L’8 dicembre 1991, le firme di tre sciagurati sigillarono un atto vergognoso passato alla storia come l’Accordo di Belaveža, il quale sanciva la fine dell’Unione Sovietica ed istituiva la Comunità degli Stati Indipendenti.
Costituita nel 1922, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche fu creata dalla leadership del Partito comunista russo (bolscevichi) come base per una futura rivoluzione mondiale.
Per attirare il maggior numero possibile di repubbliche socialiste verso l’Unione Sovietica, nella prima costituzione sovietica (e in tutte le successive), a ciascuna di esse fu concesso il diritto di uscita libera dall’Unione Sovietica. In particolare, nell’ultima Legge Fondamentale dell’Unione Sovietica, la Costituzione del 1977, questa regola era sancita nell’articolo 72. Dal 1956 l’Unione Sovietica includeva 15 repubbliche.1
Da un punto di vista legale, l’Unione Sovietica era una federazione asimmetrica (i suoi soggetti avevano uno status diverso) con elementi di confederazione. Allo stesso tempo, le repubbliche dell’Unione si trovavano in una posizione disuguale. In particolare, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR) non aveva il proprio partito comunista e l’Accademia delle scienze, ed inoltre la Repubblica era anche il principale contributore di risorse finanziarie, materiali e umane per il resto dell’Unione.1
L’unità del sistema statale sovietico era assicurata dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). Era costruito su un rigido principio gerarchico. Nell’articolo 6 della Legge fondamentale dell’Unione Sovietica del 1977, lo status di «forza guida e guida della società sovietica, il nucleo del suo sistema politico, dello stato e delle organizzazioni pubbliche» fu assegnato al Partito Comunista.1
Negli anni ’80 l’Unione Sovietica era in uno stato di crisi sistemica. Una parte significativa della popolazione aveva perso la fede nei dogmi dell’ideologia comunista. Apparve sempre più evidente l’arretratezza economica e tecnologica dell’Unione Sovietica rispetto agli stati occidentali. Inoltre in quegli anni, nelle varie repubbliche iniziarono a formarsi delle élite nazionali indipendenti.1
Un tentativo di riformare il sistema politico durante la ristrutturazione del 1985-1991 portò all’aggravarsi di tutte le contraddizioni esistenti. Nel 1988-1990 su iniziativa del Segretario Generale del Comitato Centrale del PCUS, Michail Sergeevič Gorbačëv, il ruolo del Partito Comunista dell’Unione Sovietica fu considerevolmente indebolito. In via definitiva, i macroscopici errori di Gorbačëv ebbero conseguenze distruttive per l’Unione Sovietica.1
Nel 1988, iniziò la riduzione dell’apparato del Partito, il sistema elettorale fu riformato. Nel 1990, la costituzione fu cambiata, l’articolo 6 fu liquidato, a seguito del quale il Partito Comunista dell’Unione Sovietica fu completamente separato dallo Stato. Allo stesso tempo, le relazioni inter-repubblicane non furono soggette a revisione, il che portò, in un contesto di indebolimento delle strutture partitiche, ad un forte aumento del separatismo delle repubbliche dell’Unione.1
Secondo una serie di ricercatori russi, una delle decisioni chiave in questo periodo fu il rifiuto di Gorbačëv di equiparare lo status della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR) con quello delle altre repubbliche. Come ha ricordato Anatolij Černaev, il Segretario Generale della politica estera Gorbačëv e storico russo: «Gorbačëv si oppose fermamente alla creazione del Partito Comunista della RSFSR«.2 Gli storici russi concordano che l’adozione di questo provvedimento avrebbe aiutato ad unire le strutture delle varie repubbliche ed a mantenere l’unità dello Stato impedendo la disgregazione dell’Unione Sovietica.
