Angelina Ticonovna Samoshina nacque il 10 novembre 1924 nel villaggio di Nikitovka, nei pressi della città di Gorlovka, sita nell’attuale Repubblica Popolare di Donetsk.
Angelina era una bambina molto calma, modesta, capelli biondi sempre corti, occhi azzurri e un viso lentigginoso.
Frequentò la scuola con eccellenti risultati ed era l’orgoglio dei propri genitori, il papà Ticon e la mamma Anastasija. Aveva una sorella minore di nome Varvara ed un fratello maggiore di nome Aleksandr.
In un tema realizzato prima della guerra, mentre frequentava la terza media e che è ancora conservato nella sua scuola, Angelina scrisse parole che suonano emblematiche di quanto accadde in seguito: «Quando pensi alla tua vita futura, senti di trovarti in un ampio spazio aperto. Davanti a noi, giovani sovietici, le porte degli istituti di istruzione superiore sono spalancate, ci vengono date tutte le opportunità di creatività, di studio, di lavoro. Io credo che tutti noi dobbiamo ripagare il nostro Paese con il nostro amore, con la consapevolezza di un grande obiettivo comune. Il nostro Paese sta ancora vivendo i suoi giovani anni, il suo futuro sarà sempre più bello. E per garantire il futuro migliore possibile al nostro Paese, noi tutti dobbiamo combattere e dare la vita«.
Nel 1931 la sua famiglia si trasferì a Krasnodon. Durante gli anni del liceo aderì al Komsomol (L’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione) e divenne il leader di questa organizzazione politica giovanile all’interno della sua scuola.
Angelina amava molto la natura, la steppa in particolare e sognava di diventare un’insegnante di biologia.

La famiglia di Angelina Samoshina
Nel 1939 il suo fratello maggiore Aleksandr fu arruolato nell’Armata Rossa. Una sera di agosto del 1939 la famiglia Samoshin si riunì per la cena di saluto in occasione della partenza di Aleksandr. Il padre abbracciò suo figlio e gli disse: «Ricorda, figlio, se ci sarà una guerra, ci sarò anch’io a combattere insieme a te«. Allorché il volto della madre iniziò ad essere solcato dalle lacrime, ma Angelina si avvicinò alla madre e gli disse: «Mamma, ricorda, se ci sarà la guerra non mi tratterrai«.
Infatti il più grande amore di Angelina Samoshina era l’Unione Sovietica. Lei era follemente innamorata del suo Paese e così quando il 22 giugno 1941 l’Unione Sovietica fu attaccata e invasa, il suo cuore si spezzò. Ma non per tutti i residenti di Krasnodon i nazisti si rivelarono dei nemici. Tra loro c’erano gli ucraini seguaci del criminale Bandera, i quali decisero di schierarsi dalla parte dei tedeschi per una fetta di pane e una bottiglia di vodka. Questa feccia umana, feccia della peggior specie, ricoprì i ruoli di carceriere nei campi di concentramento nazisti e fu impiegata dai tedeschi anche come polizia locale di supporto alla Gestapo. Naturalmente Angelina odiava questi vili traditori che trovano oggi i loro discendenti nei sostenitori del colpo di stato ucraino, nella feccia di Maidan. Fortunatamente oggi la città di Krasnodon fa parte della Repubblica Popolare di Lugansk e la memoria degli eroi della Giovane Guardia in città è perfettamente preservata e onorata.

