Sovrani e principi fecero a gara per ottenere le sue opere, le corti di palazzi signorili ambirono ad averlo ospite nelle loro sale splendenti, scrittori e poeti considerarono un privilegio la conversazione con lui. Parlò con i grandi del tempo come un loro pari e nelle loro lingue.
Antonio Canova nacque a Possagno, in provincia di Treviso, il 1° novembre 1757. Suo padre, Pietro Canova, lavoratore della pietra e architetto, morì quando suo figlio aveva quattro anni. La madre, Angela Zardo, appartenente a una famiglia benestante di scalpellini, si risposò con Francesco Sartori. Da quel matrimonio nacque il fratellastro di Antonio Canova, Giovanni Battista Sartori, il quale in seguito divenne vescovo e fervido sostenitore del suo fratellastro. Antonio Canova, dall’età di quattro anni rimase a vivere solo con il nonno paterno, Pasino Canova, uno scalpellino noto nei paesi limitrofi per i suoi interventi scultorei in chiese e ville, e che era legato alla bottega di Giuseppe Bernardi, uno dei Torretti. Il nonno lo portò sempre con sé, così il piccolo Canova prese confidenza con l’arte degli scalpellini.
A soli nove anni iniziò a lavorare come garzone nella vicina Pagnano, presso la bottega di Giuseppe Bernardi. Per pochi soldi e il vitto giornaliero lo seguì anche a Venezia, dove iniziò la sua avventura di artista.
Il giovanissimo Antonio Canova dimostrò di saper trattare la pietra e il marmo quasi fossero materiali duttili e la precoce abilità gli procurò i primi incarichi. Scolpì in questo periodo i due canestri di pietra.
Il nonno vendette un campo per farlo studiare. Poté così lavorare mezza giornata e frequentare l’accademia del nudo e la galleria Farsetti. La collezione di calchi, copie, bozzetti raccolti da Filippo Farsetti, gli consentì di conoscere la scultura antica e quella italiana dall’ultimo Rinascimento ai suoi giorni, di studiare tecniche e forme, di esercitarsi nel disegno. Quando molti anni dopo, la parte più consistente della collezione del Farsetti fu venduta lo zar Paolo I, caricata su due navi e trasportata a San Pietroburgo, in una lettera accorata Canova espresse il suo dolore per la partenza di quel materiale da lui giudicato sceltissimo e prezioso.
Antonio Canova era appassionato dai testi classici. La favola di Orfeo, il cantore poeta che scende nell’Ade per riprendere la ninfa Euridice, era molto popolare tra i contemporanei del Canova e molti artisti e musicisti la scelsero come tema delle loro opere. Il senatore Falier commissionò al giovane scultore, per la sua villa di Pedrazzi di Asolo, una Euridice in pietra. Canova riuscì a rappresentarla in modo così toccante che Falier lo convinse a realizzare, sempre in pietra, anche Orfeo. Due anni dopo, Canova ne eseguì una replica in marmo. Orfeo e Euridice sono separati dalla morte. Euridice trascinata indietro dalla mano della furia è perduta per sempre. Orfeo è disperato perché non riesce a strappare alla morte la donna amata. Il gruppo scultoreo di Orfeo ed Euridice è custodito nel salone da ballo del Museo Correr a Venezia.

Orfeo ed Euridice (Museo Correr — Venezia)
Nel marmo e nella pietra Canova riuscì a rendere con grande intensità sentimenti affetti. La curiosità è l’interesse intorno al Canova crebbero e gli incarichi si moltiplicarono.
Il gruppo di Dedalo e Icaro, scolpito nel 1779 per il procuratore Pietro Vettor Pisani, fu esposto in piazza San Marco per la fiera dell’ascensione, come era avvenuto per l’Orfeo. La scultura marmorea, alta 2,20 m è conservata al Museo Correr di Venezia. Le due figure, idealizzata quella del fanciullo, naturalistica quella del vecchio, si aprono dando spazio al vuoto centrale. I sentimenti di entrambi, mentre si preparano al volo dall’esito imprevedibile, sono espressi in modo vivo senza sforzo. Per la prima volta adotta una tecnica che gli sarà consueta e che perfezionerà, quella della derivazione della scultura in marmo da un modello in gesso di grandezza naturale. Tutti noi conosciamo la storia di questo mito, con il padre che fornisce le ali di cera al figlio, il quale vola in alto in cielo. Ma poi, per via dei raggi del sole, le ali si sciolgono e Icaro cade giù. Però guardate bene questa scultura!

