Questo articolo è dedicato ad Aleksandr Sergeevič Puškin, il più grande poeta russo ed uno dei maggiori scrittori russi, il quale, come in un perfetto romanzo romantico, morì per difendere il proprio onore, sfidando colui che insinuò l’infedeltà della moglie. In una giornata d’inverno nel 1837 Puškin perse la vita, ma ancora oggi il suo nome risuona fra le terre di tutta la Russia, immutabile ed eterno, proprio come le sue opere.
Puškin nacque a Mosca il 6 giugno 1799 (il 26 maggio secondo l’allora calendario Giuliano) e morì a San Pietroburgo il 10 febbraio 1837 (il 27 gennaio del calendario giuliano).
Il padre, Sergej L’vovič Puškin, uomo molto avaro, era un ufficiale dell’esercito russo ed apparteneva ad una famiglia di antica nobiltà, mentre la madre, Nadežda Osipovna Gannibalova, donna dispotica e capricciosa, era la nipote di Abram Petrovič Gannibal, il più importante generale russo dell’epoca e di origine abissina al quale Puškin dedicherà l’incompiuto romanzo storico «Il negro di Pietro il Grande». Puškin non venne educato dai genitori, assidui frequentatori di salotti mondani, ma dalla nonna materna, dallo zio materno Vasilij, il quale era un poeta che apparteneva a un circolo letterario d’avanguardia chiamato Arzamas, e dalla balia Arina Rodionovna la quale gli narrava fiabe popolari e il cui nome fu reso celebre dalle liriche che l’autore compose nell’ultimo periodo della sua vita. La sua infanzia fu sempre caratterizzata dalla solitudine, dalla carenza d’affetto e il giovane Puškin trascorreva la totalità del suo tempo immerso fra i libri, soprattutto francesi, della ricca biblioteca del padre. (1)
A dodici anni venne ammesso al liceo che lo Zar Alessandro I aveva appena istituito non lontano dall’attuale San Pietroburgo, per i giovani ingegni della nobiltà russa. (2)
Dopo aver completato gli studi, senza tuttavia risultati eccellenti, nel 1817, Puškin diventò funzionario del Ministero degli Esteri anche perchè conosceva perfettamente la lingua francese. A San Pietroburgo, dove risiedeva in quegli anni, condusse una vita all’insegna del piacere, primo fra tutti quello per le donne. Ai lussuosi salotti mondani e nobiliari alternava tuttavia la partecipazione a società letterarie politiche progressiste, come l’Arzamas e la Lampada Verde. Così Puškin si lasciò guidare dai fervori della gioventù, scrivendo poesie ispirate alla libertà, alla lotta per la patria, contro il potere tirannico, provocando il sospetto di attività sovversive tanto che fu confinato dallo Zar Alessandro I in una sperduta località della Russia meridionale. (1)
Lavorò nel frattempo ad un poema epico romantico in sei canti «Ruslan e Ljudmila», edito nel 1822, a cura degli amici che erano rimasti nella capitale, che gli valse il rispetto e gli onori della nuova generazione di letterati e le antipatie della vecchia che vedevano nell’opera un’involuzione della letteratura russa.
Nel 1823 venne trasferito ad Odessa alle dipendenze del governatore generale della Nuova Russia, il principe Vorontsov, in qualità di addetto alla segreteria. Odessa era allora un grande centro commerciale e una città cosmopolita per la presenza di stranieri, in particolare greci ed italiani, ed era un ambiente piuttosto stimolante per uno scrittore. Fu certamente qui che cominciò a scrivere il suo poema in versi, Evgenij Onegin (vi si trovano infatti molti italianismi e la protagonista Tatiana somiglia ad Elisaveta Vorontsova moglie del Principe Vorontsov). Ad Odessa Puškin venne iniziato nella Massoneria nella Loggia «Ovidio». Successivamente si presentarono dissapori con Vorontsov il quale, volendo vendicarsi della corte di Puškin verso la moglie Elisaveta, forse coronata da successo stanti le bellissime liriche che l’autore russo le ha dedicato, lo denunciò per attività sovversiva alla polizia. Come prova produsse una lettera, sottratta dallo stesso Vorontsov, in cui Puškin scriveva a un suo interlocutore di Pietroburgo con frasi giudicate atee. Fu licenziato dalla burocrazia imperiale e la polizia lo spedì quindi in esilio presso Pskov, nella tenuta materna, dove rimase, senza la possibilità di allontanarsene, fino al 1826, quando il nuovo Zar Nicola I, lo ricevette nel convento moscovita di Cudov e in cambio di una promessa di «ravvedimento» gli concesse il suo «perdono» ed un piccolo posto. Puskin rimarrà comunque sempre una specie di sorvegliato speciale. (1) (2)
Intanto nel 1825 finì il poema drammatico Boris Godunov (rappresentato per la prima volta nel 1831) e il racconto in versi Il conte Nulin, oltre a diverse poesie.
