Con questo articolo ci addentreremo in personaggi che non vengono studiati sui libri di storia. Una serie di articoli del blog Madre Russia sarà dedicata infatti alle spie ed agenti segreti russi. Quella delle spie è una vita affascinante, sotterranea, silenziosa e la guerra in cui sono coinvolti è una guerra senza esclusione di colpi. In questo articolo cominceremo con il conoscere la vita di Alfred Redl, una delle più famose spie al servizio della Russia. La storia di Redl racchiude tutto: ambizione e splendida carriera militare, sesso, spionaggio, tradimento, colpo di scena, morte romanzesca.
Redl nacque a Leopoli (all’epoca città dell’Impero Austro-Ungarico vicino al confine con la Russia ed attualmente città dell’Ucraina) il 14 marzo 1864. Il padre era un ispettore delle ferrovie austro-ungariche. Leopoli era abitata da persone di diverse nazionalità e sin da piccolo Redl parlava diverse lingue. All’età di 15 anni Redl entrò nell’accademia militare di Leopoli, uscendone nel 1887 all’età di 23 anni come ufficiale. Dal 1894 al 1895 prestò servizio in qualità di ufficiale militare nell’Ufficio delle Ferrovie. Dal 1900, grazie alla sua conoscenza della lingua russa dovuta al fatto di essere di origini slave, con il grado di maggiore fu assegnato allo Stato Maggiore. Fu inviato in Russia per migliorare la conoscenza della lingua e per studiare la situazione in paese che gli austriaci consideravano ostile. Ma a sua insaputa, Alfred Redl venne a sua volta monitorato e studiato dai servizi segreti russi. A tal proposito, nell’ottobre del 1907, in un resoconto stilato su Redl, l’agente russo Mitrofan Marchenko, così descrisse Redl: «Altezza media, capelli grigi, piccoli baffi brizzolati, zigomi sporgenti, occhi sorridenti e allettanti. Movimenti lenti. Una persona senza valore, insidioso, introverso, taciturno, concentrato, col senso del dovere e dotato di buona memoria… dalla dolce, morbida e delicata voce,… piuttosto furbo e falso anziché intelligente e di talento. Cinico e calcolatore. Ama divertirsi…» (1)
Al suo ritorno a Vienna venne assegnato ai servizi del controspionaggio, mettendosi in mostra per la qualità di «torcere» gli agenti segreti nemici. Redl aveva inoltre la responsabilità del reclutamento e della formazione di agenti segreti da inviare in Russia. Nel 1912, promosso colonnello dell’Esercito Austro-Ungarico, venne trasferito a Praga in qualità di Capo di Stato Maggiore dell’ottavo corpo d’armata.
Dal 1903 fino alla sua morte nel 1913, Redl lavorò come spia per la Russia. Per lui i Russi assoldarono donne bellissime di tutte le razze e dalle straordinarie abilità erotiche, ma nessuna riuscì ad entrare nelle sue grazie. A Mosca capirono: Redl aveva un segreto, inconfessabile e potenzialmente distruttivo: era omosessuale. Il Servizio Segreto dello Zar architettò un «piano Romeo», una costante nella storia dello spionaggio: per mesi Redl si imbatté in uomini che lo circuirono e ne suscitarono la passionalità. Finché una mattina, il capo dei servizi segreti militari russi a Varsavia, il colonnello Nikolaij Stepanović Batyushin, bussò al suo ufficio. Bastarono poche parole perché Redl «sterilizzasse» tutti i trucchi dei quali si serviva per schedare i visitatori: macchine fotografiche, magnetofoni per registrare ogni parola, oggetti cosparsi di polvere speciale per rilevare le impronte. L’agente segreto russo consegnò a Redl una ingente somma di denaro e un fascio di documenti con le prove della sua condotta scandalosa. Tra questi documenti tante foto esplicitamente pornografiche nelle quali Redl intratteneva rapporti sessuali con altri uomini e moltissime foto di Redl in abiti da donna con parrucca e trucco femminile. Ne sarebbe bastato uno solo di quei documenti per distruggergli la carriera, anche perchè l’omosessualità era illegale in Austria. Da quel momento, Redl diventò un agente al servizio di Santa Madre Russia.
