Più di 3000 anni fa una popolazione nomade di stirpe Inuit migrò dalla Siberia orientale e dopo aver attraversato lo Stretto di Bering si stabilì nel Nord Ovest dell’Alaska, in una zona denominata Kotzebue. A questa popolazione appartenevano alcune tribù che definivano sé stesse come Mahlemiut. In lingua Inuit “miut” significa “popolo”, mentre è controverso il significato di “mahle”. Si tratta probabilmente del nome di un luogo e quindi il significato più comunemente attribuito al termine è “popolo di Mahle”.
I Mahlemiut erano nomadi e vivevano principalmente di caccia e pesca; abitavano in igloo di pelle o costruiti con rami, sterpaglie e terra. Come ausiliari per la caccia e per il trasporto dei grossi animali cacciati, quali l’orso polare o il caribù, si servivano di grossi cani che vivevano spesso anche all’interno degli igloo ed erano frequentemente compagni di giochi dei bambini, oltre che ottimi cuscini per riscaldare. Inoltre, per la sopravvivenza, i Mahlemiut necessitavano di compiere grandi spostamenti e le loro migrazioni stagionali dipesero dal lavoro dei loro cani, gli antenati dell’Alaskan Malamute di oggi.
Questi cani erano dotati di mantelli particolarmente folti e con rivestimenti spessi alle piante dei piedi, per poter resistere al clima aspro dell’Alaska e viaggiare attraverso i ghiacci a temperature estreme per grandi distanze. Erano in grado di accerchiare in branco l’orso bianco polare e di attaccarlo, impegnandolo fino all’arrivo dei cacciatori; erano poi utilizzati sia per trainare le slitte che per trasportare dei fardelli sul dorso. I cani dei Mahlemuit erano abbastanza diversi dall’Alaskan Malamute come lo conosciamo oggi; erano infatti cani che potevano arrivare a quasi 80 cm di altezza e 80 kg di peso.
La selezione di questi cani era fatta in funzione delle attività che essi dovevano svolgere, quindi era necessario che fossero coraggiosi, forti e fidati. Data la loro frequentazione dell’interno degli igloo, i cani che dimostravano anche la minima aggressività verso gli umani venivano immediatamente soppressi.
I Mahlemiut ebbero pochi contatti con le altre popolazioni dell’Alaska e non si mescolarono mai con esse; così anche i loro cani conservarono sempre caratteristiche di “purezza”. Inoltre i Mahlemiut non vendevano i loro cani, perché li consideravano membri della famiglia, e questo permise ulteriormente di preservare la razza.
Il primo ad operare la selezione degli Alaskan Malamute ed ottenere soggetti omogenei fu Arthur Walden, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Successivamente Walden si dedicò maggiormente alla preparazione di cani per le spedizioni antartiche e il suo allevamento fu acquistato e portato avanti (come vedremo in seguito) da Eva “Short” Seeley, una insegnante di educazione fisica che si appassionò talmente tanto a questi cani da dedicarsi esclusivamente a loro.

Inuit e i loro cani
Nel 1896 prese via la Corsa all’Oro del Klondike e persone da tutto il mondo arrivarono in Alaska. La fiorente attività di estrazione dell’oro in aree remote dell’Alaska diede origine ad una richiesta senza precedenti di mute di cani, necessarie per il trasporto e per fornire di acqua, cibo, attrezzatura e posta ai numerosi lavoratori giunti da ogni parte del mondo. Nel 1908, a proposito degli Alaskan Malamute, un uomo chiamato Jackson B. Corbett Jr. scrisse; «Sono lavoratori instancabili, i loro antenati per centinaia di anni si sono affaticati lungo le piste gelate dell’Alaska. Sono intelligenti, astuti, abili. Sono eccezionalmente forti ed affidabili”.
Alla storia dei cani Alaskan Malamute è strettamente legata la vicenda della “Corsa del Siero”, un trasporto di antitossina difterica lungo il territorio statunitense dell’Alaska, tramite staffetta di circa 150 cani da slitta e 20 conducenti, i quali percorsero una distanza di 1.085 km dal 27 gennaio al 1º febbraio 1925; l’impresa salvò la cittadina di Nome e le comunità circostanti da un’epidemia in via di sviluppo.
La cittadina di Nome si trova a circa 2° a sud del Circolo Polare Artico e durante i giorni della corsa all’oro del Klondike, all’inizio del XX secolo, era la più grande città dell’Alaska settentrionale, con una popolazione nel 1925 pari a 455 nativi e 975 coloni di discendenza europea.
