Medico, scrittore e drammaturgo, autore di opere teatrali che rimasero nella storia. Questo articolo è dedicato ad uno degli scrittori russi più conosciuti: il genio Anton Pavlovič Čechov. Nacque a Taganrog, una piccola cittadina sul mare d’Azov, il 29 gennaio 1860. (1) Terzo di sei figli, Anton nacque in una famiglia di umili origini. Il nonno, servo della gleba e amministratore di una raffineria di zucchero, era riuscito a riscattare se stesso e la propria famiglia nel 1841 grazie al versamento di una grossa somma di denaro al proprio padrone. Il padre di Anton aveva un modesto negozio di drogheria, era un fervente religioso e dirigeva il coro della chiesa, ma era anche un uomo dispotico, molto violento e picchiava spesso la moglie ed i figli: «Mio padre cominciò a educarmi, o più semplicemente a picchiarmi, quando non avevo ancora cinque anni. Ogni mattina, al risveglio, il primo pensiero era: oggi sarò picchiato?«. (2)
Inizialmente non particolarmente brillante negli studi, a causa dei numerosi impegni per aiutare il padre e la mancanza di stimoli dovuta ad insegnanti che lo stesso scrittore definì «miserabili funzionari«, concluse il liceo in modo eccellente ed ottenne una borsa di studio che gli consentì di accedere all’università nella facoltà di medicina a Mosca, raggiungendo i genitori che si erano trasferiti tre anni prima a seguito del fallimento del negozio del padre. (3) Al liceo formò anche la sua visione del mondo, l’amore per i libri, la conoscenza, il teatro.
Attento osservatore della vita quotidiana, mentre frequentava l’università, cominciò a collaborare con giornali e riviste scrivendo brevi racconti umoristici e firmandoli con diversi pseudonimi per la vergogna di tale attività. (3) Un racconto gli veniva pagato cinque copechi, il corrispettivo di un pezzo di pane. (4)
Quando venne assassinato lo Zar Alessandro II, Čechov era poco più che diciottenne. In quegli anni tumultuosi il futuro scrittore si tenne lontano dai movimenti di ribellione che agitavano il popolo. (5)
Laureatosi in medicina nel 1884, esercitò la sua professione saltuariamente, soprattutto in occasione di epidemie e carestie, dedicandosi invece a quella che denominò «l’amante del cuore«, la letteratura. La medicina venne da lui definita invece la «moglie legittima«, un campo che decide di lasciare quando si rende conto che tutte le conoscenze acquisite non gli impedivano di salvare la vita ad una ragazza o ad un bambino. (3)
Quella del medico fu per lui comunque una passione irrinunciabile, visitava soprattutto contadini e vecchi malati da cui non si faceva pagare, raccoglieva fondi per chi non aveva neppure da mangiare e contemporaneamente scriveva centinaia di racconti con lo pseudonimo di Čechonte. Si trattava di piccoli racconti cui non dava alcuna importanza finché una lettera di Dmitrij Vasil’evič Grigorovič gli cambiò la vita. Fu proprio questo scrittore russo a cogliere in un racconto di Čechov del vero talento, suggerendogli la via per diventare scrittore: «smettete di scrivere in fretta, lavorate con calma, con precisione, scrivete con raccoglimento e concentrazione«. Da quel momento Čechov moltiplicò il suo impegno, sentendosi riconosciuto come vero scrittore. (4)
La professione di medico lo aiutò ad essere vicino a quei personaggi che descriveva nelle sue novelle «in cui si ride poco e resta sempre un grande amaro in bocca«; dei suoi protagonisti osservava le inquietudini e le insoddisfazioni, senza mai intervenire con soluzioni «salvifiche». (4) Čechov affermava: «L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi né di ciò che dicono, ma soltanto il testimone imparziale.» (5)
