Izetbegović è considerato il creatore dell’attuale Bosnia ed Erzegovina ma in realtà non fu altro che un ex nazista divenuto poi uno strumento nelle mani dell’Occidente per realizzare i suoi obiettivi geopolitici.
Il nome della famiglia Izetbegović riflette l’intera natura contraddittoria della storia dei Balcani occidentali: la radice del suo cognome deriva dalla parola araba «Isza» («gloria», «dignità»). In generale, il nome «Izet» è caratteristico di molti popoli turchi di fede musulmana. Contemporaneamente alla pronunciata radice musulmana, il cognome ha la caratteristica della particella slava «ović», come nella stragrande maggioranza degli slavi bosniaci che si convertirono all’Islam.
Chi era il suo antenato è noto: il suo nome era Yahich. Era un militare dell’Impero Ottomano, che si sposò con una donna turca. La sua famiglia viveva a Belgrado, ma dopo che il paese si liberò dagli Ottomani, fuggì in Bosnia che a quel tempo era ancora parte della Turchia, anche se poco dopo fu annessa dall’Austria-Ungheria. Lì, si stabilì per la prima volta nella città di Bosanski Šamac (ora solo Šamac), dove ebbe cinque figli e alla fine divenne persino il sindaco locale. E, stando a questo incarico, secondo la leggenda, salvò quaranta serbi che furono ricercati dagli austriaci in relazione all’assassinio dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo.
Uno dei suoi figli, Mustafa, padre del futuro primo presidente della Bosnia, combatté nell’esercito austriaco contro gli italiani. Durante la Prima Guerra Mondiale fu ferito e rimase parzialmente paralizzato, il che non gli impedì di sposarsi e di avere quattro figli, tra cui Alija nato l’8 agosto 1925. Lavorò come commerciante, ma la sua attività fallì, dopo ciò la famiglia si trasferì a Sarajevo.
Nella sua gioventù, durante la Seconda Guerra Mondiale, Alija Izetbegović decise di collaborare attivamente con i tedeschi e si arruolò nella 13° Divisione Montana delle SS «Khanjar» («scimitarra») che si occupava principalmente di pulizia etnica di massa. In quel periodo i serbi costituivano quasi il 70% della popolazione della Bosnia-Erzegovina. Izetbegović fu guidato sin dall’inizio dall’odio verso i serbi e approvò la «dottrina» degli Ustascia secondo la quale un terzo dei serbi avrebbe dovuto essere ucciso, un terzo inviato in esilio, un terzo convertito al cattolicesimo. Gli Ustascia per adempiere a tale compito, decisero di servirsi come alleati dei mussulmani bosniaci.

Izetbegović membro delle SS
Fu in tali condizioni che visse e si formò l’adolescente Alija Izetbegović. Il suo compito era reclutare altri giovani come lui nella divisione delle SS di cui faceva parte. Non fu impiegato mai in battaglia ma predicava l’odio verso i serbi a coloro che aveva arruolato. Le autorità naziste accettarono che non fosse impiegato in battaglia, riconoscendogli il ruolo di agitatore, di ideologo.
Izetbegović ebbe però l’opportunità di prendere una strada diversa: negli anni ’40, molti slavi-musulmani bosniaci entrarono nelle fila della resistenza partigiana. Inoltre, il clero musulmano superiore condannava i massacri di serbi organizzati dagli Ustascia, ma il futuro presidente bosniaco non cambiò idea, aveva già scelto la sua strada.
Dopo la fine della guerra, il giovane propagandista nazista fu condannato dalle autorità jugoslave a solo tre anni di prigione. Dopo aver scontato la sua pena ebbe l’opportunità di entrare all’Università di Sarajevo e di laurearsi in giurisprudenza. Il regime di Tito non temeva altro che il rilancio delle idee di grande potenza tra i serbi e quindi favoriva le élite nazionali.
Dopo l’università, Izetbegović lavorò come consulente legale in alcune compagnie di trasporto. Ma non abbandonò le idee di agitazione, soprattutto tra i giovani. In effetti, i servizi segreti jugoslavi avrebbero dovuto monitorare attentamente le attività dello strano intellettuale di Sarajevo, ma non lo fecero, sempre per timore di alimentare e non contrastare l’aumento della potenza serba.
