In russo colui che in Occidente è conosciuto come Alessandro Magno, è chiamato Alessandro il Macedone (Александр Македонский).
Se sul piano strategico l’incredibile conquista dell’impero persiano compiuta in soli dodici anni modificò radicalmente il quadro geopolitico dal Nilo all’Indo, ancora più importante è la rivoluzione culturale innescata da quella impresa: per più di mille e cinquecento anni, dai regni ellenistici fino all’impero bizantino, passando per l’età imperiale romana, il greco divenne la lingua comune dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’impero messo insieme da Alessandro si sfaldò senza rimedio all’indomani della sua morte; ma la memoria di Alessandro e il ricordo delle sue imprese sono sopravvissute nei secoli.
La leggenda di Gordio – l’antichissimo carro avvinghiato al nodo insolubile (nodo gordiano) – ci ricorda simbolicamente che, al di là delle conquiste territoriali, immense ma politicamente effimere, Alessandro riuscì in un’impresa ben più importante: rimettere in comunicazione lingue, costumi, culture, immagini, liberando il fatidico nodo (nodo gordiano) che strozzava l’interrelazione, occludeva il passaggio tra Oriente e Occidente. In un saggio di ampio respiro, «L’albero secco nel mosaico pompeiano di Alessandro Magno«, Margherita Tuccinardi dimostra che già in età romana era presente una lettura storica delle epiche battaglie di Isso e di Gaugamela, e che eco precise dello sconfinamento epocale di Alessandro sono presenti già nelle tavolette astronomiche babilonesi conservate al British Museum e di recente decifrate.
Alessandro nacque a Pella, un’antica città greca, il 20 o il 21 luglio 356 a.C. Era figlio del re Filippo II di Macedonia e di sua moglie Olimpiade (Olimpiada).
Alcuni dei più evidenti tratti della personalità di Alessandro si erano formati secondo il modello dei suoi genitori. Suo padre Filippo fu il più immediato e influente modello di Alessandro, il quale sin da bambino l’aveva visto partecipare a campagne militari praticamente ogni anno, vincendo battaglia dopo battaglia, sopravvivendo a gravi ferite. Il rapporto di Alessandro con suo padre forgiò la parte competitiva della sua personalità; egli desiderava emulare suo padre e possibilmente compiere imprese ancora maggiori.
Sua madre, Olimpiade (Olimpiada), era una donna enormemente ambiziosa e aveva incoraggiato Alessandro a credere che fosse suo destino sconfiggere l’Impero Persiano, che dominava le città greche dell’Asia minore e costituiva un ostacolo al pieno controllo dei Greci sui mercati orientali. Olimpiade aveva una personalità così forte che anche il marito, il re di Macedonia Filippo II, persona non facilmente impressionabile, ne era terrorizzato. Ma Olimpiade fu soprattutto una donna di potere. Senza di lei, forse, Alessandro non sarebbe mai divenuto re: fu la madre, con il delitto e l’intrigo, a spianargli la via verso il trono. Anche Olimpiade proveniva da una famiglia reale. Era la figlia di Neottolemo I, re dell’Epiro, un piccolo regno la cui dinastia vantava però una discendenza da Achille.
Olimpiade è immersa negli eventi che, nella seconda metà del IV secolo a. C. cambiarono la storia del mondo. Dapprima accanto al marito Filippo, che, con la battaglia di Cheronea (338 a. C.), schiacciò la libertà di Atene e divenne padrone della Grecia. Poi seguendo da lontano i trionfi di Alessandro. Mentre il figlio avanzava impetuoso nei territori dell’impero persiano, guidando le sue falangi attraverso i deserti e le montagne dell’Asia, la madre tramite una fitta corrispondenza con il figlio, dispensava saggi consigli su come comportarsi con i sudditi. E il figlio le raccontava con orgoglio i suoi successi.