Dedalo e Icaro (Museo Correr — Venezia)
La persona accanto a Icaro è troppo anziana per essere il padre del bambino. Qui in realtà c’è un’altra simbologia. Non Dedalo e Icaro, ma in realtà il Canova con il nonno, con il quale aveva vissuto a lungo per via della prematura scomparsa del padre. Ricordate, l’abbiamo descritto all’inizio dell’articolo: il nonno di Antonio Canova si chiamava Pasino ed era uno scalpellino. Ed infatti, nella statua, ai suoi piedi, lo scultore ha inserito un’altra simbologia importante. Ai piedi dell’anziano, per indicare che rappresentasse il nonno, il Canova ha scolpito una mazzetta e lo scalpello.
L’ammirazione e il consenso divennero unanimi. I 100 zecchini del compenso, resero possibile il viaggio a Roma desiderato da tempo. Canova si immerse subito in un fervido clima di riscoperta della classicità. Fu ospitato nel palazzo dell’ambasciatore di Venezia e cominciò una sistematica esplorazione della città. Visitò le chiese, i palazzi, i musei, e disegnò le statue antiche del Campidoglio e del Vaticano. Frequentò anche le scuole di nudo dell’Accademia di Francia del Campidoglio e annotò in un diario iniziato il giorno della partenza, tutte le sue impressioni. Gli incontri con gli artisti veneti erano frequenti e nacquero anche nuove durature amicizie.
In questo periodo di intensi studi e di appassionate discussioni, Canova raggiunse un’approfondita conoscenza dell’arte classica, un bagaglio culturale di eccezionale complessità. La sua concezione dell’arte si perfezionò, creare significava elaborare una idea originale, modificarla in una ricerca mai soddisfatta di perfezione e poi evolverla fino a darle una forma compiuta.
L’ideazione dell’Amorino Alato, scolpito in più versioni con poche varianti, è paragonato alle antiche statue greche per la semplicità e la purezza del modellato. La versione commissionata nel 1794 dal principe russo Nikolaj Jusupov, ha ali più grandi e maggiore delicatezza del corpo. Canova se ne separò con dispiacere e seguì con trepidazione il suo viaggio verso San Pietroburgo. Si tranquillizzò solo quando seppe che era arrivato a destinazione. Il poeta Aleksandr Sergeevič Puškin si recò più volte nel palazzo del principe Jusupov per poterlo vedere. La statua oggi si trova al museo Hermitage di San Pietroburgo.

Amorino Alato (Hermitage — San Pietroburgo)
Per il gruppo di Amore e Psiche che si abbracciano, Canova scelse un momento di azione tratto dalla favola dell’Asino d’Oro di Apuleio. Psiche, trasgredendo il divieto di Venere, apre il vaso consegnatole da Proserpina mentre sviene tende le braccia di Amore. L’opera ha una complessità strutturale realizzata con delicata semplicità e segue un andamento melodico. Lo straordinario scatto delle ali accompagna il bacio divino. Le parti scolpite e il vuoto intermedio hanno identico valore, il piedistallo girando su un perno, moltiplica il punto di vista ed offre una visione animata. Psiche sembra riavere vita. La prima versione è presente al Louvre di Parigi, mentre il gruppo scultoreo presente all’Hermitage di San Pietroburgo è una replica che Canova eseguì per rispondere alle continue richieste della zarina Caterina II.

Amore e Psiche (Louvre — Parigi)

Amore e Psiche (Hermitage — San Pietroburgo)
Qualche anno dopo, Canova riprese il tema scolpendo Amore e Psiche in piedi. I due gruppi furono acquistati da Gioacchino Murat ed esposti nel Castello di Wilier, dove Napoleone li vide e ne restò profondamente attratto. Attualmente sono al museo del Louvre. Contrapposti e complementari vengono interpretati come simboli della Lussuria e dell’Innocenza. I due giovani in piedi sono rappresentati in un colloquio sereno. La farfalla posta in equilibrio tra le due mani, è come presso i greci, la personificazione dell’anima.

