Nel 1984, lo scrittore statunitense Tom Clancy pubblicò il romanzo “Caccia a Ottobre Rosso”, la storia del capitano sovietico di un sottomarino che dirottò la sua nave negli Stati Uniti, deluso dal regime sovietico.
Si ritiene che il romanzo di Clancy fosse basato sulla storia del capitano Valerij Sablin, il quale nel 1975 attuò l’ammutinamento sulla sua nave antisommergibile Storoževoj.
In epoca sovietica, per ovvie ragioni, non scrissero nulla su questo caso. Ma dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si iniziò a scrivere molto, parlando del capitano Sablin come di un dissidente che decise di porre fine al sistema comunista con l’aiuto delle armi.
Ma sia la versione di Clancy, che le prime narrazioni post-sovietiche sono molto lontane dalle vere motivazioni che spinsero all’ammutinamento il capitano Valerij Sablin.
Valerij Michajlovič Sablin nacque il 1° gennaio 1939 a Leningrado, nella famiglia di un marinaio militare. Il nonno Valerij e il padre Michail prestarono servizio nella flotta della Marina Militare dell’Unione Sovietica.
Valerij sognava di seguire le orme di suo padre, il quale durante la Grande Guerra patriottica aveva combattuto valorosamente nel Mare del Nord, e per questo motivo si iscrisse alla scuola navale superiore di Leningrado.
A scuola Valerij era soprannominato “coscienza di classe”. I compagni di classe hanno ricordato che non solo credeva negli ideali comunisti, ma cercava di seguirli rigorosamente e invitava costantemente gli altri a farlo. I suoi compagni all’accademia navale, parlando di Valerij Sablin ripetevano due aspetti: l’assoluta incapacità di mentire e l’intolleranza all’ipocrisia.
Il futuro ufficiale di marina era molto turbato dalla discrepanza tra le parole pronunciate dai vertici politici dell’Unione Sovietica di quegli anni e le loro azioni reali.
Nel 1960, terminata l’accademia, fu inviato a servire nella Flotta del Nord come assistente comandante della batteria di cannoni da 130 mm di un cacciatorpediniere.
Sablin servì bene la Marina e ricevette onorificenze e promozioni. È vero che ci fu un incidente che mise in allarme le autorità: Sablin inviò una lettera all’allora leader sovietico Nikita Chruščëv con il suo pensiero su come cambiare la vita nel paese. Ma alla fine, per la fortuna di Sablin, questa vicenda fu archiviata e tutto si risolse per il meglio. Al contempo però, lo stesso Valerij Sablin comprese che quei cambiamenti che riteneva necessari non potevano essere facilmente raggiunti.
Nel 1969, Sablin era considerato un ottimo ufficiale e stava per diventare comandante di una nave militare. Fu inviato così all’accademia politico-militare intitolata a Lenin. Si laureò con successo nel 1973 e il suo nome fu inciso su una tavola di marmo insieme a quelli dei migliori laureati di quell’accademia.
Con il grado di capitano, Sablin fu nominato vice comandante per gli affari politici su una grande nave antisommergibile della Flotta del Baltico. Tuttavia, al suo arrivo alla base di Baltijsk, Sablin venne a sapere che era stato trasferito sulla nave Storoževoj, dove l’ex comandante per gli affari politici era stato licenziato per ubriachezza.
A questo punto, Valerij Sablin decise che era tempo di attuare il piano con il quale intendeva riportare l’Unione Sovietica sulle linee della politica leninista.
Il comandante per gli affari politici Sablin, intendeva trasformare la nave in una piattaforma dalla quale sarebbe stato possibile fare appello a tutti i cittadini dell’Unione Sovietica e ai membri del partito, per avviare le necessarie riforme.
Per comprendere meglio il pensiero di Sablin, occorre leggere le sue parole scritte nella lettera d’addio a sua moglie: “Dal 1971, ho iniziato a sognare un territorio di propaganda libera della nave. Sfortunatamente, la situazione era tale che solo nel novembre del 1975 ci fu una vera opportunità di parlare. Cosa mi ha spinto a questo? Amore per la vita. Non intendo la vita di un commerciante ben nutrito, ma una vita luminosa e onesta che provoca gioia sincera. Sono convinto che, come 58 anni fa, la coscienza rivoluzionaria divamperà nel nostro Popolo e raggiungerà l’ideale comunista nel Paese“.
Per due anni, dal 1973 al 1975, Sablin promosse le sue opinioni tra l’equipaggio, concentrandosi sui difetti presenti nella società, parlando ai suoi marinai dei veri principi della società comunista.
È improbabile che i servizi segreti non possedessero informazioni sulle attività di Sablin, ma erano probabilmente informazioni confuse. Dopotutto, Sablin non chiedeva un cambiamento nel sistema, ma chiedeva la continuazione della rivoluzione leninista che a suo avviso si stava smarrendo.