Il ruolo di regina madre Olimpiade aveva dovuto conquistarselo. I re di Macedonia erano poligami. Filippo ebbe sette moglie e nel 337 a. C. aveva sposato una nobile macedone, di nome Cleopatra. Da questo matrimonio nacque una bambina. Plutarco riferisce che Olimpiade, «donna collerica e gelosa«, s’ infuriò per queste nuove nozze.
C’ era il rischio che Cleopatra partorisse un erede di puro sangue macedone, che avrebbe messo fuori gioco suo Alessandro, il quale non era di puro sangue macedone in quanto lei era figlia del re dell’Epiro. Nel 336 a. C., mentre entrava nel teatro di Ege (oggi Verghina), l’antica capitale del regno macedone, Filippo II fu assassinato da un sicario di nome Pausania. Fu Olimpiade ad armare la mano del regicida?
Lo storico Giustino racconta che la regina andò a deporre una corona di fiori sul capo di Pausania, giustiziato e appeso a una croce. Molti storici oggi concordano sul fatto che, quasi certamente, Olimpiade fu la mandante dell’omicidio del marito, impedendogli così di avere un altro figlio. Comunque sia, grazie all’assassinio di Filippo, Alessandro ottenne subito il trono. E Olimpiade, per evitare rischi futuri, costrinse la rivale Cleopatra a impiccarsi dopo averne ucciso la sua piccola figlia.
Alessandro ebbe per maestro Aristotele, il quale gli insegnò retorica, letteratura, scienza, medicina e filosofia: in tal modo Alessandro acquisì quella cultura necessaria a sviluppare le sue doti.
Alessandro non era dotato di un fisico particolarmente avvenente: era piuttosto basso, tozzo e di corporatura robusta. Era affetto da eterocromia, aveva cioè gli occhi di colore diverso (uno azzurro e l’altro marrone, o forse nero), e la sua voce ci viene descritta come aspra. Portava sempre il collo leggermente inclinato verso sinistra e soffriva di alcune malformazioni congenite. Aveva i capelli ispidi e rossicci, sebbene tendesse spesso a tingerli di biondo utilizzando una mistura di fiori di zafferano e acqua di potassio, trattandoli poi con profumi, incenso e mirra. Aveva l’usanza di radersi il volto, abitudine piuttosto inusuale tra i greci del suo tempo, probabilmente a causa del fatto che gliene crescesse molto poca; per non sfigurare in mezzo ai suoi dignitari, indusse anche loro a non portarla. Lo scrittore Ateneo di Naucrati sottolineava la sua abitudine al bere e all’ubriacarsi.
Alessandro Magno ebbe relazioni sia con donne che con uomini e si sposò tre volte. Quando morì Efestione, compagno amatissimo, Alessandro perse letteralmente la testa. Racconta Plutarco: «Non essendo in grado di controllare il dolore, Alessandro fece tagliare la criniera a tutti i cavalli e i muli, abbatté i merli dei muri delle città vicine, crocifisse il medico che aveva curato Efestione, non permise che nel campo si sentisse musica di flauti. Ma nulla leniva il dolore, e allora ricorse alla guerra, come se andasse a caccia di uomini, sottomise le tribù dei Cossei e fece uccidere tutti i giovani in età di combattere«. Anche chi conosceva da sempre Alessandro fu colpito da questi eccessi. Certamente, Efestione era un amico speciale. Cresciuto con lui, lo aveva seguito in tutte le sue avventure, e Alessandro lo amava come nessun altro. L’unico che poteva competere con lui, nel cuore del condottiero macedone, era Cratero: cosa, questa, che a Efestione non piaceva affatto, come non piaceva a Cratero. Racconta Plutarco che più volte i due erano venuti alle mani, e che un giorno Alessandro, per placare la loro reciproca gelosia, giurò loro su Ammone e sugli altri dei di avere più affetto per loro che per qualunque altro uomo. Erano amanti di Alessandro, sia l’uno sia l’altro? Lo erano stati ambedue, in momenti diversi? Difficile dirlo. Che la vita sessuale di Alessandro non si sia limitata agli amori per le donne, è assolutamente ovvio. Per i greci, e Alessandro era imbevuto di cultura greca, i rapporti tra uomini erano assolutamente normali. A un uomo, dunque, era consentito avere rapporti sessuali sia con le donne sia con gli uomini, purché, in quest’ultimo caso, si riservasse il ruolo di partner attivo. Partner passivi dovevano essere (quantomeno, teoricamente) solo gli adolescenti. I ragazzi giovani, infatti, erano equiparati alle donne sotto molti punti di vista e sino quando non raggiungevano la maturità, potevano avere un amante adulto. Questo, il quadro nel quale collocare i rapporti di Alessandro con Efestione, Cratero e altri compagni: un quadro che, ovviamente, non esclude affatto che Alessandro avesse rapporti con le donne. Li ebbe, spesso e volentieri, turbolenti, a volte tempestosi, come del resto rientrava nel carattere del personaggio.