Nell’inverno 1924-1925, il dottor Curtis Welch era l’unico medico di Nome, che serviva sia la città che le comunità circostanti; era assistito da quattro infermiere al Maynard Columbus Hospital, composto solo da 25 letti. Diversi mesi prima, Welch aveva inoltrato un ordine per più antitossine difteriche, dopo aver scoperto che l’intero lotto ancora presente in ospedale era scaduto. Tuttavia, la spedizione sostitutiva non arrivò prima che il porto fosse chiuso dal ghiaccio per l’inverno e non fu possibile spedirne altre a Nome fino alla primavera.
Nel dicembre 1924, diversi giorni dopo che l’ultima nave lasciò il porto, Welch curò alcuni bambini per quello che aveva prima diagnosticato come mal di gola o tonsillite, respingendo inizialmente la difterite in quanto estremamente contagiosa; si sarebbe pertanto aspettato di vedere più sintomi fra le varie famiglie o altri casi in città, invece di riscontrare pochi casi isolati. Nelle settimane successive, con l’aumento del numero di casi di «tonsillite» e la morte di quattro bambini, che Welch non poté sottoporre ad autopsia, si preoccupò sempre più della difterite.
A metà gennaio 1925, Welch diagnosticò ufficialmente il primo caso di difterite in un bambino di tre anni, che morì solo due settimane dopo essersi ammalato. Il giorno seguente, quando una bambina di sette anni presentò gli stessi sintomi rivelatori della difterite, Welch tentò di somministrarle un po’ dell’antitossina scaduta per vedere se potesse ancora avere qualche effetto, ma la giovane morì poche ore dopo. Rendendosi conto che un’epidemia era imminente, quella sera stessa Welch chiamò il sindaco della città per organizzare una riunione di emergenza del consiglio comunale. Il consiglio immediatamente dispose una quarantena. Il giorno seguente, il 22 gennaio 1925, Welch inviò radiotelegrammi a tutte le altre principali città dell’Alaska per avvertirle del rischio per la salute pubblica e ne inviò uno anche allo United States Public Health Service di Washington, chiedendo assistenza.
Nonostante la quarantena, alla fine di gennaio c’erano oltre 20 casi confermati di difterite e almeno altri 50 a rischio. Senza antitossina, ci si aspettava che nella popolazione della regione circostante di circa 10.000 persone, il tasso di mortalità potesse essere vicino al 100%.
Alla riunione del Consiglio della sanità del 24 gennaio 1925, il sovrintendente Mark Summers propose una staffetta con slitte trainate da cani utilizzandone due squadre veloci. Una sarebbe iniziata a Nenana e l’altra a Nome ed entrambe si sarebbero incontrate a Nulato. Il viaggio da Nulato a Nome normalmente durava 30 giorni, anche se il record era di nove. Welch stimò che il siero sarebbe durato solo sei giorni nelle condizioni brutali sul sentiero. Il norvegese Leonhard Seppala, fu scelto per il viaggio di andata e ritorno di 1.014 km, da Nome a Nulato e ritorno. In precedenza aveva corso da Nome a Nulato in quattro giorni da record, aveva vinto tre volte la più famosa gara di slitte dell’Alaska ed era diventato una sorta di leggenda per le sue capacità atletiche e il rapporto con i suoi cani da slitta. Il suo cane guida, il dodicenne Alaskan Malamute di nome Togo, era altrettanto famoso per la sua leadership, intelligenza e capacità di percepire il pericolo.
Il sindaco della città propose di far arrivare l’antitossina per via aerea. Ma gli unici aerei che operavano in Alaska nel 1925, erano tre biplani vintage Standard J che però erano stati smantellati per l’inverno, in quanto avendo abitacoli aperti e motori raffreddati ad acqua, erano inaffidabili in condizioni estremamente fredde. Infatti, occorre tenere presente che in quell’anno in Alaska, le temperature erano le più basse degli ultimi vent’anni a causa di un sistema ad alta pressione dall’Artide, con una temperatura di -46 °C. Inoltre, una tempesta artica stava seppellendo l’Alaska sud-orientale, poiché venti a 40 km/h spazzavano la neve in cumuli di tre metri. Per di più, i piloti dei tre biplani si trovavano negli Stati Uniti continentali e quindi, per far volare un aereo, si sarebbe dovuti ricorrere ad un pilota inesperto il quale avrebbe anche avuto poche ore di luce diurna per volare, a causa della notte polare.
Sebbene potenzialmente più veloce, il Consiglio di amministrazione della salute rifiutò l’opzione del volo aereo e votò all’unanimità per la staffetta con le slitte trainate dai cani Alaskan Malamute. Seppala fu avvisato quella sera stessa e iniziò subito i preparativi per il viaggio.

