Ciclicamente l’occidente si trova sempre sull’orlo di una guerra oppure di fronte ad una serie di accadimenti che se fossero veri meriterebbero giustamente, indignazione, sconcerto e rabbia nelle opinioni pubbliche e l’adozione di provvedimenti seri, rigorosi e drastici da parte dei propri governi. Il problema di fondo però è che quasi mai l’ingresso in queste guerre è giustificato, che i pretesti assunti per giustificare gli ingressi in guerra, sono quasi sempre inventati oppure pianificati a tavolino anche con il sacrificio inutile di molte vite umane. Negli articoli precedenti pubblicati su Madre Russia, avete avuto la possibilità di conoscere alcuni di questi casi. Oggi prendiamo in considerazione il caso di Pearl Harbor.
Nel 1941 infatti, fu il noto attacco a Pearl Harbor a scatenare nella popolazione statunitense quell’ondata di indignazione che permise a Roosevelt di entrare con decisione nella Seconda Guerra Mondiale, contro Giappone, Italia e Germania.1
Il 7 dicembre 1941 alle ore 07.48, la più grande base statunitense del Pacifico venne rasa al suolo dall’aviazione giapponese, 18 navi vennero affondate, 188 aerei furono distrutti, 2043 marinai statunitensi furono massacrati in un attacco a sorpresa, del quale si sarebbe saputo in seguito che gli Stati Uniti erano invece già al corrente.
La prima volta che venni a conoscenza di questo fatto avevo poco più di venti anni, ero uno studente universitario e stavo assistendo ad una lezione del Prof. Pietro Pastorelli, docente di “Storia dei Trattati e Politica Internazionale” all’Università La Sapienza di Roma. Quel giorno lo ricordo come se fosse ieri. Rimasi basito, stupito, deluso, mi sentii tradito dai libri di storia del liceo che non mi avevano insegnato nulla riguardo l’evitabilissimo attacco di Pearl Harbor. Mi sentii tradito da una cinematografia e da una informazione che mai avevano rappresentato la realtà di quei fatti in quanto allineate alla versione ufficiale e ad una verità di comodo. Così ancora oggi, a distanza di più di venticinque anni, ricordo parola per parola quanto detto dal Prof. Pastorelli durante la sua lezione ed ancora oggi possiedo la trascrizione della registrazione di quella lezione: “I servizi segreti statunitensi erano già da tempo in grado di intercettare tutte le comunicazioni dei comandi militari giapponesi. Conoscevano perfettamente il loro linguaggio in codice ed erano in grado di decifralo con estrema esattezza. Così, già con notevole anticipo i servizi segreti statunitensi erano a conoscenza del progetto giapponese di attacco a Pearl Harbor. Pochi giorni prima dell’attacco vennero a conoscenza del giorno esatto e dell’orario in cui sarebbe stato effettuato l’attacco da parte dall’aeronautica giapponese. Ma non comunicarono nulla al comandante della flotta statunitense. Fecero ciò perchè allora l’opinione pubblica americana era fortemente contraria all’ingresso in una guerra che si combatteva lontano dai propri confini. Il governo degli Stati Uniti aveva quindi necessità di cambiare l’orientamento della propria opinione pubblica interna ed usò come pretesto il massacro dei propri marinai che invece avrebbe benissimo e comodamente potuto evitare. Il giorno seguente, l’8 dicembre 1941, gli Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone.“
Ricostruiamo quindi i fatti: prima del fatidico 7 dicembre 1941, l’88% della popolazione statunitense (sondaggio realizzato negli Stati Uniti nel settembre 1940) era contraria all’ingresso in una guerra lontana e il signor Roosevelt, proprio come il signor Wilson, venne eletto Presidente grazie alla promessa che non avrebbe mai trascinato la nazione in un conflitto.2 Ecco infatti, cosa dichiarò pubblicamente Roosevelt ai suoi elettori: “Mentre sto parlando a voi, madri e padri, vi do un’altra assicurazione. L’ho già detto altre volte, ma lo ripeterò all’infinito. I vostri ragazzi non verranno mandati a combattere nessuna guerra straniera.“3

Franklin Delano Roosevelt
Ma nonostante queste buone dichiarazioni d’intenti volte solo ad accattivarsi il consenso di una opinione pubblica statunitense contraria alla guerra, il procurato attacco giapponese e il conseguente bagno di sangue di Pearl Harbor, provocarono una ondata emotiva tale che la stessa opinione pubblica mutò repentinamente atteggiamento, optando a favore dell’intervento militare. In sostanza, senza un episodio come quello di Pearl Harbor, l’amministrazione statunitense non avrebbe mai potuto trascinare il Paese in guerra e il Presidente Roosevelt avrebbe dovuto mantenere le promesse fatte alla nazione in campagna elettorale.