Alessandro si sposò tre volte: la prima con la principessa Roxane, figlia del satrapo di Battria Ossiarte; in seguito prese come legittima moglie la principessa Statira II figlia del re Dario III di Persia; infine con la principessa Parisatide II figlia di Artaserse III di Persia.
Gli storici antichi, così come quelli moderni, hanno descritto il matrimonio di Alessandro con Roxane. Robin Lane Fox scrisse: «Roxane è stata definita dai suoi contemporanei come essere la donna più bella esistente in tutta la terra d’Asia. Il suo nome, derivante probabilmente dal termine afghano «Roshanak», che significa «piccola stella» sembra pertanto pienamente meritato«.
Roxane è ricordata per aver partorito l’erede legittimo di Alessandro, anch’egli chiamato Alessandro (Alessandro IV), che nacque sei mesi dopo la morte del padre. Appena Alessandro morì nel 323 a.C., protetta dal leale Perdicca, al quale Alessandro agonizzante aveva affidato la reggenza per il futuro figlio, Roxane coinvolta nelle lotte di successione al trono macedone, diede ordine di uccidere le altre mogli del marito, volendo in tal maniera consolidare la propria posizione e quella del nascente figlio. Rimase a Babilonia forse fino al 319 a.C., protetta da Perdicca, ma questi, ultimo fedelissimo di Alessandro, venne assassinato a tradimento sul Nilo. Roxane passò così in Macedonia, protetta da Antipatro, un altro fidato generale di Alessandro, e da lì si trasferì in Epiro presso Olimpiade (Olimpiada), madre di Alessandro. Olimpiade si preoccupò di Roxane e della reggenza di suo nipote, ma fu uccisa da Cassandro nel 315 a.C., insieme ad altri nobili macedoni. Roxane ed il figlio, dopo essere stati tenuti prigionieri, furono fatti avvelenare dal crudele Cassandro, nel 309 a.C.
Statira II, figlia di Dario III, re dell’Impero Persiano, fu la seconda moglie di Alessandro. Lo conobbe durante la sua prigionia avvenuta in conseguenza alla battaglia di Isso, dove l’esercito persiano di suo padre Dario III fu sconfitto dai Macedoni. Il matrimonio tra lei (all’epoca sedicenne) ed il conquistatore macedone fu celebrato secondo l’usanza persiana a Susa, durante le solenni celebrazioni di altri ottanta matrimoni misti, fortemente voluti da Alessandro. Come accennato precedentemente, incinta al momento della morte di Alessandro, fu fatta assassinare poco dopo da Roxane, anch’essa incinta, prima che potesse partorire un erede.
Parisatide II fu la terza moglie di Alessandro. Era una nobile persiana, figlia dell’anziano Artaserse III di Persia. Parisatide II fu imprigionata da Alessandro nel 333 e fu poi da lui spostata nel 326 a.C. insieme a Statira II nel corso dei matrimoni di massa nella città di Susa. Come Statira II, anche Parisatide II fu fatta assassinare da Roxane.