Angelina Samoshina

Parenti delle Giovani Guardie sotto il monumento di Krasnodon dedicato ai giovani eroi
Dopo la guerra la madre di Angelina Samoshina raccontò: «La guerra iniziò. Sin dal primo giorno in cui l’Unione Sovietica fu invasa Angelina non riuscì più a dormire. Voleva arruolarsi immediatamente ma la sua richiesta non fu accettata in quanto ancora minorenne. La notte era straziante sentire i suoi pianti e i suoi lamenti.
Uno dei primi giorni dopo l’invasione tedesca, io, Angelina e mio marito prendemmo il carretto e percorremmo 200 km in mezzo alla campagna in cerca di cibo. Incontrammo villaggi distrutti, incendi ovunque, persone che camminavano per la campagna con lo sguardo perso nel vuoto, senza avere più una casa dove andare. Angelina rimase scioccata. Sulla via del ritorno incontrammo un piccolo gruppo di soldati tedeschi ubriachi. Ci fermarono per controllare se avessimo cibo e bevande, ma non avevamo nulla. Uno di loro teneva in mano una foto di Stalin che aveva trafugato da qualche parte e bevendo sembrava stesse parlando di lui. Angelina saltò giù dal carro e gli strappò la foto dalle mani, urlandogli che non potevano permettersi nemmeno di pronunciarlo il nome di Stalin. Pulì la foto con cura e la tenne con se. I soldati tedeschi ubriachi scoppiarono in una fragorosa risata. Ci allontanammo, ma subito dopo io e mio marito le dicemmo di non ripetere più un simile comportamento. Le dicemmo che i nazisti certamente non avranno capito cosa lei avesse detto, ma che erano in grado di uccidere anche per molto meno.
Nell’estate del 1941, tutti gli studenti delle scuole superiori aiutarono i contadini nel raccolto e nel fare le provviste per l’inverno. Angelina iniziò a frequentare corsi per diventare infermiera, ma a causa della guerra non riuscì a completarli. I suoi amici venivano spesso nella nostra casa. Si rinchiudevano in una stanza e scrivevano. Immaginavo che stessero scrivendo volantini e una volta ne lessi uno. C’era un disegno e c’era scritto «Morte all’invasore». Angelina si accorse che lo stavo leggendo e mi chiese di giurargli che non avrei detto nulla al papà. Ho mantenuto la mia parola«.Unione
Angelina ed i suoi amici erano membri della Giovane Guardia di Krasnodon. Scrissero e distribuirono alla popolazione un’enorme volume di volantini. Angelina Samoshina e le sue amiche, sfidando il coprifuoco notturno e le pattuglie della Gestapo, attaccavano di notte i volantini nei luoghi ove di giorno era alta l’affluenza delle persone. Rubarono il pane dai depositi dei soldati tedeschi e raccolsero cibo da consegnare ai partigiani. Un giorno i tedeschi rubarono il bestiame da alcune fattorie di contadini e Angelina con i suoi amici riuscì a liberarli provocando grande ira tra i nazisti che già avevano assaporato l’idea di mangiare carne fresca per un po’ di tempo. La notte della vigilia del 25° anniversario della Rivoluzione di ottobre, Angelina ed i suoi amici appesero numerose bandiere sovietiche sugli edifici di Krasnodon. Il loro atto più significativo fu comunque l’incendio del cosiddetto ufficio del lavoro, dove c’erano liste di persone da inviare in Germania come servitù o lavoratori in stato di schiavitù.
Dopo la guerra la madre di Angelina Samoshina raccontò: «Improvvisamente iniziarono gli arresti dei ragazzi di Krasnodon. Ero molto preoccupata. Angelina fu arrestata l’11 gennaio del 1943. Lei non era a casa. La Gestapo entrò in casa e non avendola trovata si sedette sul divano in attesa del suo arrivo. Non permisero a nessuno di noi di uscire di casa. Una vicina di casa che si era accorta dell’arrivo dei tedeschi, corse ad incontrare Angelina dicendogli che la Gestapo era venuta da noi. Le suggerì di non tornare a casa, ma Angelina rispose: «So che hanno arrestato alcuni di noi, io voglio stare dove sono i miei compagni!». Così tornò a casa per farsi arrestare. Quando entrò in casa piansi, ma lei mi chiese di non piangere, di lasciarla morire perché il suo sacrificio ci avrebbe consentito di vivere un futuro migliore. La portarono via percuotendola con i calci dei fucili sulla schiena e sulla testa.«.
In prigione i ragazzi della Giovane Guardia di Krasnodon furono torturati selvaggiamente, tanto che quando in seguito i tedeschi furono cacciati dalla città, le pareti e i mobili delle stanze degli interrogatori erano tutti coperti di sangue. Anche Angelina fu sottoposta a pesanti torture. Le ossa delle sue braccia e delle sue mani furono spezzate. Le sue orecchie furono mozzate. Una stella fu impressa con il fuoco su una sua guancia.
Angelina sopportò tutte le torture con estremo coraggio e dignità e non rispose mai alle domande dei suoi aguzzini. Mentalmente, aveva a lungo detto addio alla luce del sole e alla vita stessa. Ora Angelina stava solo aspettando la morte. Così dopo alcuni giorni di torture che non fruttarono l’esito sperato da parte dei nazisti, il 16 gennaio 1943 Angelina e altri suoi compagni furono fatti salire su un camion, poi scalzi furono obbligati a camminare in mezzo alla neve sulla quale i loro piedi lasciarono impronte di sangue e giunti a destinazione, furono gettati vivi in fossa comune di Krasnodon. I loro corpi fecero un volo in caduta di 50 metri e furono seppelliti vivi. Angelina prima di essere spinta nella fossa gridò ai suoi compagni: «Addio, amici miei!«
Come simbolo di vera amicizia, fedele fino alla fine della vita, Angelina Samoshina mentre era rinchiusa nella prigione nazista, disegnò un messaggio sul muro della sua cella: un cuore trafitto da una freccia con i cognomi: Bondareva, Minaeva, Gromova, Samoshina. Sul cuore è impiantata una bandiera sovietica ed in basso è scritto «Morte agli occupanti tedeschi«. Questo emozionante disegno di cui vi riporto la foto di seguito, è conservato ancora oggi sul muro all’interno dell’edificio di Krasnodon adibito a prigione da parte dei nazisti.
Il fratello Aleksandr che si trovava al fronte a combattere nelle file dell’Armata Rossa, venne a sapere della morte di sua sorella e scrisse una lettera ai suoi genitori: «Cari mamma e papà, non piangete! Le lacrime non restituiranno alla vita vostra figlia. Angelina era audace come un’aquila, bella come la vita stessa. L’amara notizia della morte di mia sorella mi perseguita ogni ora del giorno e la vendicherò uccidendo ogni nemico mi troverò di fronte. Sul mio carro armato ho scritto con la vernice «Angelina Samoshina» e così lei continuerà a combattere, che è poi ciò che desiderava«.
Angelina Ticonovna Samoshina ricevette postuma l’assegnazione dell’Ordine della Guerra Patriottica di 1° grado e la medaglia «Partigiano della Guerra Patriottica» di 1° grado.
I nazisti non potevano immaginare che tutte le torture poste in atto si dimostrassero inutili nello spaventare quei poveri ragazzi adolescenti che avevano da poco finito la scuola. Quelle torture avrebbero spaventato anche il più esperto dei soldati ma si rivelarono inefficaci verso un gruppo di giovanissimi ragazzi. Quella notte del 16 gennaio 1943, quando gettarono nella fossa comune tutti quei ragazzi che non erano morti prima, un brivido di paura corse lungo la schiena dei soldati tedeschi. Se quello era lo spirito degli adolescenti sovietici, quale sarebbe stato lo spirito vendicativo dei soldati e degli ufficiali dell’Armata Rossa. La domanda gli uomini della Gestapo e delle SS presenti a Krasnodon se la posero quella notte, la risposta in tutta la sua forza e immenso splendore non tardò ad arrivare.
Luca D’Agostini
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