Nel gennaio del 1975, come parte delle navi della Flotta del Baltico, la nave antisommergibile Storoževoj entrò in servizio attivo e pronta ad un eventuale azione di combattimento nel Mar Mediterraneo. Nessuno avrebbe immaginato che sei mesi dopo il capitano Sablin avesse potuto organizzare un ammutinamento.
Nell’autunno del 1975, fu ordinato alla nave di prendere parte a una parata navale a Riga, dedicata al 58° Anniversario della Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre. Dopo aver partecipato alla parata, il 6 novembre 1975, la nave fu inviata in un cantiere navale di Riga per alcune operazioni di manutenzione e riparazione. Così, una parte degli ufficiali della nave, a causa dell’imminente fermo per le operazioni di riparazione, decisero di usufruire di un breve periodo di congedo. Sablin decise che era tempo di agire.
Il comandante della nave Anatolij Potulnij, con uno stratagemma fu attirato nella stanza degli altoparlanti. Lì fu bloccato da Sablin e dal suo collaboratore più fidato, il bibliotecario Aleksandr Shein. Immobilizzato il comandante della nave, Sablin gli comunicò i suoi piani.
Dopo ciò, Sablin radunò gli ufficiali rimasti sulla nave e davanti a loro tenne un discorso, nel quale manifestava l’intenzione di “ripulire l’Unione Sovietica e il partito da un’appropriazione indebita e dalle bugie, allo scopo di ripristinare la giustizia sociale“. Al termine del discorso propose di votare sull’ammutinamento. Le opinioni furono divise approssimativamente equamente, dopodiché coloro che si unirono a Sablin isolarono coloro che non erano d’accordo in stanze chiuse e bloccate.
Alle ore 21:40, furono riuniti tutti i marinai ai quali fu annunciato il piano dell’ammutinamento, che prevedeva di recarsi con la nave a Leningrado, ormeggiare simbolicamente accanto all’Aurora e chiedere di parlare in televisione per inviare un messaggio alla popolazione. A Leningrado, secondo i piani di Sablin, gli abitanti della città e i marinai della base navale, avrebbero appoggiato l’ammutinamento e dopo ciò, la nuova rivoluzione avrebbe trionfato in tutto il paese.
Sablin invitò quei marinai che non approvavano il suo piano a scendere a terra usando le scialuppe di salvataggio, ma non ce ne furono.
Avendo assunto le funzioni di comandante della nave, Sablin intendeva lasciare la base navale di Riga senza destare sospetti. Questi piani, tuttavia fallirono in quanto il tenente maggiore Firsov, il quale si opponeva all’ammutinamento ma non lo aveva dichiarato fingendo invece di sostenerlo, riuscì a fuggire dalla nave.
Raggiunto il sottomarino “B-49”, Firsov riferì dell’ammutinamento, del fatto che il comandante della nave Potulnij era stato sottoposto all’arresto e che il comandante per gli affari politici Sablin stava per dirottare la nave.
Inizialmente, Firsov non fu creduto: Sablin era conosciuto come un ufficiale eccellente e il comandante del sottomarino non poteva credere a qualcosa del genere.
Nel frattempo, Sablin, apprendendo della fuga di Firsov, diede il comando di levare l’ancora e navigare in direzione di Leningrado.
A questo punto il comando della Flotta del Baltico cercò di contattare la Storoževoj, ma la radio rimase in silenzio.
La situazione si fece complicata anche da un altro punto di vista: sulla rotta per Leningrado, la Storoževoj sarebbe dovuta passare vicino alle acque territoriali della Svezia. Pertanto, quando si comprese che si trattava di un ammutinamento, vi fu il sospetto che la nave chiedesse asilo politico al paese scandinavo.
Alle 4.00 del mattino, il capitano Sablin inviò un messaggio all’ammiraglio Gorshkov, comandante della Marina Militare dell’Unione Sovietica: “Vi chiedo di riferire urgentemente al Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e al governo sovietico che la bandiera della prossima rivoluzione comunista è stata sollevata sulla nostra nave. Chiediamo: anzitutto di dichiarare il territorio della nave Storoževoj libero e indipendente da enti statali e di partito. Secondo, chiediamo di offrire l’opportunità a uno dei membri dell’equipaggio di parlare alla radio centrale e alla televisione nazionale per 30 minuti. Il nostro ammutinamento è di natura puramente politica e non ha nulla a che fare con il tradimento della Madrepatria. Coloro che saranno contro di noi tradiranno la Patria. Entro due ore, a partire dal momento da noi annunciato, attendiamo una risposta positiva alle nostre esigenze. In caso di silenzio o rifiuto di soddisfare le suddette richieste, oppure in caso di tentativi di usare la forza nei nostri confronti, ogni responsabilità per le conseguenze ricadrà sul Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e sul governo sovietico“.