Grazie al “Freedom of Information Act” promosso dal parlamentare statunitense John Moss, molti ricercatori indipendenti hanno potuto trovare accesso ad uno straordinario numero di documenti sulla guerra del Pacifico. Dallo studio accurato di questi è poi emersa tutta la verità sconcertante. Si venne così a sapere che già il 7 ottobre del 1940, nel quartier generale della Marina degli Stati Uniti a Washington, circolò un bollettino che dimostrava la premeditazione della guerra. Il dispaccio proveniva dall’ufficio dei servizi informativi ed era indirizzato a due dei più fidati consiglieri del Presidente Roosevelt, i capitani della Marina Walter S. Anderson e Dudley W. Knox. Al suo interno recava la sottoscrizione in calce del capitano di corvetta Arthur H. McCollum, un militare esperto il quale aveva trascorso diversi anni della sua vita in Giappone e ne conosceva perfettamente la politica e la cultura. Si poneva quindi come l’uomo adatto per studiare una strategia di provocazione. McCollum elaborò così un piano che prevedeva otto diverse modalità d’azione per ingaggiare una guerra con il Giappone. Il documento si componeva di cinque pagine e in esso si faceva esplicito riferimento alla creazione di quelle condizioni che avrebbero costretto i giapponesi ad una reazione armata contro gli Stati Uniti. Così, una volta che questa si fosse verificata, per via del patto siglato a Berlino il 27 settembre 1940 da Germania, Italia e Giappone, che garantiva alle forze dell’asse mutuo soccorso reciproco durante tutto il conflitto, gli Stati Uniti si sarebbero automaticamente trovati coinvolti nell’intero conflitto mondiale.
Quando vennero aperte le prime indagini nella commissione d’inchiesta del 1946, fu esclusa ufficialmente qualsiasi responsabilità diretta di Roosevelt sulla base dell’assunto che il Presidente non sarebbe mai venuto a conoscenza del piano McCollum.4 Tuttavia, esiste ormai un castello di prove che dimostra l’esatto opposto partendo proprio dalle perizie scientifiche effettuate sul protocollo del piano McCollum, le quali hanno accertato la presenza delle sue impronte digitali su ognuna delle cinque pagine del piano.5
Inoltre occorre considerare che Roosevelt ordinò di spostare buona parte della flotta statunitense alle isole Hawaii proprio il giorno successivo alla divulgazione del suddetto bollettino e quindi in completa ottemperanza al piano McCollum. Tale disposizione presidenziale quindi non poteva essere connessa ad alcun altra strategia militare razionale se non quella della provocazione.4
Lo spostamento di gran parte della flotta statunitense del Pacifico alle isole Hawaii portò l’Ammiraglio Richardson a protestare energicamente in questi termini: “Signor Presidente, gli ufficiali più anziani della Marina non hanno la fiducia nella guida civile di questo Paese.”6 Richardson dimostrò risolutamente tutto il proprio disappunto in quanto sapeva bene che stanziare la flotta nelle acque delle Hawaii sarebbe stato interpretato dal comando giapponese come un chiaro atto di ostilità, o meglio come i preparativi per un’aggressione. Inoltre alla lettera “D” il piano McCollum, contemplava l’invio di navi da guerra statunitensi nelle acque territoriali giapponesi o appena fuori di esse per finalità provocatorie. Roosevelt programmò gli sconfinamenti della flotta americana sotto l’appellativo di “missioni a sorpresa” e dichiarò espressamente: “Voglio semplicemente che sbuchino qua e là e che i giapponesi continuino a chiedersene la ragione.“7
Affermazioni queste che incontrarono anche le obiezioni degli altri alti ufficiali. L’ammiraglio Husband Kimmel ad esempio, quando venne posto di fronte all’ordine di condurre “missioni a sorpresa” per provocare i giapponesi si lasciò scappare la seguente affermazione: “E’ una mossa sconsiderata e compierla porterà alla guerra.”8

Ammiraglio Husband Kimmel
Ma quando l’Ammiraglio Kimmel si rese conto che Roosevelt non aveva alcuna intenzione di tornare sui propri passi, preferì scendere a compromessi e offrì la sua collaborazione all’unica condizione che fosse stato tempestivamente informato delle contromosse giapponesi. Il “dietro-front” di Kimmel venne quindi premiato con una promozione al grado di ammiraglio e con la nomina di comandante in capo della flotta del Pacifico. Chi invece, come l’Ammiraglio Richardson, mantenne coraggiosamente la sua posizione, venne rimosso il 1 febbraio 1941 durante una importante riorganizzazione della Marina.4
In tutto questo contesto, occorre poi considerare che i servizi segreti giapponesi erano all’opera proprio a Pearl Harbor. Infatti, il 27 marzo 1941, uno dei più importanti agenti segreti giapponesi, Takeo Yoshikawa, giunse al consolato giapponese alle Hawaii. Il suo titolo ufficiale era “cancelliere degli Affari Esteri”, ma in realtà si trattava di una copertura, in quanto la sua missione era raccogliere informazioni dettagliate su Pearl Harbor e trasferirle a Tokyo mediante l’utilizzo di un linguaggio in codice diplomatico denominato “J19”.