Leonhard Seppala e i suoi cani
La decisione indignò talmente tanto William Fentress Thompson, editore del Fairbanks Daily News-Miner e sostenitore della soluzione per via aerea, che usò il suo giornale per scrivere graffianti editoriali.
Il percorso da Nenana a Nome si estendeva per 1.085 km totali.
Il primo conducente di slitte della staffetta fu «Wild Bill» Shannon, al quale il 27 gennaio 1925 alle ore 21.00, alla stazione ferroviaria di Nenana, fu consegnato una confezione di sieri pesante 9 chilogrammi. Nonostante una temperatura di -46 °C, Shannon partì immediatamente con la sua squadra di 11 cani Alaskan Malamute.
La temperatura iniziò a scendere e nonostante avesse cercato di scaldarsi correndo lungo la tratta, Shannon sviluppò ipotermia. Raggiunse Minto alle 3 del mattino, con parti del viso nere per il congelamento; la temperatura era di -52 °C. Dopo aver riscaldato il siero vicino al fuoco e riposato per quattro ore, Shannon sganciò tre dei suoi 11 cani e se ne andò con i restanti otto. I tre cani morirono e anche un quarto morì al ritorno.
Shannon ed i suoi cani arrivarono alla tappa finale della loro staffetta in cattive condizioni e alle ore 11 del mattino e consegnarono il siero.
Shannon morì qualche anno dopo ucciso da un orso grizzly (orso grigio).
Dopo aver riscaldato il siero in una locanda, un altro conducente di slitte di nome Kalland si diresse nella foresta. La temperatura era risalita a -49 °C e quando alle ore 16.00 giunse a Manley Hot Springs, il proprietario di una locale locanda dovette versare dell’acqua calda sulle mani di Kalland per staccarle dal manubrio della slitta.
Il 28 gennaio non furono diagnosticati nuovi casi di difterite, ma il 29 gennaio ne furono diagnosticati due nuovi. La quarantena era stata rispettata, ma la mancanza di strumenti diagnostici e la contagiosità del ceppo la resero inefficace. La crisi era diventata la principale notizia sui giornali più popolari degli Stati Uniti.
Da Manley Hot Springs, il siero passò in gran parte attraverso le mani di conducenti di slitte di etnia atabasca, prima che George Nollner lo consegnasse a Charlie Evans a Bishop Mountain, il 30 gennaio alle 3 del mattino. Evans faceva affidamento sui suoi cani guida quando attraversava la nebbia ghiacciata, dove il fiume Koyukuk era sfondato e si era sollevato ghiaccio, ma dimenticò di proteggere l’inguine dei suoi due cani guida di razza mista a pelo corto con pelli di coniglio. Entrambi i cani crollarono per congelamento, con Evans che dovette prendere il loro posto tirando la slitta. Alle 10 del mattino arrivò alla tappa della sua staffetta e dopo mezz’ora partì un altro conducente di slitte di nome Tommy Patsy.
Il siero ha poi attraversato il Kaltag Portage nelle mani di Jack «Jackscrew» Nicolai e del nativo dell’Alaska Victor Anagick, che lo consegnò al suo compagno nativo dell’Alaska Myles Gonangnan sulle rive del Sound a Unalakleet, il 31 gennaio alle 5 del mattino. Gonangnan vide i segni di una tempesta in arrivo e decise di non prendere la scorciatoia attraverso il pericoloso ghiaccio del Sound. Partì alle 5:30 del mattino e alle 3 del pomeriggio arrivò a Shaktoolik, dove ad attendere c’erano il conducente di slitta Henry Ivanoff ed i suoi cani.
La slitta di Ivanoff partì, ma si scontrò con una renna appena fuori Shaktoolik.
Il 30 gennaio, il numero di casi a Nome era arrivato a 27 e l’antitossina era esaurita. Un giornalista di Nome dichiarò: «Tutta la speranza è nei cani e nei loro eroici conducenti. Nome sembra essere una città deserta«. Con il rapporto sui progressi di Gonangnan del 31 gennaio, Welch credeva che il siero sarebbe arrivato lì a febbraio.
Il siero fu affidato al conducente di slitta Leonhard Seppala e la sua squadra di cani da slitta i quali viaggiarono per 146 km. Il cane guida di Seppala era un Alaskan Malamute di nome Togo.

Leonhard Seppala e Togo
Con la notizia dell’aggravarsi dell’epidemia, Seppala decise di sfidare la tempesta e ancora una volta si avviò sulla distesa di ghiaccio del Norton Sound quando raggiunse Ungalik, dopo il tramonto. La temperatura era di -65 °C. Il vento aumentò fino alla forza di 105 km/h.