Per quanto concerne le imprese militari di Alessandro, assunto il potere dopo la morte del padre, fece giustiziare i nemici che cospiravano contro di lui e fu eletto comandante degli eserciti greci da un congresso di stati a Corinto (Lega di Corinto), per combattere contro la Persia.
Si narra che a Corinto Alessandro incontrò il famoso filosofo Diogene, il quale viveva dentro una botte. Alessandro chiese a Diogene di esprimere un desiderio e il filosofo allora gli chiese di spostarsi perché la sua ombra gli impediva di prendere il sole. Rimasto sorpreso dalla risposta, Alessandro disse: «se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene«.
Dopo la decisione assunta dalla Lega di Corinto, Alessandro avviò quindi un massiccio intervento volto a formare soldati preparati: ovunque introdusse lo studio della cultura e lingua greca e della tattica militare (si dice abbia istruito in tal modo circa 30.000 giovani macedoni), procedendo soltanto in seguito all’arruolamento.
In breve tempo condusse fortunate campagne contro i Traci, gli Illiri e i Dardani, quindi piegò su Tebe e la distrusse.
Successivamente portò avanti una sanguinosa battaglia contro i Persiani (334 a. C.), presso il fiume Granico, sconfiggendoli e aggiudicandosi la supremazia su tutta l’Asia.
Negli anni successivi sconfisse Dario lll, distrusse Tiro dopo un assedio durato sette mesi, conquistò Gaza quindi passò in Egitto, dove fu accolto come liberatore dal dominio persiano, si assicurò il controllo dell’intera costa orientale del Mediterraneo e fondò, nel 332 a. C. la città di Alessandria, che prese da lui il suo nome e che divenne il centro letterario, scientifico e commerciale del mondo greco, punto d’incontro delle varie correnti di pensiero greche ed orientali che, fondendosi, diedero vita al fenomeno culturale chiamato Ellenismo.
Proprio in Egitto Alessandro cominciò ad attuare il riordinamento dell’amministrazione statale secondo uno schema che fu successivamente esteso a tutto l’impero, separando l’amministrazione civile da quelle militare e finanziaria.
Per collegare i territori conquistati, fondò numerose città lungo la linea di marcia, in posizione strategica, con strade lastricate e fornite di riserve d’acqua.
In Persia, mantenne la suddivisione in satrapie, governatorati con a capo un satrapo a cui affiancò funzionari macedoni.
Man mano che il suo dominio si espandeva, Alessandro imponeva la cultura greca alle popolazioni dei territori occupati: la sua si rivelò quindi una spedizione senza precedenti sia per la capacità militare, sia per il valore del tentativo di unificazione economica e culturale di vasti territori sotto un unico sovrano.
Il suo scopo era di trasformare le conquiste militari in legami di unità politica tra i diversi popoli.
Sul piano economico, un chiaro esempio di questa politica Alessandro lo fornì in seguito, a proposito della destinazione delle immense ricchezze degli imperatori persiani trovate nelle città imperiali: esse furono rapidamente trasformate in moneta e in tal modo ricevette grande impulso la costruzione di nuove città, di importanti opere di canalizzazione dei fiumi, di nuovi porti marittimi e fluviali.
Per consolidare l’unità di un regno che accomunava tanti popoli diversi, cercò di promuovere tra i suoi ufficiali i matrimoni misti, sposando egli stesso due donne appartenenti a popolazioni diverse.
In seguito, i confini del suo regno si estesero fino all’impero di Cartagine.
Nel 331 a. C. fece un pellegrinaggio al tempio di Amon-Ra, sede dell’oracolo del dio del Sole egizio, che i Greci identificavano con Zeus, e si fece riconoscere come figlio della divinità.
Nello stesso anno riorganizzò le truppe, si diresse verso la Mesopotamia e sconfisse nuovamente i Persiani nella battaglia di Gaugamela, presso il fiume Tigri; in seguito si arrese Babilonia, Alessandro conquistò Susa impadronendosi dei suoi enormi tesori e Persepoli (capitale persiana), che saccheggiò e incendiò.
