Questa che state per leggere è un’affascinante storia di spionaggio, una straordinaria operazione dell’intelligence sovietica durante gli anni della guerra.
Era il novembre del 1941. In una delle stanze del rifugio del monastero di Novodevičij un samovar sbuffava sul tavolo. Il poeta Boris Sadovskij e sua moglie Nadezhda i quali vivevano all’interno del monastero, ricevettero un ospite: Aleksandr Petrovič Dem’janov, un ingegnere della casa cinematografica Glavkinoprokat. Al tavolo c’era anche l’ex capo della Nobile Assemblea di Nižnij Novgorod, il principe Glebov. Si riunirono in questo luogo per il tè e per parlare dei successi delle truppe tedesche che avanzavano su tutti i fronti.
Una cerchia di persone con la stessa mentalità sperava che presto i tedeschi avessero di nuovo stabilito una monarchia in Russia e discutevano tra loro riguardo chi ora meritasse di sedere sul trono russo.
Vivevano nel loro mondo, come se non sapessero le notizie di atrocità commesse dalle truppe tedesche nelle terre occupate.
In questa cerchia di monarchici, l’ingegnere Aleksandr Dem’janov fu accolto calorosamente e trattato con piena fiducia. Qui conoscevano la storia della sua antica famiglia. Il bisnonno di Dem’janov era stato un importante comandante dell’esercito dei cosacchi. La madre di Aleksandr, in giovinezza fu considerata una delle più belle donne di San Pietroburgo.
Aleksandr Dem’janov trascorse gli anni della Guerra Civile ad Anapa, insieme a sua madre. Qui vide gli orrori del terrore bianco e rosso. La loro famiglia era in povertà. Nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale, ricevettero la notizia che suo padre era morto per via delle ferite riportate in battaglia. Madre e figlio tornarono così a San Pietroburgo. Aleksandr si iscrisse all’Istituto Politecnico ma poco dopo fu espulso in quanto «elemento socialmente estraneo ed inaffidabile«. In realtà furono gli stessi agenti di sicurezza a sistemare una pistola all’interno della valigia di Dem’janov e far finta poi di averla trovata «accidentalmente».
Poco dopo Aleksandr Dem’janov fu contattato dagli organi di sicurezza dello stato e cominciò con loro una assidua collaborazione. Gli fu dato lo pseudonimo di «Heine«. Si trasferì a Mosca. All’azienda cinematografica Mosfilm, dove spesso si recava, incontrò Tat’jana Berezantseva, la quale aveva lavorato come assistente alla regia in molti film ancora oggi famosi. I due giovani poco tempo dopo si sposarono e si stabilirono in un nuovo appartamento nel centro di Mosca. Nella loro ospitale casa, spesso si tenevano feste, alle quali arrivavano famosi artisti, atleti e impiegati di ambasciate straniere.
Quando iniziò la guerra, Aleksandr Dem’janov scrisse una dichiarazione chiedendo di essere inviato in prima linea in un’unità di cavalleria. Ma gli agenti dell’intelligence sovietica ritennero che Dem’janov dovesse svolgere un compito di particolare responsabilità.
Fu così che le autorità sovietiche idearono un’operazione segreta, che ricevette appunto il nome in codice «Monastero». Si decise di creare un’organizzazione clandestina monarchica che fosse in grado di lavorare a favore dell’esercito tedesco. Il ruolo chiave nell’operazione «Monastero» fu assegnato ad Aleksandr Dem’janov, il quale conosceva molto bene la lingua tedesca già fin dall’infanzia. Questa operazione fu guidata dal capo della quarta direzione della sicurezza dello Stato, il generale Sudoplatov, ancora oggi considerato la leggenda dell’intelligence sovietica.
Aleksandr Dem’janov dovette svolgere un compito difficile e rischioso. Attraversò la linea del fronte, dovette arrendersi ai tedeschi e cercare di convincere i servizi segreti nazisti (Abwehr) che a Mosca esisteva un’organizzazione monarchica clandestina pronta a fornire assistenza agli agenti tedeschi. Ai primi di dicembre del 1941, Aleksandr Dem’janov si recò all’orfanotrofio del convento di Novodevičij in uniforme militare. Disse a Boris Sadovskij ed agli membri dell’organizzazione che era stato arruolato e stava partendo per il fronte. Ma disse anche che non aveva nessuna intenzione di combattere e che alla prima occasione si sarebbe consegnato ai tedeschi. I presenti accolsero il suo piano con soddisfazione. Boris Sadovskij gli lesse persino un estratto dal suo nuovo poema, che glorificava l’esercito tedesco.