Tornato a San Pietroburgo, Puškin visse il momento più prolifico della sua attività letteraria, coronato nel 18 febbraio 1831 con il matrimonio con la bellissima ma anche frivola e banale, Natal’ja Nikolaevna Gončarova, conosciuta la prima volta ad un ballo nel 1828 ma che non riuscì a sposare prima per via dell’opposizione dei genitori di lei. Natal’ja era considerata la donna più bella di tutta Pietroburgo: si dice che bastò un sorriso per farlo innamorare e proprio per quel sorriso Puškin perderà la vita.
Dal matrimonio con Natal’ja nacquero quattro figli, Marija, Aleksandr, Grigorij e Natal’ja. Alla sua futura moglie, Puškin dedicò questa bellissima poesia «Ricordo il meraviglioso istante»:
Ricordo il meraviglioso istante:
davanti a me apparisti tu,
come una visione fugace,
come il gesto della pura bellezza.
Nei tormenti di una tristezza disperata,
nelle agitazioni di una rumorosa vanità,
suonò per me a lungo la tenera voce,
e mi apparvero in sogno i cari tratti.
Passarono gli anni.
Il ribelle impeto delle tempeste
disperse i sogni di una volta,
e io dimenticai la tua tenera voce,
i tuoi tratti celestiali.
Nella mia remota e oscura reclusione
trascorrevano quietamente i miei giorni
senza deità, senza ispirazione,
senza lacrime, senza vita, senza amore.
Ma venne dell’animo il risveglio:
ed ecco di nuovo sei apparsa tu,
come una visione fugace,
come il genio della pura bellezza.
E il cuore batte nell’inebriamento,
e sono per esso risuscitati di nuovo
e la divinità e l’ispirazione,
e la vita, e le lacrime e l’amore.
La poesia di Puškin è ammaliante, è tenera e leggera, coinvolgente e risucchiante nel turbinio delle passioni della vita. L’amore, senza dubbio, è la fiamma della sua esistenza. Ama i fugaci entusiasmi della giovinezza, la dolcezza del mattino, il timido richiamo degli amanti; ama i giardini ombrosi, profumati, ama il piacere del vino, ama il piacere dell’amore. Eppure molte poesie sembrano pervase da una fievole tristezza, da una malinconia appena palpabile che si addice alla natura romantica del poeta, mai sazio d’amore. In russo si definisce «toska», uno stato d’animo d’angoscia, ma non estremamente drammatico. (1)
Nello stesso anno Puškin incontra Gogol’, e con lui instaura un forte rapporto di amicizia e reciproca stima.
Intanto Puškin e sua moglie cominciarono a frequentare la società di corte e gli eventi mondani. Ne derivò un periodo di grandi problemi finanziari e Puškin si copre di debiti per saziare il desiderio di lusso della moglie e soddisfare i desideri della suocera. Ai problemi finanziari si aggiungono anche le umiliazioni, soprattutto a causa della moglie e dei suoi numerosi ammiratori, tra i quali lo Zar stesso, il quale per averla a corte, nomina Puškin gentiluomo di camera, un posto adatto ad un ragazzo giovane e non certo ad un poeta affermato.
Nel 1837, Puškin ricevette una lettera anonima scritta in francese, che lo incoronava re dei cornuti e nella quale si insinuava l’infedeltà della moglie: «I sommi commendatori ed i cavalieri del serenissimo ordine dei cornuti, riuniti in gran capitolo sotto la presidenza del venerabile gran maestro dell’ordine, sua eccellenza Naryshkin, hanno nominato all’unanimità il Sig. Aleksandr Puškin, coadiutore del gran maestro dell’ordine dei cornuti e storiografo dell’ordine.»
