Cosa c’è dietro la sconfitta dell’Armata Bianca: il tragico destino di eroi caduti nella lotta contro il male, oppure il naturale collasso di traditori che non sono riusciti a trovare un sostegno affidabile nella società russa? Analizziamo la questione nel dettaglio.
Quando si pensa all’Armata Bianca e al Movimento Bianco si hanno in mente le formazioni militari e i governi anti-bolscevichi che operarono nell’ex impero russo dal 1918 al 1921 e proclamano la loro continuità rispetto alle tradizioni dell’esercito imperiale russo e della statualità russa.
Tuttavia, in realtà, queste forze, in primo luogo, erano molto diverse nella loro componente ideologica.
Per la prima volta il concetto di Armata Bianca apparve in Francia durante la Rivoluzione Francese. L’Armata Bianca era l’esercito di contadini francesi e aristocratici monarchici che si ribellavano contro la repubblica. I ribelli fissarono come obiettivo il ripristino della monarchia.
In Russia, la parola «Armata Bianca» appare per la prima volta durante la rivoluzione, ma non quella del 1917, bensì quella del 1905-1907. Tutti conoscono l’esistenza dei Centoneri, ma quasi nessuno sa che allo stesso tempo esisteva l’Armata Bianca, un’organizzazione militare monarchica che faceva parte dell’Unione del popolo russo, ma operava in modo indipendente. L’Armata Bianca si oppose al terrore e alla violenza dei rivoluzionari a Odessa.
Nelle condizioni della guerra civile in Russia, per quanto è noto, c’erano solo due casi in cui le forze anti-bolsceviche si definivano «bianche». La prima volta fu a Mosca il 27 ottobre 1917, quando i cadetti che si opposero al colpo di stato bolscevico si autoproclamarono «Armata Bianca». La seconda volta, il nome «bianchi» appare associato all’esercito nord-occidentale del generale Judenič.
Nessun’altra forza anti-bolscevica si definiva bianca. Coloro che sono considerati «bianchi» si autodefinirono «volontari», «korniloviti», «drozdoviti», «markoviti». Solo in esilio i partecipanti alla lotta anti-bolscevica iniziarono a definirsi «bianchi» per separarsi dai «rossi». Tuttavia, già durante la guerra civile, tutta la propaganda bolscevica chiamava i suoi nemici «Armata Bianca» o «Bianchi». Ad introdurre per la prima volta il termine «Bianchi» all’interno della propaganda bolscevica fu Lev Trockij. L’obiettivo perseguito in questo caso era sostenere che l’Armata Bianca era composta da monarchici che sostenevano il ripristino del «vecchio ordine» e quindi composta da nemici del potere sovietico. Quindi, vi fu una sofisticata sostituzione di concetti: i regimi anti-bolscevichi di Kolčak, Denikin, Vrangel iniziarono ad essere percepiti come regimi monarchici, ma in realtà non lo erano mai stati.
Nel febbraio del 1917 in Russia ebbe luogo un colpo di stato. L’imperatore Nikolaj II (Nicola II), comandante supremo delle forze armate dell’Impero russo, fu rovesciato e arrestato. La monarchia in Russia fu abolita illegalmente. Il colpo di stato fu guidato da paesi stranieri, dalle forze d’oltremare dei paesi dell’Intesa, le quali si affidarono all’opposizione della Duma russa, che a sua volta usò la maggior parte dei principali generali per attuare il colpo di stato. Basti pensare che dei cinque principali organizzatori e leader del Movimento Bianco, (Alekseev, Kornilov, Kolčak, Denikin e Vrangel), solo Vrangel non fu coinvolto nel rovesciamento dell’Imperatore Nikolaj II (Nicola II). Gli altri, in un modo o nell’altro, erano tra gli organizzatori diretti del colpo di stato, oppure ne erano a conoscenza e lo appoggiarono.