Amore e Psiche in piedi (Louvre — Parigi)
Il trasferimento a Roma divenne definitivo. Le commissioni sempre più impegnative, per sculture, opere monumentali, gli imposero l’organizzazione di un grande studio con molti lavoranti. Canova approfondì la ricerca tecnica, il procedimento lavorativo divenne nuovo, egli fissò la sua intuizione nella creta che meglio si adattava alla mobilità del pensiero. Spesso anche schizzi e disegni precedevano l’esecuzione. Dal bozzetto passava al modello della stessa grandezza delle opere in marmo. Nel successivo calco in gesso, i lavoranti segnavano con chiodi minuscoli le misure, affinché le esecuzioni in marmo rispettassero con precisione il modello.
Nello studio di Via San Giacomo a Roma (una traversa di Via del Babuino), Canova seguiva tutte le fasi del lavoro e riservava a sé, in una stanza appartata, la finitura, l’ultima mano. Mentre scolpiva ascoltava la lettura di pagine di storia e di poesia classica.
Il viaggio a Vienna confermò la sua fama internazionale. L’idea della morte come meditazione trovò concreta rappresentazione nel monumento funebre di Maria Cristina. La stretta porta sta per inghiottire prima le giovani donne e i fanciulli, ultimo il vecchio mendicante. Il ritmo è lento e senza emozione. Il genio funebre appoggiato al dorso del leone, mette in evidenza la composizione asimmetrica, pura e razionale. In questo equilibrio di vita e di morte, di luci e di ombre, con distacco ma senza freddezza, si afferma il classicismo idealistico di Canova. Il monumento funebre si trova all’interno della Chiesa di Sant’Agostino a Vienna.

Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria (Chiesa di Sant’Agostino — Vienna)

Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria (Chiesa di Sant’Agostino — Vienna)

Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria (Chiesa di Sant’Agostino — Vienna)
Le varie versioni delle opere che uscirono dallo studio ebbero committenti illustri. Il primo esemplare della «Maddalena penitente» fu commissionato dal vescovo veneziano Priuli, il quale desiderava un’opera di carattere religioso. L’idea di una giovane donna che fa penitenza nel deserto è originaria di Canova, il quale la ritenne piena di espressione e di verità. L’opera, il primo marmo di Canova che raggiunse Parigi, fu definita stupefacente ed aprì un dibattito sul rapporto tra linguaggio pittorico e linguaggio plastico.

Maddalena penitente (Palazzo Bianco, presso Palazzo Doria-Tursi — Genova)
Canova fu nominato da Pio VII, Ispettore Generale delle Antichità e delle Belle Arti di Roma, lo stesso incarico che ebbe precedentemente Raffaello. Il papà emanò una legge che impediva che le opere d’arte e di scavo fossero portate fuori dal territorio dello Stato. I Musei Vaticani furono depredati di opere famose e Pio VII per reintegrarli acquistò da Canova «I due pugilatori». Creugante e Damosseno furono protagonisti ai Giochi Nemei di uno spareggio finale. Ognuno di loro poteva vibrare un solo colpo. Le due statue concepite per una collocazione ravvicinata, furono precedute da una lunga ideazione. Canova dimostrò la sua abilità anche nello stile eroico e inviò i calchi del Creugante alle principali accademie in Europa.
Il suo studio divenne sempre più un laboratorio di ideazione di ricerca e punto di riferimento per artisti e letterati provenienti da ogni parte d’Europa. Nel frattempo Canova amava scrutare le sue sculture alla luce delle candele e passava molte ore di notte nel laboratorio, studiando gli effetti della luce e delle ombre.
Napoleone Bonaparte, al vertice della sua ascesa invitò con insistenza Canova a Parigi, per ritrarre lui e i suoi familiari. Napoleone voleva una propria statua, a grandezza naturale, da posizionare a Place Vendôme. Il Canova l’accontentò, ma non rispettò le indicazioni di Napoleone e realizzò una statua come invece desiderava rappresentarlo lui. L’artista, lo raffigurò così in una statua di grandezza superiore al reale, lo rappresentò come Marte Pacificatore.

Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore (Aspley House — Wellington Collection — Londra)
Non un Napoleone vestito con un’armatura e la spada, che era ciò che desiderava l’Imperatore. Canova invece lo realizzò con una nudità completa che non piacque affatto a Napoleone. Occorre considerare che la foglia di fico sulla statua fu posta successivamente. Poi Napoleone era basso di statura e vicino a questa statua veniva ridicolizzato. La statua fu rifiutata da Napoleone e sistemata in un locale secondario del Louvre, che all’epoca era denominato Museo Napoleone. Dopo Waterloo i francesi vendettero questa enorme statua al governo inglese che la donò a Wellington, il quale aveva sconfitto Napoleone proprio nella battaglia di Waterloo. Il duca di Wellington decise di mettere questa statua dentro la sua casa. Ma la statua era enorme e non vi entrava. Così Wellington abbatté la parete d’ingresso e una parte del soffitto, realizzando una scala a chiocciola per entrare dentro gli ambienti della sua casa. Tutti gli ospiti di Wellington, appena giunti nella sua casa si trovavano di fronte questa enorme statua e a chi gli diceva: «guarda che così Napoleone te lo ritrovi in casa!«, Wellington rispondeva: «Si, ma era da una vita che sognavo di farlo prigioniero e lo vedo prigioniero in casa mia, ogni giorno!«
Nei molti ritratti dell’Imperatore, alcuni dei quali erano copie commissionate dalla famiglia, Canova fermò l’espressione che lo colpì, quella di Napoleone quando era ancora Primo Console. L’opera attualmente si trova all’Hermitage di San Pietroburgo.

Napoleone Bonaparte (Hermitage — San Pietroburgo)
Durante il suo soggiorno a Parigi frequentò l’ambiente di corte. Napoleone gli offrì la carica di direttore generale del suo museo. Canova rifiutò ma conversò a lungo con lui mentre ritraeva l’Imperatrice.
Infatti, tra il 1804 e il 1808, Canova realizzò la statua «Paolina Borghese come Venere vincitrice», oggi conservata ed esposta alla Galleria Borghese di Roma.
Paolina Bonaparte era la sorella di Napoleone I e sposa in seconde nozze del principe romano Camillo Borghese, con il quale si era unita nel 1803. Fu proprio per celebrare il matrimonio con Paolina che Camillo Borghese commissionò l’opera al Canova nel 1804: quando la donna iniziò a posare per lo scultore aveva venticinque anni ed era all’apice del proprio splendore sociale, anche grazie al titolo di «Altezza Imperiale» assunto l’anno precedente, quando il fratello Napoleone si era proclamato Imperatore a Notre-Dame.

Paolina Borghese come Venere vincitrice (Galleria Borghese — Roma)
Canova si rivolse a Napoleone esprimendo con fermezza la convinzione che le opere d’arte dovevano restare nei luoghi dove erano sono state create.
Più tardi nel 1815, dopo la sconfitta di Waterloo, Canova fu inviato dal Cardinale Consalvi a Parigi dove riuscì ad ottenere dai sovrani degli stati vincitori il ritorno in Italia di gran parte del patrimonio artistico asportato da Napoleone.
Venere, con la sua bellezza, feconda la natura e rallegra la vita umana. Firenze dovette consegnare con dolore ai francesi l’antica Venere de’ Medici. Così la città di Firenze chiese a Canova una sostituzione, una replica. Il grande scultore, per sottolineare la novità dell’invenzione della nuova opera, esigette che la sua Venere chiamata poi «Italica» non fosse collocata sul vecchio piedistallo. Venere, appena uscita dal bagno, viene sorpresa nell’atto spontaneo di asciugarsi. La figura inclinata, la veste appena umida, trasmettono un brivido di naturalezza. I letterati e i critici discussero a quale delle due statue, l’antica o la moderna, spettasse il primato della bellezza. Oggi, la Venere de’ Medici è conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze. La Venere Italica è sempre conservata a Firenze, ma presso la Galleria Palatina, all’interno del Palazzo Pitti.

