Tra i vergognosi crimini commessi da Hitler e dai suoi compari, figura un programma per la sterilizzazione e la soppressione dei disabili fisici e mentali, le cosiddette «vite indegne di essere vissute» che causò la morte di circa 70 mila persone innocenti, tra cui cinquemila bambini, il più delle volte dopo essere state sottoposte a terribili sofferenze e ad esperimenti scientifici.
Dietro tale programma vi era una concezione folle, riassunta dallo stesso Hitler nel suo libro «Zweites Buch»: «Sparta va considerata come il primo stato Völkisch. L’esposizione dei bambini malati, deboli, deformi e la loro distruzione è stata più decente ed in verità migliaia di volte più umana della miserevole follia dei giorni nostri, che protegge i soggetti più patologici a qualsiasi costo, e ciò nonostante toglie la vita – mediante la contraccezione o l’aborto – a centinaia di migliaia di bambini sani, solo per poi nutrire una razza di degenerati carichi di malattie«.
La genetica, oggi come un tempo, è una scienza legittima che però all’epoca aveva uno sviluppo limitato, tanto che i suoi principi furono applicati dai nazisti in modo superficiale ed il più delle volte scorretto.
Il termine eugenetica, coniato verso la fine dell’Ottocento, sta ad indicare una disciplina che, applicando i metodi di selezione usati per animali e piante, si poneva l’obiettivo di migliorare la specie umana sulla base di considerazioni genetiche. Nonostante i suoi successivi richiami alle leggi della genetica stessa, l’eugenetica non ha alle proprie basi uno status scientifico.
Tutto questo, ruotava attorno a concetti di «razzismo scientifico» ed «igiene razziale» secondo i quali il Volk, ovvero il popolo costituito da individui accomunati da caratteristiche culturali, razziali e genetiche (e che per questi motivi doveva essere tutelato), avrebbe dovuto sopravvivere e migliorarsi. Se necessario, anche a discapito dei diritti propri dell’essere umano, come quello alla vita.1
E’ importante sottolineare come l’eugenetica in generale (non solo quella nazionalsocialista, ma anche di altri paesi europei e degli Stati Uniti) non fosse rivolta alle persone con problemi fisici o motori (ad eccezione dei casi gravi), ma esclusivamente a coloro che presentavano deficit mentali o intellettivi, problemi psichiatrici o malattie ereditarie. Per trovare una spiegazione a questo è sufficiente pensare al Ministro della Propaganda nazista dell’epoca, Joseph Goebbels, soprannominato «il diavolo zoppo» per via della sua deformità. Goebbels infatti possedeva una gamba più corta dell’altra, difetto che lo portò a zoppicare per tutta la vita.1 Ma questo tipo di disabilità non rientrava tra quelli per i quali era necessaria la sterilizzazione o la soppressione.
Anche in questo caso la giustificazione della sterilizzazione coatta trova fondamento nel pensiero di Hitler, il quale nel suo libro «Zweites Buch» scrisse: «Lo Stato deve vigilare affinché solo le persone sane abbiano figli. Qui lo Stato deve agire come il custode di un futuro millenario. Esso deve dichiarare inadatti alla procreazione tutti coloro che sono visibilmente malati o che hanno ereditato una malattia e possono quindi trasmetterla a loro volta«.
