione. Accettai e dopo la formazione, nel novembre del 1941, fui trasferito in prima linea come parte di un reparto speciale. Nella primavera del 1944, quando il fronte si stava spostando verso ovest, fu deciso di spostare numerosi distaccamenti partigiani e gruppi speciali nel territorio occupato della Polonia. Il mio gruppo ha attraversato il confine polacco. Mi chiamarono «partigiano Alësha». Il mio gruppo aveva il compito di garantire che l’offensiva dell’Armata Rossa avvenisse senza ostacoli. Quindi, anticipando il passaggio dei soldati dell’Armata Rossa, noi organizzavamo agguati contro i convogli militari tedeschi, facevamo saltare in aria i loro treni che trasportavano armi e soldati, effettuavamo rischiosissime operazioni di sabotaggio. Alla fine del 1944, catturammo l’ingegnere-cartografo Sigmund Ogarek, un polacco che prestava servizio nelle retrovie della Wehrmacht. Riuscimmo a far parlare Ogarek e ci fornì preziose informazioni su una quantità enorme di esplosivi nascosti nel Castello degli Jagelloni. Ci riferì che quell’enorme quantità di esplosivi sarebbe dovuta essere utilizzata per distruggere il centro storico di Cracovia, la diga Rozhnovskij e i ponti sul fiume Dunajec. Così decisi di intervenire. Analizzata la situazione e la dinamica di ciò che stava accadendo, mi finsi un patriota polacco che aveva il compito di stivare l’esplosivo nel castello e riuscii a posizionare una bomba a tempo per neutralizzare tutti quegli esplosivi. Feci esplodere il castello il 18 gennaio 1945, alle ore 05.20 del mattino. Pertanto, fu impedita la distruzione di Cracovia e il nostro esercito entrò in città potendo attraversare i ponti rimasti intatti«. La bellissima città di Cracovia è rimasta intatta e ogniqualvolta vi recate a visitarla, ricordatevi che avete l’opportunità di ammirare il suo fantastico centro storico grazie alla prodezza di Botjan.

Aleksej Nikolaevič Botjan nel 1944
Oggi, questa e altre operazioni condotte da Botjan sono incluse nei libri di testo per l’addestramento delle forze speciali.
Dai pochi documenti desecretati è stato possibile venire a conoscenza di un’altra operazione di sabotaggio realizzata da Botjan, anche questa memorabile: l’esplosione del quartier generale delle SS nella regione di Žytomyr, in Ucraina. Anche in questo caso Botjan riuscì ad introdursi nel quartier generale delle SS. Il risultato fu che più di 100 ufficiali delle SS che partecipavano a una riunione per fare il punto sulla lotta contro i partigiani locali, furono fatti saltare in aria dall’esplosione della dinamite piazzata da Botjan all’interno del quartier generale. Dopo espressa autorizzazione delle autorità della Federazione Russa, Botjan ha potuto raccontare alcuni elementi di questa operazione: «Per questa operazione mi avvalsi dell’aiuto di un uomo di nome Jakov Kaplyuk, un esperto di esplosivi che viveva lì. I tedeschi si fidavano di lui. Così ordinai a lui e sua moglie di introdurre clandestinamente esplosivi nell’edificio che ospitava il quartier generale delle SS. Furono necessarie alcune settimane. Feci introdurre 150 kg di dinamite suddivisa in tre posti diversi dell’edificio. Feci esplodere l’edificio la notte del 9 settembre 1943, durante una riunione alla quale parteciparono più di 100 ufficiali delle SS. Non si salvò nessuno«. Avendo interrotto l’operazione delle SS per contrastare le forze partigiane nella regione di Žytomyr, Botjan salvò migliaia di vite di cittadini civili.
Dopo la vittoria nella Grande Guerra Patriottica, Botjan continuò a lavorare nei servizi segreti sovietici. Anche in questo caso, le autorità della Federazione Russa hanno autorizzato Botjan a raccontare una piccola parte del suo operato: «Mi fu affidato un compito delicato. Mi fu cambiata l’identità. Mi fornirono dei documenti falsi. Dovevo fingermi un cittadino di origine ceca che dopo aver combattuto la guerra nell’Ucraina occidentale, veniva rimpatriato nella sua Cecoslovacchia. Lì, la mia missione consisteva nell’infiltrarmi nelle agenzie di intelligence occidentali, che avevano mostrato grande interesse per i giacimenti di uranio presenti in Cecoslovacchia. Sotto il mio nuovo nome «Leo Dvorak» arrivai nella cittadina di Aš. Lì studiai al college minerario e trovai lavoro in una miniera di uranio. Ad Aš incontrai una bellissima donna del posto di nome Elena Vinsel. Ci siamo innamorati e ci siamo sposati. Le non sapeva nulla della mia attività. Poco dopo riuscii ad infiltrarmi in un’agenzia dei servizi segreti occidentali che però non posso rivelare e iniziai a fornire informazioni alla sede del KGB».