Il 1° febbraio 1925 alle ore 15.00 a Golovin, Seppala passò il siero a al conducente di slitte Charlie Olsen.
Il 1º febbraio, il numero di casi a Nome salì a 28. Il siero in viaggio sarebbe stato sufficiente per curare 30 persone. Con la potente tormenta che infuriava e venti di 130 km/h, il dottor Welch ordinò di fermare la corsa fino a quando la tempesta non fosse passata, ragionando che un ritardo sarebbe stato meglio del rischio di perdere tutto.
Olsen non riuscì a seguire il sentiero previsto e subì un grave congelamento alle mani mentre metteva le coperte sui suoi cani. Il vento gelido aveva spinto la temperatura a -57 °C. Arrivò a Bluff il 1º febbraio alle 19:00 in cattive condizioni.
Il conducente di slitte Gunnar Kaasen aspettò fino alle 22:00 prima che scoppiasse la tempesta, ma questa peggiorò e le derive avrebbero presto bloccato il sentiero, quindi partì con vento contrario. Il suo cane guida si chiamava Balto ed ancora è dibattuto se si trattasse di un Siberian Husky (idea prevalente), di un Alaskan Malamute oppure di un’altra razza di cane nordico.
Balto guidò la squadra degli altri cani con una visibilità così scarsa che Kaasen non era in grado di vedere i suoi cani che lo trainavano. I venti erano così forti che ad un certo punto la sua slitta si capovolse. Dopo aver raddrizzato la slitta ed aver districato i cani, Gunnar Kaasen si accorse che la confezione contenente il siero era perduta. Il suo cuore si strinse e preso dalla disperazione cercò la confezione freneticamente in ginocchio e a mani nude in mezzo alla neve, e dopo alcuni minuti la trovò miracolosamente.
Kaasen raggiunse Point Safety prima del previsto, il 2 febbraio alle 3 del mattino. Ed Rohn, il conducente di slitte che avrebbe dovuto effettuare la tappa successiva, non aspettandosi l’arrivo anticipato di Kaasen, stava dormendo. Dato che ci sarebbe voluto del tempo per preparare i cani e la slitta di Ed Rohn, Kaasen proseguì per i 40 km per Nome, raggiungendo Front Street alle 5:30 del mattino. Non una singola fiala si ruppe e l’antitossina fu scongelata entro mezzogiorno per essere usata.
Insieme, le squadre delle staffette percorsero un totale di 1.085 km in 127 ore e mezza, che ancora oggi è considerato un record mondiale, realizzato tra l’altro a temperature estreme sotto zero e in condizioni di bufera di neve e di vento. Purtroppo, alcuni cani morirono durante il viaggio.
Tutti i partecipanti alle slitte trainate dai cani ricevettero lettere di encomio dal presidente degli Stati Uniti Calvin Coolidge e il Senato interruppe i lavori per riconoscere con un applauso l’evento. Ogni conducente di slitte ricevette una medaglia d’oro. Il sindaco di Los Angeles, davanti al municipio, donò al cane Balto una chiave della città a forma di osso. L’attrice di film muti Mary Pickford pose una ghirlanda intorno al collo del cane.

L’attrice di film muti Mary Pickford pose una ghirlanda intorno al collo di Balto

Gunnar Kaasen e Balto
Poesie e lettere di bambini furono dedicate a Balto e agli altri cani che presero parte alla Corsa del Siero. Spontanee campagne di raccolta fondi per la cura di quegli eroici cani sorsero in tutto il paese.
Una statua del cane Balto, realizzata dallo scultore Frederick Roth, fu posta al Central Park di New York durante la visita del 15 dicembre 1925.

Gunnar Kaasen e Balto a Central Park (New York)

Statua di Balto a Central Park (New York)
La gloria dei cani fu però breve. Sol Lesser, un produttore di film di Hollywood portò i cani a Los Angeles e creò un film di 30 minuti, «la Corsa di Balto a Nome«. Ma più tardi Balto ed il resto della squadra furono venduti ad un produttore di commedia musicale ignoto. Due anni più tardi, Balto ed i suoi famosi compagni erano diventati attrazioni secondarie di un circo dove vissero in condizioni orribili. Sembrava che il mondo avesse dimenticato gli «Eroi dell’Alaska». Poi, in visita a Los Angeles, un uomo d’affari di Cleveland, George Kimble, scoprì i cani esposti in un circo e notò che erano malati e maltrattati. Conosceva la storia famosa di Balto e si offese nel vedere questa degradazione. Fece un accordo per acquistare i cani per duemila dollari e portarli a Cleveland. Ma si trattava di una cifra enorme e Kimble non aveva quella disponibilità. Il proprietario del circo era stato categorico: Kimble aveva soltanto due settimane per raccogliere la somma. La corsa per salvare Balto era cominciata!
