Questo articolo è dedicato al primo re di Jugoslavia, Aleksandr Karađorđević, un grande amante della Russia.
Nacque il 16 dicembre 1888 ed era figlio del re di Serbia Pietro I Karađorđević e della principessa Zorka, figlia del principe montenegrino (in seguito re) Nicola I Njegoš.
Aleksandr ricevette una brillante educazione in Russia e nel 1904 si diplomò a San Pietroburgo. In Russia, il principe serbo strinse molte amicizie e si innamorò perdutamente della Russia, rimanendone per il resto della sua vita sempre molto legato. Addirittura lo Zar Nikolaj II (Nicola II) si accorse della brillantezza di Aleksandr e si interessò personalmente che la sua educazione e la sua istruzione procedessero nel migliore dei modi, tanto che l’erede al trono serbo divenne un ospite frequente nella casa della famiglia imperiale russa.
Dopo l’abdicazione nel 1909 del fratello maggiore Giorgio, dall’8 luglio 1914, in relazione alla malattia del re Pietro I, Aleksandr fu nominato principe reggente del regno serbo. Durante le due guerre dei Balcani del 1912-1913, il principe Aleksandr comandò la prima armata serba, mostrando un coraggio eccezionale. Mentre i turchi inondavano le posizioni serbe con una pioggia continua di proiettili di fucili, il principe guidava le sue truppe all’assalto cavalcando in prima fila, diventando così un bersaglio evidente e attraente per le truppe turche. Inoltre, quando, infine, dopo una feroce battaglia sanguinosa fu presa Kumanovo, il principe Aleksandr fu il primo ad entrare nella città conquistata.
Dopo la fine della Seconda Guerra dei Balcani, Aleksandr ricevette la medaglia d’oro per il coraggio e l’Ordine Imperiale del Santo Apostolo Andrea il Primo Chiamato,la più alta onorificenza del paese.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, il principe Aleksandr assunse le funzioni di comandante supremo dell’esercito serbo. Per il coraggio dimostrato dai serbi nella lotta contro un nemico comune, l’imperatore russo Nikolaj II (Nicola II) conferì al principe serbo gli ordini di San Giorgio di 3° e 4° grado.
Dopo la morte di suo padre, avvenuta nel 1921, Aleksandr fu proclamato sovrano del regno di serbi, croati e sloveni e nel 1929, dopo la formazione della Jugoslavia, divenne il primo re jugoslavo con il titolo di Alessandro I di Jugoslavia.
Nel 1922 sposò la principessa Maria, la figlia del re di Romania Ferdinando I. Da questo matrimonio nacquero tre figli: Pietro, Tomislav e Andrej.
Alessandro I di Jugoslavia e la principessa Maria
Profondamente grato alla Russia zarista, che lo aveva accolto ed educato, e che aveva protetto la sua patria nel 1914, il re Alessandro I diede rifugio e protezione a numerosi emigranti russi, motivando così la sua scelta: «La Jugoslavia deve moltissimo allo Zar russo, il quale mi ha accolto, mi ha sempre fatto sentire a casa, è sempre stato cordiale nei miei confronti e si è assicurato che ricevessi un’eccellente addestramento militare«.
Il re Alessandro I prese la notizia della Rivoluzione d’Ottobre come una tragedia personale. Fu così che il re jugoslavo contribuì personalmente con le sue finanze alla costruzione della Chiesa ortodossa della Santissima Trinità a Belgrado, la principale chiesa per gli emigranti russi in Serbia e che divenne il luogo di deposito dei santuari militari russi. Contribuì attivamente alla creazione di istituzioni educative e sportive per gli emigranti russi. E fu in Serbia che il generale Wrangel creò l’Unione Militare Russa.