Sembrerà assurdo, ma le idee sulla sterilizzazione coatta non furono proprie dei nazisti, sebbene furono loro ad esprimerle in maniera esponenziale rispetto al resto del mondo. L’idea di sterilizzare coloro che soffrivano di disabilità ereditarie era ampiamente condivisa anche negli Stati Uniti, in Svezia, Svizzera e diversi altri paesi. Basti pensare che solo in Svezia, tra il 1935 e il 1976 furono sterilizzate circa 62 mila persone. La legge eugenetica svedese del 18 maggio 1934, per quanto concerne le donne decretava: «Risentire di uno stato depressivo, alzarsi tardi al mattino, intrattenere amicizie maschili, parlare liberamente in pubblico della propria vita sessuale, seguire svogliatamente le lezioni scolastiche o le funzioni religiose, andare a ballare, sono da considerare atteggiamenti potenzialmente destabilizzanti. Atteggiamenti da stigmatizzare e reprimere attraverso la sterilizzazione«.2
Anche gli Stati Uniti hanno alle proprie spalle una storia di sterilizzazione coatta applicata per lo più a quello che era considerato il ceto inferiore della società. Numerose vetrine illuminate esibivano per lo più teschi di «razze inferiori» estinte o viventi, paragonate con «l’ampia nobile» scatola cranica dell’uomo bianco. L’inglese Sir Bernard Mallet, presidente della British Eugenics Society al Terzo Congresso Mondiale di Eugenetica tenutosi a New York nel 1932 diffuse un documento da lui redatto sul quale era scritto: «Riduzione della fecondità dei socialmente inadeguati«. Si trattava, spiegò l’aristocratico scienziato, dei «pazzi, epilettici, poveri, criminali specie se recidivi, non impiegabili, barboni abituali, alcolizzati, prostitute«. Occorreva «limitare la fertilità attraverso la sterilizzazione«. Nel 1920, 25 paesi disponevano già di leggi per la sterilizzazione obbligatoria di persone ritenute inferiori. Nelle scuole elementari ai bambini veniva insegnata questa filastrocca: «Ammira l’imbecille felice; non ha nessuna responsabilità, i suoi figli e i suoi problemi sono tutti sulle nostre spalle«. Pecker, commissario per le statistiche vitali in Virginia, nello stesso congresso riferì su «Lo sforzo dello Stato della Virginia per preservare la purezza razziale«. Pecker elogiò le leggi della Virginia e deplorò quelle vigenti in Germania «dove un negro poteva sposare, senza ostacoli, tedesche dai capelli chiari e dagli occhi azzurri«.2
In Germania, l’intero regime nazista fu costruito su una visione medica che richiedeva una purificazione razziale che dalla sterilizzazione, inevitabilmente, avrebbe condotto all’eccidio di massa. Hitler definì i disabili «coloro che si insudiciano di continuo«.1 Il Führer provava una profonda repulsione per tutti coloro che erano affetti da handicap mentale. Egli infatti considerava i disabili come un qualcosa di estraneo al corpus razziale germanico, e per questo motivo la necessità di ripulire la razza tedesca da coloro che non erano nemmeno considerati umani, risultava pressante e fondamentale.
Una volta giunto al potere nel 1933, il regime nazista implementò sin da subito le prime politiche di igiene razziale. Di lì a poco infatti, il Ministro degli Interni Wilhelm Frick introdusse una prima legge sulla sterilizzazione che solo tre settimane dopo entrò in vigore e fu poi ampliata da alcuni emendamenti nello stesso anno. Questa legge, che fissò l’orientamento di fondo per l’approccio medico del regime alle «vite indegne di essere vissute«, stabiliva la sterilizzazione forzata di persone affette da malattie ereditarie e condizioni patologiche come: la schizofrenia, la psicosi maniaco-depressiva, l’epilessia, la corea di Huntington, cecità e sordità ereditarie, malformazioni gravi, alcolismo ereditario.1
Inevitabilmente, sulle diagnosi e sulle decisioni intraprese le considerazioni politiche incidevano di gran lunga, come fu chiarito da una direttiva del più stretto collaboratore di Hitler, Martin Bormann, nella quale era specificato che nel formulare una diagnosi di debolezza mentale era necessario tener conto del comportamento morale e politico della persona.1
Affinché la legge fosse applicata, furono istituiti dei veri e propri Tribunali per la Sanità Ereditaria, ai quali furono demandate le decisioni sulla sterilizzazione. Della commissione che aveva il compito di decidere chi sottoporre a sterilizzazione e chi no, facevano parte tre membri: due erano medici e il terzo era un giudice distrettuale che aveva anche il ruolo di presidente e amministratore. Tutti coloro che lavoravano all’interno di una casa di cura, un ospedale, un istituto psichiatrico o in una scuola per disabili, avevano il dovere, indipendentemente dalla professione svolta, di riferire ai funzionari dei tribunali i nomi di coloro che rientravano nelle categorie da sottoporre a sterilizzazione.1
I procedimenti chirurgici prediletti per la sterilizzazione furono la legatura dei dotti deferenti nell’uomo e quella delle tube ovariche nelle donne.1
Con il tempo, in alcuni manuali delle facoltà di medicina tedesche, si iniziò a configurare una nuova figura del medico come colui che non doveva limitarsi semplicemente alla cura dei malati ma doveva diventare un vero e proprio «coltivatore di geni sani«.1
In effetti, lo scoppio della guerra rappresentò il momento ideale per realizzare il progetto, fornendo ulteriori giustificazioni a delle idee ben radicate: le persone disabili, anche se sterilizzate, necessitavano di un’assistenza continua e quindi del ricovero presso case di cura o istituti, avvalendosi così di risorse che per il governo tedesco sarebbero state molto più utili ai feriti di guerra o agli sfollati delle città assediate. E se in tempi di pace era stato a malapena tollerato che i disabili sopravvivessero grazie alle risorse dello Stato, tutto ciò in tempo di guerra per i nazisti era assolutamente inammissibile.