A metà dicembre 1941, Aleksandr Dem’janov fu portato in prima linea vicino a Mozhaisk. Da qui, muovendosi su un paio di sci, si diresse verso la prima linea tedesca. Aveva con se un bastone al quale era appeso un telo bianco. Dem’janov, in perfetto tedesco urlò: «Non sparate! Mi arrendo!«.
Catturato dai tedeschi, fu trattato come un normale prigioniero. Ma Dem’janov chiese insistentemente che aveva bisogno di incontrare gli ufficiali dell’Abwehr. Disse che aveva un messaggio importante da riferire ai servizi segreti tedeschi. Così fu inviato in un campo di concentramento vicino a Smolensk e da qui fu condotto dagli ufficiali dell’Abwehr. Fu sottoposto a brutali interrogatori. Un giorno gli dissero: «Dì la verità: chi ti ha mandato? Dillo o ti spareremo immediatamente«. Dem’janov rispose che non l’aveva inviato nessuno. Allora fu portato fuori nel cortile ed appoggiato ad un muro di legno. Davanti a lui si schierò un plotone di esecuzione. Gli diedero ancora la possibilità di parlare ma lui rispose ancora che si era arreso autonomamente. Allora i soldati tedeschi spararono. Dem’janov credeva già di aver detto addio alla vita ma ad un certo punto si accorse che avevano sparato sopra la sua testa e che su di lui cadevano trucioli di legno. Aveva superato questo test.
Dopo questa prova, Dem’janov fu rinchiuso in un appartamento privato. Qui, gli ufficiali dell’Abwehr gli insegnarono come comunicare con un walkie-talkie, gli insegnarono un linguaggio in codice e gli spiegarono quali erano le informazioni che avrebbe dovuto cercare di raccogliere a Mosca e trasferire al centro di intelligence tedesco.
Prima di affidargli la missione, i tedeschi lo sottoposero ad un altro test. Dem’janov fu trasportato a Minsk ed alloggiato in una casa privata. Notò che i vicini lo osservavano molto attentamente. Dem’janov si comportò normalmente, senza parlare con alcuno e senza fare mai domande.
Superata anche questa prova, fu arruolato nell’intelligence tedesca con lo pseudonimo «Max«. Il 15 marzo 1942, Dem’janov fu lanciato con un paracadute vicino a Rjbinsk, nella regione di Jaroslavl’. Nelle intenzioni tedesche, Dem’janov avrebbe dovuto riferire agli ufficiali dell’Abwehr, informazioni riguardo il trasporto di equipaggiamenti militari, treni blindati, colonne di carri armati e di pezzi d’artiglieria. Tali informazioni avrebbero aiutato i tedeschi a determinare in quale settore del fronte si stesse preparando un’offensiva.
I contadini russi sentirono di notte il rombo dell’aereo e videro un uomo atterrare con il paracadute. Dem’janov indossava un’uniforme tedesca. Fu catturato immediatamente dai contadini i quali inizialmente lo picchiarono violentemente e poi lo condussero al comitato della fattoria collettiva.
Dem’janov chiese di chiamare la direzione del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD) di Jaroslavl’. Allora fu trasportato in città con un camion e fu accompagnato dal presidente della fattoria collettiva.
Giunto al Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD), Dem’janov disse al responsabile che doveva chiamare un numero di telefono di Mosca. Il capo dell’NKVD di Jaroslavl’ effettuò il numero. Dall’altra parte del telefono rispose il generale Sudoplatov. Quando Dem’janov sentì la voce del generale, disse ad alta voce solo due parole: «Riferisce Heine!«. Lo stesso giorno, fu immediatamente inviato in auto a Mosca.
I tedeschi gli avevano fornito un walkie-talkie e Dem’janov lo mostrò al generale Sudoplatov. D’accordo con il generale sovietico, Dem’janov cominciò ad usarlo per mettersi in contatto con i tedeschi. La trasmissione via walkie-talkie avveniva di fronte al generale Sudoplatov ed il contenuto delle trasmissioni era concordato con lo stato maggiore dell’Armata Rossa.