Il re Alessandro I, cresciuto nelle tradizioni della cultura e della lingua russa, non solo dava ospitalità e protezione ai rifugiati russi, ma garantiva a tutti loro uguali diritti con la popolazione jugoslava, al punto che a tutti i russi emigrati in Jugoslavia era garantito di continuare a svolgere la propria professione e che all’Università di Belgrado c’erano più professori russi che serbi. L’atamano russo Pëtr Nikolaevič Krasnov definì il re Alessandro I con queste parole: «Re Alessandro! Un re cavaliere, un serbo con un’anima russa, cresciuto in Russia, che sa cos’è la Russia imperiale, che la ama e le è fedele!«
Per comprendere ancora meglio quanto Alessandro I di Jugoslavia amasse i russi, sono emblematiche le sue parole proferite all’accademico serbo Aleksandr Belič: «Devi proteggere l’anima russa. Guarda i russi, sono venuti qui con le loro famiglie. Ogni famiglia è un popolo in miniatura, questa è l’origine di ogni popolo. Credimi, i russi troveranno la loro terra natale nelle loro quattro mura se la famiglia respirerà l’atmosfera russa. La scuola russa — primaria e secondaria — dovrebbe consolidare per sempre la loro nazionalità russa, senza la quale la loro famiglia è una foglia strappata da un albero possente. E non è tutto, e non è abbastanza. I russi non possono vivere senza soddisfare i loro bisogni spirituali. Ricordalo sempre. Riparare, nutrire, curare è buono, necessario e molto utile. Ma se allo stesso tempo non permetti alla persona russa di manifestare la sua anima e il suo modo di essere durante le conferenze, i concerti, le mostre e soprattutto al teatro, non hai fatto nulla per lei. Ricorda sempre che ci sono persone al mondo che doneranno il proprio pane per lo sviluppo e la tutela dell’arte, della scienza e del teatro. Questi sono i nostri fratelli russi«.
Avendo notato cosa era accaduto con la Rivoluzione d’Ottobre, Alessandro I cercò di proteggere il suo regno dalla minaccia delle idee rivoluzionarie. È noto che già prima di salire al trono, nel giugno del 1917 grazie all’energica attività del principe Aleksandr, l’organizzazione massonica della «Mano Nera» era stata eliminata.
All’inizio degli anni ’30, iniziò la costruzione della Casa Russa a Belgrado, il centro spirituale della scienza, dell’arte e dell’educazione russe. L’idea della sua costruzione fu sostenuta dal re Alessandro I, che assunse il ruolo di patrono sovrano. I fondi per la costruzione e l’equipaggiamento dell’edificio furono donati dallo stesso re.
Inoltre, Alessandro I era un convinto protettore della religione ortodossa e dava ospitalità a decine di migliaia di rifugiati dalla Russia per proteggerli dalla persecuzione delle autorità bolsceviche. Per motivi diversi, Stalin, Hitler e Mussolini odiarono ferocemente il re serbo.
Il re Alessandro I, aveva intuito le criticità geopolitiche che avrebbe vissuto l’Europa negli anni immediatamente seguenti.
A metà degli anni 1920, nell’opinione pubblica jugoslava regnava una confusione, generata da un lato dalla propaganda comunista che negava tutto ciò fosse monarchico, ortodosso e nazionale, e dall’altra parte, dalla crescente pressione generata dall’incremento della forza politica dei partiti nazionalsocialisti. In queste condizioni, durante un suo discorso al popolo il re Alessandro I dichiarò: «È giunto il momento in cui non dovrebbero più esserci mediatori tra il popolo e il re. Le istituzioni parlamentari, che mio padre, beato defunto, ha usato come strumento politico, rimangono il mio ideale. Ma cieche passioni politiche hanno abusato del sistema parlamentare, facendolo divenire un ostacolo a tutte le utili attività nazionali. Invece di sviluppare e attuare l’idea di unità nazionale, i leader parlamentari hanno iniziato a provocare scontri e divergenze nazionali. Il mio santo dovere, a tutti i costi, è preservare l’unità nazionale dello Stato. Questo ideale dovrebbe diventare la legge più importante non solo per me, ma per ogni persona. Tale obbligo me lo impone la responsabilità nei confronti della gente e della storia, il mio amore per la madrepatria e la santa memoria delle innumerevoli e inestimabili vittime che si sono innamorate di questo ideale. Ricorrere, come prima, a un cambio di governo parlamentare o a nuove elezioni per l’assemblea legislativa significherebbe perdere tempo prezioso in inutili tentativi, come dimostrato dagli ultimi anni. Dobbiamo cercare nuovi metodi di lavoro e aprire nuove strade«.