L’obiettivo perseguito dai generali russi dopo il rovesciamento del loro Sovrano, consisteva principalmente nel soddisfare gli ambiziosi piani, che gli organizzatori della trama giocavano abilmente. Tutti i discorsi su ciò che i generali hanno effettuato «sul bene della Russia», erano discorsi ingannevoli. Per Alekseev, Brusilov, Russkij, Kolčak, Kornilov, la lealtà allo Zar significava in realtà l’opportunità di entrare nella Berlino sconfitta al seguito dell’aiutante generale di Nikolaj II (Nicola II). E’ vero che ciò avrebbe rappresentato il massimo riconoscimento e la massima gloria per loro ed i loro discendenti, ma per Alekseev, Brusilov, Kolčak, Kornilov, questo non era abbastanza. Loro stessi volevano essere i vincitori. Desideravano loro stessi partecipare alla divisione dell’Europa e quindi alla gestione della Russia. E questo è ciò che fu promesso loro da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, organizzatori del colpo di stato della Duma.
Immediatamente dopo il colpo di stato, tutti i generali cospiratori ricevettero promozioni e prospettive di influenza politica. Alekseev divenne comandante supremo e consigliere del governo provvisorio, Brusilov divenne vice comandante supremo, Kornilov comandante supremo del principale distretto militare di Pietrogrado. Kolčak rimase il comandante della Flotta del Mar Nero, ma era tra i favoriti del nuovo regime. Denikin fece un salto vertiginoso nella sua carriera militare: dalla carica di comandante dell’8° Corpo d’Armata, divenne capo di Stato Maggiore e quindi comandante del fronte occidentale.
I primi mesi successivi alla Rivoluzione, i suddetti generali si fecero in quattro per dimostrare la loro lealtà al nuovo regime rivoluzionario. E’ impossibile quindi non essere sorpresi dal grado di meschinità e tradimento che questi generali attuarono nei confronti dello Zar, nonostante fossero colmi di onorificenze e premi reali. Così, meschinamente, fu il generale Alekseev a leggere ufficialmente a Nikolaj II (Nicola II) e alla sua famiglia l’annuncio dell’arresto e dell’abdicazione. Il generale Kornilov indossando un cappotto rosso sopra la sua uniforme, arrestò materialmente l’imperatrice Aleksandra Fëdorovna e i suoi figli. Il generale Russkij rilasciò un’intervista, in cui si vantava della sua partecipazione al rovesciamento dello Zar.
Allo stesso tempo, questi stessi generali e ammiragli avevano fretta di assicurare ai nuovi sovrani la loro lealtà. Ecco, ad esempio, mentre si trovava al fronte quale ordine fu dato dal generale Brusilov ad un suo aiutante di campo il 4 giugno 1917: «Per aumentare lo spirito rivoluzionario offensivo dell’esercito, è necessario formare uno speciale battaglione reclutato tra i volontari nel centro della Russia, al fine di far giungere alle truppe il sentimento di fiducia nei loro confronti da parte del popolo rivoluzionario«.
E queste furono le dichiarazioni di Kornilov: «Credo che il colpo di stato che ha avuto luogo in Russia sia una garanzia certa della nostra vittoria sul nemico. Solo una Russia libera, dopo aver respinto l’oppressione del vecchio regime, può emergere vittoriosa dalla lotta«.
Le truppe di Kornilov, marciando per andare a combattere i bolscevichi, cantavano: «Non rimpiangiamo il passato, lo Zar non idolatriamo«. Ma in quel momento, il Sovrano e la sua famiglia erano ancora vivi e furono imprigionati a Tobol’sk. L’Armata Bianca aveva dichiarato che non avrebbe risparmiato la vita allo Zar. Così, iniziando la guerra con i bolscevichi, i «Bianchi» accettarono moralmente il crimine di Ekaterinburg sei mesi prima che fosse commesso.