A Pietroburgo infatti circolavano moltissime voci riguardo l’insistente, ostentato, ossessivo corteggiamento del barone francese George d’Anthès nei confronti dell’incantevole moglie di Puškin. (3) George d’Anthès era un uomo squallido, banale e considerato dagli storici russi essere un agente dello Zar, un omosessuale ed una spia. (1) Il poeta così sfidò d’Anthès a duello con la pistola ma per vari motivi tale duello venne sempre posticipato. Uno di questi motivi consisteva nel fatto che in quei giorni, il francese d’Anthès si era sposato con Ekaterina Nikolaevna Gončarova, sorella maggiore di Natal’ja, la moglie di Puškin, probabilmente per tentare di occultare la scandalosa relazione amorosa. (3)
Ad aggravare la situazione contribuì un’altra lettera anonima giunta a Puškin, nella quale si riportava la notizia che il barone Van Heeckeren stesse organizzando una fuga all’estero di d’Anthès, della moglie Ekaterina e della moglie di Puškin e dei suoi figli. Tale situazione indusse il poeta ad insultare il barone Jacob Van Heeckeren, ambasciatore olandese e padre adottivo di d’Anthès (proprio in seguito a tale adozione d’Anthes assunse il titolo di barone). Infatti il 25 gennaio 1837, Puškin scriveva al barone Van Heeckeren una lettere che non lasciava più alternative al duello: «Signor Barone, Voi avete paternamente fatto da ruffiano a Vostro figlio. Voi probabilmente gli avete ispirato tutte le sciocchezze che si è permesso di scrivere. Simile ad una vecchia depravata, Voi avete fatto la posta a mia moglie per parlare dell’amore del Vostro cosiddetto figlio o figlio non legittimo. Io sono costretto a rivolgermi a Voi e a chiederVi di mettere fine a tutti i Vostri intrighi se volete sfuggire ad un nuovo scandalo, di fronte al quale io, non indietreggerò.»
D’Anthès sfidò così Puškin ad un duello con la pistola. (4) Il duello venne fissato per le quattro del pomeriggio dell’8 febbraio 1837. Puškin consumò il suo ultimo pasto al «Literatornoye Kafe» sulla Prospettiva Nevski e subito dopo raggiunse con una slitta il luogo prestabilito per il duello situato alla Čërnaja Rečka nell’odierna San Pietroburgo, dove oggi si trova l’omonima fermata della metropolitana e dove una statua del poeta decorata sempre con fiori freschi ricorda l’evento. Puškin rimase ferito mortalmente e morì dopo due giorni di agonia, ad appena 37 anni per complicanze dovute alla ferita all’addome. (1) I referti medici descrissero una ferita all’addome grande quanto un copeco di seguito infettata dalla cancrena. In base alla direzione della pallottola si concluse che Puškin stava nella posizione «di fianco, di tre quarti» e che la direzione dello sparo era dall’alto al basso. Leggende narrano che il barone si salvò grazie ad un bottone della propria uniforme militare che deviò il colpo che il poeta esplose dopo essere stato già ferito. (4) Comunque d’Anthès venne arrestato. Prima condannato all’impiccagione, poi vide commutata la pena: fu degradato a soldato semplice e spedito in una guarnigione in un lontano avamposto ai confini della Russia dai quali non fece più ritorno.
Puškin mostrò pentimento per aver violato la legge sfidando a duello una persona e conseguentemente ebbe funerali religiosi. Una folla immensa accorse a rendere omaggio alla salma del poeta. Dato che il governo temeva rivolte e dimostrazioni popolari, il funerale fu celebrato nella massima semplicità e il corpo di Puškin fu trasportato segretamente nella notte per essere sepolto nella proprietà di famiglia. (1) Nessuno commemorò la sua morte, il capo della polizia aveva proibito ai giornali ogni necrologio; soltanto uno, «L’invalido russo» scrisse, eludendo il divieto: «Il sole della nostra poesia è tramontato. Puškin è morto. Non abbiamo più forza di parlarne e non occorre, ogni cuore russo sa tutto il valore di questa irrevocabile perdita e ogni cuore russo ne sarà lacerato.» Ma il vero epitaffio lo scrisse il poeta stesso pochi mesi prima del fatale duello: «Io mi sono innalzato un monumento ideale. La via che conduce ad esso non si coprirà d’erba. Esso si erge con la sua cima indomita più in alto della colonna di Alessandro. No, non morrò del tutto. L’anima nella sacra lira sopravvivrà al mio cenere e sfuggirà al disfacimento e sarò glorioso fino a quando in questo mondo sublunare sarà vivo sia pur solo un poeta. La mia fama percorrerà tutta la Grande Russia e mi nominerà ogni lingua in essa esistente. E il superbo nipote degli slavi, e il finno e l’ancora selvaggio tunguso, e il calmucco amico delle steppe. E a lungo sarò ancora caro al popolo, perché con la lira ho risvegliato buoni sentimenti, perché nel mio secolo crudele ho esaltato la libertà e invocato grazia dei caduti. Al voler di Dio, oh musa, sii obbediente! Non spaventandoti per le offese, non esigendo la corona, accogli lode e calunnia con animo indifferente e non disputar con lo sciocco.»