In pratica Alessandro I, per evitare rivoluzioni o la disgregazione del Paese, aveva intenzione di eliminare il ruolo del parlamento. Tuttavia, il suo piano politico non era destinato a realizzarsi, l’attentato di Marsiglia cambiò radicalmente la politica interna ed estera della Jugoslavia.
Alessandro I fu ucciso il 9 ottobre 1934, durante una sua visita istituzionale in Francia, un Paese che considerava alleato. Nell’attentato morì anche Louis Barthou, un politico conservatore francese, già Primo Ministro francese nel 1913 e, poco prima dell’omicidio, nominato ministro degli Affari Esteri della Francia.
Jean Louis Barthou, ministro degli Esteri francese
Pochi mesi prima, il Ministero degli Esteri francese aveva redatto una bozza dettagliata del Patto Orientale. Il progetto prevedeva la conclusione di due trattati collegati in un unico sistema di sicurezza collettiva: il Patto Orientale per l’assistenza reciproca tra Unione Sovietica, Germania, Polonia, Cecoslovacchia e Paesi Baltici e il Trattato Franco-Sovietico, secondo il quale la Francia si assumeva gli obblighi previsti dal Patto Orientale, come se se vi partecipasse e l’Unione Sovietica assumeva obblighi nei confronti della Francia, come se fosse parte degli Accordi di Locarno del 1925.
In cambio delle garanzie di Mosca, Barthou riuscì a sostenere l’ingresso dell’Unione Sovietica nella Lega delle Nazioni, da parte dell’Inghilterra, della Cecoslovacchia, della Romania e della Jugoslavia. Il 15 settembre 1934, trenta stati firmarono un invito inviato all’Unione Sovietica per farla aderire alla Società delle Nazioni. Louis Barthou lo considerò un grande successo delle sue attività diplomatiche. Riteneva quindi che fosse stato compiuto un passo importante verso l’istituzione della cooperazione franco-sovietica: «Il mio compito principale è stato raggiunto. Il governo dell’Unione Sovietica ora coopererà con l’Europa«.
Inoltre, alla fine di settembre del 1934, Barthou aveva preparato un progetto di accordo globale, secondo il quale Francia, Italia e paesi della Piccola Intesa (Jugoslavia, Cecoslovacchia e Romania) dovevano garantire collettivamente l’indipendenza dell’Austria dalla Germania. I dettagli di questo accordo globale sarebbero dovuti essere all’ordine del giorno nell’occasione della visita in Francia da parte di Alessandro I.
Barthou avrebbe dovuto convincere il re jugoslavo della necessità di negoziati con l’Italia. L’ambasciata statunitense a Berlino era stata informata. Il giorno prima dell’attentato il ministro Barthou riferì alla stampa francese: «La visita del re jugoslavo ha lo scopo di creare una coalizione di Francia, Italia e Jugoslavia contro la Germania. Questa volta farò davvero qualcosa per il mio paese. Questa visita di Alessandro I sarà importante e mi permetterà quindi di andare a Roma, avendo fiducia nel successo«.
A causa della forte complicazione dei rapporti tra Italia e Jugoslavia, il re Alessandro I, che stava ostacolando l’imminente aggressione italiana contro l’Albania, arrivò a Marsiglia per negoziare con il ministro degli Esteri francese.
