Questo articolo è dedicato ad uno dei più abili e geniali scacchisti mai esistiti. Stiamo parlando di Aleksandr Aleksandrovič Alechin, colui che il grande giocatore estone Paul Keres definì: «lo scacchista contro il quale è impossibile giocare«.
Nacque a Mosca il 31 ottobre 1892, da una famiglia agiata. Suo padre era un cerimoniere di corte e proprietario terriero, la madre era figlia di un ricco industriale di tessuti.
I genitori si occuparono poco dei figli: il padre, poco prima della Grande Guerra, perse un milione di rubli al Casino di Montecarlo e per questo motivo fu posto sotto tutela, mentre la madre, alcolizzata, morì a Basilea in una clinica per malattie mentali. Fu in particolare la nonna a prendersi cura dei suoi nipoti.
Ad Alechin gli scacchi furono insegnati dalla madre, dalla sorella maggiore Varvara e dal fratello maggiore Aleksej; quest’ultimo, in particolare, era un discreto giocatore dilettante: sono conservati alcuni quaderni in cui i due fratelli annotavano partite ed elaboravano analisi.
Pur avendo imparato bene, gli inizi non furono particolarmente brillanti, forse per una certa svogliatezza che, tuttavia, si trasformò in interesse quando, a dieci anni, vide il campione statunitense Harry Nelson Pillsbury esibirsi, al Circolo di Mosca, in una simultanea alla cieca su 25 scacchiere. Così stimolato da quell’evento, raggiunse il titolo di maestro vincendo il campionato russo dei dilettanti nel 1909.
Dopo le prime partecipazioni a tornei più importanti, per la verità poco appaganti malgrado non fossero proibitivi, s’impose a Stoccolma (1912) e Scheveningen (1913), due tornei più impegnativi, il secondo dei quali con giocatori più celebri.
Raggiunse la consacrazione definitiva a San Pietroburgo nel 1914, dove si erano raccolti i migliori giocatori dell’epoca in una sorta di staffetta tra i dominatori delle seconda metà dell’800 e gli emergenti del nuovo secolo; alla fine del Torneo, si classificò al terzo posto dietro a Emanuele Lasker (Campione del Mondo in carica) ed a Capablanca che si erano staccati di molto dagli altri.
Nel 1920 Alechin sposò la baronessa russa von Severgin, una donna più anziana di lui e già vedova: il matrimonio sarebbe stato celebrato solo allo scopo di legittimare la loro figlia Valentina, nata nel 1913. Poco dopo svolse il lavoro di interprete presso l’Internazionale Comunista e in questa occasione conobbe Annaliese Rüegg, una giornalista svizzera piuttosto nota al tempo. Alechin divorziò immediatamente e la sposò il 15 marzo 1921. Entrambi furono autorizzati a lasciare la Russia il 23 aprile 1921. Pertanto, contrariamente a quanto a volte si sostiene, Alechin lasciò legalmente la Russia.
Superato il primo conflitto mondiale ed una confusa situazione in coincidenza della rivoluzione russa, a proposito della quale venne accusato di simpatizzare per la controrivoluzione essendo dichiaratamente anticomunista, Alechin si laureò Campione di Russia nel 1920 ed un anno dopo lasciò il suo Paese.
Da quel momento si dedicò unicamente agli Scacchi, unica fonte di guadagno dopo aver perso i beni di famiglia ed i privilegi che aveva in madrepatria.
Stabilitosi a Parigi, dove si laureò e venne naturalizzato francese (la grafia del suo cognome mutò in Alekhine), partecipò e vinse una serie di tornei che gli davano il diritto di aspirare al titolo mondiale che, nel frattempo, era passato dall’anziano Lasker al giovane Capablanca.
In quell’occasione, Capablanca stabilì — come aveva diritto, essendo il titolo considerato a quel tempo una «proprietà privata» del campione in carica — le regole del prossimo campionato mondiale: l’incontro sarebbe terminato al conseguimento di 6 vittorie; il tempo di riflessione per giocatore in ogni partita veniva fissato in due ore e mezza per 40 mosse; lo sfidante doveva offrire una borsa di 10.000 dollari; il campione in carica era tenuto a mettere in palio il titolo entro un anno.