Negli anni della perestrojka in Unione Sovietica, le relazioni inter-etniche peggiorarono bruscamente. Nel 1986, importanti scontri etnici si verificarono a Jakutsk e ad Alma-Ata (Kazakistan). Nel 1988 iniziò il conflitto nel Nagorno-Karabakh, durante il quale la regione autonoma del Nagorno-Karabakh, abitata da armeni, annunciò il suo ritiro dalla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian. Questo fu seguito dal conflitto armato armeno-azerbaigiano. Nel 1989, altri gli scontri iniziarono in Kazakistan, Uzbekistan, Moldavia, Ossezia del Sud, al punto che a metà del 1990 più di 600.000 cittadini sovietici erano divenuti rifugiati o sfollati.1
Nel 1988, un movimento per l’indipendenza si sviluppò negli Stati baltici. Era guidato da «fronti popolari», cioè movimenti di massa creati con il permesso delle autorità a sostegno della perestrojka.1
Durante il 1988-1991, ha avuto luogo la cosiddetta «parata delle sovranità», durante la quale quasi tutte le repubbliche adottarono la dichiarazione di sovranità.3
Il 16 novembre 1988, il Consiglio Supremo della Repubblica Socialista Estone adottò una dichiarazione sulla sovranità statale della repubblica e modificò la costituzione repubblicana, che consentiva la sospensione delle leggi dell’Unione sul territorio della Repubblica Socialista Estone. Il 26 maggio e il 28 luglio 1989, atti analoghi furono adottati dalla Lituana e dalla Lettonia. L’11 ed il 30 marzo del 1990, Lituania ed Estonia adottarono leggi sul ripristino dei propri stati indipendenti; il 4 maggio lo stesso atto fu approvato dal parlamento lettone.1
Il 23 settembre 1989, il Soviet Supremo dell’Azerbaijan adottò una legge costituzionale sulla sovranità statale della repubblica. Nel 1990, atti simili furono adottati da tutte le altre repubbliche dell’Unione.1
Il 17 marzo del 1991 si tenne un referendum in molte repubbliche dell’Unione Sovietica tranne che in Estonia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Georgia e Armenia che rifiutarono di indire il referendum. Si trattava di un referendum «Sulla conservazione dell’Unione Sovietica» volto a preservare l’unione dello Stato. Il 77,85% degli elettori votò per la conservazione dell’Unione Sovietica, mentre il 22,15% votò per la disgregazione.4
Nell’agosto del 1991, una serie di leader di governo e di partito, con lo slogan di preservare l’unità del Paese, tentò un colpo di stato ma il risultato fu un’attivazione ancora maggiore delle tendenze separatiste.
Nel novembre 1991, sette repubbliche dell’Unione Sovietica su dodici (Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) concordarono sulla firma di un accordo per l’istituzione dell’Unione di Stati Sovrani. La firma di questo accordo era prevista per il 9 dicembre 1991.4
In Ucraina era forte il desiderio di staccarsi dall’Unione Sovietica ed era stato indetto un referendum per l’indipendenza che si tenne il 1° dicembre 1991 e nel quale il 90% degli elettori votarono per l’indipendenza.3
Improvvisamente, ignorando che Il 7 dicembre 1991 era prevista la firma dell’accordo per l’istituzione dell’Unione degli Stati Sovrani, i leader di Russia, Bielorussia ed Ucraina si incontrarono in un posto isolato: nella foresta di Belaveža, in Bielorussia. Qui fecero una sauna tutti insieme, andarono a caccia e si ubriacarono con la vodka.4
Il giorno dopo, l’8 dicembre 1991, il presidente russo Boris Eltsin, il presidente ucraino Leonid Kravčuk, il presidente bielorusso Stanislaŭ Šuškevič, nella residenza governativa Viskuli (Foresta di Belaveža, Bielorussia) firmarono l’Accordo sull’istituzione della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e lo scioglimento dell’Unione Sovietica. 1 L’Accordo di Belaveža è stato così il risultato di una cospirazione e rappresentò l’ultimo chiodo che fu martellato nel coperchio della bara dell’Unione Sovietica.