L’impero persiano era ormai definitivamente sconfitto, mentre il territorio di Alessandro raggiungeva le coste meridionali del Mar Caspio, includendo l’odierno Afghanistan, estendendosi verso nord fino all’attuale Turkestan in Asia Centrale.
L’aspetto più sensazionale della vicenda è che per sottomettere questa immensa area aveva impiegato soltanto tre anni, ma la sua sete di conquista non pareva ancora placata: secondo molti storici, ambiva a riunire Oriente e Occidente in un unico impero mondiale.
Nel 326 a.C. si spinse in regioni mai viste prima da europei: attraversò il fiume Indo e invase il Punjab, sconfiggendo il re indiano Poro; avrebbe voluto entrare in India e raggiungere il mare orientale, ma l’esercito macedone ormai stremato e incapace di comprendere dove infine volesse arrivare il suo comandante, chiese rispettosamente ma fermamente ad Alessandro di tornare verso la Grecia. Questi, dopo essersi terribilmente infuriato ed essere rimasto chiuso per tre giorni nella sua tenda, alla fine uscì e acconsentì ad iniziare il lungo viaggio di ritorno, che fu durissimo.
Allestì una flotta con cui raggiunse il golfo Persico, quindi attraversò il deserto fino a Susa, dove arrivò nel 324 a.C. e si fermò per un anno con l’intenzione di preparare nuove conquiste in Occidente, oltre all’esplorazione e alla conquista della penisola arabica ma, giunto nella capitale Babilonia, si ammalò e morì a soli trentatré anni.
Per due millenni vi sono state numerose teorie riguardo come sia morto Alessandro Magno. Nel 2019 una dettagliata ricerca scientifica ha stabilito quali possano essere state le cause della sua morte. Studiosi neozelandesi hanno affermato che Alessandro il Macedone potrebbe essere morto per una malattia neurologica, la sindrome di Guillain-Barré. Si riscriverebbe così quella pagina di storia secondo la quale il re macedone sarebbe morto a 33 anni per infezione, cirrosi o avvelenamento. La nuova teoria, proposta dagli studiosi dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda, è contenuta in un articolo pubblicato sulla rivista The Ancient History Bulletin.
A sostenere questa tesi sulla morte, che risale al 323 avanti Cristo, è la ricercatrice Katherine Hall. La studiosa neozelandese ha affermato che tutto parte da un dettaglio: «Nessuno ha fornito una spiegazione plausibile per il fatto che il corpo di Alessandro Magno non ha mostrato alcun segno di decomposizione per sei giorni dopo la morte«.
Insieme al ritardo segnalato nel decadimento del corpo, si dice che il re abbia avuto una febbre, poi dolore addominale e una paralisi progressiva e simmetrica. Inoltre, sarebbe rimasto con la piena capacità di intendere e volere fino a poco prima di morire. La Hall ritiene che questi elementi siano una diagnosi della sindrome, contratta da un’infezione da «Campylobacter pylori» (comune all’epoca e motivo frequente della stessa malattia). Quindi vi fu un errore dei medici nel diagnosticare la sua morte. Il corpo non si era decomposto, non perchè Alessandro fosse di origine divina come si sosteneva, ma perchè non era cerebralmente morto.