Il 24 settembre 1941, Tokyo rispose a Yoshikawa con un messaggio in codice, intercettato e decriptato dai servizi segreti statunitensi i quali erano in grado di decriptare le comunicazioni diplomatiche mediante il “Codice Purple” ed i dispacci militari nipponici tramite il “Codice Kaigun Ango”.4

L’agente segreto giapponese Takeo Yoshikawa
Le reali potenzialità dell’intelligence statunitense emersero solo più tardi, grazie alle rivelazioni del contrammiraglio Royal Ingersoll, assistente capo delle operazioni navali. Egli spiegò infatti che già prima di Pearl Harbor i servizi informativi americani erano in grado di scoprire in anticipo la strategia navale di guerra e le operazioni tattiche del Giappone.9
Lo storico statunitense, Prof. Richard Hill, autore del libro “Hitler Attacks – Pearl Harbor“, relativamente al messaggio del 24 settembre, dichiara: “In questo messaggio Tokyo chiede espressamente alle sue spie di suddividere il porto in cinque sezioni e di formare una griglia, da qui il nome, Diagramma dei Bombardamenti, e li invita ad indicare a quale molo sono ormeggiate le singole navi, in modo da pianificare il bombardamento in modo sicuro e preciso. Questi messaggi in codice, nei giorni seguenti, nei mesi di settembre ed ottobre del 1941, diventarono sempre più frequenti e specifici e vennero tutti intercettati e decriptati dall’intelligence statunitense“.
Nonostante ciò, inspiegabilmente, i messaggi decriptati ed il “diagramma dei bombardamenti” non vennero mai inoltrati ai comandanti di stanza a Pearl Harbor, l’Ammiraglio Husband Edward Kimmel ed il generale Walter Campbell Short.
Oppure la spiegazione potrebbe consistere nel fatto che se l’avessero saputo avrebbero potuto adottare le opportune contromisure.4
Il prof. Richard Hill afferma: “Anche se le indagini successive addosserebbero la responsabilità agli ufficiali di grado più alto, i biografi di Roosevelt ci dicono però che il Presidente non solo visionava tutti i resoconti informativi su Pearl Harbor, ma leggeva anche le decrittazioni per intero. Questo ci induce a credere con certezza che Roosevelt era al corrente dei diagrammi dei bombardamenti. L’unica spiegazione logica e sensata è che Roosevelt abbia tenuto segreto il messaggio del piano di attacco alle Hawaii perchè voleva Pearl Harbor distrutta, in modo da avere il pretesto per convincere l’opinione pubblica ad entrare in guerra.“
Infatti, nel novembre 1941 la tensione tra gli Stati Uniti ed il Giappone era ormai elevata e l’Ammiraglio giapponese Isoroku Yamamoto assemblò la flotta di navi ed aerei da guerra più potente che la storia abbia mai visto. Il 26 novembre del 1941 la flotta nipponica lasciò la propria base con destinazione Pearl Harbor.

Ammiraglio Isoroku Yamamoto
Sull’isola di Hoau a 17 km da Pearl Harbor, all’interno di quello che è l’odierno He’eia State Park, sorgeva una stazione di intercettazioni radio della marina militare statunitense, detta “Stazione H”, la quale era continuamente in ascolto per intercettare eventuali comunicazioni giapponesi. Il 24 novembre 1941 la “Stazione H” aveva intercettato un messaggio in codice giapponese inviato dall’Ammiraglio Yamamoto all’Ammiraglio Nagumo responsabile dell’attacco a Pearl Harbor. Il messaggio gli ordinava di avanzare nelle acque Hawaiane, attaccare gli elementi di forza della flotta statunitense di stanza nelle Hawaii e sferrare un attacco devastante.