Fu stabilito un fondo per Balto. In tutti gli Stati Uniti, le radio trasmettevano appelli per le donazioni. I titoli dei giornali diedero una spinta per liberare gli eroici cani. La risposta della città di Cleveland fu esplosiva. Tantissimi bambini raccolsero secchi di monete. Lavoratori delle fabbriche, alberghi, negozi e turisti donarono quello che potevano al fondo di Balto. Il Western Reserve Kennel Club diede un notevole contributo finanziario. Le persone avevano risposto generosamente. In soli dieci giorni il fondo di Balto aveva la somma per la liberazione di Balto e degli altri cani.
Il 19 marzo 1927, Balto ed i sei suoi compagni furono portati a Cleveland e furono accolti come eroi in una parata trionfale. I cani furono poi portati allo Zoo di Cleveland per vivere il resto della loro vita in modo dignitoso, all’interno di una casa permanente realizzata appositamente per loro. Il primo giorno allo Zoo, i cani furono visitati da 15.000 persone.
Balto morì il 14 marzo 1933, all’età di 11 anni. Fu sottoposto a eutanasia per evitargli inutili sofferenze dovute alle sue condizioni di salute. Il suo corpo fu imbalsamato e si trova tutt’oggi al Museo di Storia Naturale di Cleveland, dove è stato conservato per ricordare la coraggiosa Corsa del Siero. Nella targa all’interno della teca, sotto il nome Balto, sono riportate le date di nascita e di morte del cane (1919-1933) e la dicitura della razza “Siberian Husky”. Come già accennato in precedenza, vi sono tuttora pareri difformi sulla reale natura della razza di Balto. La maggior parte degli esperti ritiene si trattasse di un cane di razza “Siberian Husky”, altri ritengono si trattasse di un Alaskan Malamute, mentre una parte ancora minore sostiene si trattasse di un’altra razza di cane nordico.

Balto imbalsamato
Nell’ottobre 1926, Seppala portò il suo cane guida Togo e la sua squadra in un tour da Seattle fino al New England, attirando costantemente grandi folle. Furono presentati al Madison Square Garden di New York per dieci giorni continuativi e Togo ricevette una medaglia d’oro dal famoso esploratore Roald Amundsen. Qualche anno dopo, Seppala sistemò i suoi cani una pensione situata a Poland Spring, nel Maine. All’interno di questa pensione, i suoi cani contribuirono all’allevamento di cani da slitta ed anche Togo generò molte cucciolate. Seppala visitò frequentemente i suoi cani e rimase al fianco di Togo quando fu anch’esso soppresso per eutanasia il 5 dicembre 1929, all’età di 16 anni. Dopo la sua morte, Seppala fece imbalsamare Togo e oggi il cane è esposto in una teca di vetro al museo Iditarod a Wasilla, in Alaska.

Leonhard Seppala e Togo
Eva Brunelle Seeley, soprannominata «Short» («Corta» per la piccola statura), è spesso considerata la «Madre dell’Alaskan Malamute«. La signora Eva Seeley è stata influente allo stesso modo nello sviluppo e riconoscimento del Siberian Husky e perciò è considerata come un gigante (nonostante la sua piccola statura) nel campo delle razze nordiche in generale, ed i cani da slitta in particolare.
Nel corso di alcuni anni, la signora Seeley sviluppò una linea molto uniforme di cani. Questa fu portato a termine da una selezione accurata di incroci ed usando solamente cani d’aspetto simile. Per mantenere l’originale funzione lavorativa della razza, la Seeley utilizzò cani che avevano partecipato alle varie spedizioni e la cui abilità era provata.
Eva Seeley si avvicinò all’American Kennel Club (AKC) per avere riconosciuti ufficialmente i suoi cani. L’AKC avrebbe dato riconoscimento provvisoriamente. Dovevano esserci le condizioni: un numero di cani di sufficiente per garantire la continuità della razza e qualità uniformi. Seeley e gli altri allevatori di razze nordiche acconsentirono a questa condizione e cominciarono a mostrare Alaskan Malamute, Siberian Husky e Samoiedo ad alcune delle mostre più prestigiose degli Stati Uniti. Nel 1935, ebbe inizio la registrazione ufficiale della razza degli Alaskan Malamute con almeno due generazioni nel pedigree. Il cane di nome “Rowdy Of Nome” fu il primo Alaskan Malamute ad essere registrato. Fu permessa la registrazione anche ai cani con antenati ignoti, ma costoro avrebbero dovuto acquisire punti alle mostre canine.