Il luogo di sepoltura di Alessandro è stato da sempre oggetto di disputa: oggi si ritiene che il corpo mummificato di Alessandro, contenuto in un sarcofago d’oro massiccio, possa essere stato portato in Egitto da Tolomeo I nel 321 a.C. e sepolto inizialmente nella necropoli di Saqqara; in seguito fu trasferito in un grandioso mausoleo, nella città da lui fondata, Alessandria d’Egitto. Esso sorgeva in un grande complesso oggi andato distrutto e fondeva elementi ellenistici ed egizi. Numerosi personaggi celebri dell’antichità, come Cesare e Augusto, resero nel tempo omaggio alla tomba di Alessandro, ma al tempo della caduta dell’Impero Romano d’Occidente si persero le tracce dalla mummia. Alcuni archeologi, come Zahi Hawass, ritengono che il corpo del re macedone sia stato in seguito messo in salvo durante un’incursione barbara nei territori dell’Impero romano d’Oriente, o per sottrarla ad alcuni cristiani locali che volevano distruggerla (in quanto il rendere omaggio a Alessandro era considerato rito pagano), e si trovi quindi tra i numerosi corpi nella «valle delle mummie dorate», presso l’oasi di Bahariya, dove si trovano anche i resti di un tempio a lui dedicato.
Possiamo oggi sperare di ritrovare ancora in alcune popolazioni attuali i lontanissimi discendenti dei soldati del mitico Alessandro Magno? Un’ipotesi interessante li individuerebbe nel luogo di Malana. Si tratta di un villaggio di circa duecento case in legno o pietra, a due o tre piani, situato nell’estremo nord dell’India, alle pendici dell’Himalaya, in quella che è denominata «la valle degli dei», ad oltre tremila metri di quota. Essendo completamente separato dal resto del mondo dall’altitudine e dalle strade non facilmente percorribili, è rimasto congelato nella notte dei tempi.
Malana è chiamato anche «piccola Grecia» perché possiede la più antica forma di democrazia; qui le decisioni più importanti vengono prese nella piazza principale che ricorda l’agorà delle città greche, alcune parole della lingua parlata dagli abitanti (il Kanashi, un misto tra sanscrito e lingue tibetane) sono quasi certamente di derivazione greca. Lo stesso si può affermare di diverse decorazioni architettoniche che ornano i loro edifici, il medesimo sistema giudiziario applica invariato da secoli uguali regole, il loro culto religioso risulta completamente diverso da quello degli altri riti tradizionali della regione. Dominano, inoltre, su Malana quattro clan, di cui uno è il più importante e questo ricorda molto da vicino il «ghenos» greco.
Nel 2008 un terribile incendio ha distrutto completamente metà del villaggio e durante le operazioni di rimozione delle macerie e di ricostruzione sono state rinvenute monete d’oro e argento in grande quantità, rimaste sepolte sotto i templi per secoli e secoli. Gli abitanti di questo villaggio, sperduto e irraggiungibile, affermano con convinzione di essere i discendenti di quei soldati di Alessandro Magno che, secondo alcuni studiosi, nel 326 a.C., come narra il biografo greco Plutarco, sconfissero nella battaglia del fiume Idaspe il re Poro e l’aspetto che sorprende maggiormente e che corrobora tale ipotesi sono i tratti somatici dei suoi abitanti: pelle ed occhi chiari, capelli biondi.
Questa fu l’ultima impresa del Macedone, quella in cui il condottiero perse il suo amato ed inseparabile cavallo Bucefalo, compagno e amico di tante azioni gloriose. Ora gli abitanti di Malana affermano di discendere proprio da quei soldati di Alessandro Magno che nel loro ripiegamento verso la Grecia avrebbero preferito fermarsi in questa valle e sposarsi con indigene piuttosto che seguire nuovamente il loro condottiero.
La morte di Alessandro Magno segnò la fine di un’ambiziosa avventura militare e provocò il crollo dell’impero, che fu diviso dai suoi generali nei regni di Siria, di Egitto e di Macedonia.
Ma la spartizione dell’impero fu solo la manifestazione ultima della crisi profonda che aveva accompagnato il tentativo di unificazione fatto da Alessandro.
Era una crisi dovuta alle differenze di civiltà e ai contrasti secolari di interessi che dividevano i popoli oggetto di quel tentativo e che non potevano essere superati di colpo.
Nonostante la fragilità della costruzione politica, l’unificazione tra l’Oriente e il mondo greco tentata da Alessandro determinò un avvicinamento tra culture diverse e promosse una migliore conoscenza reciproca.
