In questo articolo si parlerà dello Zar che sconfisse Napoleone Bonaparte e che entrò trionfante a Parigi. Aleksandr Pavlovič Romanov nacque a San Pietroburgo il 23 dicembre 1777 (il 12 dicembre del calendario giuliano) e morì a Taganrog, il 1 dicembre 1825. Detto il Beato, fu Imperatore di Russia dal 23 marzo 1801 fino alla morte. Era il figlio primogenito dello Zar Paolo I di Russia e di Sofia Dorotea di Württemberg, figlia di Federico II Eugenio di Württemberg, che aveva assunto il nome di «Maria Fedorovna», dopo la conversione. Sconfitto, più di una volta, da Napoleone Bonaparte, fu lui alla fine il vincitore definitivo della guerra, insieme agli alleati della Sesta coalizione, ed entrò per primo a Parigi pochi giorni prima dell’abdicazione dell’imperatore francese. Fu uno dei protagonisti del Congresso di Vienna. Aveva una personalità variegata ed enigmatica, era autocrate e giacobino, uomo di mondo e mistico, il cancelliere austriaco Metternich addirittura lo definì: «un pazzo che andava assecondato». (1)
Alessandro aveva due fratelli e sei sorelle tutti più piccoli d’età rispetto a lui. Appena nato fu sottratto alla madre e portato negli appartamenti dell’imperatrice Caterina II, la quale fece da mamma al nipote e si prese cura della sua educazione, in quanto la zarina Caterina II desiderava che fosse il nipote a succederle e non il figlio Paolo. Alessandro venne allevato secondo severi ma sani principi spartani: niente culla ma un lettino di ferro con cuscini di duro cuoio, ogni mattina una doccia in una stanza la cui temperatura non doveva superare mai i 15 gradi. Alessandro crebbe di sana e robusta costituzione, mai una malattia e già da piccolo si notava che sarebbe divenuto un uomo molto alto. (2) All’età di sei anni gli viene affiancato un precettore, lo svizzero, Frédéric-César de La Harpe, dal quale in seguito assorbì i principi di Rousseau sul vangelo dell’umanità e come il suo precettore fu membro della Massoneria.
La nonna, la Zarina Caterina II, volle occuparsi di persona di scegliere la moglie per suo nipote Alessandro. La sposa prescelta fu la giovane principessa tedesca Luisa di Baden. Caterina II organizzò un incontro tra i due giovani ma con risultati deludenti: Luisa era bella ma la sua bellezza non attirò né commosse Alessandro che anzi rimase indifferente. Alessandro però comprese che tutti si aspettavano il suo matrimonio con la bionda principessina tedesca e così dopo che Luisa cambiò il suo nome in quello più russo di Elisaveta Alekseevna e si fece battezzare secondo il rito ortodosso, i due giovanissimi (lui è quindicenne, lei tredicenne) il 28 settembre 1793 si sposarono.
L’unione matrimoniale fu infelice per entrambi come dimostrarono le avventure sentimentali di entrambi i coniugi. Sia l’uno che l’altro avranno delle relazioni extraconiugali, con relativi figli illegittimi e tale situazione era ben nota a Corte ed alla Zarina Caterina II. Rimase famoso il seguente aneddoto: al momento del battesimo della primogenita di Alessandro ed Elisaveta, l’Imperatore Paolo, padre di Alessandro, alla nuora che gli presentò la neonata, domandò bruscamente: «Signora, pensate che un marito biondo e una moglie bionda possano avere un figlio bruno?». La nuora, la contessa Elisaveta rispose balbettando: «Sire, Dio è onnipotente!» Alessandro invece si legò durevolmente ad una bellissima donna sposata: Maria Naryskin.