In uno dei messaggi Dem’janov comunicò che le batterie del walkie talkie si stavano esaurendo. Inoltre dichiarò anche di avere necessità di denaro. Questi messaggi furono ideati e voluti dal generale Sudoplatov, il quale voleva assicurarsi che l’Abwehr si fidasse di Dem’janov. Il piano funzionò. Dem’janov fu informato che i corrieri sarebbero arrivati per soddisfare le sue richieste.
La catena di connessioni fu pensata molto ingegnosamente dai servizi segreti sovietici. Dem’janov comunicò che i corrieri avrebbero dovuto recarsi prima dal padre di sua moglie, il famoso neurologo Berezantsev, il quale lavorava in uno studio medico di Mosca. I corrieri sarebbero dovuti giungere fino a lui con il pretesto di essere dei pazienti e poi comunicargli una parola segreta in codice. Il professor Berezantsev il quale era a conoscenza dell’operazione «Monastero» ed accettò di parteciparvi, avrebbe dovuto informare Dem’janov dell’arrivo dei corrieri.
I due corrieri erano Stankevič e Shakurov. Consegnarono batterie e denaro. Alla sera, Dem’janov versò sonniferi nel loro tè e quando si addormentarono, li disarmò. I corrieri furono così arrestati. Uno di loro, Stankevič, accettò di collaborare con l’intelligence sovietica. Shakurov invece iniziò a mentire. Dem’janov riferì all’Abwehr che Shakurov si stava comportando in modo noncurante, apparendo nelle stazioni ferroviarie e ubriacandosi spesso. Riferì che questo comportamento avrebbe potuto mettere a repentaglio l’intera missione e la sua copertura. Dall’Abwehr arrivò quindi questo ordine: «Shakurov deve essere eliminato«. E così avvenne!
Nel frattempo, la fase più importante dell’Operazione Monastero stava avanzando. Dem’janov riferì ai tedeschi che sarebbe riuscito ad ottenere un servizio come ufficiale di collegamento nello Stato Maggiore dell’Armata Rossa. La sua posizione seppur poco rilevante gli avrebbe però consentito di scoprire qualcosa di interessante. Così, all’inizio del novembre 1942, comunicò che i raggruppamenti delle truppe sovietiche erano schierati nei pressi di Rzhev.
Dem’janov riferì che era stata pianificata una grande offensiva delle truppe sovietiche vicino a Rzhev. Questa informazione fu riferita ai servizi segreti tedeschi, con l’autorizzazione dello stato maggiore dell’Armata Rossa e di Stalin in persona.
L’offensiva sovietica nei pressi di Rzhev iniziò esattamente il giorno comunicato da Dem’janov. Ma era solo un diversivo. In quei giorni, a Stalingrado si stava preparando un’offensiva decisiva delle truppe sovietiche, in seguito alla quale 300.000 sodati tedeschi sarebbero stati massacrati. Nella grande vittoria della battaglia di Stalingrado, c’è il merito di Dem’janov, i cui messaggi radio aiutarono a fuorviare il nemico. Le forze tedesche concentrate precedentemente vicino a Rzhev, proprio su consiglio di Dem’janov, non potevano essere trasferite a Stalingrado in breve tempo.
E c’è da dire che fino ad allora, i servizi segreti tedeschi provarono costantemente a testare l’affidabilità e la fedeltà di Dem’janov. Inviarono spesso emissari ed agenti segreti per verificare le attività di Dem’janov ed i suoi rapporti. Allo stesso tempo i servizi segreti russi effettuarono un lavoro di una qualità eccezionale. Arrestarono 50 agenti segreti nazisti giunti sino a Mosca per tenere sotto controllo Dem’janov. Ma gli agenti tedeschi che avevano avuto solo l’incarico di verificare l’esistenza dell’organizzazione monarchica a Mosca, non furono arrestati e fu loro concesso di tornare al loro comando generale in modo che potessero confermare che l’organizzazione monarchica di Mosca era operativa ed era pronta ad incontrare i tedeschi. Talmente capillare ed intenso fu il lavoro dell’intelligence sovietica che non vi era una sola via, piazza, parco di Mosca che non fosse sorvegliata da agenti segreti russi insospettabili. Immaginate che bambini che giocavano in strada, donne ed anziani che passeggiavano sui marciapiedi od erano seduti sulle panchine, coppie che si scambiavano atteggiamenti sentimentali, operai della manutenzione, giardinieri, tassisti, negozianti, personale degli alberghi e dei trasporti cittadini, postini, netturbini, personale sanitario, erano abbondantemente composti da agenti segreti sovietici sotto copertura.
