Il generale Anton Ivanovič Denikin è stato una delle figure più importanti della Guerra civile russa.
Nacque il 16 dicembre 1872 a Włocławek, una città della Polonia centrale, all’epoca facente parte dell’impero russo.
Suo padre era di origine contadina, ma dopo 22 anni di servizio militare divenne un ufficiale e terminò la sua carriera come maggiore delle guardie di frontiera. Sua madre proveniva da una famiglia di piccoli proprietari terrieri poveri e caduta in povertà iniziò a lavorare come sarta.1
La famiglia viveva molto modestamente. Dall’infanzia, Anton sognava di seguire le orme di suo padre e dopo essersi laureato al college, nel 1890 si arruolò in fanteria.
Dopo aver completato un corso di formazione di due anni, fu promosso sottotenente e assegnato a una brigata di artiglieria. Nel 1895 si iscrisse all’Accademia Militare e nella primavera del 1899 fu promosso capitano, ma alla vigilia della sua laurea, il nuovo capo dell’Accademia, il generale Nikolaj Sukhotin, cambiò arbitrariamente le liste dei laureati. Denikin presentò una denuncia contro Sukhotin indirizzata all’Imperatore, ma dopo varie vicissitudini la sua denuncia fu respinta. Durante questi anni, Denikin mostrò il suo talento di scrittore, pubblicando con lo pseudonimo di Ivan Nochin vari articoli sul tema della vita militare.1
Negli anni successivi Denikin continuò a scrivere, criticando il comandante della sua brigata e il capo del distretto militare di Kazan, il generale Aleksandr Sandetskij. In generale, il colonnello Denikin criticò la burocrazia, la soppressione dell’indipendenza degli ufficiali e un atteggiamento scortese nei confronti dei ranghi inferiori. Sostenne la necessità di migliorare la formazione del personale di comando e la necessità di uno sviluppo rapido degli armamenti militari. Nel 1910, propose di convocare un congresso di ufficiali dello stato maggiore per discutere i problemi dell’esercito e elaborare modi per risolverli. Denikin non apparteneva a nessun partito politico, credeva che in Russia fosse necessario istituire una monarchia costituzionale, realizzare riforme radicali, modernizzare pacificamente il Paese.1
Nel 1914 fu promosso a generale e inviato nel distretto militare di Kiev dove Denikin istituì il Museo di Storia del suo reggimento, che divenne uno dei primi musei di unità militari dell’esercito imperiale russo.
Dopo la rivoluzione di febbraio, fu nominato capo di stato maggiore. Criticò fortemente le azioni del governo provvisorio per «democratizzare» l’esercito. Per aver espresso sostegno morale al generale Kornilov, fu imprigionato nella prigione di Berdičev.1
Poco dopo la caduta del governo provvisorio, il comandante supremo Nikolaj Dukhonin liberò i generali dalla prigione. Denikin arrivò nel Don, dove prese parte alla creazione dell’Esercito Volontario sotto la guida di Alekseev e Kornilov.
Durante la prima campagna di Kuban (o la campagna sul Ghiaccio), durata 80 giorni (44 dei quali con battaglie) l’Esercito Volontario guidato da Denikin si staccò dal nemico e andò ai confini del territorio di Don e Stavropol. La campagna sul Ghiaccio divenne una specie di battesimo dell’Armata Bianca, la sua leggenda generò eroi bianchi e tradizioni bianche.1
Dopo la morte del generale Alekseev avvenuta il 25 settembre 1918, Denikin assunse l’incarico di comandante in capo dell’Esercito Volontario. Durante la seconda metà del 1918, le truppe Bianche sotto il suo comando sconfissero le forze della Repubblica Sovietica del Nord Caucaso e occuparono l’intera parte occidentale del Caucaso settentrionale.1
Nel ruolo di comandante supremo, il generale Denikin mostrò le sue capacità organizzative e un’ampia visione tattica, strategica e operativa.