L’ammiraglio Kolčak visitò più volte Pietrogrado, dove incontrò i peggiori nemici dello Zar: Gučkov, Rodzjanko, Plechanov. A tutti loro, l’ammiraglio assicurò fedeltà al nuovo regime rivoluzionario, e i socialisti-rivoluzionari lo definirono «eroe«.
Ma probabilmente, il più mostruoso atto di cinismo appartiene a Kornilov. Il 6 aprile 1917, Kornilov assegnò la Croce di San Giorgio al soldato Timofej Kirpičnikov il quale nel febbraio del 1917 fu l’organizzatore di una rivolta nel suo reggimento e sparò alla schiena al capitano Laškevič, fedele allo Zar. Kornilov, in pubblico amava stringere la mano macchiata di sangue di Kirpičnikov.
Va ricordato che molti futuri leader del «Movimento Bianco» ed esponenti dei bolscevichi erano strettamente collegati con strutture segrete e straniere. La natura di questi legami non è ancora del tutto chiara ed è oggetto di attuali studi da parte di storici russi, ma la loro stessa esistenza non è in dubbio. Ad esempio, sin dai tempi pre-rivoluzionari, Kolčak era in stretti rapporti con Gučkov e, dopo la Rivoluzione di febbraio, con Boris Savinkov. Sia Gučkov che Savinkov, a loro volta, erano collegati con le strutture di intelligence dell’Occidente. Successivamente, già durante la guerra civile, Gučkov e Savinkov fornirono a Kolčak importanti documenti per essere riconosciuto affidabile in Occidente e ottenere per sé stesso assistenza militare e diplomatica. Infatti, la candidatura di Kolčak al «governo supremo» fu approvata nel 1918 personalmente dal presidente degli Stati Uniti Wilson e dal primo ministro britannico Lloyd George a Versailles.
Nel frattempo, all’interno dei paesi membri dell’Intesa non c’era unità sul futuro governo della Russia. A partire dall’agosto 1917, gli inglesi e i francesi, rendendosi conto che il regime di Kerenskij non era in grado di continuare la guerra «fino alla fine vittoriosa», iniziarono a scegliere segretamente la figura del generale Kornilov. Lo stesso «progetto Kornilov» fu supervisionato personalmente da Savinkov, da tempo reclutato dall’intelligence britannica.

Kolčak
Ancora prima, nel giugno del 1917, iniziò la promozione di un altro contendente alla carica politica più alta del futuro governo russo, l’ammiraglio Kolčak, il quale era in pratica il protetto di Gučkov. Strettamente imparentato con quest’ultimo fin dai tempi pre-rivoluzionari, Kolčak godette della costante protezione di Gučkov il quale ricopriva la carica di ministro della guerra del primo governo di febbraio. Le posizioni di Gučkov, il quale rivendicava un ruolo di primo piano nel governo rivoluzionario, si stavano indebolendo di giorno in giorno. Kerenskij e i suoi sostenitori assumevano sempre più il potere nelle loro mani. In quelle condizioni, Gučkov contava su un colpo di stato militare e sull’arrivo al potere per assumere personalmente il pieno potere.
Non c’è dubbio che fu proprio con l’obiettivo di partecipare al grande gioco politico che Kolčak fu chiamato a Pietrogrado da Sebastopoli. Ma quando arrivò a Pietrogrado, Gučkov era già stato rimosso dal posto di ministro della guerra, il che, naturalmente, indebolì anche la posizione dell’ammiraglio. Tuttavia, Gučkov continuò a fornire a Kolčak tutto il supporto possibile. Fu Gučkov che collegò Kolčak con il «Centro repubblicano», l’organizzazione in cui erano in corso i preparativi per un colpo di stato militare nel Paese.
Kolčak parlò alle riunioni del governo provvisorio con discorsi scioccanti che «la Patria è in pericolo«. Allo stesso tempo, Kolčak non aveva alcuna fretta di tornare alla flotta del Mar Nero per «difendere la sua patria». In alcuni giornali di quel tempo vi erano titoli come questo: «Tutto il potere dell’ammiraglio Kolčak!«.
