Quella di Achille è la caratteristica storia eroica degli antichi greci. Achille era il più coraggioso degli eroi guidati dal re miceneo Agamennone che parteciparono alla guerra contro Troia. Nessuno dei centomila achei che assediarono le alte mura di Troia poteva eguagliarlo in forza, coraggio, destrezza, velocità, nonché carattere diretto e bellezza. Achille aveva doti in abbondanza, solo un dono il destino gli aveva negato: la felicità.
La storia del figlio di Peleo, re dei Mirmidoni di Ftia (regione nel sud-est della Tessaglia) e di Teti, una ninfa del mare, è descritta nell’Iliade, il poema epico di Omero.
I ricercatori hanno avanzato la teoria secondo cui originariamente nella mitologia degli antichi greci, Achille era considerato un demone degli inferi. Anche altri eroi greci antichi, ad esempio Ercole, appartenevano a questa categoria di personaggi. A sostegno di questa tesi, lo storico Hommel assume come fonti i primi testi classici greci, in cui Achille è già diventato un eroe epico, ma dimostra ancora le caratteristiche inerenti ai demoni degli inferi.
Come altri eroi greci, Achille nacque dal matrimonio tra un mortale e una dea. Personaggi simili nella mitologia greca antica possedevano capacità che superavano quelle umane, era dotati anche di un’enorme forza fisica, ma non erano dotati di immortalità, come invece accadeva per gli dei.
La vocazione degli eroi greci era quella di rendere giustizia alle persone e soddisfare la volontà degli dei. E nel compimento di azioni eroiche, gli eroi erano spesso sostenuti ed aiutati da genitori divini.
La madre di Achille, la ninfa marina Teti, voleva rendere immortale suo figlio. Per questo, Teti, immerse il bambino nelle acque del fiume Stige, il fiume del regno dei morti. Mentre lo immerse, la madre tenne il bambino per il tallone e per questo motivo il tallone, rimasto fuori dall’acqua, fu l’unica parte del corpo umano di Achille ad essere vulnerabile.
Durante l’infanzia, Achille aveva un nome diverso, ma dopo un incidente nel quale le sue labbra furono bruciate dal fuoco, ricevette il nome Achille, che significa «senza labbra». Infatti, la madre Teti, nell’intento di renderlo immortale voleva temperarlo con il fuoco. Ma mentre si stavano bruciando le labbra del bambino, suo padre Peleo entrò nella fucina e vedendo suo figlio in fiamme si spaventò. Pensando che la ninfa Teti volesse uccidere suo figlio, Peleo si scagliò contro la moglie impugnando la spada. Teti non ebbe il tempo di fornire spiegazioni, riuscì a malapena a nascondersi nelle profondità del mare e non tornò più sulla Terra. Peleo trovò a chi affidare suo figlio per farlo crescere in modo adeguato.
Lo portò così sulle pendici del Monte Pelio e lo affidò alle cure del centauro Chirone il quale si prese l’onere di allevare il ragazzo. Chirone lo fece crescere dandogli da mangiare cervelli d’orso e leoni fritti. Una tale dieta e un’educazione ferrea giovarono sicuramente ad Achille, tanto che all’età di nove anni uccise un cinghiale a mani nude e catturò un cervo in fuga. Presto imparò tutto ciò che doveva essere il bagaglio di conoscenze e competenze di un eroe di quel tempo: comportarsi come un uomo, impugnare le armi, curare le ferite, suonare la lira e cantare.
Quando Achille aveva nove anni, Calcante, un indovino che aveva tradito i Troiani per schierarsi dalla parte degli Achei, annunciò che Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza l’aiuto del giovane tra le sue file. Teti, la quale era venuta a sapere di questa profezia, temendo la morte del figlio sotto le mura della città, sottrasse il giovane alle cure di Chirone e lo portò presso il re Licomede a Sciro, presentandolo come una donna: lo vestì con abiti femminili e lo fece vivere insieme alle figlie del re. Forse Licomede era a conoscenza della verità, ma non obiettò nulla, accettandolo di buon grado.
Qui Achille rimase nove anni, venendo soprannominato Cercisera, Essa o Pirra (cioè la Fulva), a causa dei capelli di colore biondo lucente. Durante questo periodo, Achille si innamorò di Deidamia, una delle figlie di Licomede, la sposò e da lei ebbe un figlio, Pirro, che più tardi avrebbe preso il nome di Neottolemo.
Intanto Ulisse, avendo anch’egli saputo dall’indovino Calcante che Troia non avrebbe potuto essere conquistata senza la partecipazione di Achille, fu incaricato insieme a Nestore e Aiace Telamonio di andare alla ricerca del giovane. Scoperto il suo nascondiglio, i tre si presentarono al cospetto di Licomede travestiti da mercanti, portando a Sciro stoffe e oggetti preziosi, adatti ai gusti femminili. Mentre le fanciulle erano intente a scegliere articoli di ricamo e stoffe, lo scaltro Ulisse simulò un fragore di armi in mezzo all’harem di Licomede. Le ragazze, terrorizzate, fuggirono mentre Achille, conforme al suo spirito maschile, si strappò di dosso le vesti femminili, si rivestì del bronzo guerriero ed uscì pronto a combattere. Teti e Peleo dovettero così rassegnarsi all’inevitabile destino del figlio e non ostacolarono più la sua vocazione di guerriero.
Al momento della sua partenza, Peleo fece voto di consacrare al fiume Spercheio, che bagnava il suo regno, i capelli del figlio se fosse tornato sano e salvo dalla spedizione. Teti, da parte sua, ripeté ad Achille il futuro che lo attendeva. Achille, senza esitare, confermò la decisione di molti anni prima e scelse la vita breve e gloriosa.