Il re fu ucciso da vari colpi di una pistola semiautomatica «Mauser C96», sparati da un terrorista bulgaro di nome Vlado Černozemski, appartenente alla VMRO, la potente organizzazione con base in Bulgaria che lottava per la separazione della Macedonia dalla Jugoslavia. La VMRO era alleata e collaborava strettamente con gli Ustascia. Gli Ustascia, comandati dal croato di Bosnia Ante Pavelić, erano gli appartenenti al movimento nazionalista croato di estrema destra, alleato dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani nella Seconda Guerra Mondiale, che si opponeva al Regno di Jugoslavia dominato dall’etnia serba. Il 9 ottobre 1934, Barthou incontrò il re Alessandro I nel vecchio porto di Marsiglia. Il corteo fu attaccato dal terrorista Vlado Černozemski il quale riuscì a eludere la scorta e si avvicinò all’autovettura scoperta di marca «Delage» sulla quale viaggiavano il ministro degli esteri francese e il re jugoslavo.
Alessandro I e Barthou poco prima dell’attentato
Alessandro I fu ucciso sul posto dai colpi sparati dall’attentatore. Louis Barthou rimase gravemente ferito e morì in ospedale il giorno successivo. L’autopsia mostrò che le pallottole che lo uccisero erano quelle sparate dalla polizia francese. Inoltre, a causa del panico che si venne a creare tra la folla, due civili furono accidentalmente uccisi da pallottole vaganti. L’attentatore Černozemski morì poco dopo per le ferite riportare dal linciaggio della folla e dalle sciabolate della guardia francese a cavallo.
Attentato di Marsiglia — 9 ottobre 1934
Attentato di Marsiglia — 9 ottobre 1934
La mattina del 10 ottobre giunse a Marsiglia il treno speciale su cui aveva viaggiato la regina Maria, che fu accolta dal prefetto e condotta alla camera ardente del marito, dove fu raggiunta dal presidente della repubblica francese Albert Lebrun, il quale auspicò un prosieguo delle buone relazioni tra i due Paesi. Il feretro fu imbarcato sul cacciatorpediniere «Dubrovnik» e fece ritorno a Belgrado, dove il 17 ottobre furono celebrati i solenni funerali del re; il corpo fu inumato nel mausoleo reale di Oplenac.
Alessandro I sembrava aver previsto la sua imminente morte. Infatti, prima di partire per la Francia trascorse tre giorni interi con il figlio undicenne Pietro, al quali diede istruzioni su come modificare ulteriormente la Jugoslavia. Alessandro I aveva fatto dipingere le stanze sotterranee del suo castello nello stile del Cremlino di Mosca. Si trattava di 5 stanze in perfetto stile russo. Il re jugoslavo amava trascorrere il tempo in quelle stanze, soprattutto quando era giù di morale e preoccupato. Alessandro I e suo figlio Pavel trascorsero tre giorni in quelle stanze e il padre istruì il figlio su come agire nel caso fosse salito al trono. Le ultime parole a suo figlio furono: «Proteggi la mia Jugoslavia!» Presagio allarmato di un disastro imminente. Il re prima del viaggio a Parigi, ovviamente, prevedeva che non sarebbe tornato in Jugoslavia.
Dopo la sua morte, l’ingresso della Casa Russa di Belgrado fu decorato con due targhe commemorative in marmo: una con la scritta: «All’imperatore Nicola II, difensore Della Serbia» e l’altra con la scritta «Re Alessandro I, il difensore dei russi«. Così, due popoli fraterni, attraverso il ricordo dei loro sovrani assassinati, espressero il loro impegno reciproco, in una fratellanza che dura ancora oggi.
Purtroppo Alessandro I morì quando suo figlio Pietro, l’erede al trono, aveva solo 11 anni. Quindi fu il cugino di Alessandro I, il principe Paolo, a divenire reggente del regno jugoslavo, in attesa che Pietro divenisse maggiorenne. Ma con sommo dispiacere dei serbi, il principe Paolo orientò il Paese in una politica di cooperazione con la Germania e l’Italia. Arrivò al punto che nel marzo del 1941 il suo governo firmò un protocollo a Vienna sull’adesione della Jugoslavia alla Triplice Alleanza, che causò una tempesta di indignazione popolare nel Paese. Fu in quel momento che il figlio di Alessandro I, il giovane re Pietro, ricordando le ultime parole di suo padre, non attese il raggiungimento della maggiore età e assunse il potere nelle sue mani. Ma presto la Germania e l’Italia occuparono la Jugoslavia (aprile 1941) e il diciassettenne sovrano Pietro fu costretto a lasciare il Paese, volando prima in Grecia, poi in Egitto e poi a Londra.