In cambio, il colonnello Batyushin lo ricompensava molto bene per i suoi servigi, e il suo tenore di vita era assai superiore a quello che gli avrebbe concesso il suo stipendio di ufficiale (tra l’altro, possedeva parecchi cavalli e due automobili, una per sé ed una per il suo amante, Stefan Hromodka, un giovane ufficiale polacco al quale corrispose anche la somma di seicento corone al mese, oltre avergli regalato diamanti ed un appartamento a Praga). (1)
Redl passò molte informazioni estremamente riservate alla polizia segreta russa Ochrana, tra cui i piani per una futura offensiva austro-ungarica contro la Serbia. Esperti storici concordano nel ritenere che il tradimento di Redl abbia contribuito alle sconfitte austro-ungariche durante i primi mesi della prima guerra mondiale, dato che i piani da lui divulgati erano molto dettagliati e non potevano essere stati modificati sostanzialmente nel breve tempo intercorso tra la sua morte e lo scoppio della guerra. Redl fece sgominare anche una serie di spie austriache e tedesche in Russia, annullando praticamente il controspionaggio austriaco ed occultando in questo modo anche il massiccio riarmo dell’armata russa. Il conte e deputato austriaco al Reichsrat Adalbert Sternberg ebbe a dichiarare dopo la prima guerra mondiale: «Questa canaglia ha denunciato ogni spia austriaca. Redl rivelava i nostri segreti ai russi e impediva che le nostre spie carpissero i loro segreti. Così nel 1914 gli austriaci e i tedeschi hanno potuto ignorare l’esistenza di 75 divisioni russe ai nostri confini, che da sole corrispondevano all’intero esercito austro-ungarico.» (1)
Il suo alto tenore di vita però contribuì a smascherarlo. Redl per spiegare un cambiamento così repentino del suo stile di vita, diffuse le voci sulla morte di una ricca zia, la quale gli avrebbe lasciato una grande eredità. Ma un agente austriaco da lui stesso addestrato, Max Ronge, avendo notato uno dei fratelli di Redl svolgere il lavoro di impiegato con uno stipendio modesto, iniziò a ricollegare numerose anomalie e fu il primo ad avere dei sospetti che il suo superiore fosse una spia. (1)
Come in tutte le grandi storie di spionaggio, però, un granello di sabbia inceppa l’ingranaggio più perfetto. A smascherare Redl bastò una lettera non recapitata per un disguido postale e il fodero di un coltellino. Ronge nel suo libro «Spionaggio» racconta: «Al principio di aprile fu respinta a Berlino una lettera fermo posta per Vienna, non ritirata. A Berlino fu aperta per rintracciare il mittente. La lettera conteneva 6000 corone austriache, due ben noti indirizzi di spionaggio, l’uno a Parigi l’altro a Ginevra (Rue du prince, 11 Mr. Larguier). Fu inviata al maggiore Walter Nicolai che, dal principio del 1913, dirigeva il servizio d’informazione dello Stato Maggiore tedesco. Ma questi si affrettò a mandarla a noi, dato che la persona doveva cercarsi probabilmente in Austria». (2) Ronge racconta che la lettera passa diverse volte di mano, la busta si sciupa, è necessario fabbricarne una nuova indirizzata a Nikon Nizetas, spedita da Berlino alla casella postale di Vienna, sotto controllo dell’intelligence austriaca. Per settimane tre agenti dell’Evidenzbureau (il servizio segreto austriaco) si annoiarono nell’attesa, fino a quando una mattina qualcuno si recò a ritirare la posta: non più una ma due lettere. Avvertiti dall’ufficiale postale, seguirono il personaggio fino a Piazza Santo Stefano dove, però, salì su un taxi lasciandoli a terra. Gli agenti erano certi di aver perso la loro preda, ma poco dopo videro tornare proprio il taxi del quale precedentemente avevano preso il numero. Il tassista raccontò di aver condotto il cliente all’Hotel Klomser. La perquisizione dell’auto, per puro scrupolo, consentì di ritrovare il fodero in pelle di un coltellino da tasca. Era stato perduto dal loro obiettivo? Forse, si vedrà. Da quel momento gli avvenimenti precipitarono rapidamente. Gli investigatori si recarono all’Hotel Klomser e scoprirono che fra gli ospiti vi era il colonnello Redl. Pensarono di avvertirlo come conoscitore delle trame dello spionaggio straniero ma, nel frattempo, affidarono al portiere il fodero del coltello, chiedendogli di mostrarlo ai clienti. Chi lo avrebbe riconosciuto sarebbe stato l’uomo