Nella notte tra il 25 e il 26 ottobre 1917, a Pietrogrado ebbe luogo uno degli eventi chiave della Rivoluzione d’Ottobre. Il Governo provvisorio al potere in Russia dall’abdicazione di Nicola II (marzo 1917) era molto debole. Incapace di incidere e di cambiare lo stato delle cose, si trovava a dover fronteggiare crescenti proteste e stava perdendo il controllo del potere. In quella notte, i bolscevichi si impadronirono della residenza del Governo provvisorio, situata nel Palazzo d’Inverno, e per i successivi 70 anni il destino del Paese fu delineato.
Iniziamo con inquadrare il contesto storico all’interno del quale si svolsero gli eventi della Rivoluzione d’Ottobre.
Dopo l’ondata rivoluzionaria del febbraio 1917, Lenin, Martov e gli altri rivoluzionari che erano all’estero iniziarono a tornare in patria. Lenin, rientrato in Russia dall’esilio svizzero, grazie anche all’aiuto tedesco, si scagliò immediatamente contro la linea del difensivismo rivoluzionario, trovando sostegno tra soldati e operai che dall’inizio della primavera mostrarono una sofferenza crescente nel proseguimento del conflitto. Ma Lenin si scagliò contro tutta la linea dei menscevichi al governo, puntando ad una rottura netta con l’esperienza del Governo provvisorio, all’uscita dal conflitto e al superamento della “fase borghese” per giungere definitivamente alla rivoluzione socialista.
Le tesi di Lenin, divenute note successivamente come le “Tesi di Aprile”, inizialmente furono respinte dai menscevichi e accolte con scetticismo dai bolscevichi. Solo a seguito di un’aspra battaglia interna la linea di Lenin riuscì a prevalere. Come già sottolineato, le tesi di Lenin fecero breccia negli animi degli operai e dei soldati che non desideravano altro che la fine della guerra. Una prova della forza delle idee di Lenin fu data dal fatto che, dopo la crisi di aprile che condusse alla formazione di un secondo Governo provvisorio, le file dei bolscevichi furono alimentate da sempre più schiere di operai e contadini che, il mese successivo, proclamarono una serie di scioperi contro il nuovo governo.
Quest’ultimo, soprattutto tramite il ministro della guerra Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, era fermamente convinto che un successo militare potesse rinvigorire gli animi dell’esercito e allontanare il malcontento popolare. Dopo una serie di vittorie lungo il confine austro-ungarico, che sembravano dar ragione a Kerenskij, la controffensiva tedesca di luglio distrusse ogni speranza. La disfatta si trasformò in una ritirata disordinata e spinse definitivamente i soldati nelle braccia dei bolscevichi.
All’inizio di luglio, a seguito di una crisi di governo dovuta al riconoscimento dell’autonomia dell’Ucraina, Pietrogrado fu l’epicentro di una nuova rivolta che rischiò di sfociare in un colpo di Stato.
I mitraglieri e i marinai di Kronstadt, accorsi in città, diedro prova della loro forza e organizzazione bloccandone i centri nevralgici. Giunti quasi alla presa del potere, però, i militanti bolscevichi attesero direttive su cosa fare e come portare avanti l’offensiva finale per la conquista del potere; direttive che non giunsero.
Il vacillare del Soviet di Pietrogrado e dei dirigenti bolscevichi permise così alle forze governative di ricompattarsi e di incaricare Kerenskij alla formazione di un nuovo governo.
Le conseguenze per i bolscevichi furono pesantissime: la repressione del governo si abbatté su dirigenti e militanti che furono incarcerati in massa e nell’immaginario comune iniziò a rendersi verosimile l’idea che i bolscevichi intendevano abbattere il governo per favorire l’avanzata tedesca. Lenin, nel frattempo, riuscì a rifugiarsi in Finlandia.