Addirittura, in una occasione, per mantenere vivo il livello di affidabilità di Dem’janov agli occhi dei servizi segreti tedeschi, le autorità sovietiche decisero di pianificare un atto di sabotaggio. Diedero fuoco ad un grande stabilimento industriale militare dell’Armata Rossa negli Urali ed ordinarono a Dem’janov di riferire ai servizi segreti tedeschi che l’atto di sabotaggio era merito esclusivo dello stesso Dem’janov il quale era riuscito a compierlo avvalendosi della collaborazione dell’organizzazione monarchica di Mosca. In realtà i servizi segreti sovietici diedero fuoco ad un vecchio magazzino vuoto, che stavano per demolire. Ma il fumo sprigionato dall’incendio fu così vasto che le fotografie facevano apparire un disastro maggiore rispetto a quanto era stato pianificato. Fu pianificata anche la comunicazione interna: infatti su tutti i giornali sovietici, in prima pagina campeggiarono le fotografie dell’incendio ed il titolo era: «Sabotaggio del nemico» o altri titoli simili.
Anche i monarchici che vivano nel convento di Novodevičij erano sottoposti a stretta sorveglianza da parte dei servizi segreti sovietici. In pratica non vi fu mai un incontro tra gli agenti tedeschi dell’Abwehr ed i monarchici russi che non avesse visto la presenza di un insospettabile agente sovietico. I luoghi a loro disposizione erano tutti sottoposti ad intercettazione ambientale. Le caratteristiche fisiche di questi monarchici agevolavano poi il lavoro dei servizi segreti russi. Occorre infatti ricordare che questa organizzazione monarchica era composta esclusivamente da persone molto anziane e inferme. Boris Sadovskij, ad esempio, non poteva nemmeno muoversi autonomamente. Viveva su una sedia a rotelle ed aveva continua necessità di personale di supporto per qualsiasi tipo delle sue attività giornaliere. E questo personale era composto da tutti agenti segreti sovietici.
L’Operazione Monastero continuò fino alla fine della guerra, ma nel 1944 acquisì una nuova forma.
Come scrisse il generale Sudoplatov nelle sue memorie, nell’aprile 1944, lui e il vice Eitingon furono convocati da Stalin per un colloquio. Il leader sovietico diede l’ordine di organizzare un falso «accampamento tedesco» in Bielorussia. Occorreva creare una situazione nella quale i prigionieri tedeschi riferissero dell’esistenza di una unità tedesca sopravvissuta alla cattura, che cercava di salvarsi ma necessitava di armi, munizioni ed uniformi. Il compito è stato impostato in termini generali da Stalin. Il generale Sudoplatov invece avrebbe dovuto progettarlo con cura.
Ancora una volta, il ruolo chiave di questa operazione fu assegnato a Dem’janov. Riferì all’Abwehr che sarebbe stato inviato in un viaggio di lavoro in Bielorussia. Comunicò che lì, nella regione di Minsk, durante l’interrogatorio di un prigioniero di guerra nazista, apprese che un consistente gruppo di soldati tedeschi erano sfuggiti alla cattura dell’Armata Rossa, ma ora necessitavano di aiuto per sopravvivere. Inventò che tra loro c’erano molti feriti. Dem’janov riferì ai servizi segreti tedeschi che questi soldati (inesistenti) avevano necessità di cibo, medicine, armi, uniformi sovietiche e denaro. L’aiuto sarebbe dovuto giungere via aerea.
Era però necessario trovare un comandante per questa «leggendaria» unità tedesca. Furono vagliati tutti i profili dei prigionieri tedeschi e la scelta cadde sul tenente colonnello nazista Sherhorn. La scelta fu condizionata dal fatto che Sherhorn aveva 50 anni, manifestò più volte che era stanco della guerra e che avrebbe voluto tornare da sua moglie e dai suoi figli.
L’ufficiale tedesco fu condotto a Mosca per essere interrogato dal generale Sudoplatov, il quale dopo l’interrogatorio approvò la scelta.
Così il piano prese vita. Nell’agosto del 1944 iniziarono a verificarsi strani eventi nei pressi del villaggio di Glukhoe, nella regione di Minsk. Sull’ex base partigiana furono allestite tende tedesche. Apparvero soldati in uniforme tedesca. In realtà erano soldati dell’Armata Rossa, che sapevano parlare tedesco e furono travestiti da nazisti. L’operazione prese il nome il nome in codice «Berezino».