La sua carriera di agente segreto infiltrato terminò nel 1953. Botjan fu inaspettatamente convocato a Mosca. Partì di nascosto senza dire nulla alla propria famiglia. Il capo del nono dipartimento (intelligence e sabotaggio) del Ministero degli Interni dell’Unione Sovietica Sudoplatov fu represso, i suoi subordinati furono licenziati. Botjan ha raccontato: «Immediatamente, con l’aiuto di alcuni miei colleghi ho dovuto trasferire illegalmente dalla Cecoslovacchia a Mosca, sia mia moglie che mia figlia Irina. Mia moglie non capiva perché doveva lasciare la Cecoslovacchia così improvvisamente e immediatamente. Fu solo quel giorno che Elena scoprì chi ero veramente. Riuscii ad ottenere dei nuovi documenti per lei e così divenne cittadina sovietica con il nome Galina Vladimirovna Botjan. Io dovevo trovarmi un lavoro per vivere e ottenni un posto come capo cameriere in un grande ristorante di Mosca. Dopo un anno e mezzo, quando la situazione di scontro all’interno dei servizi segreti si placò, la direzione del KGB mi riassunse di nuovo in servizio. A questo punto mi fu consentito di avvisare la mia famiglia che iniziavo di nuovo ad operare come agente segreto infiltrato. Mia moglie fu convocata e dovette superare un addestramento speciale. Una volta superato l’addestramento di Galina, nel 1956 siamo tornati in Cecoslovacchia con nuove identità false e ripresi il mio lavoro infiltrandomi in una agenzia di intelligence straniera. Anche in questo caso non posso rivelare oltre, ma in quel periodo viaggiamo spesso in molti paesi stranieri«.
Questa parte di vita di Aleksej Nikolaevič Botjan è totalmente coperta dal segreto di Stato. Della sua vita e delle sue attività dal 1956 al 1985 non si sa nulla. Non si ha conoscenza di quali furono i paesi presso i quali si recò e quali operazioni fu incaricato di compiere.
Dai documenti desecretati si apprende che nel 1979 addestrò personalmente le forze speciali che presero d’assalto il palazzo di Amin a Kabul. A proposito di questa circostanza, l’unica dichiarazione autorizzata di Botjan è la seguente: «Ho chiesto più volte di inviarmi in missione in Afghanistan, ma la mia richiesta non è mai stata soddisfatta«. Successivamente è noto solo che Botjan e la sua famiglia fecero ritorno in Unione Sovietica nel 1985 e che nel 1989 è stato congedato e inviato in pensione.
I suoi meriti non furono immediatamente apprezzati. Aleksej Nikolaevič Botjan fu presentato due volte per ottenere il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Ma entrambe le volte invece è stato premiato con un’onorificenza di minor valore, quella dell’Ordine dello Stendardo Rosso; le autorità sovietiche vedevano di cattivo occhio il suo breve trascorso nell’esercito polacco prima che iniziasse la guerra. La giustizia ha trionfato solo il 10 maggio 2007 grazie al presidente Putin. Infatti con decreto del Presidente, il colonnello Botjan è stato insignito del titolo di Eroe della Federazione Russa. Consegnandogli la stella d’oro, il presidente Vladimir Putin ha dichiarato: «Una delle città più bella d’Europa, l’antica Cracovia è stata preservata per la Polonia e per l’intera cultura mondiale, grazie al tuo coraggio personale«.
Botjan ha risposto: «Signor Presidente, alcuni anni fa, quando le gambe ancora me lo permettevano, mi incontravo con i miei colleghi più giovani almeno una volta alla settimana. Giocavo con loro a pallavolo e a ping-pong. Amo ancora giocare a scacchi. Nel 1995 all’età di 78 anni durante un incontro con i soldati delle unità da sbarco abbiamo organizzato una gara di tiro con la pistola al poligono militare ho realizzato 29 punti sul massimo di 30 disponibili. Non ci sono ex ufficiali dell’intelligence e Lei certamente mi può capire!«.
Luca D’Agostini
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