Il pittore Aleksandr Andreevič Ivanov nacque a San Pietroburgo nel 1806 ed imparò a dipingere da suo padre, professore di pittura, dopodiché si iscrisse all’Accademia delle Arti.
Terminati gli studi decise di recarsi all’estero per migliorare ulteriormente le sue abilità. Nel 1830 si recò in Germania dove si soffermò per alcuni mesi a Dresda e poi dal 1831 si stabilì a Roma. A differenza della maggior parte degli artisti russi che vivevano nella città eterna, non conduceva una vita chiusa professionalmente: viaggiava per l’Italia, studiava monumenti d’arte, leggeva molto, comunicava con altri artisti e con filosofi alla ricerca di una via d’uscita dal suo pensiero sul senso della vita e dell’arte.
In Italia, i primi lavori di Ivanov consistevano nel copiare «La Creazione» di Michelangelo nella Cappella Sistina e realizzare degli schizzi per varie opere letterarie bibliche. Studiando diligentemente le Sacre Scritture, in particolare il Nuovo Testamento, Ivanov era sempre più interessato all’idea di raffigurare la prima apparizione del Messia al popolo su una grande tela, ma prima di intraprendere questo difficile compito, voleva provare la sua mano in un lavoro su scala ridotta. A tal fine, dedicò molti anni alla realizzazione di due dipinti. Nel primo di essi, «Apollo, Giacinto e Cipresso, impegnati nella musica e nel canto» (1831-33) egli incarnava l’idea di armonia tra il divino e l’umano nell’idilliaco mondo della natura. Nel secondo, «L’apparizione di Cristo a Maria Maddalena dopo la risurrezione» (1834-36) utilizzava la storia del Vangelo per contrastare in modo tangibile il sensuale e lo spirituale.

Apollo, Giacinto e Cipresso, impegnati nella musica e nel canto (1831-33)

Apparizione di Cristo a Maria Maddalena dopo la resurrezione (1834-36)
Spedì una foto della sua opera all’Accademia delle Arti di San Pietroburgo, la quale accolse la realizzazione con grande ammirazione. Valutando l’impeccabile aderenza dell’artista alle norme impartite in accademia, l’Accademia delle Arti gli conferì il titolo di professore accademico. Ivanov poteva contare quindi sul lavoro come insegnante presso l’Accademia delle Arti, ma non aveva alcuna fretta di tornare in Russia per il momento in quanto era innamorato dell’Italia ma soprattutto era catturato mentalmente dalle realizzazione di una nuova opera: «L’apparizione di Cristo al popolo».
Il primo pensiero sulla sua trama ebbe origine già nel 1833: progettò di raffigurare l’apparizione di Gesù Cristo nel momento stesso in cui Giovanni Battista celebrò la cerimonia del battesimo nel fiume Giordano. A poco a poco, l’artista iniziò a prendere coscienza del significato di questa svolta nella storia dell’umanità, e il suo dipinto cominciò ad acquisire le caratteristiche della grandezza. Nel suo dipinto voleva unire tutto: un’idea spirituale con percezione sensoriale, religione con conoscenza esatta, una vecchia tradizione pittorica con nuove conquiste, la mitologia cristiana con la mitologia antica. Nel 1835 iniziò a dipingere un quadro su una tela piuttosto grande (172×147 cm) ed era già vicino al suo completamento, ma nel 1837 prese un’altra tela, sette volte più grande, e cominciò a lavorarci sopra. Usò la vecchia versione come schizzo di lavoro e realizzò una tela grandissima delle dimensioni di più 12 metri per più di 10 metri.

L’apparizione di Cristo al popolo
La realizzazione del dipinto assorbì completamente l’artista. Nel frattempo era in continuo contatto con il suo amico Gogol. La loro amicizia era così forte che Ivanov ha realizzato un ritratto del suo amico scrittore.