recatosi alla posta. In quel momento, in alta uniforme dalla scala scese proprio il colonnello Redl. Gli agenti scattarono sull’attenti, mentre il portiere si avvicinò ed ingenuamente chiese all’ufficiale: «Ha perso per caso questo fodero, signor colonnello?» Redl mise la mano in tasca, trovò il coltellino e disse: «Sì, grazie, è proprio il mio». Frase fatale! Il colonnello Redl infatti un attimo dopo intuì di essersi tradito, uscì a passo veloce cercando di seminare gli agenti del servizio segreto austriaco. Ronge venne subito avvertito e nel suo libro dichiarò: «Rimasi di ghiaccio per alcuni minuti quando vidi che veniva smascherato come traditore il membro anziano del nostro Evidenzbureau.» (2) Il Capo di Stato Maggiore dell’armata austriaca, generale Conrad von Hoetzendorff venne messo al corrente mentre cenava al Grand Hotel. Ascoltata la relazione, rimase scosso dalla notizia, ma subito ordinò: «Tutto deve essere risolto questa notte stessa, prima dell’alba, di questa storia atroce nulla deve trapelare all’esterno. Domani mattina ufficiali partiranno per Praga e sequestreranno tutte le carte e i documenti nell’appartamento di Redl». (3) Redl, dunque, doveva morire, ma non sarebbe stato un processo né un boia a giustiziarlo, gli venne lasciata solo una via d’uscita: suicidarsi. Quando Ronge ed altri ufficiali bussarono alla porta di Redl, questi malato di sifilide, aveva già scritto le lettere d’addio e si accingeva ad impiccarsi. Disse: «So perché siete qui. Desidero non essere interrogato, non ho complici». Nella sua stanza vennero rinvenuti ordini di battaglia, mappe militari, istruzioni per la mobilitazione eventuale, manuali di riserva e provvedimenti del controspionaggio, indirizzi di copertura di stati maggiori nemici, corrispondenze di spionaggio scritte in russo, situazioni delle ferrovie e strade austriache, descrizioni esemplari corredate da immagini di tutti i tipi di armamento austriaco ed una ingente somma di denaro. (1) (4) Max Ronge scrisse: «Questo e il tempo che seguì furono i momenti più tristi della mia vita. Nessuna delle innumerevoli cose che avevo visto nella mia interessante carriera agì tanto sui miei nervi e sul mio cuore come questo tradimento. Redl era completamente abbattuto, ma volle fare la sua confessione solo a me». Quando Redl finì di parlare, Ronge, gli chiese: «Avete un revolver?» «No!», rispose Redl. Ronge gliene lasciò uno sullo scrittoio ed uscì insieme agli altri ufficiali lasciando Redl da solo nella sua camera d’albergo. Attesero qualche ora nella hall dell’hotel. Quando rientrarono nella stanza Redl si era già sparato un colpo in testa qualche ora prima ed il suo corpo giaceva in terra. (2) La stampa ungherese pubblicò tutte le informazioni sull’accaduto e lo scandalo fu enorme, le ondate di sdegno colpirono l’opinione pubblica, dovuta alla mancanza di patriottismo ed ai facili costumi dei militari della corte viennese. Lo Stato Maggiore non ammise pubblicamente che Alfred Redl si era macchiato di alto tradimento, anzi preparò funerali solenni. Ma anche in questo caso gli eventi precipitarono ed un dispaccio ordinò: «I funerali del defunto signor Alfredo Redl, ex colonnello, si svolgeranno in forma privatissima. Vengono così annullati tutti gli ordini precedenti emanati dal Comando di Vienna». (3)
La salma venne tumulata senza cerimonie nel Cimitero Centrale di Vienna, nella toma n° 38, fila 29, riquadro 79. Sulla lapide nessun fiore e neanche una fotografia, nessun riferimento al suo status ed al suo grado, nonostante fino al giorno prima fosse Capo di Stato Maggiore dell’ottavo corpo d’armata, nonchè Capo dell’Ufficio di Spionaggio austriaco, ma semplicemente il nome: Alfred Redl.
Infatti il tradimento di Redl non fu un singolo episodio irrilevante, ma costò agli austro-ungheresi la perdita della guerra con la Russia e così la successiva caduta e smembramento dell’Impero Austro Ungarico.
Luca D’Agostini
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Fonti:
(1) Lambert M. Surhone, Miriam T. Tennoe, Alfred Redl, Betascript Publishing, 2011 Londra
(2) Max Ronge, Spionaggio, Editrice Tirrena, 1930 Napoli
(3) Hans Rudolf Berndorff, Le grandi spie, Mondadori, 1931 Verona
(4) Articolo Pravda
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