Nel 1970, improvvisamente e inaspettatamente per le autorità jugoslave, Izetbegović pubblicò un libro «La città e il mondo«, una chiara opera di fondamentalismo islamico che auspicava una federazione di stati dal Marocco all’Indonesia sotto la bandiera della jihad. Dato che la Jugoslavia, in quegli anni posizionandosi come leader del movimento non allineato e «amico di tutti i paesi arabi», accettò molti giovani di questi stessi paesi e contemporaneamente inviò ogni anno 280 giovani jugoslavi a studiare nelle università islamiche, si può facilmente immaginare l’effetto della comparsa di tale libro. Addirittura Izetbegović proclamò: «L’era della passività e della pace è finita!«
Nel suo libro Izetbegović scrisse: «Non può esserci né pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche di potere non islamiche. Il nostro percorso non inizia con la presa del potere, ma con la conquista delle persone«.
Dieci anni pubblicò il libro «Islam tra Oriente e Occidente«, dove confermava gli obiettivi geopolitici della sua dottrina. A questo punto le autorità jugoslave deciso di intervenire e Izetbegović fu arrestato e condannato a 14 anni di reclusione. Ma alla fine degli anni Ottanta, in corrispondenza con gli eventi geopolitici mondiali legati alla fine della Guerra Fredda e ai cambiamenti politici nell’Europa dell’Est, Izetbegović fu rilasciato.
Insieme ad altre persone creò il Partito Democratico d’Azione. Sebbene il nome della forza politica non facesse riferimento all’Islam, Izetbegović aveva mantenuto fede a quanto aveva scritto nei suoi libri: «l’Islam è la più alta democrazia per cui i ricchi e i poveri lottano. E per stabilire questo trionfo della democrazia, bisogna agire con decisione«.
Con l’avvento di una nuova forza nell’arena politica della regione, l’atmosfera nella repubblica, un tempo leader nel numero di matrimoni interetnici, iniziò gradualmente a cambiare. I propagandisti sostennero che tutti i problemi derivavano dal fatto che Belgrado toglieva i diritti e limitava la libertà dei musulmani bosniaci, ed era sufficiente separarsi da questi «infedeli» per vivere felici e nel benessere.
A quel tempo Izetbegović fu prima eletto al parlamento regionale, l’Assemblea della Bosnia-Erzegovina, e poi fu eletto presidente della Bosnia ed Erzegovina. E quando il 12 agosto 1991 si rifiutò di recarsi a Belgrado per un incontro dei leader delle repubbliche della Jugoslavia che si stava rapidamente disintegrando, incontro dove fu adottata l’Iniziativa per la risoluzione pacifica della crisi nel Paese, divenne completamente chiaro quale futuro Izetbegović avesse in mente.
Insieme ai preparativi politici per la secessione, Izetbegović si assicurò che fosse preparato il blocco di potere di questo processo: formazioni armate della cosiddetta Lega Patriottica e Berretti Verdi iniziarono a formarsi in tutto il paese, guidate da gangster e criminali della peggior specie, i quali giustificavano i loro crimini nel nome della religione e del nazionalismo.
Unendo capacità oratorie, adulazione, astuzia e tradimento, Izetbegović fu in grado di conquistare l’opinione pubblica occidentale.
Nell’ottobre 1991, l’Assemblea della Bosnia-Erzegovina proclamò la sovranità della repubblica e, a novembre, le comunità serbe organizzarono un referendum a favore del mantenimento della Jugoslavia. Nello stesso novembre, i croati annunciarono la creazione del loro stato.
Il 29 febbraio 1992, ignorando le richieste della popolazione serba che rappresentava 1/3 dell’intera popolazione della Bosnia-Erzegovina, si tenne un referendum sull’indipendenza.
I paesi occidentali, che meschinamente riconoscono il valore dei referendum solo se rispondenti ai loro interessi geopolitici (vd. la Crimea), dichiararono valido il referendum bosniaco. L’affluenza alle urne fu del 63,4% e la stragrande maggioranza votò per l’indipendenza. A ciò fece seguito una sfilata di riconoscimenti della Bosnia-Erzegovina come paese indipendente.
Cosa ci si aspettava da questa indipendenza, divenne chiaro ai serbi il 1° marzo 1992, quando un gruppo dei Berretti Verdi, sotto il comando del famoso criminale Ramiz Delalić, aprì il fuoco su un matrimonio serbo, celebrato in una chiesa ortodossa. I partecipanti al matrimonio avevano portato con loro la bandiera serba. Per questo motivo i militari al comando del criminale Ramiz Delalić, entrarono in chiesa uccisero il padre dello sposo, ferirono gravemente il prete ortodosso che stava celebrando la funzione e bruciarono la bandiera serba.