Venere de’ Medici (Galleria degli Uffizi — Firenze)

Venere Italica (Galleria Palatina — Palazzo Pitti — Firenze)
I teatri e gli spettacoli attraevano e sollecitavano la sua ispirazione. Canova confidò ad un amico il suo interesse per il ballo e il suo desiderio, avendone il tempo, di impararne i principi. L’immagine di figure danzanti, tante volte fermata in disegni e dipinti, prese vita nella «Danzatrice con le mani sui fianchi». Commissionata da Joséphine (Giuseppina) De Beauharnais, la prima moglie di Napoleone, fu chiamata dallo stesso Canova, «Musa della danza morosa». Molte ballerine si specchiarono in quella immagine e ne trassero un suggerimento per nuovi movimenti di danza. Il modello in gesso della «Danzatrice con le mani sui fianchi» fu perfezionato verso la fine del 1806, mentre la versione in marmo fu ultimata negli ultimi mesi del 1811. Quello stesso anno, la Danzatrice fu inviata in Francia dove fu esposta con grandissimo successo al Salone di Parigi. Nel 1815, subito dopo la morte di Joséphine De Beauharnais, quest’opera fu acquistata dallo zar di Russia Alessandro I.

Danzatrice con le mani sui fianchi (Hermitage — San Pietroburgo)
Una copia in marmo della testa della danzatrice conservata all’Hermitage di San Pietroburgo, fu inviata in dono da Canova al Lord Wellington per ringraziarlo del contributo dato al ritorno in Italia dei capolavori trafugati.
Luigi di Baviera davanti alla statua di Ebe, la coppiera degli Dei, disse: «Sono prigioniero di una magia!» Ebe avanza con passo sicuro mentre la veste ondeggia. Canova pose particolare attenzione all’espressione del volto, volutamente impassibile, e difese questa scelta il nome del bello. Una versione della scultura fu esposta al Salone di Parigi dove suscitò curiosità e interesse. La commistione di materiali diversi si rivelò un’originale soluzione compositiva. A quel tempo aveva anche una leggera coloritura delle parti nude del corpo, in contrasto con il marmo bianco delle vesti.
Della statua esistono ben quattro versioni, autografe di Canova, oltre all’originale modello in gesso. La prima fu eseguita nel 1796 su commissione del conte Giuseppe Giacomo Albrizzi e fu inviata a Venezia poco prima della fine dell’anno 1799; successivamente fu ceduta al collezionista veneziano Giuseppe Vivante Albrizzi, il quale la vendette nel 1830 al re di Prussia Federico Guglielmo III. Questa primo esemplare oggi si trova presso l’Alte Nationalgalerie a Berlino.
La seconda versione dell’Ebe, invece, fu scolpita su richiesta della prima moglie di Napoleone, Joséphine (Giuseppina) De Beauharnais. Esposta nel Salone di Parigi nel 1808, l’opera entrò a far parte delle collezioni imperiali russe nel 1815, ed oggi è esposta al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo.

Ebe (Hermitage — San Pietroburgo)
Ambedue le versioni destarono aspre critiche. A non piacere erano l’impiego del bronzo per la coppa e di una patina rosata applicata per conferire verosimiglianza all’incarnato dell’Ebe. Inoltre l’opera fu criticata per la presenza di una nuvola ai suoi piedi (motivo desunto dal repertorio figurativo barocco e pertanto sentitamente disprezzato) e la mancanza di espressione nel suo volto. Ai diversi detrattori Canova rispose in questo modo: «Mi sarebbe stata cosa assai facile il dargliela l’espressione, ma certamente alle spese di essere criticato di chi sa conoscere il bello; l’Ebe sarebbe diventata una baccante«.
Canova, in ogni caso, eseguì altre due versioni dell’Ebe: una fu scolpita nel 1814 e destinata a Lord Cawdor (oggi si trova a Chatsworth, nel Regno Unito), mentre l’altra fu eseguita nel 1817 su commissione della contessa Veronica Zauli Naldi Guarini, la quale intendeva rendere più sontuosa la propria abitazione a Forlì (oggi l’opera è esposta all’interno pinacoteca civica situata presso i Musei di San Domenico della città romagnola). In queste ultime due versioni Ebe non è più sostenuta da una nuvola, bensì si appoggia a un tronco d’albero, in seguito alle virulente critiche sopra menzionate. Il modello in gesso, donato da Canova al discepolo Pompeo Marchesi, è oggi esposto alla Galleria d’arte moderna di Milano.
Canova, nell’ideare il gruppo delle Grazie non seguì lo schema tradizionale secondo il quale la figura centrale volge le spalle a chi guarda, la pone invece frontalmente. Le figure laterali sono rivolte verso di lei, con uno scambio di sguardi. I numerosi disegni preparatori testimoniano l’intensa ricerca che ha preceduto la creazione. Il ritmo compositivo viene scomposto in movimenti diversi e posizioni invariate, di cui il velo e il filo conduttore. Le tre donne, simili eppure diverse, perfette ma vive ed espressive, parlano al sentimento e alla ragione. Le Tre Grazie è il nome assegnato a due sculture di Antonio Canova ritraenti le tre famose dee della mitologia greca e realizzate tra il 1812 e il 1817. Nella mitologia greca le Tre Grazie venivano rappresentate chiuse in cerchio tra loro. Invece in quest’opera il Canova ha voluto aprire la loro rappresentazione, per osservare le Tre Grazie che in realtà sono le tre virtù che gli antichi greci attribuivano ad una donna: la bellezza, l’intelligenza e l’abbondanza. Oltre la bellezza dell’intero gruppo scultoreo, colpiscono i dettagli delle acconciature dei capelli e l’armonia e la serenità che trasmettono i loro visi. Un vero capolavoro!
Ne esistono due versioni: la prima è conservata al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo, mentre una sua replica successiva è esposta al Victoria and Albert Museum di Londra.