Infatti occorre considerare che Alessandro dopo avere sbaragliato l’esercito persiano nella battaglia di Isso (333 a.C.), rese prigionieri la moglie, la madre, gli schiavi di Dario III, il Gran Re dei Persiani, e s’impadronì di numerosissimi oggetti di inestimabile e straordinario valore. E, fin qui, nulla di strano, quanti leader gloriosi antichi e moderni hanno compiuto ciò? Innumerevoli, ma quello che caratterizzò particolarmente e unicamente il comportamento del Macedone fu di trattenere presso di sé queste figure reali e di considerarle e trattarle con il massimo rispetto, non con la superbia e la prepotenza proprie di un vincitore, ma alla pari. Sappiamo da alcuni suoi biografi quali Plutarco e Curzio Rufo, che egli fu considerato dalla madre di Dario III come un figlio naturale e che, come descritto nel corso dell’articolo, Alessandro sposò la figlia maggiore di Dario III, Statira.
A cosa condussero questi suoi gesti? Certamente, oltre a permettergli di guadagnare l’affetto dei congiunti del Gran Re (ma evidentemente non era questo il suo principale scopo), ebbero conseguenze formidabili sul piano politico: guadagnandosi la stima e anche la gratitudine dei nobili Persiani, avviò quel «processo di integrazione» che avrebbe trasformato radicalmente il mondo greco.
Ma le truppe di Alessandro accettarono questo processo di integrazione? Quando lui aveva scelto come consorte Roxane, avevano approvato questa scelta? Assolutamente no! I soldati macedoni consideravano Roxane solo una barbara; vi furono anche alcuni tentativi di ammutinamento contro la politica di integrazione avviata da Alessandro. Egli, già da tempo, aveva cercato di integrare Greci e Orientali: adottandone l’abbigliamento, le usanze e, in generale, la cultura orientale (come ad esempio, la divinizzazione del sovrano, con il rituale della genuflessione, tipica dei paesi orientali che contrastava in modo stridente con la tradizione greca; l’uso del diadema come insegna di dignità regale proprio dei principi asiatici, soprattutto del Gran Re di Persia, il quale portava avvolta intorno al capo una benda purpurea intessuta di bianco che cingeva il turbante o tiara. Quando Alessandro abbatté l’Impero persiano e si proclamò erede del Gran Re adottò anch’egli il diadema. Promosse l’unione tra circa dieci mila macedoni e donne asiatiche e persiane. Favorì i Persiani tra i suoi collaboratori, ministri, governatori, generali e soldati.
Alessandro oltrepassò in questo modo la barriera dell’ostilità che da lunghissimo tempo aveva contrassegnato i rapporti tra Greci e Persiani in nome di quell’integrazione che avrebbe capovolto per sempre il mondo delle città greche. Per primo poggiò il piede sul suolo troiano e gettò, simbolicamente, dei semi sul terreno «sacro», pianse gli antichi eroi greci e troiani, in particolare il grande Achille che da sempre adorava, si recò al tempio di Atena ove raccolse delle armi, che si raccontava risalissero al tempo della guerra di Troia, probabilmente appartenute ad Achille stesso, e le tenne sempre con sé.
Con questi gesti Alessandro volle mettere in luce la sua identità di «eroe», degno di essere posto sullo stesso piano degli immortali personaggi omerici, e la sua identità di mezzo dell’integrazione tra Occidente e Oriente. Quando Alessandro si recò a Pasargade, che era stata la capitale della dinastia degli Achemenidi per moltissimi anni e, visitando la città, scoprì che la tomba di Ciro il Grande era stata dissacrata e depredata empiamente da vandali, ordinò prontamente che venisse riportata alla sua dignità originaria. Tale decisione avrebbe rafforzato ulteriormente l’integrazione tra Greci e Persiani e confermato l’identità reale di Alessandro.
Luca D’Agostini
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