Quando arrivò a San Pietroburgo, Čechov incontrò l’editore Suvorin che gli offrì la sua amicizia e condizioni molto più favorevoli per scrivere. Un sodalizio che durò quattordici anni e fu interrotto a causa dell’Affare Dreyfus, in cui Čechov, a differenza dell’amico, si espose per difendere l’ufficiale francese ingiustamente accusato. (4)
Fu una delle poche volte nelle quali Čechov assunse una posizione netta, in controtendenza. Ogni volta che gli era stato chiesto di schierarsi anche politicamente, Čechov aveva contrapposto il suo: «io non sono un liberale, non sono un conservatore, non sono un progressista, vorrei essere un libero artista, nient’altro«. (4)
Ma anche scrivere gli costò parecchio: «per scrivere ho perso la nozione del tempo, do i numeri, sto diventando psicopatico, sono totalmente esaurito«. (4)
Scrisse più di duecento racconti e numerosi drammi, ancora oggi rappresentati in tutto il mondo con grandissimo successo. Alcuni dei più significativi sono: «Miseria», «Kastanka», «Nel crepuscolo», «Discorsi innocenti», «La steppa», «La voglia di dormire», «Una storia noiosa», «Ladri», «La camera n°6», «Il duello», «La corsia», «Mia moglie», «Il racconto di uno sconosciuto», «Il monaco nero», «La mia vita», «I contadini», «Un caso della pratica», «L’uomo nell’astuccio», «La signora col cagnolino», «Nel burrone».
I suoi racconti sono ammirevoli per la semplicità e la chiarezza, straordinari per l’arguzia e il senso d’umorismo. Čechov sapeva esprimere il suo profondo rispetto per la gente umile. (6) Era pessimista: vedeva la società irrimediabilmente alla deriva, schiacciata da un materialismo che impediva qualunque ribaltamento. La gente coltivava solo un obiettivo: avere. Il materialismo risultava più convincente che qualunque virtù. Ecco quindi che i personaggi di Čechov sono dei perdenti. Perdono perché non osano. Čechov fa emergere le aspirazioni dei personaggi, aspirazioni che sfidano il sistema, lasciando intravvedere un mondo migliore, per poi soffocarle tramite rinunce forzate o volontarie. Evidenzia una loro debolezza facendola intendere debolezza propria dell’uomo di fronte a scelte capitali: meglio dormire e non pensare che pensare e non dormire. La formula trascina con sé una rassegnazione dolorosa ma inevitabile. L’uomo è poca cosa e crede di essere immensa. (1)
Si ammalò di tubercolosi e soggiornò varie volte in sanatori per cercare di debellare il male che lo afflisse. (3)
Il più importante contratto economico della sua vita Čechov lo firmò con l’editore Adolf Marx, che acquisì i diritti su tutte le sue opere, presenti e future. In pratica, l’editore comperò lo scrittore. Il valore economico di quel contratto fu di 75mila rubli, una piccola fortuna a quei tempi. Ma Marx pagò la cifra in piccole rate, in cambio dei manoscritti che gli arrivavano. I soldi che Čechov riuscì a guadagnare grazie a questo contratto gli permisero di comprare una piccola casa a Yalta, ma forse quello fu il meno. In realtà, il contratto firmato con Marx rivestì nella vita di Čechov un ruolo molto più fondamentale, perché lo trasformò in un famoso commediografo. (7)
Incapace di trarre vantaggio dalla sua grande notorietà e nonostante i primi effetti della tubercolosi, Čechov partì per l’isola di Sachalin, ai confini della Siberia, affrontando un viaggio impegnativo per la distanza ed il clima rigido. Il suo scopo era quello di visitare le carceri in Siberia ed indagare sulla condizione terrificante di coloro che erano rinchiusi in quelle prigioni zariste, dove i prigionieri venivano deportati e conducevano una vita drammatica, sottoposti a sofferenze umani spaventose. Dopo un soggiorno di tre mesi sull’isola, Čechov pubblicò uno studio sociologico e psicologico molto documentato. Lo scrittore e il medico guardarono, ascoltarono, assistettero alle punizioni più efferate, ma il tono della sua scrittura non è mai esasperato o ossessivo, la prosa sintetica e asciutta. Il suo reportage ebbe per conseguenza l’abrogazione delle punizioni corporali, oggetto della sua denuncia. (4) (6)