Approfittando dell’assenza del monarca nel paese occupato, il cosiddetto Consiglio Antifascista di Liberazione Popolare, guidato dai comunisti, sotto la minaccia di rappresaglie, proibì al re di tornare nel Paese. Nel novembre del 1945, l’Assemblea costituente abolì la monarchia in Jugoslavia.
Per molti anni, il re Pietro II visse con la sua famiglia in esilio a Londra, sposandosi nel 1944 con la figlia del pronipote dello zar Nikolaj I (Nicola I). Da qualche anno la famiglia reale Karađorđević è tornata a vivere in Serbia, a Belgrado.
Le indagine seguenti l’omicidio del re jugoslavo fecero emergere che l’attentato non era opera di un singolo attentatore, ma fu accuratamente preparato e condotto da una cospirazione alla quale parteciparono molte persone, i cui fili riconducevano a Berlino e a Londra. Ancora oggi comunque, non conosciamo tutta la verità riguardo questo omicidio, poiché gli organizzatori e gli investigatori stessi, per esigenze di carattere geopolitico eliminarono tracce, testimoni e inquinarono le prove.
Benito Mussolini comparve tra gli indagati dei mandanti dell’omicidio di Alessandro I, ma tale pista fu poi abbandonata. Parrebbe dunque strano un coinvolgimento di Mussolini che, tre giorni prima a Milano, pronunciò un discorso per l’appeasement con la Jugoslavia. Ciò non esclude che altri settori fascisti, quelli cosiddetti «dalmati» e visceralmente anti-jugoslavi, rimanessero ostili a Belgrado. Forse preso da timori, il Duce dichiarò «stupore ed indignazione» ed obbligò, all’indomani dell’assassinio, l’intero governo a partecipare ad una messa in suffragio delle vittime presso la chiesa di San Luigi dei Francesi. Mussolini fece deportare al confino nell’isola di Lipari i militanti Ustascia fino ad allora ospitati, mentre Ante Pavelić ed Eugen «Dido» Kvaternik furono imprigionati nelle Carceri Nuove di Torino. Dal proprio canto, il governo jugoslavo protestò alla Società delle Nazioni solo contro l’Ungheria e non contro l’Italia. Secondo alcuni storici, primo fra tutti il maggiore storico del fascismo a livello mondiale, il prof. Renzo De Felice (mio docente duranti gli anni universitari), i mandanti dell’omicidio sarebbero da cercare a Berlino, essendo questa contraria al riavvicinamento fra Italia e Jugoslavia. Andrea Ferrario, in un articolo pubblicato su «Il Manifesto» l’11 novembre 1998, ricorda che negli anni Cinquanta scoppiò uno scandalo quando si insinuò che Hans Speidel, negli anni Trenta ufficiale dell’Abwehr (il servizio segreto militare tedesco), aveva commissionato su ordine di Hermann Göring l’assassinio di Alessandro I, e che il piano operativo era stato definito la spada teutonica. In realtà l’articolo fece molto scalpore poiché Hans Speidel era il comandante in capo delle truppe della NATO in Europa Occidentale.
La carriera di Speidel è interessante quanto sconvolgente: gerarca nazista, ufficiale di Stato maggiore delle SS, divenne nel 1944 capo di Stato Maggiore del maresciallo tedesco Erwin Rommel, fu in seguito coinvolto ai massimi livelli nel complotto contro Hitler del luglio 1944, riuscì a sopravvivere fortunosamente alla repressione. Nel dopoguerra divenne comandante in capo delle truppe NATO in Europa occidentale. La tesi riportata da Andrea Ferrario è difficile da provare, ma dal curriculum di Speidel risulta che prestò servizio dal 1933 al 1935 presso gli uffici dell’addetto militare dell’ambasciata tedesca a Parigi, certamente quale ufficiale dell’Abwehr con competenza sul territorio francese.