All’inizio del 1920, i resti dell’Armata Bianca si ritirarono nelle regioni cosacche, dove Denikin, già in possesso del titolo di Sovrano supremo della Russia ricevuto dall’ammiraglio Kolčak, cercò di formare un modello di stato nella Russia meridionale basato sull’unificazione dei principi statali di volontariato, autorità del Don e di Kuban. Istituì il governo della Russia meridionale. Tuttavia, il tentativo di contrattacco contro l’Armata Rossa, effettuato nell’inverno e nella primavera del 1920 fallì. Sotto la pressione dei generali scontenti, Denikin il 4 aprile 1920 nominò il generale Wrangel comandante dell’Armata Bianca.1
Subito dopo partì prima per la Turchia e da lì con una nave britannica si recò in Inghilterra dove fu ben accolto. Lasciata definitivamente la Russia iniziò a dedicarsi alle attività letterarie a tempo pieno. Più tardi, nell’agosto del 1920 si trasferì in Belgio, dove si stabilì con la sua famiglia a Bruxelles e si mise al lavoro su uno studio documentario approfondito inerente la Guerra civile russa dal titolo «Saggi sui problemi russi«.1 Denikin si allontanò quasi completamente dalla politica, dedicandosi alla letteratura e alla ricerca. Nel 1922 si trasferì in Ungheria, nel 1925 tornò in Belgio e nel 1926 si trasferì in Francia.
Con l’avvento dei nazionalsocialisti in Germania, Denikin condannò le politiche di Adolf Hitler. A differenza di una serie di esponenti dei Bianchi che avevano in programma di partecipare alle ostilità contro l’Unione Sovietica schierandosi dalla parte della Germania e dei suoi alleati, Denikin manifestò la ferma intenzione di sostenere l’Unione Sovietica e l’Armata Rossa nella lotta contro qualsiasi aggressore esterno.
Dopo l’invasione della Francia da parte dei nazisti, cercò di partire per la Spagna ma fu arrestato. I tedeschi offrirono collaborazione e assistenza a Denikin nell’attività letteraria, ma lui rifiutò. Fu poi rilasciato e si stabilì sotto il controllo del comandante tedesco e della Gestapo nelle vicinanze di Bordeaux. Nel 1942, le autorità tedesche suggerirono a Denikin di trasferirsi a Berlino e guidare le forze anti-bolsceviche tra gli emigranti russi, ma Denikin rifiutò. Durante la Seconda guerra mondiale, Denikin invitò gli emigranti russi a non sostenere il Reich.1
Nel 1945, Denikin si trasferì negli Stati Uniti, continuando a dedicarsi ad attività letterarie. Il 7 agosto 1947, Denikin morì di infarto all’ospedale dell’Università del Michigan ad Ann Arbor e fu sepolto in un cimitero di Detroit. Gli statunitensi lo seppellirono come comandante in capo dell’esercito alleato attribuendogli tutti gli onori militari dovuti.1
Nel 2005 il presidente Putin, vedendo le fotografie delle tombe di Denikin e del filosofo russo Il’in che erano in pessime condizioni, chiese al governo russo di impegnarsi attivamente per organizzare il rientro in Russia dei loro resti, dichiarando: «Non ritengo sia il caso di utilizzare il denaro pubblico per il trasferimento in Russia dei loro resti e per realizzare qui delle degne tombe per la loro sepoltura. Quindi mi occuperò personalmente io di tutto, pagando con il mio denaro«. Così è avvenuto, il presidente Putin ha pagato tutto di tasca sua, sovrintendendo addirittura ai disegni per la realizzazione delle loro tombe.
Così, il 2 ottobre 2005, le ceneri del generale Denikin e di sua moglie Ksenija Vasil’evna, insieme ai resti del filosofo russo Ivan Il’in e di sua moglie Natal’ja Nikolaevna, furono trasportate a Mosca per la sepoltura nel monastero di Donskoj.2 3 Il rientro in patria dei resti e delle ceneri è stato realizzato secondo le istruzioni fornite direttamente e dettagliatamente dal Presidente della Federazione Russa Russia Vladimir Putin, con il consenso della figlia di Denikin Marina Denikina-Gray.

Tombe del generale Denikin e del filosofo Il’in unitamente alle loro consorti

Tomba del generale Denikin e della sua consorte

Il presidente Putin di fronte alla tomba del generale Denikin
Luca D’Agostini
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