Capitano Valerij Sablin
Allo stesso tempo, Sablin inviò un messaggio radio a tutte le navi della Marina Militare sovietica: “A tutti voi! A tutti voi! Il nostro ammutinamento non è un tradimento della Madrepatria, ma un’azione puramente politica e progressista. I traditori della Patria saranno quelli che cercheranno di fermarci. Se il governo utilizzerà la forza per liquidarci, allora lo saprete dall’assenza di altri nostri messaggi radio. Solo la vostra solidarietà politica salverà la rivoluzione che abbiamo iniziato. Sosteneteci, compagni!“
Dal quartier generale della Marina Militare dell’Unione Sovietica, fu inviato alla nave Storoževoj un messaggio laconico: “Ordine di ritorno a Riga“. Non ci fu risposta a questo messaggio.
Nove navi militari della Flotta del Baltico, così come il 668° Reggimento di Bombardieri, furono inviati all’inseguimento dei ribelli. L’ordine che ricevettero fu il seguente: “Se la Storoževoj si dovesse avvicinare alle acque territoriali svedesi, deve essere immediatamente affondata“.
Gli aerei raggiunsero in breve tempo la Storoževoj e lanciarono bombe in mare nelle sue vicinanze, con lo scopo di non danneggiarla ma di intimarne la resa. Una parte dei marinai, spaventati dal volo dei bombardieri sovietici sopra le loro teste, decise di liberare il comandante della nave il quale era stato sottoposto agli arresti.
Il comandante della nave, Anatolij Potulnij, insieme ai marinai che l’avevano liberato riuscì ad impossessarsi dell’armeria della nave e distribuì ai marinai stessi fucili mitragliatori e pistole. Il comandante Potulnij prese per se una pistola e si diresse verso il ponte di comando. Giunto di fronte al capitano Sablin, gli sparò a una gamba.
L’ammutinamento terminò in quel momento. Il comandante della Storoževoj riferì via radio di aver ripreso il comando e che la nave stava tornando a Riga.
Al ritorno alla base navale di Riga, l’equipaggio che si era reso colpevole dell’ammutinamento fu sottoposto agli arresti e rinchiuso in una caserma militare. Il ferito Sablin fu inviato a Mosca, mentre una commissione governativa guidata dall’ammiraglio Gorshkov arrivò a Riga per indagare. Alcuni marinai e ufficiali furono licenziati, altri ufficiali furono degradati, l’equipaggio della Storoževoj fu cambiato e la nave stessa fu inviata nell’Oceano Pacifico.
A Mosca Sablin spiegò con calma le ragioni del suo atto, si dichiarò colpevole e chiese solo che i marinai che si erano uniti a lui non fossero puniti. Il capitano Valerij Sablin, fu sottoposto a un esame psichiatrico, il quale diede l’esito che era assolutamente in grado di intendere e di volere. In una lettera inviata ai suoi genitori scrisse: “Le mie azioni sono guidate da un solo desiderio: fare ciò che è in mio potere per risvegliare il nostro popolo, le persone buone e potenti della nostra Patria dal letargo politico, perché colpisce in modo pernicioso tutti gli aspetti della nostra società“.
Il caso dell’ammutinamento della Storoževoj fu esaminato, dal 6 al 13 luglio 1976, dal Collegio militare della Corte Suprema dell’Unione Sovietica. Il capitano Valerij Sablin fu giudicato colpevole ai sensi dell’articolo 64 capoverso “a” del Codice Penale (tradimento alla Madrepatria) e condannato alla pena di morte. Il suo più fido assistente, il bibliotecario Aleksandr Shein fu condannato a 8 anni di prigione.
Da una lettera d’addio di Valerij Sablin a suo figlio: “Credimi, la storia ricompenserà onestamente tutti in base al loro merito, e quindi non dubiterai mai di ciò che tuo padre ha fatto. Non essere mai tra le persone che criticano senza agire. Questi ipocriti, persone deboli che non rappresentano nulla, non sono in grado di combinare la loro fede con le loro azioni. Voglio che tu sia coraggioso. Assicurati che la vita sia meravigliosa. Credi che la Rivoluzione vincerà sempre“.
La sentenza contro il capitano Valerij Sablin fu eseguita tramite fucilazione a Mosca il 3 agosto 1976.
Gli storici russi attualmente concordano nel definire il capitano Sablin un comunista convinto, un uomo che fino all’ultimo momento della sua vita ha creduto sinceramente negli ideali di quella società prospettata dalla Rivoluzione d’Ottobre. Il capitano Sablin, era in contrasto con i milioni di persone che tenevano in tasca la tessera di partito solo per la ricerca di un luogo accogliente e ben nutrito. Sablin era convinto che la Rivoluzione di Lenin avesse invece come obiettivo quello di assicurare una vita migliore a tutti i cittadini sovietici.
Gli storici russi sottolineano come il capitano Sablin non parlò contro il regime sovietico, ma contro la “ruggine” che lo stava divorando. Secondo loro, comprese perfettamente che i burocrati di partito con le loro azioni sarebbero stati proprio quelli che in un solo decennio e mezzo avrebbero portato al crollo dell’Unione Sovietica.
Il suo piano era estremamente ingenuo, ma assolutamente sincero. Non riuscì a sconfiggere coloro che criticava, ma non si pentì mai di aver pagato sacrificando la propria vita.
Luca D’Agostini
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Fonti:
Восстание Сторожевого
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