In quei giorni, l’ammiraglio collaborò attivamente con il Centro repubblicano. Il «Centro repubblicano» sostenne Kornilov e fu strettamente associato agli inglesi. Tuttavia, Kornilov fu sconfitto da Kerenskij, il quale era supportato da influenti forze statunitensi che non avevano bisogno di un rappresentante pro-inglese. Kornilov fu così prima usato e poi rinchiuso nella prigione di Bjkhov.
In connessione con il ruolo decisivo degli Stati Uniti nel «reprimere la ribellione di Kornilov», è molto interessante notare che Kolčak, con tutte le sue ambizioni, abbia rifiutato il ruolo di candidato per il capo di governo, cedendolo gentilmente a Kornilov e partendo per gli Stati Uniti.
Nel frattempo, il governo provvisorio di Kerenskij condusse irrimediabilmente la Russia a una catastrofe militare: l’esercito era quasi morto, il fronte stava crollando, la diserzione era fatale. Allo stesso tempo, a capo dell’esercito c’erano principalmente i generali che erano stati nell’esercito imperiale con ruoli secondari. Il loro «merito» principale era il sostegno del colpo di stato rivoluzionario nei giorni di febbraio. Ciò non significa affatto che fossero cattivi generali, ma non avevano esperienza nel condurre operazioni militari di importanza strategica, cioè non comandavano i fronti.
Tuttavia, i generali del governo provvisorio, per la maggior parte, capirono che la guerra era andata perduta e che doveva essere conclusa. I generali credevano che lasciare la guerra fosse possibile solo concludendo una pace separata con i tedeschi. Questo è il motivo per cui una parte dei generali russi si affidò ai bolscevichi e realizzò effettivamente la Rivoluzione di Ottobre, abbandonando Kerenskij e i suoi ministri. Allo stesso tempo, i generali si adattarono ad un altro piano statunitense, progettando un trasferimento «pacifico» del potere da Kerenskij a Trockij. Infatti Trockij era il nuovo protetto di alcuni circoli finanziari statunitensi e, anche prima della Rivoluzione di Ottobre, l’influente «New York Times» si affrettò a uscire con un ritratto di Trockij nell’editoriale e la scritta «nuovo capo del governo rivoluzionario in Russia«. Ma la figura di Trockij non era gradita a molti generali, i quali supportarono Lenin vanificando così il trasferimento del potere a Trockij. Kerenskij fu costretto a fuggire e Lenin divenne il capo del governo.
L’ascesa al potere dei bolscevichi rappresentò una catastrofe politica per i generali dell’Armata Bianca e dichiararono immediatamente che avrebbero combattuto contro i bolscevichi fino alla morte.
I leader del Movimento Bianco spiegarono che la ragione principale del loro odio per il bolscevismo e il desiderio di combatterlo, derivava dal fatto che i bolscevichi stipularono una pace separata con i tedeschi. Questo è parzialmente vero. Ma solo parzialmente.
I leader dell’Armata Bianca dichiararono guerra al bolscevismo anche prima della pace di Brest. Ecco cosa l’ammiraglio Kolčak scrisse a riguardo: «Ho lasciato gli Stati Uniti alla vigilia del colpo di stato bolscevico e sono arrivato in Giappone, dove ho appreso della formazione del governo di Lenin e dei preparativi per la pace di Brest. Non riuscivo a riconoscere né il governo bolscevico né la pace di Brest, ma come ammiraglio della flotta russa, ho ritenuto che tutto il nostro impegno per la Germania fosse pienamente valido. L’unica forma in cui avrei potuto continuare a servire la Patria, che era nelle mani di agenti e traditori tedeschi, era quella di partecipare alla guerra contro la Germania schierandomi dalla parte dei nostri alleati. A tal fine, ho fatto appello, tramite l’ambasciatore britannico a Tokyo, al governo britannico con una richiesta di accettarmi per il servizio, in modo da poter partecipare alla guerra e adempiere così al mio dovere verso la Patria e i suoi alleati«.