Tre Grazie (Hermitage — San Pietroburgo)
Canova fu confermato creatore di un nuovo ideale di bellezza. La sua autorità come profondo conoscitore dell’arte e della civiltà antica era indiscussa. Canova soleva dire: «Lavoro anche quando dormo, sognando!«. Fu invitato a Londra per una perizia scientifica sui marmi del Partenone. Finalmente poté confrontare con la bella natura delle sculture del greco Fidia, il suo lavoro di una vita.
L’avventura umana e artistica di Antonio Canova, «il gran Canova» come lo definì Leopardi, si concluse con la sua morte avvenuta a Venezia il 13 ottobre 1822. Il medico che esaminò il corpo riscontrò la depressione delle costole, dovuta all’uso immoderato del trapano. Prima di morire già scelse la destinazione della grande ricchezza artistica che possedeva. Con i soldi che aveva guadagnato ricomprò tutto il suo borgo natale a Possagno e, sempre a Possagno, iniziò a costruire un tempio di cui aveva disegnato il progetto pensando di unire il Partenone con il Pantheon. La comunità del luogo contribuì con lavoro e materiali. Canova, con le insegne di «Cavaliere di Cristo» fu presente alla posa della prima pietra. Nel tempio che il fratellastro, il vescovo Giovanni Battista Sartori, portò a compimento con affettuoso rispetto, ogni particolare fu ideato da Antonio Canova.

Tempio di Canova (Possagno — TV)

Tempio di Canova (Possagno — TV)

Tempio di Canova (Possagno — TV)
L’itinerario artistico percorso nella sua vita dal Canova è mostrato nel grandioso e fantastico scenario della Gipsoteca, cioè la raccolta di 130 gessi appartenuti allo scultore Canova. La Gipsoteca è costruita accanto alla casa natale di Canova. Il suo fratellastro, il vescovo Giovanni Battista Sartori vi fece trasportare dallo studio di Roma i modelli e i gessi che testimoniano lo sforzo eroico e coinvolgente che impegnò fino all’ultimo il pensiero e il corpo di Antonio Canova.

Gipsoteca
Purtroppo decine dei gessi presenti nella Gipsoteca sono stati danneggiati e poi restaurati. Infatti, durante la Prima Guerra Mondiale, questa struttura fu colpita da due colpi di obice. Il primo sfondò il tetto, il secondo distrusse buona parte del pavimento. Nei mesi successivi, tra le rovine della Gipsoteca cadde anche molta neve e molta pioggia e i danni prodotti dai colpi di artiglieria si aggravarono.
Oggi comunque, tutta la Gipsoteca è stata restaurata così come tutte le opere presenti all’interno. Qualora programmaste una gita o un viaggio in Veneto, non dimenticatevi di fare tappa presso questa meraviglia.
Luca D’Agostini
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