Di seguito analizziamo molto brevemente alcune tra le opere principali di Puškin.
Evgenij Onegin costituisce la fase più alta della lirica di Puškin. Si tratta di un romanzo in versi, un poema narrativo in otto canti iniziato nel 1823, portato a termine nel 1831. La trama narra di Onegin, giovane, ricco ed egocentrico, corroso dalla noia della vita ma prediletto dal bel mondo pietroburghese. Ritiratosi in campagna, fa amicizia con il giovanissimo poeta Vladimir Lenskij, con cui frequenta la famiglia Larin. Lenskij si fidanza con una delle figlie Larin, Olga. L’altra figlia, Tat’jana, graziosa e appassionata, si innamora di Onegin e glielo confessa ingenuamente in una lettera. Onegin ignora il suo affetto respingendola freddamente, e durante una festa corteggia Olga suscitando l’ira di Lenskij. Ne scaturisce un duello e Lenskij muore. Alcuni anni dopo, Onegin incontra per caso un suo cugino principe e generale e lo invita a un ricevimento a Pietroburgo. Qui incontra per caso Tat’jana, divenuta moglie di un generale. Ella è molto cambiata e la sua bellezza provoca molti rimpianti a Onegin che si rende conto dell’errore commesso tempo prima rifiutandola. Le confessa il suo amore, ma è troppo tardi: La corteggia, ma lei lo respinge dichiarandosi fedele al marito e non disposta al tradimento, pur non avendo dimenticato l’antica passione. (5) Non può non far pensare il fatto che Puškin, morirà 6 anni dopo aver scritto questo romanzo, proprio nello stesso modo in cui fece morire nel suo romanzo il poeta Lenskij, cioè in conseguenza ad un duello con la pistola e per difendere il proprio onore.
Di seguito è riportato il dipinto del celebre pittore russo Ilya Repin, che raffigura appunto il duello tra Evgenij Onegin ed il poeta Vladimir Lenskij.
La dama di picche (1834). Una storia narrata dal giovane ufficiale Tomskij ha stimolato l’avidità di Germann, uomo di pochi mezzi e molta ambizione. Secondo il racconto, una vecchissima contessa conosce tre carte sicure per vincere al gioco, indicatele in gioventù dal famoso occultista Saint Germain. Circuita la giovane dama di compagnia della contessa, Lisaveta, Germann riesce una notte a introdursi nella camera della vecchia. La minaccia e la contessa implora invano morendo di spavento senza aprire bocca. Pochi giorni dopo gli appare lo spettro della contessa, gli rivela le carte (tre, sette, asso) ma gli impone di sposare Lisaveta. Deciso a vincere, ma senza obbedire alla seconda richiesta della vecchia contessa, Germann gioca e vince due volte. La terza volta, al posto dell’asso esce la dama di picche. Germann impazzisce. (6)
La figlia del capitano (1836). E’ la storia della rivolta di Pugacëv. Si narra delle avventure del giovane alfiere Pëtr Andreic Grinëv, mandato militare dal padre. Il viaggio verso la fortezza di Orenburg, accompagnato dal precettore Savelic, l’aiuto ricevuto da un barbuto contadino durante una tormenta che gli ha fatto perdere la strada, l’arrivo e il soggiorno alla fortezza di Bologorsk dove, mentre arrivano gli echi dell’avanzata di Pugacëv, Grinëv si innamora della timida Masha, figlia di Mironov capitano del fortino. Sono gli episodi che precedono l’episodio centrale: la presa della fortezza da parte di Pugacëv. Mironov e la moglie sono uccisi dai ribelli, Grinëv viene graziato da Pugacëv, che pure ha al fianco un antico nemico di Grinëv, il disertore Svabrin. Venuto a sapere che Masha, creduta morta, è invece prigioniera di Svabrin, Grinëv ottiene da Pugacëv, che è poi il contadino incontrato nella tormenta, Masha, la vita salva e la libertà. Svabrin lo denuncia per collusione con i ribelli. Grinëv arrestato, rischia la pena di morte. Lo salva Masha che, superata ogni timidezza, va a Pietroburgo e ottiene la grazia dalla zarina Caterina II, che riesce a convincere dell’innocenza dell’alfiere. (6)
Luca D’Agostini
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Fonti:
(1) Puškin
(2) Cultura dell’Est
(3) Bottone di Puškin
(4) Vittorio Strada, Aleksandr Puskin ricostruzione di un delitto, Corriere della Sera, 2 giugno 1995, p. 33.
(5) Video RAI 3
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