Strano il comportamento di Kolčak! Se aveva capito che i bolscevichi erano nemici della Russia, traditori dei suoi interessi, allora perché invece di correre in Russia per combattere questi nemici, chiese di arruolarsi nell’esercito britannico? Perché tornò in Russia solo nella seconda metà del 1918? Cosa si aspettava Kolčak? Inoltre, quando Kolčak scrisse queste righe, non poteva sapere cosa avesse previsto la Pace di Brest. I negoziati sulla pace iniziarono solo a dicembre e inizialmente il governo bolscevico insistette sulla pace «senza annessioni e indennità». Quindi, Kolčak non era indignato dalle condizioni della pace, non poteva conoscerle, ma era indignato del fatto stesso di una pace separata con la Germania. Ma lo stesso Kolčak, anche prima del colpo di stato bolscevico, capì che la guerra era andata perduta. Infatti scrisse: «La guerra è persa, ma c’è ancora tempo per vincerne una nuova, e crederemo che in una nuova guerra la Russia saprà rivivere. La democrazia rivoluzionaria si strozzerà nel suo stesso fango o affogherà nel suo stesso sangue. Non ha altro futuro. Non esiste rinascita di una nazione diversa dalla guerra, ed è concepibile solo attraverso la guerra. Aspetteremo una nuova guerra come unico futuro luminoso«.
È chiaro che per «nuova guerra» Kolčak intendeva la guerra civile. È chiaro che Kolčak aveva capito molto bene chi fossero Kerenskij e i suoi ministri. Come poté non capire che stavano portando a morte la Russia? Ma non avrebbe mai combattuto contro Kerenskij, poiché Kolčak era legato con le stesse forze con cui era legato Kerenskij. Come Kerenskij, Kolčak doveva la sua carriera politica all’Intesa. E quando i governi dell’Intesa chiesero a Kolčak di prendere parte alla guerra civile in Russia, Kolčak obbedì loro.
Inoltre, i generali Bianchi avevano un’altra buona ragione per voler rovesciare i bolscevichi: capirono che sotto i bolscevichi non solo la loro carriera militare e politica sarebbe terminata bruscamente, ma avrebbero potuto anche essere imprigionati o condannati a morte.
Pertanto, la guerra civile che iniziò in Russia all’inizio del 1918 fu, una guerra di alcuni generali contro altri. Inoltre, questi generali, sia «bianchi» che «rossi», avevano partecipato direttamente o indirettamente alla Rivoluzione di Febbraio.
La ragione dello scontro di questi generali era la stessa per la quale avevano sostenuto la cospirazione contro lo Zar e il colpo di stato di febbraio: il desiderio di avere ruoli di rilevanza nella vita politica del Paese. Infatti mentre Alekseev, Brusilov, Kornilov, Denikin, Krimov, Kolčak rovesciarono lo Zar e si dedicarono ai loro sporchi giochi politici, ci furono altri generali che rimasero fedeli a Nikolaj II (Nicola II) e alla parola del giuramento effettuato, e rifiutarono qualsiasi collaborazione sia con i «rossi» che con i «bianchi» e per questo motivo pagarono con le loro vite.
Ricordiamoli.