Tuttavia la guerra e le violenze potevano ancora essere evitate. A metà febbraio, sotto l’egida dell’Unione Europea fu indetta la Conferenza internazionale della Bosnia-Erzegovina. A marzo, fu redatto un documento in base al quale era previsto di lasciare la repubblica unificata, ma divisa in cantoni etnici secondo il tipo svizzero. Questo progetto fu firmato dai capi di tutte le principali comunità etniche della Bosnia-Erzegovina: Alija Izetbegović per i musulmani, Radovan Karadžić per i serbi, Mate Boban per i croati. Tuttavia, al ritorno a Sarajevo, dopo aver incontrato l’ambasciatore statunitense Warren Zimmerman, Izetbegović rinnegò la sua firma su questa opzione di compromesso.
Così il 6 aprile 1992 fu proclamata ufficialmente l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, e questa data portava anche un funesto simbolismo: fu in questo giorno del 1941 che l’aviazione tedesca bombardò brutalmente Belgrado, la capitale della Serbia. Il giorno dopo, un gruppo di jugoslavi bosniaci che non volevano che la repubblica divenisse indipendente, organizzò una manifestazione nel centro di Sarajevo, ma un cecchino aprì il fuoco su di loro, uccidendo due donne: una donna musulmana e una croata. Izetbegović ovviamente incolpò i serbi, perché l’ufficio del Partito Democratico Serbo era nelle vicinanze. Ma i serbi negarono sempre ogni responsabilità in quanto soprattutto non avevano alcun motivo per sparare su chi sosteneva la loro stessa opinione.
Dopo l’indipendenza, gruppi armati di musulmani iniziarono ad attaccare e bloccare le caserme dell’esercito popolare jugoslavo, così come le stazioni di polizia presidiate principalmente da serbi. In queste condizioni, Belgrado decise di ritirare il suo contingente militare dalla repubblica. Ma questa non si rivelò una questione così semplice: i miliziani musulmani che circondavano le posizioni delle unità serbe sembravano impazziti, pretendevano a tutti i costi di uccidere fino all’ultimo soldato serbo. Per eseguire questa operazione, il distacco delle truppe serbe dovette arrestare all’aeroporto di Sarajevo, Izetbegović e sua figlia che lavorava come traduttrice con suo padre. Attraverso la mediazione delle Nazioni Unite, fu raggiunto un accordo sull’uscita senza ostacoli dei convogli dell’esercito da Sarajevo, e ad Izetbegović e sua figlia fu garantita l’incolumità.
Tuttavia, i musulmani bosniaci non rispettarono l’accordo. Izetbegović e sua figlia furono rilasciati, ma il convoglio dell’esercito popolare jugoslavo fu attaccato mentre lasciava la Bosnia-Erzegovina, seppur fosse scortato dal contingente delle Nazioni Unite al comando del canadese Lewis Mackenzie. A seguito dell’attacco contro il convoglio dei militari jugoslavi, furono uccisi più di 40 soldati, 73 furono feriti, 203 furono presi prigionieri. Successivamente, la situazione si ripeté a Tuzla, dove all’uscita dalla città furono uccisi più di 50 soldati e i feriti furono uccisi con colpi di martello alla testa. Le perdite all’uscita dalla città di Egg furono meno impressionanti: 6 militari furono uccisi e una trentina furono feriti. In ogni occasione senza che le forze delle Nazioni Unite fossero state in grado di intervenire.
