Nello scenario geopolitico molto spesso si fa ricorso ai termini “sunnita” e “sciita” per descrivere lo scontro dottrinale all’interno dell’Islam.
In questo articolo, analizzeremo la figura di Ali ibn Abi Talib, il primo dei Dodici Imam sciiti e personaggio chiave all’interno dell’Islam sciita.
Alì nacque a La Mecca il 17 marzo 599. Fu l’unica persona nata nella sacra Ka’ba, l’antica costruzione situata all’interno della Sacra Moschea, al centro della Mecca.1 Alì era il cugino e genero del profeta Maometto, avendone sposato la figlia Fatima nel 622. Nel 656 divenne il quarto califfo dell’Islam ed è considerato dagli sciiti il loro primo Imam. Secondo gli sciiti sarebbe dovuto essere il successore di Maometto, ma fu preceduto da tre califfi: Abu Bakr, Omar ibn al-Khattàb e Othmàn ibn Affàn.
Il padre di Alì ibn Abi Talib, seppur di modesta condizione economica era un importante membro della potente tribù dei coreisciti (Banu Quraysh), ed era zio paterno di Maometto (il fratello del padre di Maometto). Maometto, rimasto ben presto orfano, fu accolto fin da bambino nella casa dello zio.
Una volta sposatosi con Khadija e andato a vivere con lei, Maometto prese con sé in casa il giovane cugino Alì, al fine di alleviare le difficoltà economiche che in quel momento stava patendo lo zio. Da quel momento in poi i due cugini vissero sotto lo stesso tetto. Anche quando Alì si sposò con la figlia di Maometto, Fatima, i due cugini rimasero sempre a strettissimo contatto fino alla morte del Profeta, avvenuta nel 632.
Alì fu il primo uomo a convertirsi all’Islam (si convertì all’età di 10 anni), mentre la prima persona in assoluto rimase pur sempre Khadija, la moglie di Maometto.
Come già accennato sopra, Alì sposò Fatima, figlia di suo cugino Maometto, e fu il padre dei figli che ella dette alla luce, al-Hasan e al-Hussein, considerati secondo e terzo Imam dagli sciiti, mentre da un’altra donna, Khawla, della tribù dei Banu Hanifa, ebbe Muhammad, detto per questo anche Muhammad ibn al-Hanafiyya invece del più corretto Muhammad ibn Alì.
Alì partecipò con grande coraggio e valore a tutti gli eventi importanti della prima storia dell’Islam e a tutte le battaglie che il Profeta dovette affrontare contro gli avversari del suo credo, tranne che alla spedizione di Tabuk, quando Maometto gli chiese di restare a Medina quale suo rappresentante. Per il suo eroismo, Alì ricevette il soprannome di “Leone di Allah”.2
Durante la battaglia di Uhud, Maometto gli affidò la sua spada personale a due punte, Dhu l-Fiqar (“Quella che discrimina“), che il comune nonno, Abd al-Muṭṭalib b. Hashim, aveva rinvenuto nel pozzo contenuto all’interno della Ka’ba. Durante la battaglia Alì subì 16 ferite e secondo la tradizione sciita, Alì maneggiò la spada con tale destrezza da tagliare letteralmente in due, dalla testa all’inguine, un membro dei coreisciti che gli si era parato davanti. Al che, secondo lo storico Tabari, il Profeta Maometto esclamò: “Non v’è spada come Dhu l-Fiqar e non v’è eroe come Alì!“, motto sovente inciso sulle lame delle spade islamiche.3 4
Il Profeta Maometto, di ritorno dal suo ultimo pellegrinaggio, si fermò nella città di Gadir Hum, situata tra La Mecca e Medina. Qui Maometto fece una dichiarazione che è stata interpretata in modo diverso nell’Islam. Maometto dichiarò che Alì sarebbe stato il suo erede. Gli sciiti sono convinti che in questo modo Maometto dichiarò Ali suo successore. I sunniti, al contrario, intendono questa dichiarazione come un’espressione della vicinanza del Profeta a suo cugino e suo genero come il desiderio che Alì ereditasse le sue responsabilità familiari dopo la morte.1