Il nuovo governo Kerenskij assunse sempre di più una deriva autoritaria, a causa anche della nomina di Kornilov a capo delle forze armate a cui seguì il ripristino della pena di morte e il divieto di riunione; disposizioni che trovarono la ferma condanna del Soviet. Ma il rapporto tra Kerenskij e Kornilov si incrinò definitivamente in estate dopo la Conferenza di Stato. Kerenskij credeva che Kornilov intendesse scalzarlo e, onde evitare questo epilogo, nominò sé stesso comandante in capo e chiamò in sua difesa tutte le forze democratiche, compresi i bolscevichi, a seguito della decisione di Kornilov di far marciare su Pietrogrado le truppe a lui fedeli. Bloccato e incarcerato grazie al contributo decisivo dell’organizzazione bolscevica, la controrivoluzione di Kornilov fu sventata.
Lo spettro della controrivoluzione e la precarietà del governo Kerenskij non fecero che aumentare la popolarità e il sostegno ai bolscevichi, tanto che nelle elezioni delle Dume municipali tra agosto ed ottobre, ottennero importanti successi. Un successo che si manifestò anche nel Soviet di Pietrogrado a danno dei menscevichi.
Sebbene non tutti all’interno del Partito fossero d’accordo con Lenin per intraprendere nell’immediato un’insurrezione armata, il 21 ottobre il Comitato Rivoluzionario Militare si proclamò suprema autorità militare della capitale, sancendo l’effettiva perdita di controllo da parte del Governo provvisorio.
Fino al 24 ottobre nulla era noto sul momento esatto dell’insurrezione ma Lenin intendeva prendere il potere prima dell’apertura del Congresso Panrusso dei Soviet, stabilita nel pomeriggio del 25 ottobre.
C’è ancora dibattito su ciò che accadde in quella terribile notte tra il 25 e 26 ottobre 1917 al Palazzo d’Inverno. Michail Fëdorov, storico e professore di Storia Contemporanea della Russia all’Università Statale di San Pietroburgo, sostiene ed evidenzia che il modo in cui l’assalto al Palazzo d’Inverno è rappresentato nella cinematografia e nelle varie rappresentazioni artistiche non corrisponde a eventi reali.
Artisti e registi hanno raccontato la storia dei vincitori e hanno cercato di renderla la più emblematica ed emozionante possibile. Pertanto, in tali raffigurazioni, l’intera area intorno al Palazzo d’Inverno è inondata di luce, che semplicemente non proveniva da nessuna parte: l’illuminazione stradale di quegli anni era molto più debole di quella moderna. Pertanto, la sparatoria avvenne sparando a caso e solo sei persone rimasero uccise a seguito dell’assalto. Nel film «Ottobre», girato nel 1927 per il decennale della Rivoluzione bolscevica ed uscito nel 1928, la famosa scena con i cancelli che i bolscevichi presero d’assalto è una finzione di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, il più noto regista sovietico. Era davvero inutile salire sul cancello che conduceva al cortile. I bolscevichi irruppero nel Palazzo dalle scale che portano alla Piazza del Palazzo, che oggi si chiama “Ottobre” o “Sovetskaja”. Ma sullo schermo, l’assalto al cancello risulta una scena impressionante: è diventato quasi il segno distintivo dell’assalto.
Dalle cataste di legna da ardere ammucchiate sulla Piazza del Palazzo non vi furono spari contro gli insorti in fuga. In caso contrario, il bilancio delle vittime sarebbe salito a centinaia. Non c’erano bandiere rosse e altri tipi di stendardi.
È conseguente quindi chiedersi come mai la rivolta armata e l’assalto al Palazzo d’Inverno si rivelarono così incruenti? Il prof. Fëdorov sostiene che vi sono molteplici ragioni. Le principali sono l’estrema impopolarità del governo Kerenskij e la riluttanza psicologica a sparare alla propria gente. Presto tale riluttanza sarebbe venuta meno, sarebbero iniziate dure repressioni con esecuzioni e arresti su larga scala, ma nell’autunno del 1917 quella soglia non era ancora stata varcata.