conte Keller
Il conte Fëdor Arturovič Keller, generale e comandante del 3° Corpo di Cavalleria, il quale si rifiutò di riconoscere l’atto di abdicazione dello Zar e di giurare fedeltà al governo provvisorio criminale e di servirlo. Il 5 aprile 1917, Keller fu rimosso dal comando della sua unità militare con l’accusa di essere un sostenitore della Monarchia. Keller dovette abbandonare la carriera militare e si ritirò a vita privata in un piccolo villaggio russo. Nel 1918 Alekseev e Denikin invano chiesero al conte Keller di arruolarsi nell’esercito volontario. Keller in una lettera scritta al generale Denikin rispose categoricamente, spiegando le ragioni del suo rifiuto: «Ho sempre ritenuto disgustoso e degno di disprezzo quando le persone sono pronte a cambiare le loro opinioni per il bene personale, il profitto o la sicurezza personale, ma purtroppo la maggioranza delle persone sono così. Il nostro capo di stato può essere solo un sovrano legittimato dall’appartenenza alla famiglia reale. Dichiara che stai seguendo il legittimo Sovrano e tutte le persone che desiderano un potere solido e legittimo ti seguiranno senza esitazione. Kornilov è un generale rivoluzionario. Io invece posso guidare un esercito solo con Dio nel mio cuore e un re nella mia anima. Solo la fede in Dio e il potere dello Zar può salvarci, solo il vecchio esercito e il pentimento popolare possono salvare la Russia. Vediamo che cosa ci ha portato la rivoluzione: vergogna e umiliazione senza precedenti. Esattamente nulla verrà dall’impresa Kornilov. Ricorda le mie parole: finirà con la morte e tante altre vite innocenti moriranno«.
Keller era disposto a combattere solo nei ranghi di un esercito, il cui obiettivo era ripristinare la legittima monarchia in Russia. In effetti, il generale Keller può essere definito l’unico vero generale «bianco». Infatti, quando alla fine del 1918, il conte decise di procedere con la formazione di un esercito monarchico, furono cucite croci bianche sulle sue uniformi. Degli altri generali, sia «rossi» che «bianchi», il conte Keller diceva: «Alcuni aderiscono all’orientamento dei paesi dell’Intesa, altri aderiscono all’orientamento tedesco, ma entrambi hanno dimenticato il loro orientamento russo«.
Il conte Keller fu ucciso dai petliuristi ucraini il 21 dicembre 1918 a Kiev. Fino al suo ultimo respiro, il generale Keller rimase fedele al giuramento reale e alle sue convinzioni monarchiche.

generale von Rennenkampf
Il generale di cavalleria Pavel Karlovič von Rennenkampf è noto per la sua devozione alla monarchia. Mostrò enorme coraggio nella soppressione delle truppe rivoluzionarie in Siberia nel 1905. Durante la prima guerra mondiale, dopo le sconfitte subite nella Prussia orientale e vicino a Lodz nel 1915, il generale fu licenziato e visse a Pietrogrado. Nel febbraio del 1917, von Rennenkampf fu arrestato con l’accusa di essere un pericoloso monarchico e fu rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo. Nell’ottobre 1917, i bolscevichi lo liberarono. Molto probabilmente speravano che il generale di origini tedesche fosse stato grato loro e si fosse unito alla loro causa. Ma questo non accadde. Il generale von Rennenkampf partì per Taganrog, dove si nascose sotto falso nome. Poco dopo però fu scoperto e i bolscevichi gli offrirono il comando di un’unità dell’Armata Rossa e in caso di rifiuto lo minacciarono di morte. Il generale von Rennenkampf aveva buone ragioni per accettare le proposte bolsceviche, ma rifiutò dicendo: «Sono vecchio, mi resta poco da vivere, per il gusto di salvarmi la vita non diventerò un traditore e non andrò contro il mio Zar. Datemi un esercito ben armato e andrò a combattere contro i tedeschi, ma non avete un esercito degno di tale nome; guidare il vostro esercito significherebbe condurre le persone al massacro, non mi assumerò questa responsabilità«.
Pensate a queste parole! Il generale von Rennenkampf, anche di fronte alla morte, rifiutò di partecipare alla guerra fratricida! E confrontate ora queste parole con l’entusiasmo di Kolčak per l’auspicata guerra civile.