Il Profeta Maometto morì nel 632 nella sua casa di Medina. Immediatamente dopo la sua morte, un gruppo di compagni di Maometto si radunò nel quartiere di Banu Sa’id per risolvere il problema del successore.5 Alì e la famiglia di Maometto in quel momento erano impegnati ad occuparsi del pietoso rito del lavacro del cadavere del Profeta al momento della sua inumazione, nella stessa stanza in cui Maometto viveva. Fu per questo motivo che Alì non fu presente alla riunione che designò Abu Bakr a primo Califfo nella successione a Maometto.4 5 Alì non protestò, ma si allontanò dalla vita pubblica e si dedicò allo studio e all’insegnamento del Corano.1
Partecipò di nuovo con grande coraggio e valore a tutte le campagne militari dell’Islam e divenne Califfo per acclamazione dopo l’assassinio del suo predecessore Uthman. Divenuto Califfo, Alì ripristinò rapidamente l’ordine a Medina. La sua autorità fu riconosciuta in Egitto , Iraq e Yemen. Tuttavia, Mu’awiya b. Abi Sufyan, il governatore della Siria e parente di Uthman, si rifiutò di giurare fedeltà al nuovo Califfo in quanto credeva che si fosse macchiato di complicità con gli assassini del califfo Uthman. Così Mu’awiya mise nella moschea di Damasco la camicia insanguinata di Uthman e le dita mozzate di sua moglie Naila.6 Il governatore della Siria, Muʿawiya b. Abi Sufyan, in nome del diritto consuetudinario reclamava si facesse piena luce sulle circostanze che avevano condotto alla morte del suo parente Uthman, e che si punissero di conseguenza i responsabili dell’omicidio. In realtà egli reagiva alla propria rimozione dalla carica di governatore disposta da Alì non appena divenuto Califfo.
Nell’agosto del 656, quando la rottura con Mu’awiya divenne definitiva, Alì iniziò a prepararsi alla guerra contro di lui. Ma i Meccani furono i primi ad opporsi ad Alì, guidati da Talha ibn Ubayd Allah (uno dei più intimi collaboratori di Maometto), da al-Zubayr ibn al-Awwam (anch’egli cugino di Maometto come Alì) e da Aisha, la moglie del Profeta Maometto. Costoro furono appoggiati dalla città di Bassora, dove molti dei partecipanti all’assassinio di Uthman furono presto catturati e uccisi. La città di Kufa invece si schierò dalla parte di Alì.
Presto il califfo Alì, alla testa di un esercito di 12 mila soldati (provenienti principalmente dagli abitanti di Kufa) si avvicinò alla ribelle Bassora. A dicembre del 656 avvenne una battaglia, che terminò con la vittoria di Alì. Talha ibn Ubayd Allah fu ferito alla gamba da una freccia e morì per un’emorragia di sangue. Dopo la morte di Talha, le truppe di Bassora iniziarono a ritirarsi. Incapace di fermarle, al-Zubayr ibn al-Awwam fuggì da solo dal campo di battaglia, dirigendosi verso Wadi al-Sib, dove fu ucciso da un beduino. Ne conseguì una battaglia decisiva attorno al cammello su cui era seduta Aisha, motivo per cui questa battaglia fu chiamata la “Battaglia del cammello”. Alla fine, i guerrieri di Alì riuscirono a vincere. Aisha si ritirò a vita privata e il potere di Ali ne uscì rafforzato.7
Il 19 luglio 657, l’esercito di Alì si scontrò con i seguaci di Muʿawiya b. Abi Sufyan nella Battaglia di Siffin, sull’Eufrate. La battaglia durò 9 giorni e quando il governatore ribelle comprese d’essere prossimo alla sconfitta, si appellò al Corano. Alì, pressato da una parte dei suoi uomini, dovette acconsentire ad un arbitrato. Questo portò alla nascita del movimento ereticale del kharigismo. I kharigiti contestavano sia Muʿawiya, reo di essersi ribellato al legittimo Califfo, sia Alì, reo di aver accettato un arbitrato col ribelle nonostante la certezza dei suoi diritti.
L’arbitrato svoltosi a Adhruh, in Transgiordania, fu viziato da astuzie e sotterfugi, e giunse soltanto a dichiarare “ingiusta” la morte del terzo califfo.
Di fatto nessuno riconobbe Muʿawiya califfo (salvo forse qualche suo fedele seguace a Damasco e in Siria) fintanto almeno che Alì operò a Kufa, in Iraq, dove il Califfo aveva spostato la capitale, abbandonando l’insicura Medina.
Prima di lanciarsi nuovamente contro il ribelle Muʿawiya, Alì dovette affrontare la rivolta aperta dei kharigiti. Li affrontò in battaglia a Nahrawan, nel 658, facendone strage, ma nel 661 fu ucciso dalla loro vendetta.