Comunque, le mostre non erano la priorità principale di Eva Seeley. Il suo programma di allevamento era principalmente basato sulla selezione di cani da lavoro per le spedizioni. Infatti, lei stava facendo simultaneamente due tipi di selezione, uno per produrre cani da lavoro, l’altro per sviluppare la razza pura di Alaskan Malamute. Dopo alcuni anni la Seeley decise di adottare il nome «Kotzebue» per l’allevamento.

Eva Seeley e alcuni cani Alaskan Malamute del suo allevamento Kotzebue
Ogni Alaskan Malamute che fu registrato prima del 1950 era dell’allevamento Kotzebue, o discendente da loro. Comunque, durante questo periodo esistevano molti altri cani che furono definiti Alaskan Malamute dai loro proprietari e allevatori, anche se non furono registrati all’AKC.
Circa nello stesso periodo, un uomo chiamato Paul Voelker iniziò ad acquistare cani per il suo allevamento di Alaskan Malamute nel Michigan, noto come allevamento M’Loot. Insieme con i cani dell’allevamento Kotzebue, i cani dell’allevamento M’Loot ed i cani dell’allevamento di Hinman-Irwin, costituiscono la base e la fondazione della razza Alaskan Malamute.

Kotzebue — M’ Loot — Hinman-Irwin
Quando l’Alaskan Malamute Club of America (AMCA) diventò membro dell’AKC nel 1953, Eva Seeley divenne il suo primo presidente. Lei fu onorata e divenne un giudice dell’AKC. I suoi meriti sono molti; lei fu la proprietaria e l’allevatrice del primo Alaskan Malamute registrato (Rowdy Of Nome), ma divenne famosa anche per la dimostrazione realizzata con i suoi cani da slitta alle Olimpiadi di Lake Placid del 1932. Un evento che aiutò a promuovere la popolarità degli Alaskan Malamute e degli altri cani di slitta.
Dopo che Eva Seeley morì nel 1985, Carol Williams prese la linea Kotzebue dopo che da anni collaborava con la stessa Seeley. I suoi cani sono puri Kotzebue ed hanno come nomi degli allevamenti “Heritage” e “Chinook”, come “Heritage’s Kotzebue Dakota”. Gli altri allevamenti che allevarono o stanno allevando puri Kotzebue sono “Sno-Pak” di Arthur e Natalie Hodgen, e “Tigara” fondato da Dorothy Dillingham ed ora posseduto da Samuel Walden.
Di seguito le foto di alcuni Alaskan Malamute divenuti famosi per via delle premiazioni ottenute nelle mostre canine ufficiali.

Kotzebue Kanuck of Chinook

Chinook Kotzebue Gripp

Chinook Kotzebue Gripp e Eva Seeley
A causa delle differenti provenienze, gli Alaskan Malamute dell’allevamento M’Loot erano meno omogenei dei cani dell’allevamento Kotzebue. Mentre la linea Kotzebue della signora Seeley aveva solo cani di colore grigio e bianco, i colori degli Alaskan Malamute dell’allevamento M’Loot variavano dal nero e bianco al grigio argento e bianco. I cani dell’allevamento M’Loot erano anche più pesanti e più alti dei cani dell’allevamento Kotzebue. Gli Alaskan Malamute di entrambi gli allevamenti avevano comunque un mantello eretto e spesso, una folta coda portata sulla schiena come una piuma e le orecchie erette.
Diversamente da Eva Seeley, Paul Voelker non allevò soltanto cani eccellenti per il traino delle slitte, ma i suoi Alaskan Malamute furono pubblicizzati come eccellenti cani da compagnia, ideali per chi cercava un cane bello ed appariscente al punto da far fermare le persone per strada.
I cani dell’allevamento M’Loot di Paul Voelker divennero quindi popolari grazie alla pubblicità e molti cani furono venduti nelle case di tutto il Nord America. Come affermò Voelker: «I migliori esempi della più grande razza sono diventati perfetti cani da compagnia per la famiglia in diversi luoghi, dal nord in Alaska agli stati esposti al sole in Florida, California e in Nuovo Messico nel sud”.
Un’altra importante combinazione fu tra un cane chiamato Nanook e Ch. Ooloo dell’allevamento M’Loot; da questo accoppiamento nacquero Ch. Nanook II e Ch. Gyana. I discendenti di questi esemplari divennero più tardi i cani di fondazione per molti allevamenti e sono i progenitori di moltissimi Alaskan Malamute di oggi.
Dopo il 1950, la maggioranza degli Alaskan Malamute si era evoluta con la miscelazione di cani dell’allevamento Kotzebue, dell’allevamento M’Loot e di pochi esemplari dell’allevamento Hinman-Irwin.