Ammiraglio Chūichi Nagumo
Nel frattempo, all’Ammiraglio Kimmel veniva dato ordine di inviare le portaerei “Enterprise” e “Lexington”, cariche di aerei da caccia e bombardieri, nelle lontane isole di Wake e Midway. La “Enterprise” lasciò Pearl Harbor il 28 novembre, mentre la portaerei “Lexington” l’abbandonò il 5 dicembre.
Quando il 7 dicembre i giapponesi giunsero a Pearl Harbor alla fine di un viaggio lungo 4.000 miglia ed iniziarono l’attacco, nella base statunitense non era più presente alcuna portaerei.
Il prof. Richard Hill sostiene che il motivo per cui le portaerei avevano lasciato Pearl Harbor consisteva nell’intenzione di risparmiare l’arsenale più pregiato dal bombardamento oramai prossimo che i giapponesi stavano per effettuare.
Il 4 dicembre 1941 il centro intercettazioni radio della marina militare statunitense intercettò un messaggio in codice inviato dal comando militare nipponico ai propri agenti segreti a Pearl Harbor. Il messaggio recitava così: “Pioggia e vento da est!” Tale messaggio aveva lo scopo di avvisare i propri agenti segreti dell’imminente attacco sull’isola.
Il capitano Laurence Safford, un ufficiale dell’intelligence della marina statunitense, dichiarò in seguito di aver informato i propri superiori del messaggio intercettato il 4 dicembre. Alla fine della guerra, l’Ammiraglio Kimmel dichiarerà: “Non comprendo e non comprenderò mai perché io sia stato privato delle informazioni disponibili a Washington“.10
Il testo di 13 messaggi inviati dall’Ammiraglio Yamamoto ed intercettati dalla “Stazione H” è risultato curiosamente mancante dagli archivi della marina militare statunitense. Tutti i documenti originali in questione erano stati ceduti nel 1979 agli archivi nazionali del Presidente Jimmy Carter. L’indagine ufficiale del Congresso degli Stati Uniti, concluse invece che i servizi di spionaggio americano, “persero contatto” con le navi giapponesi nei giorni precedenti all’attacco, in quanto queste, avevano scrupolosamente mantenuto il silenzio radio.
Ma a smentire la versione ufficiale esistono anche altre prove schiaccianti come le registrazioni dei servizi segreti olandesi. Dalla disamina di queste infatti, è stato appurato che gli ammiragli al comando delle navi da guerra giapponesi, violarono il silenzio radio rimanendo costantemente in contatto con Tokyo. E quindi, tanto la loro posizione quanto le loro intenzioni furono necessariamente captate durante tutti i 25 giorni che vanno dal 12 novembre al 7 dicembre 1941. Pertanto, la testimonianza del generale olandese Hein ter Poorten, smentì palesemente la versione ufficiale della commissione d’inchiesta. Egli, infatti non esitò a confermare che anche i suoi crittografi della “Kamer 14” possedevano prove che dimostravano una minacciosa concentrazione di navi giapponesi nei pressi delle isole Curili già alcuni giorni prima dell’attacco di Pearl Harbor.11
Luca D’Agostini
Lascia un commento
Fonti
(1) Bugie per scatenare la guerra
(2) Robert B. Stinnett, Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor, Net, Milano 2004, p. 65.
(3) Boston, 30 Ottobre 1940. Public Papers and address of Franklin D. Roosevelt, Macmillan, New York, volume del 1940, p.517
(4) Pearl Harbor
(5) Robert B. Stinnett, Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor, Net, Milano 2004, p. 26.
(6) Cfr. Richardson, James O., On The Treadmill To Pearl Harbor, Naval History Division, Department of the Navy, Washington DC 1973, p.435
(7) Secondo l’ammiraglio Stark, F.D.R. le definì “missioni a sorpresa”, cfr Simpson, B. Mitchell III, Admiral Harold R. Stark, University of South Carolina Press, 1989, p.101-2.
(8) L’ammiraglio H. Kimmel il 18 febbraio 1941 scrisse a Stark affermando che l’invio degli incrociatori “era il peggior consiglio possibile”, PHPT 33-1199.
(9) Robert B. Stinnett, Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor, Net, Milano 2004, p. 40.
(10) Robert B. Stinnett, Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor, Net, Milano 2004, p. 57.
(11) Robert B. Stinnett, Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor, Net, Milano 2004, p. 67.
Devi accedere per postare un commento.