Quindi torniamo al punto iniziale delle indagini. Ancora oggi, a distanza di 86 anni dall’attentato di Marsiglia, non conosciamo tutta la verità riguardo questo omicidio e ciò è dovuto essenzialmente a fattori geopolitici che sin da subito resero complicato lo sviluppo delle indagini. Infatti, occorre ricordare che a quell’epoca, l’Europa era divisa dalle conseguenze del Trattato di Versailles e colpita dalla crisi economica e dall’avvento del nazismo in Germania; era quindi molto forte il timore che quel gesto folle avesse potuto provocare una crisi internazionale ancora più grave. Si temeva di trovarsi in una situazione simile a quella del 1914 quando l’attentato di Sarajevo aveva provocato lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Benché si fosse evitato il ricorso alle armi, tuttavia l’attentato di Marsiglia ebbe gravi ripercussioni sullo scenario geopolitico europeo, provocando un deterioramento nelle relazioni franco-Jugoslave ed indebolendo la posizione della Francia nell’Europa dell’Est.
Di fronte all’aumento della tensione internazionale si diffuse il desiderio di non mettere ulteriore olio sul fuoco. I governi francese ed inglese si attivarono per salvaguardare la pace e per proteggere i loro interessi geopolitici. Non si voleva mettere in difficoltà il governo italiano che la Francia voleva avere come proprio partner contro Hitler.
L’attentato di Marsiglia costituì tuttavia un momento decisivo per il deterioramento dell’alleanza franco-jugoslava stipulata all’indomani della Prima Guerra Mondiale. La Francia vedeva la propria principale minaccia nella Germania nazista, mentre la Jugoslavia si preoccupava delle mire egemoniche dell’Italia nell’Adriatico e temeva più un eventuale ritorno degli Asburgo in Austria che l’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte della Germania. Inoltre il governo di Re Alessandro I era insoddisfatto degli investimenti economici della Francia in Jugoslavia e in ottica di una collaborazione economica, cominciò a guardare alla Germania. Di contro in Francia la svolta autoritaria imposta nel 1929 da Alessandro I con l’eliminazione del parlamento e la repressione anti-croata davano parecchio fastidio. La visita ufficiale di Alessandro I del 1934 doveva porre rimedio a questa serie di problemi e convincere il re jugoslavo ad un avvicinamento con l’Italia, che Barthou riteneva premessa indispensabile per avviare la strada ad un riavvicinamento tra Francia e Italia.
Dopo l’attentato, Laval, il successore di Barthou, riprese immediatamente le trattative di riavvicinamento con l’Italia, che si conclusero nel gennaio dell’anno successivo, ma che non furono apprezzate da Belgrado. Sul lato opposto, l’attentato di Marsiglia permise il progressivo avvicinamento tra la Jugoslavia e la Germania e rafforzò in Jugoslavia e nell’Europa sud-orientale l’opinione che i paesi occidentali non erano preparati per proteggere i loro piccoli alleati e che dunque era più conveniente avvicinarsi alla Germania nazista che stava aumentando velocemente la sua potenza in Europa.
Luca D’Agostini
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Fonti
Jean-Christophe Buisson, Héros trahi par les alliés. Le général Mihailovic 1893-1946, Perrin, Parigi 1996
Renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi, Torino 1974
J. Müller, I generali di Hitler, a cura di Correlli Bernett, Rizzoli, Milano 1991
Andrea Ferrario, I quarant’’anni italiani di un «eroe» terrorista. Una salma da Roma a Sofia. Nuove rivelazioni sui legami tra Vaticano ed estrema destra balcanica, Il Manifesto, 11/11/1998
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