Anche l’elevata organizzazione della rivolta fu un fattore importante. Le autorità si attendevano raduni, manifestazioni di massa, che avrebbero disperso e represso. Kerenskij sognava il momento in cui i bolscevichi sarebbero scesi in piazza e lui li avrebbe distrutti. Ma ciò non accadde. Il Comitato Militare Rivoluzionario prese sistematicamente il controllo della città.
A fine ottobre del 1917, il Soviet di Pietrogrado, presieduto da Lev Trockij ed egemonizzato dai bolscevichi, costituì il Comitato Militare Rivoluzionario (CMR), con sede nell’Istituto Smol’nij, già collegio femminile riservato alle giovani aristocratiche. Lo scopo ufficiale era proteggere la città dai tentativi controrivoluzionari. In realtà, si trattava di uno strumento del Soviet per preparare l’insurrezione. Nei giorni successivi, i soldati di stanza nella fortezza di Pietro e Paolo decisero di mettersi agli ordini del Comitato Militare Rivoluzionario e di non ubbidire più a quelli del Governo provvisorio, il cui potere era sempre più evanescente. Nella notte tra il 23 e il 24 ottobre, Kerenskij, per frenare il crescente potere bolscevico, decise di far chiudere le tipografie dei giornali del Comitato Militare Rivoluzionario e di richiamare in città i reggimenti più fedeli, composti principalmente dagli junker, i cadetti volontari delle scuole per allievi militari.
Di tutte le immagini della Rivoluzione d’Ottobre, questa fotografia è senza dubbio la più nota. Eppure, la fotografia fu scattata tre anni dopo l’assalto al Palazzo d’Inverno, ossia nel 1920, durante una manifestazione di piazza organizzata per commemorare le gloriose giornate d’ottobre, dal distretto militare di Pietrogrado e con la collaborazione del teatro della «Libera Commedia». Lo scenografo fu Jurij Annenkov e il «regista comandante» Nicolaj Evrejnov. In seguito entrambi lasciarono l’Unione Sovietica e in esilio raccontarono che fu una rappresentazione dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Eppure, per anni, tali immagini rimasero nei libri di storia come le immagini stesse della rivoluzione.
La mattina del 24 ottobre, il Comitato Militare Rivoluzionario inviò alcuni reparti fidati a riaprire le tipografie. Nelle ore successive, accorsero allo Smol’nij le guardie rosse per difenderlo. In una situazione sempre più tesa, Kerenskij ordinò di sollevare i ponti sulla Neva, di tagliare le comunicazioni telefoniche dello Smol’nij e di impedire ogni manifestazione pubblica. Come risposta, il Comitato Militare Rivoluzionario inviò distaccamenti armati per impedire che i ponti fossero alzati o per farli riabbassare e chiese all’incrociatore Aurora, il cui equipaggio era fedele ai bolscevichi, di ristabilire il traffico sul ponte Nikolajevskij (oggi ponte dell’Annunciazione).
Le guarnigioni militari di stanza a Pietrogrado erano più che insoddisfatte di Aleksandr Kerenskij, il socialista rivoluzionario a capo del Governo provvisorio (a luglio era subentrato a Georgij Lvov). Alcune settimane prima aveva cercato di spedire al fronte (la Prima Guerra Mondiale proseguiva) i reggimenti acquartierati nella capitale. Non intenzionati a combattere, i soldati si rifiutarono di partire e il loro supporto per il movimento radicale dei bolscevichi, che chiamava a una ulteriore ribellione di popolo, dopo quella di inizio anno, crebbe.
I junker furono ovunque fermati e allontanati, senza scontri o incidenti. Esteriormente, tutto era calmo: i negozi funzionavano, i tram viaggiavano e contestualmente numerose guardie dei ribelli disarmarono i distaccamenti di cadetti e milizia a guardia degli armamenti più importanti. Assomigliò più a un cambio della guardia: i rivoluzionati armati entravano nelle caserme e ai soldati dicevano: “Il Governo provvisorio è deposto. Ora il potere appartiene agli operati e ai contadini rappresentati dai soviet”. I Soviet (“Consigli”) erano organi elettivi formati dagli strati più bassi della società, dove i bolscevichi erano più forti. I ribelli riuscirono anche ad impossessarsi dei mezzi più potenti di combattimento di strada di quel tempo: i veicoli blindati.