Per ordine personale di Antonov-Ovseenko, il generale von Rennenkampf fu brutalmente assassinato nella notte del 1° aprile 1918. I soldati russi si rifiutarono di sparare al vecchio generale e fu dato quindi ordine ai Circassi per essere fatto a pezzi. I Circassi lo uccisero sottoponendolo ad una lunga agonia utilizzando armi da taglio ben affilate. Pochi giorni prima, il generale von Rennenkampf si era convertito all’ortodossia.

generale Khan di Nachičevanskij
Il generale Husejn Khan di Nachičevanskij. Di religione musulmana, si rifiutò di giurare fedeltà al governo provvisorio e inviò un telegramma all’imperatore Nikolaj II (Nicola II) esprimendo la sua devozione e disponibilità ad accorrere in soccorso. Per ordine del generale Brusilov, il generale Husejn Khan di Nachičevanskij fu rimosso dal comando e licenziato. Dopo il colpo di stato bolscevico, Husejn Khan di Nachičevanskij fu arrestato e imprigionato nella fortezza di Pietro e Paolo. Il 29 gennaio 1919 fu fucilato dai bolscevichi. La sua tomba non è ancora stata trovata.
Come vediamo, tra i generali russi c’erano quelli che preferirono la morte al tradimento del giuramento e alla partecipazione alla guerra fratricida.
Parlando di ciò che potrebbe avrebbe potuto salvare la Russia, il generale Keller indicò il pentimento popolare. Keller avvertì le ragioni spirituali di ciò che stava accadendo. Per Keller i primi a pentirsi dovevano essere i generali russi, quelli che avevano tradito il giuramento e si erano recati al servizio della rivoluzione (non importava se fosse per Kerenskij o per Lenin, cioè per i «bianchi» o per i «rossi»). Invece, questi generali presero parte alla guerra fratricida.
Quando in Occidente si parla della Guerra Civile russa, la si presenta sinteticamente come una guerra tra ideologi socialisti e masse di operai e contadini da una parte (i «rossi») e la stragrande maggioranza di generali e ufficiali dell’esercito imperiali che erano confluiti nell’Armata Bianca. Niente di più falso. In effetti, se confrontiamo il numero e il grado di generali e alti ufficiali dell’ex esercito imperiale schierati con i bolscevichi con quelli schierati nell’Armata Bianca, noteremo che la maggior parte di questi ufficiali erano schierati proprio con i bolscevichi.
Un’analisi più dettagliata mostra come gli ufficiali dell’ex esercito imperiale schierati nell’Armata Bianca erano principalmente ufficiali abituati alla lotta sul campo di battaglia, mentre gli ufficiali dell’ex esercito imperiale schierati con i bolscevichi erano principalmente ufficiali dediti alla strategia da impiegare e ufficiali dell’intelligence, cioè analisti e strateghi. L’Armata Bianca poteva contare solo due grandi strateghi che avevano esperienza nella pianificazione di operazioni militari strategiche e comando e controllo: Alekseev e Judenič. Se ricordiamo che Alekseev morì all’inizio della formazione del Movimento Bianco e che Judenič non prese parte alle principali battaglie della Guerra Civile, allora capiamo che il vantaggio che ebbero i bolscevichi fu enorme.
Furono questi staff di strateghi e personale dei servizi segreti dello Zar che formarono l’Armata Rossa, e furono loro a sconfiggere Kolčak, Denikin e Vrangel.
Inoltre Kolčak era un ammiraglio e non aveva esperienza nella conduzione di operazioni militari terrestri. Il capo del suo staff, il generale Lebedev nell’esercito imperiale, era solo un colonnello con compiti di foresteria nel quartier generale sotto il comando supremo. È chiaro che la sua esperienza non era paragonabile a quella degli strateghi bolscevichi. Infatti, proprio a causa del completo fallimento della campagna militare, Kolčak nell’agosto del 1919 rimosse Lebedev da tutti gli incarichi.