I due legami di Alessandro, quello legittimo con Elisaveta e quello illegittimo con la Naryskin coesisterono armoniosamente: Elisaveta sapeva naturalmente del legame extraconiugale del marito ma lo accettò a tal punto che quando alla Naryskin morì prematuramente un figlio illegittimo avuto da Alessandro, Elisaveta commossa, le fece le condoglianze. (2)
Alessandro pur avendo due «famiglie», non lascerà discendenti: tutti i suoi figli, sia quelli avuti da Elisaveta che quelli avuti dalla Naryskin, moriranno prematuramente, i più in tenerissima età, come accadde alle figlie legittime Maria ed Elisaveta. Egli attribuirà ciò a un castigo divino per la sua «colpa». Ma per capire quale colpa Alessandro si attribuisse occorre analizzare i rapporti tra Alessandro e suo padre, il futuro Zar Paolo. Il padre, Paolo, viveva poco distante da Pietroburgo e non tollerava che la madre, la Zarina Caterina II, gli facesse visita. Paolo aveva trasformato la sua residenza in una base militare, dove i 2400 soldati presenti erano sottoposti ad una disciplina ferrea, trascorrendo la maggior parte del tempo in parate e manovre militari; la loro minima mancanza in fatto di divisa o di allineamento veniva punita a bastonate. Passati i primi anni dell’infanzia, Alessandro cominciò a frequentare la residenza del padre dove non suonavano continuamente flauti e violini come nella corte della Zarina Caterina II ma era invece costante il rombare dei cannoni. Fu così che Alessandro si appassionò all’artiglieria, pagando però assai cara tale passione: infatti il suo stare troppo vicino ai cannoni gli procurerà una sordità all’orecchio sinistro, che l’angustierà tutta la vita. Alessandro condusse così una doppia vita: alla corte della nonna, in abito alla francese e scarpe con la fibbia, conversava amabilmente con le donne o parlava con passione di libertà, eguaglianza, progresso; a casa del padre, vestito in uniforme militare e stivali, nella quale dava ordini alla truppa e assisteva impassibile a punizioni feroci. Tale duplicità di carattere rimarrà una costante del carattere di Alessandro. I rapporti di Alessandro col padre, che possono definirsi buoni fino a che la nonna visse, diventarono veramente difficili alla sua morte.
Nel novembre del 1796, Caterina II morì prima che potesse nominare un successore e pertanto le successe il figlio Paolo. Alessandro fu indicato come il futuro erede al trono e venne ricoperto di incarichi ed onorificenze, ma non gli fu concesso alcun effettivo potere. Alessandro doveva attenersi pedissequamente agli ordini del padre a fronte di continui rimproveri e perfino la minaccia di cambiare la linea di successione per escluderlo dal trono. Gli amici con i quali Alessandro era solito riunirsi per parlare di politica vennero allontanati dalla corte. I nobili, i quali quando Caterina II regnava erano soliti frequentare i lussuosi salotti di corte dovettero rinunciare al ruolo di protagonisti dei continui eventi mondani, vedendosi emarginati dallo Zar Paolo I. In tale situazione il malcontento dei nobili condusse ad un colpo di stato. E infatti alcuni ufficiali, indotti dalla classe nobiliare, si riunirono segretamente per tessere le fila di un complotto. Ma questo non poteva riuscire senza il consenso dell’erede al trono (se non altro perché senza tale consenso i congiurati temevano che detronizzato lo Zar Paolo I, chi fosse salito al trono al suo posto, li potesse punire severamente). Alessandro una prima volta si rifiutò; ma quando i congiurati gli ricordarono le minacce paterne di escluderlo dal trono, quando gli assicurarono che nessun male al padre venisse procurato, egli cedette: non partecipò attivamente al colpo di stato, ma accettò di subentrare nel potere al padre e di non punire i congiurati. Così, nella notte dell’11 marzo1801 essi si riunirono in un appartamento contiguo al Palazzo imperiale. I loro capi erano il governatore di Pietroburgo, Pahlen, il generale Bennigsen, i fratelli Zubov (uno dei due fratelli, Paolo Zubov, era stato l’ultimo dei numerosi amanti di Caterina). Pahlen, il loro capo, dichiarò finito il regno di Paolo I ed invitò gli altri congiurati a fare un brindisi al nuovo Zar Alessandro I. Uno dei congiurati, preso dal timore disse: «E se Paolo facesse resistenza?». Imperturbabile Pahlen rispose: «Lo sapete, signori, che per fare una frittata bisogna rompere le uova». E così, poco dopo, all’interno della propria camera da letto nel Castello Michajlovskij, venne compiuto l’assassinio dello Zar Paolo I. Alessandro nel frattempo, nelle stanze a lui riservate, attendeva di conoscere la conclusione degli eventi. Con lui c’era la moglie Elisaveta: stettero, insieme abbracciati teneramente, cercando conforto l’uno nell’altro. Arrivòa Pahlen, il capo dei congiurati, e diede la terribile notizia : lo Zar era morto, morto assassinato. Alessandro scoppiò in lacrime, vinto dal rimorso. Pahlen lo guardò freddamente dicendogli: «Smettetela di fare il bambino! Andate a regnare!»