A disposizione del Governo era rimasta solo un’autoblindo, che si trovava alle porte del Palazzo d’Inverno, ma non poteva nemmeno muoversi; la mattina del 25 ottobre qualcuno ne staccò il generatore.
Il Comitato Militare Rivoluzionario decise di occupare, durante la notte tra il 24 e il 25 ottobre, tutti i posti di comando della capitale, compreso il Palazzo d’Inverno. L’edificio era posto al centro della città, lungo le rive del fiume Neva: dal lato opposto, si ergeva la fortezza di Pietro e Paolo. Il Comitato Militare Rivoluzionario decise di circondare il quadrante della città in cui sorgeva il Palazzo: il piano, però, richiedeva tempi di esecuzione troppo lunghi e la sua realizzazione dovette essere rimandata al giorno successivo. A partire dalle due della notte del 25 ottobre, il Comitato Militare Rivoluzionario si impossessò degli edifici governativi, della centrale del telegrafo, delle stazioni, della centrale telefonica, dei depositi militari e annonari, dell’acquedotto, della Banca di Stato, delle tipografie: non ci furono spargimenti di sangue, né disordini. Si contrapponevano circa 7-10 mila uomini per i bolscevichi e 1500-2000 sostenitori del Governo provvisorio.
La mattina del 25 ottobre, verso le ore 10, Kerenskij lasciò la capitale. L’Ambasciata statunitense gli fornì un’automobile con la quale riuscì a sfuggire alle pattuglie bolsceviche, tratte in inganno dal guidoncino a stelle e strisce.
Nel frattempo, un’ora dopo la fuga di Kerenskij, quando tutti i ponti erano stati presi, il Comitato Militare Rivoluzionario emanò il proclama ai cittadini della Russia, redatto da Lenin, in cui si annunciava la deposizione del Governo provvisorio e il passaggio del potere statale nelle mani del Comitato Militare Rivoluzionario. Il Palazzo d’Inverno, però, non era ancora stato conquistato.
Alle sei e trenta del pomeriggio del 25 ottobre, il Comitato Militare Rivoluzionario inviò un ultimatum al Governo provvisorio: gli furono concessi venti minuti per arrendersi, poi l’incrociatore Aurora e la fortezza di Pietro e Paolo avrebbero iniziato a sparare contro il Palazzo. Il governo decise di ignorare la minaccia.
Nessuno, tranne i cadetti, voleva difendere il governo: il distaccamento cosacco se ne andò prima dell’inizio dell’assalto, come il cadetto della scuola di artiglieria Michajlovskij, il quale si allontanò portando via con sé quattro pistole. Persino le donne del famoso battaglione femminile “Battaglione della Morte” furono convocate con l’inganno da Levašov, presumibilmente per proteggere i depositi di carburante. Dopo la prima scaramuccia, lasciarono anche il Palazzo, ma furono disarmate e portati nella caserma del reggimento Pavlovskij, poiché spararono ai ribelli. Così, il Governo provvisorio fu difeso solo da circa 500 junker (scarsamente armati e male addestrati). Rendendosi conto della disperazione della loro situazione, i junker non usarono violenza. Diversi gruppi di ribelli entrati nel palazzo furono realmente catturati dagli junker, ma furono semplicemente disarmati e tenuti sotto sorveglianza in stato di arresto, senza mai che qualcuno di questi prigionieri rimanesse ferito o ucciso.