Lo stesso accadde nell’esercito del generale Denikin il quale aveva affidato il comando delle operazioni all’ex capo di Stato Maggiore dell’esercito imperiale, il generale Romanovskij il quale però non aveva esperienza nella conduzione e nella pianificazione di operazioni su larga scala.
Diversa la situazione del barone Vrangel. Il capo del suo staff, il generale Shatilov, era, in primo luogo, un abile leader militare e, inoltre, durante la prima guerra mondiale acquisì anche notevole esperienza di combattimento.
Ora due parole sull’Ortodossia e l’Armata Bianca. Nonostante il fatto che i «Bianchi» in ogni modo flirtassero con l’Ortodossia, non divenne mai l’essenza del Movimento Bianco». Kolčak, al momento della sua partecipazione alla guerra civile, non era ortodosso. Mentre era ancora in Giappone, l’ammiraglio si convertì al buddismo militante Zen. Condivise pienamente il suo dogma di base. Per quanto riguarda l’Ortodossia, Kolčak si comportò come Napoleone con la Chiesa cattolica, che, secondo il piano di Bonaparte, doveva diventare uno strumento nelle sue mani.
Il generale Denikin era certamente un uomo ortodosso, ma la sua era l’ortodossia di un tipico intellettuale russo. Un eminente gerarca di chiesa, il metropolita Veniamin scrisse nelle sue memorie che in uno degli incontri di Denikin, quando fu discussa la questione della fede, capì che non fu la religione a muovere i Bianchi.
La strategia dei leader dell’Armata Bianca come Kolčak, Denikin e Vrangel, dipendeva interamente dai governi dei paesi dell’Intesa. Ed i governi dei paesi dell’Intesa li supportarono finché fecero parte dei loro piani per la frammentazione e lo smembramento della Russia. Lo stesso Kolčak in seguito disse che gli alleati (specialmente dopo la sconfitta della Germania nell’autunno del 1918) non cercarono una rapida e decisiva vittoria dell’Armata Bianca sui bolscevichi, perché era nel loro interesse indebolire la Russia durante la guerra civile per poterla poi frazionare in moltissimi piccoli stati più facili da influenzare e controllare.
Nella primavera del 1918, nell’alto comando dei paesi dell’Intesa, c’era un piano generale per il rovesciamento del regime bolscevico, che essi percepivano come filo-tedesco e l’istituzione del loro controllo sulla Russia. Tutte le forze anti-bolsceviche erano subordinate al generale francese Pierre-Thiébaut-Charles-Maurice Janin. Fu deciso di iniziare con l’intervento giapponese, che si sarebbe basato su elementi antisovietici all’interno della Russia. Il generale Janin stesso scrisse nelle sue memorie: «Mi fu raccomandato di fare ogni sforzo per organizzare il più ampio intervento giapponese, fino agli Urali«.
Considerando che a quel tempo gli inglesi erano sbarcati a Murmansk, i rumeni avevano occupato la Bessarabia e che giapponesi, francesi e statunitensi stavano realizzando piani per l’occupazione dell’Estremo Oriente, della Siberia e degli Urali, risultano evidenti le intenzioni di smembramento della Russia da parte dei paesi dell’Intesa. È interessante notare che per assumere istruzioni in merito, il generale francese fu convocato a New York.
Lo scoppio della guerra civile in Russia faceva parte dei piani delle potenze occidentali. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia desideravano essere sicuri che chiunque avesse vinto la sanguinosa battaglia russa, «rossi» o «bianchi», questi vincitori fossero stati completamente sotto il suo controllo.
Migliaia di giovani belle vite russe furono deposte sull’altare dell’ambizione di Kornilov, Kolčak e Denikin. Centinaia di migliaia di persone russe sono state ingannate dai leader dell’Armata Bianca i quali li convinsero che stavano combattendo per la Russia. Combatterono in realtà per volontà dei capi di stato di alcune potenze straniere, le quali sfruttarono le ambizioni personali di questi traditori.
Luca D’Agostini
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