Dopo un viaggio in Europa, dove visita Francia e Italia, decide di tornare nella sua Russia e si stabilì a Melichovo, nella periferia di Mosca, in una casa piena di alberi e di fiori, tanto da lui amati. Qui si dedicò al giardinaggio e scrisse alcuni dei suoi drammi teatrali indimenticabili come «Il gabbiano» e «Zio Vanja». (4) (5)
Nel 1897, la tubercolosi peggiorò e nel 1899 dovette lasciare la sua residenza nei dintorni di Mosca per il clima più secco della Crimea, andando a vivere a Jalta. (6)
Fu il fiasco della prima rappresentazione teatrale di «Il gabbiano», delusione che lo ferì crudelmente, a fargli incontrare la donna della sua vita: l’attrice Ol’ga Knipper con la quale si sposò nel 1901. La loro storia d’amore durò solo cinque anni tra separazioni, nostalgie, rimpianti, mentre scriveva «Il giardino dei ciliegi», emblema di un mondo che scompare per fare posto a chi quel giardino lo abbatterà, perché «in una società dove regna il profitto, non c’è salvezza per i giardini, perché chi ha i soldi per comprarli non ha la cultura per conservarli. La bellezza non rende, non ha dividendi«. (4)

Anton Čechov e sua moglie Ol’ga Knipper
Čechov morì a soli quarantaquattro anni il 15 luglio 1904, nella Foresta Nera in Germania, durante un viaggio con la moglie, alla ricerca di una possibile cura alla malattia che lo aveva colpito. (6)
Prima di chiudere per sempre gli occhi domandò un bicchiere di champagne e lo bevve lentamente. (3)
La bara con il corpo dello scrittore venne portata a Mosca in macchina. Anton Čechov è sepolto a Mosca, nel Monastero di Novodevičij, accanto alla tomba di suo padre.
Voglio concludere questo articolo con una selezione dei suoi aforismi.
Che fortuna possedere una grande intelligenza: non ti mancano mai le sciocchezze da dire. (3)
Dinanzi a Dio, Maria l’Egiziana non è inferiore agli altri santi. (8)
I dottori sono simili agli avvocati; la sola differenza è che gli avvocati ti derubano soltanto, mentre i medici ti derubano e per di più ti uccidono. (3)
L’amore, l’amicizia, la stima non legano tra loro gli uomini quanto un odio comune contro qualcosa. (9)
L’indifferenza è la paralisi dell’anima, è una morte prematura. (9)
L’onore non si può togliere, si può solo perdere. (9)
Nei certificati di nascita è scritto dove e quando un uomo viene al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo. (9)
Nella vita coniugale, l’essenziale, è la pazienza. Non l’amore: la pazienza! (8)
Non permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero. (3)
Qualsiasi idiota può superare una crisi; è il quotidiano che ti logora. (8)
Se avete paura della solitudine, non sposatevi. (3)
Un matrimonio felice può esistere solo fra un marito sordo e una moglie cieca. (3)
Una donna può esser amica di un uomo solamente in questa progressione: dapprima conoscente, poi amante e infine amica. (3)
Valutati di più: ci penseranno gli altri ad abbassare il prezzo. (3)
La buona educazione non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel non mostrare di accorgersi se un altro lo fa.(10)
La medicina è la mia legittima sposa, mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco di una, passo la notte con l’altra, ma non ho nessuna intenzione di divorziare. (4) (11)
L’intelligente ama istruirsi, lo stupido istruire. (12)
L’uomo è ciò in cui crede.(12)
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Cechov
(2) Anton Cechov, Lettera a Leontev-Sceglov, 9 marzo 1892.
(4) Fausto Malcovati, Il medico, la moglie, l’amante, Marcos y Marcos, Milano 2015.
(5) http://www.ildialogodimonza.it/anton-cechov-letteratura-medicina/
(6) Biografia
(8) Citazioni
(9) Frasi celebri
(10) Aforismi
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