La dea consegnò all’eroe anche un’armatura divina, offerta un tempo da Efesto a Peleo come regalo di nozze e vi aggiunse i cavalli che Poseidone aveva portato come dono nella stessa occasione. Affiancò poi al figlio un compagno di nome Mnemone, la cui sola funzione era quella di impedirgli, con i suoi consigli, di uccidere un protetto di Apollo: un oracolo, infatti, aveva profetizzato che Achille sarebbe morto di morte violenta se l’avesse fatto: ma di questo eroe però non specificava il nome.
Teti infine gli proibì di sbarcare per primo sulla riva troiana, perché il primo a farlo sarebbe stato anche il primo a cadere vittima del nemico, sorte che toccò a Protesilao.
Achille in seguito si unì alla guerra greca contro Troia e gli fu affidato il comando di cinquanta navi. Patroclo, un amico d’infanzia che alcuni autori dell’epoca definirono l’amante di Achille, partì per la campagna con l’eroe greco.
Quando iniziò la guerra, Achille aveva solo quindici anni. Il primo scudo per l’eroe acheo fu forgiato dal dio Efesto stesso.
La guerra di Troia durò venti anni. L’assedio della città fu lungo e durante questo periodo l’eroe greco riuscì a fare molte incursioni nelle città vicine. Era già il decimo anno dell’assedio, quando Achille catturò la bellissima Briseide, figlia di Briseo e sacerdotessa troiana di Apollo. Achille litigò per lei con Agamennone. Il re miceneo chiese di dargli Briseide, in risposta, Achille si arrabbiò e si rifiutò di continuare a partecipare alle battaglie.
I Greci iniziarono a perdere e iniziarono a chiedere all’eroe acheo di tornare in battaglia, ma lui non li aiutò. Quando i Troiani guidati da Ettore invasero il campo greco, Achille ancora infuriato non entrò nella battaglia, ma permise a Patroclo di accorrere in aiuto dei Greci. Affinché i nemici avessero paura, Achille ordinò a Patroclo di indossare la sua armatura, in modo tale che i Troiani credessero di avere di fronte Achille. L’eroe troiano Ettore uccise Patroclo e prese l’armatura di Achille per sé come un trofeo.
Solo allora Achille apparve sul campo di battaglia di persona. Vedendo l’eroe greco i Troiani fuggirono. Il mattino seguente, il dio Efesto forgiò per l’eroe acheo una nuova armatura e Achille si precipitò in battaglia, combattendo con sete di vendetta. L’eroe greco fu in grado di spingere i Troiani alle porte della città e allo stesso tempo uccise Ettore con una lancia. Il trionfante Achille legò il corpo di Ettore al suo carro da guerra e viaggiò tre volte attorno alle mura di Troia, quindi lo trascinò nel suo accampamento per essere fatto a pezzi.
Tuttavia, gli dei non permisero di profanare il corpo dell’eroe caduto. Quando, sotto la copertura della notte, il decrepito Priamo si diresse verso il campo di Achille per riprendere il corpo di suo figlio, Achille, toccato dal dolore del vecchio re troiano, gli restituì cadavere di Ettore. Sospese persino le ostilità per dodici giorni in modo che i Troiani potessero seppellire solennemente il loro eroe.
Achille non era destinato ad assistere alla caduta di Troia: presto la morte lo avrebbe colto. Riuscì ancora a sconfiggere la Regina delle Amazzoni, Pentesilea, la quale condusse il suo esercito femminile in aiuto di Troia, e poi sconfisse il nuovo leader dell’esercito troiano, Memnone il re d’Etiopia e di Persia. Ma quando, dopo questa vittoria, decise di irrompere nella città, il dio Apollo gli si parò davanti. Achille gli ordinò di lasciare la strada, minacciando di trafiggerlo con la lancia. Apollo obbedì, ma solo per vendicare immediatamente questo insulto. Scalando le mura della città, ordinò all’arciere Paride di scoccare una freccia ad Achille. Paride obbedì volentieri e la freccia guidata da Apollo colpì il tallone di Achille.
Con la caduta a terra di Achille la terra tremò e le mura della città si spezzarono. Tuttavia, l’eroe acheo si alzò immediatamente e tirò fuori la freccia fatale dal tallone. Allo stesso tempo, i ganci della punta della freccia tirarono fuori un grosso pezzo di carne, strapparono le vene e il sangue fuoriuscì copiosamente dalla ferita. Vedendo che la vita lo stava lasciando, Achille urlando maledì Apollo e Troia.
Gli scontri tra i guerrieri greci e troiani furono veementi. Alla fine, gli Achei strapparono il corpo di Achille dalle mani dei Troiani, lo portarono al loro accampamento e, con tutti gli onori, lo misero a fuoco su un’alta pira funeraria, che il dio stesso Efesto incendiò. Quindi, le ceneri di Achille furono mischiate con le ceneri di Patroclo e un alto tumulo di argilla fu versato sulla loro tomba comune.
Secondo molti studiosi di antiche leggende, Achille è l’immagine più magnifica di tutte quelle create dalla letteratura greca. E poiché queste opere di Omero sono i vertici della letteratura greca, che fino ad oggi non sono state superate nella poesia epica di nessun altro popolo, Achille può essere tranquillamente attribuito a una delle immagini più magnifiche di tutta la letteratura mondiale. Pertanto, è chiaro che nessuno dei dipinti o delle sculture di Achille può essere paragonato all’immagine letteraria.
Luca D’Agostini
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