Ora provate ad immaginare! Sapete cosa ha fatto Eltsin subito dopo aver apposto la firma sull’accordo di Belaveža? Appena dopo la firma, Eltsin si alzò, andò in una stanza adiacente e telefonò a Washington. La conversazione telefonica durò 28 minuti e Eltsin riferì a George W. Bush, riguardo tutti i dettagli dell’accordo. La trascrizione di questa conversazione fu tenuta segreta per lungo tempo dalle amministrazioni statunitensi che registrarono la conversazione e solo nel 2008 fu rimossa la classificazione di sicurezza.5
L’economista russo Ruslan Chasbulatov ha dichiarato: «I primi giorni di dicembre del 1991, avevo parlato più volte con Boris Eltsin ed avevo notato che era molto spaventato e mi confessò che voleva rifugiarsi all’interno dell’ambasciata statunitense a Mosca. In realtà era in atto la trama segreta di Eltsin per la distruzione finale dell’Unione Sovietica. Questa era la situazione. Risultò evidente in seguito che stava preparando tutto questo e per neutralizzare il mio ruolo, mi inviò con una delegazione a Seul. Se fossi stato a Mosca sarei immediatamente volato a Belaveža insieme ai paracadutisti del generale Achalov. Alla vigilia della mia partenza, Eltsin mi disse che sarebbe presto andato ad incontrare i due capi delle repubbliche di Ucraina e Bielorussia per discutere della campagna di semina. Ed invece aveva organizzato questo incontro. Questo è tradimento attuato da una troika codarda«.6
Il 10 dicembre, il documento fu ratificato dai Soviet Supremi dell’Ucraina e della Bielorussia. Il 12 dicembre un atto simile fu adottato dal parlamento russo. Secondo il documento, la sfera delle attività congiunte dei membri della CSI includeva: coordinamento delle attività di politica estera; cooperazione nella formazione e nello sviluppo di uno spazio economico comune, dei mercati europeo ed euroasiatico, nel settore della politica doganale; cooperazione nel campo della protezione ambientale; problemi di politica migratoria; combattere il crimine organizzato.1
Il 25 dicembre 1991 alle 19:00 ora di Mosca, Michail Sergeevič Gorbačëv parlò in diretta su Central Television e annunciò la cessazione delle sue attività come presidente dell’Unione Sovietica. Lo stesso giorno, la bandiera nazionale dell’Unione Sovietica fu abbassata dal pennone del Cremlino di Mosca e fu issata la bandiera nazionale della Federazione Russa.1
Le conseguenze della firma dell’Accordo di Belaveža furono catastrofiche: in tutte le repubbliche vi fu un immediato calo della produzione, divampò una enorme crisi economica con rapido impoverimento della popolazione, il sistema generale della sanità pubblica fu liquidato, milioni di connessioni di vite umane furono recise e milioni di persone divennero rifugiati. Il tasso di mortalità aumentò bruscamente.
Passiamo ora ad analizzare le considerazioni che si sono susseguite negli anni dopo questo tragico scempio.
Partiamo dal presidente Putin, il quale nel 2005 durante il suo appello all’Assemblea Federale ha definito l’Accordo di Belaveža ed il conseguente collasso dell’Unione Sovietica come «una tragedia umanitaria e la più grande catastrofe geopolitica del secolo«.4 7
Il 15 marzo 1996, la Duma di Stato della Federazione Russa, adottò risoluzioni che dichiaravano nullo l’Accordo di Belaveža sullo smembramento dell’Unione Sovietica e confermò anche l’importanza legale del referendum del 17 marzo 1991 sulla conservazione dell’Unione Sovietica.4
Con il Decreto n. 157-II della Duma di Stato «Sulla forza legale per la Federazione Russa dei risultati del referendum del 17 marzo 1991 sulla questione della preservazione dell’URSS«, in particolare, il paragrafo 3 afferma quanto segue: «Si conferma che l’Accordo sulla creazione della Comunità degli Stati Indipendenti datato 8 dicembre 1991, firmato dal Presidente della RSFSR B.N. Eltsin e dal Segretario di Stato della RSFSR G.E. Burbulis e non approvato dal Congresso dei Deputati della RSFSR, non ha forza legale nella parte relativa alla cessazione dell’esistenza dell’URSS«.4
Così, con questo decreto, così come con il Decreto n. 156-II della Duma di Stato, la Federazione Russa ha denunciato l’Accordo di Belaveža e riconosciuto l’esistenza dell’Unione, anche se non vi è nessuno Stato che la componga. Tutti i documenti che affermano che l’Unione Sovietica non esiste sono inconcludenti da un punto di vista legale.4