Nel 1960 fu adottato un nuovo standard di razza per gli Alaskan Malamute, a causa dell’aumento di cani provenienti dall’allevamento M’Loot che avevano esercitato notevole influenza sul loro aspetto. I cani dell’allevamento M’Loot erano molto più grandi dei cani dell’allevamento Kotzebue, quindi gli allevatori che allevavano prevalentemente con la linea M’Loot, esortarono per aumentare l’altezza ed il peso (il primo standard della razza era stato basato su Gripp Of Yukon, di proprietà della signora Seeley). Comunque, i proprietari dell’allevamento Kotzebue avevano un’opinione differente ed il risultato della questione fu un compromesso: lo standard attuale è il frutto di quel compromesso.
L’Alaskan Malamute di oggi è un cane di taglia grande, molto robusto, che viene ancora oggi usato per Il traino pesante, funzione originale di questa razza.
Sono erroneamente scambiati con i Siberian Husky ma le due razze sono molto differenti in dimensione, struttura e personalità. Entrambi sono grandi e massicci, ma vi sono alcune differenze in termini di altezza e peso. Il Siberian Husky sfiora i 60 cm per un peso massimo di 30 kg, mentre l’Alaskan Malamute arriva a 63 cm per 35 kg di peso. I Siberian Husky possono avere occhi chiari (celesti o verdi) o un’iride diverso dall’altro (eterocromia), mentre gli Alaskan Malamute hanno sempre occhi scuri. Per quanto concerne il pelo entrambi ne possiedono un doppio strato. Il Siberian Husky ha un manto esterno soffice e corto, mentre l’Alaskan Malamute presenta un pelo più lungo, ma ruvido al tatto.
Gli Alaskan Malamute sono estremamente docili, amano la compagnia e sono molto obbedienti, mentre i Siberian Husky, pur avendo doti simili, possono diventare aggressivi fuori dal loro territorio e con gli sconosciuti.
Gli Alaskan Malamute sono una razza pacata e dotata di grande coraggio, dal comportamento austero e leali al loro padrone, se educati nel giusto modo. Nella famiglia è necessario che un individuo, il più indicato, si identifichi come suo leader, ossia un punto di riferimento, una guida, poiché, essendo molto simile al lupo, necessita la presenza di una scala gerarchica ben precisa. Tutto questo, al fine di avere una convivenza pacifica con il cane e al fine di creare un legame ottimale tra cane e padrone.
Gli Alaskan Malamute sono dei cani che godono di un fascino eccezionale per l’aspetto che somiglia totalmente al lupo. Sono molto resistenti ma al contrario dei Siberian Husky non sono particolarmente veloci e agili. Inoltre si differenziano dai loro cugini Siberian Husky per la mole maggiore della loro taglia, che può arrivare fino ben oltre i 40 kg.
Le condizioni di vita così estreme nelle quali vive, hanno sottoposto l’Alaskan Malamute a una dura selezione naturale, alla quale sono sopravvissuti solo i soggetti più forti e temprati. Il duro lavoro trainando la slitta, spesso in condizioni a dir poco proibitive, lo ha forgiato fisicamente e caratterialmente. Tutto ciò ci ha consentito di ereditare una razza con un patrimonio genetico solido e intatto, con soggetti resistenti, equilibrati psichicamente e dotati morfologicamente.
L’Alaskan Malamute è un cane gerarchico, abituato a lavorare in muta con ruoli ben definiti. Accetta la convivenza con altri cani dopo aver stabilito la gerarchia, cosa che può avvenire anche in modo cruento con soggetti dominanti. Tra le peculiarità più sorprendenti c’è la straordinaria resistenza al traino rispetto ad altre razze. L’intelligenza e l’istinto fuori dal comune, associati all’eccezionale senso dell’orientamento insito nel suo DNA, gli consentono di decidere per il meglio in qualunque situazione.
Come cane nordico l’Alaskan Malamute è all’ultimo grado di evoluzione psicosomatica del lupo. In lui spicca quindi un massimo grado di socializzazione e un alto grado di curiosità. Il Malamute non è un cane territoriale quindi fondamentalmente non è adatto alla guardia anche se, sfruttando stazza e aspetto, può risultare comunque valido. Pur non nutrendo affetto esclusivo, riconosce il suo leader, in genere il proprietario, per il quale ha una certa propensione.
L’Alaskan Malamute è un cane molto leale, pronto al gioco se invitato. Un compagno ideale per escursioni tra la natura siano esse podistiche, ciclistiche o in slitta. Con la maturità i maschi tendono a diventare più riservati, mentre le femmine restano più espansive.