L’annuncio ufficiale fu: lo Zar Paolo I è stato vittima di un colpo apoplettico. Ma l’assassinio del padre influì sulla personalità di Alessandro per tutta la vita ed il rimorso non lo abbandonò mai. Ed alla sua colpa egli attribuirà tutte le numerose disgrazie che colpirono la sua persona e il suo regno: la morte prematura di tutti i figli, l’invasione della Russia da parte di Napoleone, la terribile alluvione che sommerse gran parte di Pietroburgo. E proprio in occasione di questa alluvione, a chi del popolo, disperato, a lui si rivolse dicendo: «Dio punisce le nostre colpe», replicò dicendo: «No, Dio punisce la mia colpa!» Scrisse la contessa Edling nella sue memorie: «Si nascondeva spesso nell’angolo più isolato del suo appartamento e lì, abbandonandosi al dolore, emetteva sordi gemiti accompagnati da torrenti di lacrime». (2)
Divenuto Zar, Alessandro I regnò dal marzo 1801 fino alla sua «presunta» morte, cioè fino al maggio 1826. E durante questo suo lungo regno furono molti gli avvenimenti che accaddero: alcuni tragici e dolorosi, come le ripetute sconfitte ad opera degli eserciti napoleonici culminate nell’incendio di Mosca; ma molti felici e gloriosi: come la vittoria finale su Napoleone. Lo Zar Alessandro I, con gran coraggio, rischiò ripetutamente la sua vita combattendo nelle prime linee dell’esercito russo, volendo essere al fianco dei suoi soldati. Si assunse la responsabilità di difficili e rischiose decisioni: dopo l’occupazione di Mosca da parte dei soldati di Napoleone, quando ormai la Russia sembrava finita a tal punto che Joseph de Maistre nell’occasione scrisse: «Salvo miracoli, la Russia non esiste più» e tutti premevano per una pace con la Francia che salvasse il salvabile, egli rischiò il tutto per tutto decidendo per la continuazione della guerra; quando a Lipsia si accorse che il piano del comandante in capo degli eserciti alleati, generale Schwarzenberg, era sbagliato, lo Zar Alessandro I non esitò ad imporre per le truppe russe un suo autonomo piano di battaglia (disse al generale Schwarzenberg: «Voi farete ciò che vorrete dell’esercito austriaco. Per quanto riguarda invece le truppe russe esse si porteranno alla destra della Pleisse, e non altrove!»). Alessandro I, dimostro di aver avuto ragione, a Lipsia i russi vinsero per sé e per gli alleati che invece, seguendo il piano di Shwarzenberg, subirono una rovinosa sconfitta. (2)
In politica interna, lo Zar Alessandro I, attuò una serie di riforme per migliorare il benessere della nazione. Abolì la polizia segreta istituita dal padre. Scarcerò più di 12.000 tra ufficiali e servitori e permise di nuovo l’importazione dei beni di lusso dall’Europa occidentale. (3) Abolì la tortura, attenuò la censura, concesse al senato il diritto di rimostranza ed ai contadini e mercanti il diritto di acquistare la terra. Creò un consiglio dei ministri di tipo occidentale. (4) Curò soprattutto l’istruzione pubblica mediante la fondazione di scuole di formazione per il personale e la costituzione di scuole secondarie e tre università. Attuò una riforma amministrativa mirando soprattutto ad una migliore selezione del personale imponendo come requisito per l’accesso alla carriera burocratica il superamento di un esame o, nel caso della magistratura, la laurea. Tuttavia, nonostante le idee umanitarie inculcategli da Harpe e nonostante il suo desiderio di rendere felice la sua gente, allo Zar mancava l’energia necessaria per portare a termine la riforma più urgente, cioè l’abolizione della servitù della gleba. Infatti, la completa liberazione dei servi della gleba, che costituivano i tre quarti della popolazione, avrebbe suscitato l’ostilità dei loro padroni nobili e degli ecclesiastici con la conseguenza di destabilizzare lo stato, per cui lo Zar si limitò soltanto a ridurre il peso dei tributi che i servi della gleba dovevano pagare, ma al contempo aveva ripristinato il diritto feudale di esiliare i servi della gleba in Siberia. (5) Inoltre creò molti malcontenti tra i contadini, istituendo le «colonie militari». Tali colonie erano comunità, poste alla frontiera dell’impero al fine di presidiarlo, in cui i soldati vivevano insieme con i contadini: i primi aiutavano a falciare, trebbiare, arare; i secondi, nel tempo libero, imparavano l’uso delle armi e a marciare. Tutta la vita, in tali comunità, era ispirata ad una disciplina militare. I contadini spingevano l’aratro e maneggiavano la falce indossando l’uniforme e al suono di un tamburo. I matrimoni erano combinati dall’autorità militare, spesso con estrazione a sorte. Le donne che non partorivano con sufficiente frequenza erano soggette ad ammende. I bambini all’età di sei anni, sottratti alle famiglie, venivano mantenuti ed educati dallo Stato come «figli della truppa». Tutto era regolamentato : spazzatura dei cortili, lavaggio dei pavimenti, cura del bestiame, accensione delle luci, ogni altra minima azione della vita quotidiana. Ai contadini che prima vivevano in estrema povertà ed in condizioni igieniche deleterie per la loro salute, furono affidate casette pulite e confortevoli, unitamente ad un vitto abbondante, sano ed igienico. Certo, il prezzo che i contadini pagavano era la libertà e chi non accettava le «colonia militari» scappava e si nascondeva nei boschi. (2)