Le condizioni poste dal nuovo campione, però, erano molto pesanti dal punto di vista economico ed Alechin non riuscì a trovare chi potesse aiutarlo; a nulla valevano i risultati dei tornei o le pubblicazioni che dimostravano il suo livello.
Nel 1923 i risultati ottenuti furono modesti: separatosi dalla moglie, che non sopportava il suo modo di vivere, si unì — ma solo per qualche anno — con Nadija Fabrižkaja, come al solito una donna più anziana, vedova del generale zarista Vasiljev, con la quale sembrò aver condotto una vita familiare molto tranquilla. Nello stesso tempo, intenzionato a ottenere la cittadinanza francese, studiò diritto per sostenere l’esame che gli permise di ottenere il riconoscimento legale della laurea ottenuta in Russia.
L’occasione per misurarsi per il titolo mondiale si presentò nel torneo di New York del 1927, riservato solo a sei giocatori, con la possibilità di diventare sfidante ufficiale del campione del mondo in carica per chi fosse riuscito a vincere od a piazzarsi dietro di lui; il Torneo fu vinto da Capablanca, ma lo sfidante risultò Alechin!
L’incontro, ancora oggi definito «titanico», si svolse a Buenos Aires e vide prevalere il russo, il quale raggiunse le sei vittorie previste dal regolamento alla 34° partita piegando la tenace resistenza del cubano.
Probabilmente, il fattore decisivo fu la ferma convinzione di Alechin secondo cui gli scacchi costituivano un’arte degna di essere esplorata in tutte le sue pieghe e vissuta anche a costo di fatiche e dolori.
Mentre per Capablanca gli scacchi erano una questione prevalentemente tecnica e non costituivano l’interesse prevalente della sua vita, per Alechin erano una ricerca continua: si fermava volentieri a seguire le partite dei dilettanti tra i cui strafalcioni trovava idee che poi elaborava in modo personale, appariva tranquillo esteriormente specie se la partita non offriva spunti di particolare interesse, però, se intravvedeva anche un solo millimetro di miccia, si agitava e si trasformava in un vulcano in eruzione dando il via a quelle combinazioni che ci sono arrivate come vere e proprie opere d’arte!
«Grazie agli scacchi ho temprato il mio carattere perché gli scacchi ci insegnano ad essere obiettivi. Non si può diventare un grande maestro se non si impara a conoscere i propri errori e i propri punti deboli, così come nella vita«; questa citazione di Alechin stride un po’ col suo comportamento al di fuori della scacchiera: gran parte della volitività messa nel gioco veniva da un desiderio di rivalsa verso il suo passato che vide i suoi genitori rovinarsi con la roulette e con l’alcool dopo aver dovuto abbandonare la Russia.
Anch’egli cedette al richiamo della bottiglia ed era frequente vederlo giocare, anche in partite ufficiali, in condizioni precarie.
Alechin non concesse il match di ritorno a Capablanca e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale impedì l’organizzazione di ulteriori match.
All’inizio della guerra, conoscendo otto lingue, Alechin fu arruolato nei servizi segreti francesi ma dovette riparare in Spagna per sfuggire all’accusa di collaborazionismo e, alla fine della guerra, di aver scritto libelli antisemiti; per questo, alla fine della guerra fu invitato a discolparsi davanti ad una commissione in un’udienza prevista per il 25 Marzo 1946.
Il giorno precedente all’udienza fu trovato morto in un albergo di Lisbona dove si era recato per un torneo. La morte fu a causa di soffocamento e non sono state mai chiarite le dinamiche.
Oggi riposa al cimitero di Montparnasse di Parigi e sulla tomba, ripristinata dopo anni di abbandono ed uno scempio di una decina d’anni fa, si leggono le parole: «Alessandro Alekhine, genio degli scacchi di Russia e di Francia«.
Alechin scrisse più di venti libri sugli scacchi. Nella sua carriera giocò 1.264 partite ufficiali vincendone 735, pareggiandone 402 e perdendone 127.
Luca D’Agostini
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Fonti:
http://piemonteoggi.it/dett_news.asp?t=5&id=36100
https://web.archive.org/web/20080502133857/http://www.supreme-chess.com/famous-chess-players/alexander-alekhine.html
http://www.chessgames.com/perl/chessplayer?pid=10240
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