Più tardi, la famigerata strage di Srebrenica, rappresentò l’apice degli accordi tra Izetbegović e Bill Clinton. Infatti, secondo quanto riferì il presidente bosniaco Izetbegović fu lo stesso Clinton a richiedergli almeno cinquemila morti per scatenare la rappresaglia contro i serbi. Hakija Meholjić, l’allora capo della polizia di Srebrenica e collaboratore del criminale Naser Orić, in un’intervista al giornale musulmano bosniaco «Dani«, ha ricordato che in occasione della conferenza bosniaca a Sarajevo nel settembre 1993, il presidente Izetbegović aveva affermato di aver discusso vari scenari per Srebrenica con il presidente Clinton. Meholjić nell’intervista affermò: «Io ed Orić, siamo stati ricevuti dal presidente Izetbegović, e subito dopo l’accoglienza ci ha chiesto: «Cosa ne pensate di scambiare Srebrenica per Vogosca (un sobborgo di Sarajevo)?» Ci fu un silenzio per un po’ e poi io dissi: «signor Presidente, se questa è una decisione già presa, allora non avrebbe dovuto invitarci qui, perché dobbiamo tornare immediatamente a Srebrenica, affrontare la gente ed accettare personalmente il peso di questa decisione». Poi lui ci disse: «sapete, mi è stato offerto da Clinton nell’aprile 1993 di lasciare che le forze dei cetnici (un termine derisorio utilizzato dai bosniaci nei confronti dei serbi) entrino a Srebrenica, compiano un massacro di 5.000 musulmani, e poi ci sarà un intervento militare»«.
Per comprendere ancora meglio la personalità di Alija Izetbegović è anche utile ricordare quanto dichiarato da Bernard Kouchner, uno dei fondatori di Medici senza frontiere e ministro degli Esteri dei primi due governi guidati da François Fillon sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy. Kouchner riferì che nel corso di una visita effettuata al presidente Izetbegović morente, l’ex Capo di Stato della Bosnia gli confessò che le informazioni sui «campi di concentramento» serbi erano state distorte allo scopo di ottenere dalla NATO il bombardamento contro i serbi.
Così Izetbegović, al fine di creare delle milizie musulmane in grado di combattere contro i serbi, creò dei campi di addestramento per jihadisti provenienti dal Medio Oriente, dal Nord Africa e dall’Afghanistan. Secondo varie stime, da quattro a seimila mujaheddin stranieri presero parte alla guerra in Bosnia, più di un migliaio e mezzo di loro in seguito ricevettero la cittadinanza della Bosnia-Erzegovina.
Addirittura Izetbegović incontrò più volte personalmente a Sarajevo, un uomo dal nome tristemente noto: Osama bin Laden. E dopo l’attacco terroristico a New York dell’11 settembre 2001, i media di tutto il mondo hanno parlato dei legami molto originali di Izetbegović: ad esempio, della sua amicizia con il sudanese Elfatih Hassanein omal Fatih, la cui Agenzia del Terzo World Aid (TWRA) fornì armi non solo ai guerriglieri bosniaci, ma anche agli organizzatori attacchi terroristici negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, Izetbegović agì come garante del suo amico sudanese Fatih di fronte alla banca austriaca «Erste Bank».
Izetbegović era anche intimo amico del ricco saudita Yassin al-Qadi, il quale nel 1996 gli aveva donato 195 mila dollari attraverso un’associazione benefica sussidiaria, ma poco dopo i conti del suo amico saudita furono congelati da molti paesi proprio su richiesta degli Stati Uniti, per via di finanziamenti ad al-Qaeda. Pertanto, il fatto che in Bosnia vi fossero molti campi di addestramento delle organizzazioni terroristiche, non sembra affatto sorprendente. Infatti, uno dei più grandi terroristi internazionali, Abu Zubeida, il quale stava preparando attacchi terroristici in Francia, Canada e Giordania, aveva ottenuto la cittadinanza bosniaca. Così come Karim Said Atmani, che stava preparando un attentato dinamitardo all’aeroporto di Los Angeles.
Fu per questi motivi che nel tempo, le buffonate di Izetbegović infastidirono a fondo anche i suoi avventori occidentali. Sotto la loro diretta supervisione, la Bosnia-Erzegovina fu trasformata da una repubblica presidenziale in una repubblica parlamentare, in cui i poteri di Izetbegović furono drasticamente limitati.
Nella vecchiaia Izetbegović fu debilitato da malattie cardiache. La Bosnia-Erzegovina divenne un paese totalmente dipendente e sotto influenza dei paesi occidentali.
Colui che scatenò la guerra in Bosnia morì all’età di 78 anni, nel 2003. Prima di allora, fu ricoverato in ospedale con quattro costole rotte: ebbe un attacco cardiaco e cadde dalle scale. E’ stato sepolto a Sarajevo, anche se nel 2016 la sua tomba è stata fatta saltare in aria da una bomba, ma fu poi ricostruita di nuovo.
Luca D’Agostini
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Fonti
Michael Evans, London Times, 1 agosto 1995
Bernard Kouchner, I guerrieri della pace,Grasset, Parigi 2004, pp. 372-374
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