L’Alaskan Malamute difficilmente farà cose perché costretto, vorrà essere convinto e per convincerlo non serve farsi temere, ma è necessario conquistarsi il suo rispetto e la sua fiducia. L’Alaskan Malamute non esegue comandi che considera privi di senso (ogni azione deve avere, nella sua testa, un fine ultimo).
L’Alaskan Malamute è la razza più grande tra tutte quelle artiche. Le femmine misurano normalmente 58 cm minimo per un peso (minimo) di 34 kg fino ad arrivare ai 36-40 kg, mentre per i maschi la taglia è di 65 cm minimo al garrese, arrivando ad un peso tra i 38 e i 54kg. L’Alaskan Malamute, come tutti i cani, deve seguire una dieta sana, preferendo alimenti cucinati, quali carne e pesce. Non necessita di pasti abbondanti perché la sua digestione è lenta e richiede dalle 9 alle 10 ore. L’Alaskan Malamute invece, necessita di molto esercizio, essendo per l’appunto un cane da lavoro pesante. Gli appartamenti non rappresentano dunque la soluzione ideale; abitazioni con giardino, terrazze e cortili sono, invece, un buon compromesso.
Una variante fuori standard è invece il «Giant» Alaskan Malamute, i cui esemplari arrivano a pesare oltre i 60kg.
Il pelo è ritto sul corpo, spesso e duro. È dotato anche di sottopelo, che è lanoso e molto fitto. I colori possono essere: dal grigio chiaro al nero, bruno, dal dorato al rosso scuro, con il ventre, il muso, i piedi e le zampe bianche.
Il torace è molto profondo, il dorso rettilineo e inclinato verso i lombi. La costituzione è vigorosa.
La testa è piuttosto simile a quella del lupo. Il muso è grosso e dotato di potenti mascelle. La fronte è invece ampia.
Le orecchie sono molto distanziate, erette, triangolari e piccole.
Gli occhi sono a mandorla, non troppo grandi ed obliqui. Il colore è marrone o ambra.
La coda è ricoperta da un folto pelo, con l’attaccatura bassa. A differenza del Siberian Husky, la coda è tenuta alta sia in stazione che in movimento.
Essendo un cane frugale, ha poche necessità: un paio di spazzolate contropelo a settimana (quando è in muta anche tutti i giorni), una pulizia settimanale dei padiglioni auricolari esterni, una dieta equilibrata con una razione quotidiana di mangime di ottima qualità, alla quale aggiungere quotidianamente uno o due cucchiai d’olio (quest’elemento è, difatti, fondamentale per preservare il film idrolipidico del manto); per la cura del pelo è sufficiente procedere al lavaggio ogni 2/3 mesi con detergente specifico. L’Alaskan Malamute non ha bisogno di frequenti bagni perché il suo pelo non emana alcun cattivo odore. Occorre inoltre ricordarsi che il sottopelo dell’Alaskan Malamute è difficile da bagnare, ma ancor più da asciugare compiutamente. È opportuno considerare inoltre che i cani di questa razza non amano particolarmente l’acqua.
Il pelo non deve infine essere tagliato, ma fanno eccezione le basi delle zampe perché l’animale potrebbe perdere aderenza e scivolare sulle superfici lisce.
Infine è necessario un controllo veterinario semestrale per feci e urina e il richiamo annuale delle vaccinazioni.
In Italia oggi si contano diversi allevamenti di Alaskan Malamute che spesso sono anche centri di addestramento. Ogni cane ha un costo che può variare, in funzione della colorazione del manto e del pedigree, tra 900 e 1.300 euro.
Luca D’Agostini
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Fonti
Barbara A. Brooks e Sherry E. Wallis, Alaskan Malamute — Yesterday and Today, Alpine Publishing, 1998
Joan McDonald Brearley, This Is the Alaskan Malamute, TFH Publications, Neptune 1975
Al Holabach, Mary Jane Holabach, A New Owner’s Guide to Alaskan Malamutes, TFH Publications, Neptune 1998
Betsy Sikora Siino, Tana Hakanson, Alaskan Malamutes, B.E.S. Publishing, New York 2007
Paul Allen Pearce, How to EASILY TRAIN Your Alaskan Malamute, CreateSpace Independent Publishing Platform, 2015
Michael James, Alaskan Malamute: understanding and caring for your breed, Magnet & Steel, 2013
Tommy Williams, The Alaskan Malamute: Never a Prisoner, CreateSpace Independent Publishing Platform, 2012
Jordan Honeycutt, Coreen Martineau, The Complete Guide to Alaskan Malamutes, LP Media Inc., Toronto 2020
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