Secondo la storiografia sciita, molto prima della sua morte, Alì sapeva che sarebbe stato ucciso, perché il Profeta glielo aveva predetto. Numerosi storici sostengono che Maometto predisse che la morte di Alì sarebbe avvenuta quando la barba dello stesso Alì fosse stata macchiata del sangue proveniente da una grave ferita alla testa.8 I Kharigiti, che sfuggirono alla morte a Nahrawan, decisero di uccidere allo stesso tempo coloro che ritenevano i colpevoli della scissione nella comunità musulmana: Alì e Mu’awiya.
Uno dei cospiratori, Abdurrahman ibn Muljam, tra le altre cose, incontrò i membri della tribù Taym al-Ribab, tra cui una donna di nome Katami bint al-Shijna, la quale perse suo padre e suo fratello nella Battaglia di Nahrawan. Ibn Muljam le chiese di sposarlo. Lei accettò con riserva: avrebbe accettato la sua proposta di matrimonio solo qualora avesse ricevuto in dote 3 mila dirham, uno schiavo e l’uccisione di Alì quale vendetta per la morte dei suoi parenti.8
Così, la notte del 22 gennaio 661, tre cospiratori, tra cui Ibn Muljam, si recarono nella moschea di Kufa. Mentre Alì entrava nella moschea per guidare la preghiera del mattino, Ibn Muljam lo colpì alla testa con una spada intinta nel veleno. Prima di morire, una tradizione sciita afferma che Alì nominò suo successore il suo primogenito al-Ḥasan, ma questa tradizione viene decisamente smentita dalle fonti sunnite.
La sera del 23 gennaio, nella notte del 24° Ramadan, Alì morì.
Aisha, venendo a conoscenza della morte di Ali, disse: “L”obiettivo è stato raggiunto!” Al rimprovero della figlia di Abu Salam, Zeynab: “Come puoi dire una cosa del genere su Alì?“, Aisha rispose con un sorriso, “Quando me ne dimentico, ricordamelo“.7
Il corpo di Alì fu inumato in una località segreta per evitare profanazioni da parte dei suoi nemici. Solo dopo molti anni, al tempo del califfo abbaside Harun al-Rashid, la sua sepoltura fu scoperta a Najaf, in Iraq nei pressi di Kufa. In seguito a tale scoperta, la città di Najaf, a causa delle grande devozione goduta da Alì nel mondo musulmano in generale, e sciita in particolare, divenne per gli sciiti la terza più importante città santa dopo La Mecca e Medina.9
Alì è entrato nella storia dell’Islam come una figura tragica. Oltre al profeta Maometto, non c’è nessun altro nella storia dell’Islam, di cui si è tanto scritto. Tutti gli storici concordano sul fatto che Alì fosse una persona profondamente religiosa, dedita alla causa dell’Islam e all’idea del dominio della giustizia in conformità con il Corano e la Sunna. Le fonti dell’epoca sono piene di notizie riguardo il suo ascetismo, la sua rigorosa osservanza del dogma religioso e l’isolamento dai beni terreni.
Ali è venerato sia dagli sciiti che dai sunniti. I sunniti lo vedono come l’ultimo di quattro giusti califfi. Gli sciiti venerano Alì come il primo Imam e come santo, con legami speciali di intimità associati a Maometto, come un uomo giusto, guerriero e capo. Gli sono attribuiti numerosi talenti e grande imprese militari.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Britannica
(2) Али-заде А. А. Али ибн Абу Талиб // Исламский энциклопедический словарь. — М. : Ансар, 2007. — 400 с. —
(3) Прозоров С. М. Али б. Аби Талиб // Ислам: энциклопедический словарь / Отв. ред. С. М. Прозоров. — М. : Наука, ГРВЛ, 1991. — С. 18—19.
(4) Петрушевский И. П. Ислам в Иране в VII—XV веках (курс лекций). — Л.: Изд-во Ленинградского университета, 1966. — 398 с.
(5) Большаков О. Г. История Халифата. — М.: Восточная литература, 1989. — Т. 1. Ислам в Аравии 570—633 гг. — 312 с.
(6) Philip K. Hitti, History of Syria Including Lebanon and Palestine, Vol. 1, Gorgias Press, Piscataway (New Jersey) 2002
(7) Большаков О. Г. История Халифата. — М.: Восточная литература, 1998. — Т. 3. Между двух гражданских войн (656—696). — 382 с.
(8) Encyclopædia of Islam, E.J. Brill, Leiden 2007
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