Gogol
Intanto mentre lavorava alla sua grande opera, le disponibilità economiche a Roma si fecero sempre più ridotte e visse di benefici che riuscì ad ottenere mendicando presso varie istituzioni o filantropi. Viveva in estrema povertà, risparmiando ogni piccola cosa, molto spesso soddisfacendo la fame con un pezzo di pane e la sete con l’acqua di una fontana di strada. Il denaro era stato tutto speso per la manutenzione di un enorme laboratorio che contenesse l’imponente tela che stava realizzando, nell’acquisto di materiali artistici e nel pagamento dei modelli. Ivanov dedicò molto tempo ed energie alla realizzazione di studi su vasta scala, alla ricerca e alla raffinazione dei volti e delle figure dei personaggi e del paesaggio circostante, fino ai dettagli più apparentemente insignificanti, come le pietre sul fiume. Continuò a studiare letteratura negli anni ’40 e ’50, perdendo chiaramente il senso delle proporzioni, occupandosi non tanto del dipinto quanto della risoluzione dei compiti pittorici che gli si presentarono. Negli studi all’aria aperta, osservando e catturando le sfumature dell’interazione del soggetto con il medium della luce, ha anticipato alcune delle scoperte degli impressionisti, realizzate da loro solo nel decennio successivo.
Negli anni trascorsi a Roma ha realizzato vari dipinti dei paesaggi della città e dei paesi circostanti. Tra questi ricordiamo: «Al Parco di Ariccia» (1830), «Ave Maria» (1839), «Appia Antica al tramonto» (1845).

Al Parco di Ariccia (1830)

Ave Maria (1839)

Appia Antica al tramonto (1845)
E’ indubbio comunque che il capolavoro di Ivanov sia l’enorme dipinto «L’apparizione di Cristo al popolo», che si trova nella Galleria Statale Tret’jakov a Mosca. Ma questa enorme opera, che costò 20 anni di duro lavoro ed ingenti quantità economiche, durante la sua realizzazione, man mano che passavano gli anni, emozionava sempre di meno il pittore russo. Ivanov la portò a termine per inerzia e per senso del dovere ma negli anni cinquanta dell’Ottocento era completamente catturato da un nuovo piano, ancora più ambizioso e già francamente irrealizzabile.
Eterno sognatore, idealista e utopico, sopraffatto dal desiderio di arricchire spiritualmente l’umanità, concepì una gigantesca serie di dipinti. Essi, secondo il suo piano, dovevano essere collocati secondo un piano rigorosamente studiato sulle pareti di un edificio appositamente costruito, come un tempio, e dare al pubblico un’interpretazione moderna della Bibbia, essendo un nuovo, più alto stadio nello sviluppo dell’arte. Affascinato dall’idea, l’artista creò un gran numero di opere: schizzi veloci, disegni preparatori, schemi per posizionare murales. Il posto centrale tra loro appartiene ai cosiddetti schizzi biblici. Queste composizioni acquerellate (più di 200) molto tempo dopo la morte dell’artista rimasero sconosciute e causarono scalpore quando furono scoperte all’improvviso. Il potere del talento e la portata del pensiero di Ivanov si manifestano in essi in pieno. Creati in uno slancio di ispirazione senza fine, con una facilità sorprendente, quasi improvvisata, si distinguono per lo scopo e la ricchezza dell’immaginazione e la genuina monumentalità.
La permanenza di Ivanov in Italia non poteva essere infinita, perché più passavano gli anni e più aumentava la nostalgia per la sua amata Russia. Tornando in patria, aveva intenzione di vendere qualche sua piccola opera per ottenere le risorse economiche necessarie ad effettuare un viaggio nella Russia orientale e di tornare a Mosca dove avrebbe voluto continuare a vivere. Niente di tutto ciò purtroppo divenne realtà. Nel maggio 1858 tornò in Russia a Pietroburgo portando con sé l’enorme dipinto «Apparizione di Cristo al popolo» il quale fu posto in mostra prima al Palazzo d’Inverno e poi nell’Accademia delle Arti. Ma il pittore non ebbe il tempo di godersi le reazioni alla sua opera in quanto morì presto per un’infezione di colera contratta durante il lungo viaggio dall’Italia alla Russia.
Fu sepolto a San Pietroburgo nel cimitero di Novodevičij. Nel 1936 fu nuovamente sepolto con il trasferimento del monumento funebre nel cimitero di Tichvin del Monastero di Aleksandr Nevskij.
Luca D’Agostini
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