Tutte queste vicende che attraversarono la vita di Alessandro, tragedie e lutti familiari, guerre, disastri naturali, modificarono profondamente il suo carattere: egli diventò più introspettivo e sentì il bisogno del conforto di una profonda e mistica fede in Dio. Tra lo Zar Alessandro I e la moglie, l’imperatrice Elisaveta, ormai avviati nel viale del tramonto si formò un rapporto fatto di affetto, tenerezza, amicizia. Essi si appartavano per parlare quietamente delle loro preoccupazioni familiari e politiche e per leggere la Bibbia. Lo Zar, ormai cinquantenne, stanco e depresso ed in uno stato di abulia, pensò sempre più spesso di abdicare, a favore del fratello Nicola e non a favore del fratello Costantino poiché questi, contraendo un matrimonio morganatico, cioè un matrimonio tra persone di diverso rango sociale, che impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito, si era volontariamente preclusa la corona, alla quale peraltro non teneva. In questo stato d’animo, nell’autunno 1825, quando i medici per motivi di salute consigliano alla moglie un soggiorno in una località vicino al mare, decise di ritirarsi con lei a Taganrog sulle rive del Mare di Azov, per assisterla e farle compagnia. (2)
Ritiratosi a Taganrog, Alessandro si trasferì insieme alla moglie in una modesta abitazione affacciata sul porto: il 17 novembre, di ritorno da una visita in Crimea, si ammalò di raffreddore che però degenerò in tifo. Si spense il 1 dicembre 1825 tra le braccia della moglie, lasciando il trono al fratello, lo Zar Nicola I. La sua morte fu, però, avvolta dal mistero e ben presto sorse la leggenda che, in realtà, abbia inscenato tale fatto allo scopo di potersi ritirare a vita privata e che avrebbe vissuto a Tomsk, una città della Siberia, fino al 1864, sotto le spoglie di un monaco eremita di nome Fëdor Kuzmich. Fëdor Kuzmich fu arrestato nel 1836 per vagabondaggio e trasferito in una colonia penale. Dopo aver scontato la pena si era dato alla vita monastica. Ma la gente aveva paura di quel monaco, enorme, colto, distaccato, delle sue doti di ipnotizzatore e che guariva le persone con le mani e con gli occhi. (1) Tale versione, riportata nel racconto incompiuto di Lev Tolstoj, «Memorie postume dello stareta Fëdor Kuzmich» e suffragata anche dallo storico Nikolaj Karlovič Schilder e dal fatto che uno dei servi di Alessandro I, incontrandolo lo riconobbe. Così come la testimonianza dell’ambasciatore inglese in Russia che affermò di aver visto Alessandro a bordo di una nave dopo la sua presunta morte. (6) Tale teoria è, peraltro, supportata dalla deferenza mostrata dai successori di Alessandro I, Nicola I e Alessandro II, nei confronti di Fëdor Kuzmich, il quale morì il primo febbraio del 1864. Inoltre le spoglie dello Zar non furono ritrovate nella sua tomba sita nella cattedrale di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo ed aperta nel 1921.
Recentemente alcuni esperti di grafologia hanno scoperto che le scritture del monaco Fëdor di Tomsk e dello Zar di Russia sono identiche. Per decenni, studiosi e storici hanno tentato di capirci qualcosa. Poi la svolta. Arrivata grazie all’analisi grafologica dei manoscritti dello Zar e di sua moglie, comparati con quelli del monaco siberiano e di una donna che viveva con lui. Quindi la sorpresa. Lo Zar Alessandro I e sua moglie, l’Imperatrice Elisaveta, sarebbero Fëdor e Vera Molchalnica, i «guaritori» di Tomsk. Morti, entrambi quasi quarant’anni dopo la morte «ufficiale» dello Zar. (1)
A novembre del 2014, il Presidente Vladimir Putin ha inaugurato una statua dedicata ad Alessandro I. Il monumento sorge proprio a ridosso delle mura del Cremlino nei Giardini di Alessandro. Alla cerimonia, che cade nel duecentesimo anniversario della vittoria russa, c’era anche il patriarca Kirill. Il Presidente Putin ha detto: «Alessandro I svolse un enorme ruolo per unire il popolo nella difesa dell’indipendenza del Paese!», ed monumento rappresenta lo Zar con in mano una spada e sotto i suoi piedi le armi francesi. (7)
Luca D’Agostini
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Fonti:
(1) Il segreto di Alessandro I
(2) Alessandro I
(3) Le mancate riforme di Alessandro I
(4) Alessandro I Zar di Russia
(6) Zar Alessandro I
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