In quel periodo, in seguito al successo dell’Armata Rossa, molte città e villaggi della Bielorussia furono liberati. Così migliaia di soldati tedeschi vagavano nelle foreste avendo perso il contatto con il loro comando.
L’operatore radio sovietico, che era vicino al tenente colonnello nazista Sherhorn, consegnò al comando tedesco le coordinate del finto campo tedesco. Presto un aereo tedesco apparve su quest’area. Alcuni paracadutisti tedeschi si lanciarono dall’aereo. Giunti a terra si recarono alle tende dell’accampamento e lì furono arrestati.
In una guerra, quando si è arrestati per situazione del genere, c’è solo una sola scelta: la vita o la morte. I paracadutisti tedeschi catturati furono così costretti ad inviare un messaggio al proprio comando sotto dettatura: «Il campo del tenente colonnello Sherhorn è stato trovato«. Poi seguì una lista dei bisogni degli abitanti del campo.
I tedeschi cominciarono a spendere parecchio denaro ed a spostare una buona parte delle truppe per salvare il tenente colonnello Sherhorn.
Naturalmente, i servizi segreti tedeschi in Bielorussia cercarono di rendersi conto dell’affidabilità di Dem’janov e Sherhorn. A tal proposito richiesero i nomi degli ufficiali tedeschi che appoggiavano il tenente colonnello Sherhorn. I servizi segreti sovietici fornirono i nomi di 300 ufficiali tedeschi prigionieri di guerra.
Lo stratagemma dell’intelligence sovietica funzionò con successo. Il tenente colonnello Sherhorn continuò nella richiesta di fornitura di armi, cibo e medicine per via aerea.
Su sua richiesta furono paracadutate centinaia di set di uniformi militari sovietiche, oltre a due milioni di rubli di denaro sovietico, e non falsi, ma banconote autentiche. Tutti questo materiale fu gestito dai servizi segreti sovietici. Nel frattempo, il tenente colonnello Sherhorn riferì che gli aiuti lanciati dagli aerei erano caduti in una palude ed erano inutilizzabili e chiese di inviare nuovamente gli aiuti.
Il generale Sudoplatov disse sorridendo: «Lasciate che le fabbriche tedesche lavorino per l’Armata Rossa«. I tedeschi paracadutarono anche balle di cotone e bende più grandi quantità di medicinali. I servizi segreti sovietici inviarono queste risorse agli ospedali dell’Armata Rossa.
In pratica i servizi segreti sovietici si presero beffa dei servizi segreti tedeschi, i quali uscirono ridicolizzati dal confronto. Vi furono anche eventi curiosi legati alla storia di Aleksandr Dem’janov ed all’Operazione Monastero.
Una di queste fu che la Germania non solo fu ingannata da tutta la vicenda e non se ne rese neanche conto, ma addirittura premiò Dem’janov con la più alta onorificenza militare nazista. Infatti, quasi contemporaneamente Aleksandr Dem’janov ottenne due premi: fu insignito dell’Ordine della Stella Rossa dall’Unione Sovietica e della Croce di Ferro dalla Germania Nazista.
Addirittura la Gran Bretagna e Churchill furono oggetto di risate da parte dei servizi segreti sovietici. Infatti, nel 1943, Churchill avvertì Stalin del fatto che l’intelligence britannica aveva scoperto che nello Stato Maggiore dell’Armata Rossa c’era una talpa che lavorava fornendo informazioni alla Germania e che questa talpa si chiamava Aleksandr Dem’janov. Stalin ringraziò e disse che avrebbe verificato, ma in realtà era perfettamente a conoscenza di qualsiasi dettaglio dell’Operazione Monastero.
Dopo la guerra, Aleksandr Dem’janov lavorò in un istituto di ricerca delle telecomunicazioni. Durante la sua vita, non rilasciò mai informazioni riguardo la sua partecipazione ad operazioni gestite dai servizi segreti sovietici. Morì nel 1975 per un infarto mentre era a pesca con la sua barca.
Le sue azioni sono state rese note dal generale Sudoplatov, il quale poco prima della sua morte, scrisse il libro»Servizi segreti e il Cremlino«.
Luca D’Agostini
Lascia un commento
Fonti:
Вы должны авторизоваться чтобы опубликовать комментарий.