Disabili tedeschi inseriti nel programma Aktion T4 e in attesa di essere soppressi
Affinché l’ideologia nazista prendesse piede nella popolazione arrivando a coinvolgere il numero maggiore possibile di persone, nel periodo tra il 1933 e il 1939 il regime mise un piedi un vero e proprio programma propagandistico. Attraverso opuscoli, poster e film si mostrava il costo di mantenimento degli istituti che ospitavano i malati considerati incurabili e, allo stesso tempo, si sottolineava come, quelle stesse risorse, sarebbero potute essere impiegate a favore del progresso del popolo tedesco ritenuto «sano».
Un altro settore di manipolazione delle coscienze fu quello della scuola e dell’educazione, dove gli studenti si trovarono a risolvere problemi di aritmetica del genere: «Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno. Uno storpio 5,50, un epilettico 3,50. In molti casi un impiegato statale guadagna solo 3,50 marchi per ogni componente della sua famiglia e un operaio specializzato meno di 2. Secondo un calcolo approssimativo risulta che in Germania gli epilettici, i pazzi, etc. ricoverati sono circa 300.000. Calcolare: quanto costano complessivamente questi individui ad un costo medio di 4 marchi al giorno? Quanti prestiti di 1.000 marchi alle coppie di giovani sposi si ricaverebbero all’anno con quella somma se questi individui venissero eliminati?«3
Verso la fine del 1938 fu istituito il Comitato del Reich per il rilevamento scientifico di malattie congenite ed ereditarie gravi, l’organo che aveva il compito di provvedere segretamente all’uccisione dei bambini disabili.
Poco più tardi, nel 1939, il Ministero degli Interni ordinò che tutto il personale sanitario operativo negli ospedali tedeschi riferisse di ogni caso di bambino nato con malformazioni gravi, come la Sindrome di Down, l’idrocefalia, la paralisi e le condizioni spastiche. Inizialmente la segnalazione riguardava tutti i bambini di età inferiore ai tre anni, ma di lì a poco l’età salì, andando a stento a differenziarsi da quella adulta.