Con questo decreto, la Duma di Stato ha espresso la sua posizione legale in relazione all’Accordo di Belaveža, riconoscendolo come un atto anticostituzionale ed illegale, adottato nella violazione più flagrante della Costituzione della RSFSR, delle norme del diritto internazionale e della legislazione in vigore in quel momento.4
Il fondatore del Partito Socialdemocratico moldavo Oazu Nantoi ha affermato: «A quel tempo non immaginavamo nemmeno cosa significasse costruire uno stato legale e democratico invece dell’ex repubblica sovietica. In Moldavia oggi abbiamo una corruzione dilagante, lasciamo i giovani, continuiamo ad avere contraddizioni sul piano etno-linguistico. Secondo un recente sondaggio, quasi la metà della popolazione, senza prendere addirittura in considerazione la Transnistria, sarebbe pronta a votare in un referendum per restituire la repubblica all’Unione Sovietica«.4
Nikolay Starikov, scrittore, co-presidente del movimento Anti-Maidan ha dichiarato: «Quando tre persone
nella Foresta di Belaveža hanno distrutto l’Unione Sovietica, contrariamente alle leggi dell’Unione Sovietica, ero un giovanotto e non capivo la tragedia di ciò che stava accadendo. Dopo un quarto di secolo, penso che sia già ovvio per quasi tutti che, in primo luogo, era illegale, in secondo luogo, non portava nulla di buono ed ora è necessario uscire da questa situazione, in cui finimmo tutti dopo il crollo di un singolo spazio geopolitico. Vorrei augurare ai criminali e a coloro che hanno violato la legge firmata dai criminali, di sopportare la punizione meritata per il crollo di un grande Stato. Ma a quanto pare, questa punizione arriverà a loro solo nella prossima vita. Essendo un realista, non credo che in futuro l’Unione Sovietica riceverà una degna «ricompensa» sotto forma di un verdetto storico. Tuttavia, sono felice che nei nostri libri di storia vi sia valutazione chiara e precisa di ciò che è successo l’8 dicembre del 1991: cioè che vi fu un tradimento e un crimine«.7
L’avvocato Dmitrij Agranovskij ha dichiarato: «Sono un laureato del Dipartimento di diritto costituzionale della Facoltà di giurisprudenza dell’Università statale di Mosca. Abbiamo discusso dell’Accordo di Belaveža ai seminari e gli esperti di diritto di tutte le opinioni politiche hanno convenuto che legalmente la firma di tale accordo era uno sfacciato oltraggio contro tutte le norme del diritto internazionale. L’integrità territoriale del Paese fondatore delle Nazioni Unite e vincitore della Seconda guerra mondiale, è stata violata. Questi accordi sono assolutamente illegali, non hanno alcuna forza legale. Si può dire che la morte del diritto internazionale è sancita dalla loro firma. L’8 dicembre 1991, ho avuto la sensazione che qualcuno vicino a me fosse stato ucciso. Non potevo impedirlo, ma se avessi avuto l’opportunità, lo avrei fatto in qualsiasi modo. Spero che tutte le persone coinvolte nell’Accordo di Belaveža saranno maledette. Lasciali cadere nell’inferno. Auguro loro tutto il peggio. Penso che il crollo dell’Unione Sovietica sia l’evento più tragico nella storia dell’umanità«.7
Lo scrittore Dmitrij «Goblin» Pučkov ha affermato: «Mi unisco alle parole del presidente Putin il quale ha dichiarato che l’Accordo di Belaveža ed il conseguente crollo dell’Unione Sovietica sono state una tragedia umanitaria e la più grande catastrofe geopolitica del secolo. Sono molto amareggiato per ciò che è accaduto. Ho lasciato molti parenti all’estero: nelle repubbliche dell’Asia centrale, nel Caucaso, negli stati baltici, in Ucraina. Il destino di molti di loro fu terribile, anche se ora non è consuetudine parlarne. In generale, non vi fu nulla di buono dall’esito di quell’accordo.«7
Luca D’Agostini
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Fonti:
(2) Anatolij Černaev, My Six Years with Gorbachev, Penn State University Press, 2000
(3) чёрный день
(4) еферендум о сохранении СССР 17 марта 1991 года
(5) Ельцин отчитался перед Бушем за развал Союза
(7) antimaidan.ru
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