Le voci sulla distruzione dell’edificio e della decorazione interna causate dal bombardamento iniziarono a diffondersi il giorno successivo. In effetti, l’intera città sentì il fuoco dei cannoni, particolarmente impressionante fu il colpo sparato alle 21.40 dall’incrociatore «Aurora», ormeggiato sulla Neva. Ma questo colpo era a salve e serviva solo come segnale per iniziare l’assalto. In generale, gli insorti avevano a disposizione solo poche armi, compreso il cannone di segnalazione della Fortezza di Pietro e Paolo. In totale, furono sparati 35 colpi di artiglieria, ma solo due colpirono il Palazzo, scheggiando un cornicione. Gli artiglieri furono avvertiti che c’era un ospedale all’interno del palazzo. Molti soldati feriti sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale, che proseguiva, erano stati piazzati lì, vista l’ampiezza dell’edificio. Quindi il fuoco dell’artiglieria fu sparato all’angolo dell’edificio vicino all’Ammiragliato. Gran parte delle cariche esplose in aria sopra la Neva. Il bombardamento della Fortezza di Pietro e Paolo danneggiò due stanze delle camere di Alessandro III. L’intonaco della facciata e il dipinto nella Sala Centrale andarono distrutti. Inoltre, diverse finestre finirono in frantumi.
Altro mito che va sfatato consiste nel fatto che non ci fu un girovagare senza meta di folle di plebaglia eccitata in tutte le 1.050 stanze del Palazzo d’Inverno. I ribelli sapevano esattamente in quale ala dell’edificio si trovava il Governo e lo stavano cercando di proposito. Pertanto, quasi la metà dei locali non fu affatto interessata da questi eventi. L’assalto non fu cruento: un gruppo di 10-12 uomini, guidati dal leader militare bolscevico Vladimir Aleksandrovič Antonov-Ovseenko riuscì a introdursi nel Palazzo da un ingresso posteriore lasciato incustodito. Si diressero verso l’ala dell’edificio dove sapevano essere in corso una riunione dei ministri del Governo. La sala ove i ministri erano riuniti era senza sorveglianza. Antonov-Ovseenko interruppe la seduta, li arrestò e promise la salvezza per tutti i difensori del Palazzo che avessero deposto le armi.
Un grave incidente si verificò quando gli insorti entrati nel Palazzo trovarono diverse scatole contenenti beni preparati per essere portati via da Mosca. La gente iniziò ad arraffare il loro contenuto, ma subito si udirono delle voci che ordinavano la fine del saccheggio, poiché da allora la proprietà era del popolo.
Alle ore 2.10 della notte del 26 ottobre, una comunicazione telegrafica inviata alla sede del Comitato Militare Rivoluzionario annunciava che il Palazzo era stato preso.
Il 4 e 5 di novembre i bolscevichi, guidati da Lenin e da Trockij, presero progressivamente il potere in città.
Come afferma lo storico Boris Sapunov: “Le asserzioni dei leader sovietici che la Rivoluzione d’Ottobre sia stata quella con meno scorrimento di sangue della storia delle rivoluzioni europee aveva fondamento”. La storia del Governo provvisorio di Pietrogrado finì in silenzio e senza la necessità di grossi combattimenti.
Tra le vittime ci fu però la rifornitissima cantina zarista. Per paura che l’emozione della vittoria si trasformasse in colossali sbornie, Antonov-Ovseenko dette l’ordine di distruggerla, sparando con le mitragliatrici a migliaia di bottiglie. Il vino scorreva a fiumi, e molti credettero si trattasse di sangue. Invece purtroppo quello sarebbe dovuto ancora scorrere.
Si era aperta una nuova pagina della storia dell’umanità, destinata a chiudersi oltre settant’anni dopo. Questi furono i fatti: pochissime vittime, nessun assalto al Palazzo, Guardie Rosse penetrate al suo interno un gruppetto alla volta da un ingresso poco difeso. La Rivoluzione d’Ottobre fu un evento a cui assistettero pochissime persone e, per questo, era adatto a costituire la base per un mito: il suo simbolo più importante – con chiaro rimando alla presa della Bastiglia del 1789 – diventò così un episodio mai accaduto, l’assalto al Palazzo d’Inverno.
Luca D’Agostini
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