Visita di un bimbo tedesco introdotto nel programma Aktion T4
Alle famiglie, come avvenne poi con i disabili adulti, non veniva comunicata la soppressione ma veniva detto che i loro cari sarebbero stati trasferiti in dei luoghi di cura più adatti alle loro esigenze. Nel caso dei bambini, alle famiglie veniva comunicato che questi sarebbero stati trasferiti in centri pediatrici dove avrebbero potuto ricevere cure migliori e innovative. E quando chiedevano di potersi mettere in comunicazione con loro, venivano addotte delle scuse inerenti il percorso di cure che i pazienti dovevano seguire, e che quindi il distoglierli dalle loro attività li avrebbe danneggiati. I bambini inviati presso questi centri venivano tenuti in osservazione per qualche settimana e poi uccisi. I certificati di morte che venivano in seguito consegnati alle famiglie, adducevano le cause più disparate, dalla polmonite all’appendicite, alle infezioni. In molti casi tali scuse si mostrarono poco credibili (ad esempio veniva indicata come causa di morte l’appendicite in bambini a cui era stata asportata in precedenza), ed iniziarono a sollevare il sospetto dei genitori ai quali, ad ogni modo, non veniva lasciata scelta. Chi si rifiutava di consegnare i propri figli rischiava di perderne la custodia o, nei casi delle famiglie più insistenti, di essere arrestati e fucilati.1
Ad una commissione di tre medici veniva chiesto di dare un giudizio sull’opportunità o meno della soppressione senza che venisse effettuato alcun esame o controllo. Le decisioni venivano registrate su un apposito modulo: se un medico era a favore dell’applicazione del trattamento (che significava l’uccisione del bambino) metteva un segno «+» ; in caso contrario, apponeva un segno «–» . Lo stesso modulo doveva essere compilato dagli altri membri della commissione, ed affinché un bambino venisse ucciso occorreva l’unanimità dei tre medici.1

Valutazione di un medico nell’ambito del programma Aktion T4
Le uccisioni avvennero per lo più attraverso l’impiego di un cocktail di farmaci (sedativi, oppioidi, tranquillanti) che venivano somministrati a dosi aumentate per alcuni giorni, o per denutrizione.1
L’estensione del programma di eccidio dai bambini agli adulti significò ufficializzare l’uccisione medica all’interno di una politica generale ufficiale enunciata nell’ottobre 1939 Hitler con il «Decreto del Führer» (che venne poi retrodatato così da farlo coincidere esattamente con lo scoppio della guerra).
Sebbene Hitler e gli altri capi nazisti ritenessero necessaria tale manovra, si rendevano conto, al contempo, che l’opinione pubblica tedesca non sarebbe stato in grado di accettarla. Per questo motivo il decreto fu scritto nella cerchia dei collaboratori più stretti e fidati del Führer, così da non destare i sospetti delle masse. Non si trattava quindi di un decreto formale che aveva a tutti gli effetti il valore di legge (che avrebbe inoltre potuto dar alimento alla propaganda nemica), almeno da un punto di vista strettamente burocratico.
A quel punto, era necessario selezionare i medici che avrebbero portato a termine la parte operativa del programma. Fra i criteri di selezione adottati c’erano il grado di fedeltà al regime, il riconoscimento di cui godevano nella loro professione e la simpatia nei confronti delle pratiche eugenetiche più radicali.
Ma da cosa deriva il nome Aktion T4? La lettera «T» e il numero «4» sono l’abbreviazione di Tiergartenstrasse 4, l’indirizzo dove a Berlino era situato il quartier generale dell’Ente Pubblico per la Salute e l’Assistenza Sociale. In realtà al tempo i nazisti usavano un nome in codice per identificare tale programma, «EU-Aktion» che significava «eutanasia».
All’inizio dell’ottobre 1939 tutti gli ospedali statali (è da ricordare che il programma era valido solo all’interno di strutture pubbliche), le case di cura, gli istituti psichiatrici e le case d’infanzia ebbero l’obbligo di riportare su dei moduli appositi i nomi di tutti i pazienti ai quali da cinque anni o più erano state diagnosticate: schizofrenia, epilessia, disturbi senili, paralisi, ritardo mentale, autismo, encefalite, corea di Huntington e le forme gravi di sifilide. Nel 1944 tra le patologie che rientravano nel programma di uccisione dei bambini fece la sua comparsa l’Asperger. La patologia prese il nome dalla tesi redatta nel 1944 dal medico austriaco Hans Asperger. Asperger elaborò una diagnosi di alcuni lievi sintomi di ritardo dello sviluppo inserendoli nella definizione di psicopatia autistica al fine di porli all’attenzione della psichiatria infantile nazista. Hans Asperger purtroppo non fu mai incriminato direttamente di alcun crimine, nonostante documenti d’archivio dimostrano come abbia partecipato, pur in ruoli non diretti, al programma di soppressione dei bambini con varie disabilità nella Vienna nazista.4
Se inizialmente gli adulti erano uccisi, al pari dei bambini, con iniezioni letali o comunque ricorrendo all’impiego di farmaci diversi, con il passare del tempo questo metodo si dimostrò lento ed inefficace. Fu lo stesso Führer a proporre al Ministro della Sanità del tempo, Karl Brandt, l’impiego di un mezzo molto più efficace e meno costoso: il monossido di carbonio. L’uccisione attraverso questo gas avveniva in apposite camere a gas e presto fu estesa a tutti i centri dell’Aktion T4; in seguito, i corpi venivano ammassati in grandi forni e cremati gli uni insieme agli altri.1 E’ facile immaginare quindi che le ceneri ricevute dai parenti, non fossero mai realmente quelle del congiunto defunto.

Bambini tedeschi inseriti nel programma Aktion T4 e in attesa di essere soppressi
Nel corso del 1940 cominciarono a spargersi voci ufficiali su quanto stava accadendo e molte famiglie così decisero di proteggere i propri familiari curandoli a casa, spesso a fronte di enormi sacrifici. Iniziarono poi a giungere, al Ministero della Giustizia e alla Cancelleria del Reich, lettere di protesta anche da membri interni al Partito. La situazione iniziava a degenerare, e il malcontento della popolazione cominciava ad essere più che evidente.
Ma quel che convinse poi i gerarchi nazisti a cancellare in maniera ufficiale il progetto fu l’opposizione espressa in particolare da alcuni coraggiosi capi religiosi protestanti e cattolici. Fra coloro che fecero parte della resistenza religiosa si ricordano due pastori che svolgevano funzioni amministrative non-mediche in alcune istituzioni mentali. Paul Gerhard Braune e il reverendo Fritz von Bodelschwingh erano entrambi dirigenti attivi della Chiesa Confessionale, in contrapposizione ai cristiani tedeschi alleati al regime. L’attività di questi pastori consisteva nell’opporre resistenza ai questionari, nell’esprimere obiezioni ai funzionari nazisti e, quando possibile, nell’impedire che i pazienti venissero consegnati al meccanismo di eliminazione.
Ma la protesta più eclatante contro l’Aktion T4 provenne dal sermone del conte Clemens von Galen, nell’agosto del 1941. Egli riaffermava gli obblighi di coscienza di opporsi all’eliminazione di vite innocenti, usando un linguaggio che potesse essere compreso dalle masse. Il sermone in poco tempo si diffuse nell’intera Germania, tanto che fu addirittura lanciato sotto forma di volantini dagli aerei della Royal Air Force britannica sulle truppe tedesche.1
Così i capi nazisti si trovarono a dover affrontare un problema non di poco conto: decidere tra l’imprigionare ecclesiastici eminenti che avevano un grande seguito nelle masse con il rischio di scatenare reazioni avverse non indifferenti, o il porre fine al programma. Il Regime, su ordine del Führer emise un ordine verbale di mettere fine al Programma Aktion T4. Una pura e semplice formalità, perché l’uccisione dei disabili non terminò, anzi. Infatti il programma Aktion T4 fu portato avanti con criteri di selezione sempre più rigidi.

Bambino tedesco ucciso nell’ambito del programma Aktion T4
Si trattava semplicemente dell’ennesimo inganno. A seguito della cessazione formale del programma, l’unica cosa mutò fu la gassificazione su vasta scala dei pazienti. I medici erano ora liberi di scegliere in modo indipendente quale criterio utilizzare per uccidere; in effetti il messaggio che proveniva dall’alto era chiaro: le uccisioni dovevano continuare ma in modo meno vistoso.
In questa fase, le persone (sia adulti che bambini) non erano più uccise dal gas, ma dai farmaci e dalla fame. Si stima che la maggior parte delle uccisioni di bambini ebbe luogo proprio in questo periodo, ovvero dopo la chiusura ufficiale del progetto Aktion T4. L’ultima vittima, un bambino di appena quattro anni, fu ucciso a distanza di 15 giorni dalla fine della guerra.1
Luca D’Agostini
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Fonti
2) Aktion T4
3) Adolf Borner, Mathematik in Dienst der nationalpolitischen Erziehung, 1941
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